Non è
infrequente che Datore di Lavoro e Lavoratore addivengano ad una transazione,
con la quale rivedano "al ribasso" le rivendicazioni retributive,
anche attestandosi a valori inferiori rispetto al CCNL. Tipico il caso, in cui
il Lavoratore operi una "rinuncia" ad una parte della retribuzione
dovuta. Tale rinuncia è opponibile all'INPS? L'INPS potrà esigere il credito
contributivo sull'intera retribuzione di CCNL, ovvero sul diverso, e più basso
importo, deciso in transazione?
A
fronte di alcuni commenti poco perspicaci, è opportuno riepilogare alcuni
aspetti normativi.
Innanzitutto,
chiariamo un equivoco: a partire dal carattere obbligatorio e
indisponibile dell'obbligazione INPS e dal conseguente carattere obbligatorio e
indisponibile delle basi di calcolo, non è consentito all'INPS di
"disconoscere" ai fini economici la conciliazioni/transazione, aventi
per oggetto valori economici inferiori a quelli minimi di CCNL; e di
ricalcolare conseguentemente la base di calcolo della pretesa contributiva[1].
Si tratta
di un'interpretazione decisamente eccentrica rispetto alla giurisprudenza
consolidata.
In
queste sentenze (come nella sentenza 6037/2014, da cui pure l'Avv. prende le
mosse per il commento), si è sempre ancorata l'imponibilità alla causa
"retributiva"/"non retributiva" dell'erogazione monetaria,
ma non si è mai stabilito (come adombrano qualcuno) che l'imponibilità vada
comunque computata in relazione ai minimi di CCNL![2]
(…) Anche la stessa transazione può essere ignorata, in quanto
‘nulla’, a fronte di concessioni reciproche in violazione dell’importo
effettivamente spettante (ciò accade spesso in sede giudiziaria). Ben potrà
essere verificata, allora, la tenuta dell’originaria richiesta retributiva del
Lavoratore ai fini di una completa regolarizzazione contributiva, che non si
limiti a recepire semplicemente il contenuto dell’accordo, che il più delle
volte si raggiunge su importi inferiori rispetto alle originarie richieste (vi
sono pur sempre reciproche concessioni). L’istituto potrà quindi azionare il
credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo, anche in via presuntiva,
dallo stesso contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui è
inserito, quali siano effettivamente le somme assoggettabili a contribuzione
(cfr. Cass. 17945/2009)[3].
Al
riguardo, è opportuno riepilogare alcuni punti.
Innanzitutto,
l'art. 12 l. 153/69, come modificato dal d.lgs. 311/1997, che detta
determina il regime di imponibilità delle somme corrisposte dal Datore di
Lavoro al Lavoratore. Ai fini dell'imponibilità, cioè, l'articolo dispone
l'imponibilità delle somme "corrisposte in relazione al rapporto di
lavoro" tra Datore di Lavoro e Lavoratore, non solo senza
distinguerne la provenienza (legale, contrattuale, stragiudiziale etc.),
ma senza nemmeno precisare che gli importi di dette somme debbano essere o meno
conformi ai minimi di CCNL.
Di
conseguenza, la norma non riconosce all'Ente (Agenzia delle Entrate, INPS)
alcun particolare potere di riclassificazione, e a maggior ragione non
prevede alcuna procedura di riclassificazione/disconoscimento delle somme
provenienti di conciliazioni/rinunzie/transazioni, in relazione ai valori di
CCNL.
Un
potere, quest'ultimo, i cui estremi e presupposti vanno ricercati nei principi
generali dell'ordinamento.
Di qui,
emerge ancora più chiaramente l'errore in cui incorrono certi
Commentatori; i quali, se, da un lato e ineccepibilmente,
rilevano l'indisponibilità dell'obbligazione contributiva (art. 2115 C.C.)[4],
in quanto di origine legale al pari dell'obbligazione tributaria, dall'altro
incorre in un pesante e vistoso vizio logico, siccome
erroneamente dal carattere evidentemente "legale" e indisponibile
dell'obbligazione contributiva INPS deduce il carattere legale
(obbligatorio e indisponibile) dei valori retributivi[5]:
ignorando del tutto che questi, pur tutelati da un chiaro regime di
indisponibilità in pejus, sono comunque di natura e origine a tutti
gli effetti contrattuale.
Il
fatto che origine, modificazione, estinzione della retribuzione passino
attraverso questi meccanismi "assistiti" (es. le conciliazioni
"assistite" ex. art. 2113.04°comma C.C.) non ne disconosce la
natura contrattuale, anzi la conferma, atteggiandosi tali procedure di
"conciliazioni assistite" a meri requisiti di "forma",
ma rimanendo la gestione degli "effetti sostanziali" (ed economici)
del rapporto del tutto similare a qualsiasi altra obbligazione contrattuale.
In
particolare, l'art. 2113 C.C. istituisce un regime di limitata impugnabilità
per le rinunce/transazioni svolte individualmente dal Lavoratore relativamente
ai propri diritti, ma opera nel senso del massimo favore per il consolidamento
di disposizioni aventi fonte in rinunce/transazioni operate dal Dipendenti in
sedi "assistite" (nelle conciliazioni avanti la DTL o il Sindacato).
Questa
ultima previsione (art. 2113.04°comma C.C.) legittima, aldilà di ogni possibile
equivoco, convenzioni modificative degli accordi dei lavoratori, anche in
pejus rispetto ai CCNL (la rinuncia/transazione, agli effetti civilistici,
determina piena modificazione della situazione giuridica precedente!).
Quindi,
l'accordo in sè è valido, e va comunque recepito dall'INPS, ai fini
contributivi, salvi i casi di frode, dolo da provarsi, però, necessariamente
con rigore (visto anche che tali casi integrano gravi reati di “estorsione” ex.
art. 628 CP).
Senza
ricorrere, comunque, al formale "disconoscimento" della conciliazione
(ammissibile per dolo, frode, visto che l'atto è in sè inoppugnabile, e
suscettibile financo di esecuzione forzata!), la legge, a tutela del Lavoratore,
prevde l' istituto del minimale contributivo, ove le basi di calcolo per
la contribuzione imponibile, comunque determinate in conciliazione, siano
troppo basse.
In
questo, emerge, a tutta evidenza, la plateale svista in cui incorrono certi
commentatori,i quali chiaramente e goffamente confondono il problema della
astratta imponibilità delle somme di conciliazione/transazione (ex D.lgs.
314/1997) con il problema della sufficienza delle basi di calcolo (rilevanti
per i minimali), mostrando di non saper comprendere la concreta e complessa
realtà delle leggi che regolano lo svolgimento del rapporto contributivo.
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pr
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
[1]
Posizione adombrata in sede di commento a Cass. 6037/2014 dall’Avv. IMBRIACI di
Firenze in Effetti della transazione
sugli obblighi contributivi, in Guida
al Lavoro nr. 16/2014.
[2] Da ultimo, vedi il testo
di Cass. 6037/2014, che conferma questa impostazione!
[3] IMBRIACI, cit.
[4] Vedi IMBRIACI quando dice:
“L’obbligo contributivo del Datore di Lavoro sussiste indipendentemente dal
fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi
nei confronti del prestatore di lavoro”.
[5]
Questa posizione è limpidamente evidenziata nei passi che seguono: “L’ammontare
dell’imponibile contributivo può non essere sempre e del tutto coincidente con
le somme riconosciute in sede di transazione, semplicemente per il fatto che la
retribuzione imponibile deve essere riferita alla retribuzione di legge cui il
lavoratore avrebbe avuto diritto se non fosse intervenuto l’accordo transattivo
(con riferimento necessario alla categoria e alla qualifica professionale
posseduta dall’interessato durante il periodo contributivo oggetto dell’atto
transattivo e alla dinamica contrattuale della stessa categoria e qualifica)”.
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