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lunedì 5 maggio 2014

EFFETTI DELLA TRANSAZIONE SUGLI OBBLIGHI CONTRIBUTIVI: CHIOSE A COMMENTI A SENTENZA



Non è infrequente che Datore di Lavoro e Lavoratore addivengano ad una transazione, con la quale rivedano "al ribasso" le rivendicazioni retributive, anche attestandosi a valori inferiori rispetto al CCNL. Tipico il caso, in cui il Lavoratore operi una "rinuncia" ad una parte della retribuzione dovuta. Tale rinuncia è opponibile all'INPS? L'INPS potrà esigere il credito contributivo sull'intera retribuzione di CCNL, ovvero sul diverso, e più basso importo, deciso in transazione?
A fronte di alcuni commenti poco perspicaci, è opportuno riepilogare alcuni aspetti normativi.
Innanzitutto, chiariamo un equivoco: a partire dal carattere obbligatorio e indisponibile dell'obbligazione INPS e dal conseguente carattere obbligatorio e indisponibile delle basi di calcolo, non è consentito all'INPS di "disconoscere" ai fini economici la conciliazioni/transazione, aventi per oggetto valori economici inferiori a quelli minimi di CCNL; e di ricalcolare conseguentemente la base di calcolo della pretesa contributiva[1].
Si tratta di un'interpretazione decisamente eccentrica rispetto alla giurisprudenza consolidata. 
In queste sentenze (come nella sentenza 6037/2014, da cui pure l'Avv. prende le mosse per il commento), si è sempre ancorata l'imponibilità alla causa "retributiva"/"non retributiva" dell'erogazione monetaria, ma non si è mai stabilito (come adombrano qualcuno) che l'imponibilità vada comunque computata in relazione ai minimi di CCNL![2]

(…) Anche la stessa transazione può essere ignorata, in quanto ‘nulla’, a fronte di concessioni reciproche in violazione dell’importo effettivamente spettante (ciò accade spesso in sede giudiziaria). Ben potrà essere verificata, allora, la tenuta dell’originaria richiesta retributiva del Lavoratore ai fini di una completa regolarizzazione contributiva, che non si limiti a recepire semplicemente il contenuto dell’accordo, che il più delle volte si raggiunge su importi inferiori rispetto alle originarie richieste (vi sono pur sempre reciproche concessioni). L’istituto potrà quindi azionare il credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo, anche in via presuntiva, dallo stesso contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui è inserito, quali siano effettivamente le somme assoggettabili a contribuzione (cfr. Cass. 17945/2009)[3].

Al riguardo, è opportuno riepilogare alcuni punti.
Innanzitutto, l'art. 12 l. 153/69, come modificato dal d.lgs. 311/1997, che detta determina il regime di imponibilità delle somme corrisposte dal Datore di Lavoro al Lavoratore. Ai fini dell'imponibilità, cioè, l'articolo dispone l'imponibilità delle somme "corrisposte in relazione al rapporto di lavoro" tra Datore di Lavoro e Lavoratore, non solo senza distinguerne la provenienza (legale, contrattuale, stragiudiziale etc.), ma senza nemmeno precisare che gli importi di dette somme debbano essere o meno conformi ai minimi di CCNL.
Di conseguenza, la norma non riconosce all'Ente (Agenzia delle Entrate, INPS) alcun particolare potere di riclassificazione, e a maggior ragione non prevede alcuna procedura di riclassificazione/disconoscimento delle somme provenienti di conciliazioni/rinunzie/transazioni, in relazione ai valori di CCNL. 
Un potere, quest'ultimo, i cui estremi e presupposti vanno ricercati nei principi generali dell'ordinamento.
Di qui, emerge ancora più chiaramente l'errore in cui incorrono certi Commentatori; i quali, se, da un lato e ineccepibilmente, rilevano l'indisponibilità dell'obbligazione contributiva (art. 2115 C.C.)[4], in quanto di origine legale al pari dell'obbligazione tributaria, dall'altro incorre in un pesante e vistoso vizio logico, siccome erroneamente dal carattere evidentemente "legale" e indisponibile dell'obbligazione contributiva INPS deduce il carattere legale (obbligatorio e indisponibile) dei valori retributivi[5]: ignorando del tutto che questi, pur tutelati da un chiaro regime di indisponibilità in pejus, sono comunque di natura e origine a tutti gli effetti contrattuale.
Il fatto che origine, modificazione, estinzione della retribuzione passino attraverso questi meccanismi "assistiti" (es. le conciliazioni "assistite" ex. art. 2113.04°comma C.C.) non ne disconosce la natura contrattuale, anzi la conferma, atteggiandosi tali procedure di "conciliazioni assistite" a meri requisiti di "forma", ma rimanendo la gestione degli "effetti sostanziali" (ed economici) del rapporto del tutto similare a qualsiasi altra obbligazione contrattuale.
In particolare, l'art. 2113 C.C. istituisce un regime di limitata impugnabilità per le rinunce/transazioni svolte individualmente dal Lavoratore relativamente ai propri diritti, ma opera nel senso del massimo favore per il consolidamento di disposizioni aventi fonte in rinunce/transazioni operate dal Dipendenti in sedi "assistite" (nelle conciliazioni avanti la DTL o il Sindacato).
Questa ultima previsione (art. 2113.04°comma C.C.) legittima, aldilà di ogni possibile equivoco, convenzioni modificative degli accordi dei lavoratori, anche in pejus rispetto ai CCNL (la rinuncia/transazione, agli effetti civilistici, determina piena modificazione della situazione giuridica precedente!).
Quindi, l'accordo in sè è valido, e va comunque recepito dall'INPS, ai fini contributivi, salvi i casi di frode, dolo da provarsi, però, necessariamente con rigore (visto anche che tali casi integrano gravi reati di “estorsione” ex. art. 628 CP).
Senza ricorrere, comunque, al formale "disconoscimento" della conciliazione (ammissibile per dolo, frode, visto che l'atto è in sè inoppugnabile, e suscettibile financo di esecuzione forzata!), la legge, a tutela del Lavoratore, prevde l' istituto del minimale contributivo, ove le basi di calcolo per la contribuzione imponibile, comunque determinate in conciliazione, siano troppo basse.
In questo, emerge, a tutta evidenza, la plateale svista in cui incorrono certi commentatori,i quali chiaramente e goffamente confondono il problema della astratta imponibilità delle somme di conciliazione/transazione (ex D.lgs. 314/1997) con il problema della sufficienza delle basi di calcolo (rilevanti per i minimali), mostrando di non saper comprendere la concreta e complessa realtà delle leggi che regolano lo svolgimento del rapporto contributivo.



 



[1] Posizione adombrata in sede di commento a Cass. 6037/2014 dall’Avv. IMBRIACI di Firenze in Effetti della transazione sugli obblighi contributivi, in Guida al Lavoro nr. 16/2014.
[2] Da ultimo, vedi il testo di Cass. 6037/2014, che conferma questa impostazione!
[3] IMBRIACI, cit.
[4] Vedi IMBRIACI quando dice: “L’obbligo contributivo del Datore di Lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore di lavoro”.
[5] Questa posizione è limpidamente evidenziata nei passi che seguono: “L’ammontare dell’imponibile contributivo può non essere sempre e del tutto coincidente con le somme riconosciute in sede di transazione, semplicemente per il fatto che la retribuzione imponibile deve essere riferita alla retribuzione di legge cui il lavoratore avrebbe avuto diritto se non fosse intervenuto l’accordo transattivo (con riferimento necessario alla categoria e alla qualifica professionale posseduta dall’interessato durante il periodo contributivo oggetto dell’atto transattivo e alla dinamica contrattuale della stessa categoria e qualifica)”.



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