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giovedì 28 dicembre 2017

QUALI SARANNO LE ASSUNZIONI AGEVOLATE? IL TESTO DELLA LEGGE DI STABILITA' 2018

Nel 2018, quali saranno le assunzioni agevolate?
In allegato, abbiamo inserito il testo licenziato dalla Camera dei Deputati nella notte tra il 21 e il 22 dicembre scorso; approvato successivamente dal Senato, il testo è diventato definitivo.
Il testo si allega, per dare a Voi una prima informativa, fondata, però, su una ragionevole base di certezza.
Un breve riepilogo.
Stando all’ultimo testo approvato dalla Camera, per chi assume a tempo indeterminato nel 2018 spettano queste agevolazioni: 

1) BONUS ASSUNZIONE GIOVANI INFRATRENTENNI-INFRA 35 ENNI SOLO NEL 2018 (art. 1 commi 50/55); 
2) BONUS ASSUNZIONE APPRENDISTI (Art. 1. Commi 56-57); 
3) BONUS ASSUNZIONE ALTERNANZA SCUOLA LAVORO (Art.1 commi 58); 
4) BONUS ASSUNZIONE ASSUNZIONE RIFUGIATI (Art.1.58bis).

L’indicazione generale che emerge dai nuovi sgravi è questa: gli sgravi sono tendenzialmente al 50%, sono triennali, e concessi nel limite massimo (tendenziale) di € 3.000.
Nei prossimi giorni, alla luce anche dei primi commenti della stampa specializzata, potremo fornire maggiori dettagli e sviluppare le prime indicazioni di prassi e di casistica.
Ecco il testo di legge, tratto dal sito web della Camera dei Deputati:

   50. Al fine di promuovere l'occupazione giovanile stabile, ai datori di lavoro privati che, a decorrere dal 1º gennaio 2018, assumono lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti, di cui al decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, è riconosciuto, per un periodo massimo di trentasei mesi, l'esonero dal versamento del 50 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) nel limite massimo di importo pari a 3.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. Resta ferma l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
      50. Identico.
      51. L'esonero spetta con riferimento ai soggetti che, alla data della prima assunzione incentivata ai sensi dei commi da 50 a 58 e da 62 a 64, non abbiano compiuto il trentesimo anno di età e non siano stati occupati a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro, fatto salvo quanto previsto dal comma 53. Non sono ostativi al riconoscimento dell'esonero gli eventuali periodi di apprendistato svolti presso un altro datore di lavoro e non proseguiti in rapporto a tempo indeterminato.
      51. Identico.
      52. Limitatamente alle assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2018, l'esonero è riconosciuto in riferimento ai soggetti che non abbiano compiuto il trentacinquesimo anno di età, ferme restando le condizioni di cui al comma 51.
      52. Identico.
      53. Nelle ipotesi in cui il lavoratore, per la cui assunzione a tempo indeterminato è stato parzialmente fruito l'esonero di cui al comma 50, sia nuovamente assunto a tempo indeterminato da altri datori di lavoro privati, il beneficio è riconosciuto agli stessi datori per il periodo residuo utile alla piena fruizione, indipendentemente dall'età anagrafica del lavoratore alla data delle nuove assunzioni.
      53. Identico.
      54. Fermi restando i princìpi generali di fruizione degli incentivi di cui all'articolo 31 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, l'esonero contributivo spetta ai datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l'assunzione, non abbiano proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nella medesima unità produttiva.
      54. Identico.
      55. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore assunto o di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con la medesima qualifica del lavoratore assunto con l'esonero di cui al comma 50, effettuato nei sei mesi successivi alla predetta assunzione, comporta la revoca dell'esonero e il recupero del beneficio già fruito. Ai fini del computo del periodo residuo utile alla fruizione dell'esonero, la predetta revoca non ha effetti nei confronti degli altri datori di lavoro privati che assumono il lavoratore ai sensi del comma 53.
      55. Identico.
      56. L'esonero di cui al comma 50 si applica, per un periodo massimo di dodici mesi, fermo restando il limite massimo di importo pari a 3.000 euro su base annua, anche nei casi di prosecuzione, successiva al 31 dicembre 2017, di un contratto di apprendistato in rapporto a tempo indeterminato a condizione che il lavoratore non abbia compiuto il trentesimo anno di età alla data della prosecuzione. In tal caso, l'esonero è applicato a decorrere dal primo mese successivo a quello di scadenza del beneficio contributivo di cui all'articolo 47, comma 7, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. Non si applicano le disposizioni di cui ai commi 53, 54 e 55.
      56. Identico.
      57. L'esonero di cui al comma 50 si applica, alle condizioni e con le modalità di cui ai commi da 50 a 58 e da 62 a 64, anche nei casi di conversione, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, di un contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, fermo restando il possesso del requisito anagrafico alla data della conversione.
      57. Identico.
      58. L'esonero di cui al comma 50 è elevato alla misura dell'esonero totale dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL, fermi restando il limite massimo di importo pari a 3.000 euro su base annua e il previsto requisito anagrafico, ai datori di lavoro privati che assumono, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti, di cui al decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, entro sei mesi dall'acquisizione del titolo di studio:
      58. Identico.
          a) studenti che hanno svolto presso il medesimo datore attività di alternanza scuola-lavoro pari almeno al 30 per cento delle ore di alternanza previste ai sensi dell'articolo 1, comma 33, della legge 13 luglio 2015, n. 107, ovvero pari almeno al 30 per cento del monte ore previsto per le attività di alternanza all'interno dei percorsi erogati ai sensi del capo III del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, ovvero pari almeno al 30 per cento del monte ore previsto per le attività di alternanza realizzata nell'ambito dei percorsi di cui al capo II del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 86 dell'11 aprile 2008, ovvero pari almeno al 30 per cento del monte ore previsto dai rispettivi ordinamenti per le attività di alternanza nei percorsi universitari;
          b) studenti che hanno svolto, presso il medesimo datore di lavoro, periodi di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore o periodi di apprendistato in alta formazione.

      58-bis. Alle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, con riferimento alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, decorrenti dal 1° gennaio 2018 e con riferimento a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2018, di persone a cui sia stata riconosciuta protezione internazionale a partire dal 1° gennaio 2016, è erogato per un periodo massimo di trentasei mesi un contributo, entro il limite di spesa di 500.000 euro annui per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020, a riduzione o sgravio delle aliquote per l'assicurazione obbligatoria previdenziale e assistenziale dovute relativamente ai suddetti lavoratori assunti. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'interno, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri di assegnazione dei contributi di cui al presente comma.




Francesco
Giorgio

venerdì 22 dicembre 2017

COME GESTIRE L'INDENNITA' DI MATERNITA' NEL LAVORO INTERMITTENTE-ECCO LE INDICAZIONI DI PRASSI DELL'INPS

Al lavoratore intermittente compete l’indennità di maternità, almeno in via teorica. Lo ha stabilito l’INPS con la Circolare 41/2006, nel vigore del D.lgs. 276/03; ma tali indicazioni sono valide anche vigente il D.lgs. 81/15.
Ecco, il passo dedicato dell’Istituto:

A)    prima  tipologia:   obbligo contrattuale di risposta alla chiamata del datore di lavoro
In merito alle indennità di malattia, maternità e tbc, nell’ambito di tale tipologia contrattuale occorre distinguere l’ipotesi in cui gli eventi in questione si collochino durante i periodi di effettivo utilizzo lavorativo dall’ipotesi in cui si collochino, invece, durante la fase di obbligatoria disponibilità.
In effetti, anche se l’art. 38, comma 3, sancisce che per tutto il periodo in cui il lavoratore intermittente resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro il lavoratore stesso non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, tuttavia, poiché ai sensi dell’art. 36, comma 2, le somme corrisposte a titolo di indennità di disponibilità sono soggette a contribuzione obbligatoria sia ai fini dell’IVS che ai fini delle prestazioni di malattia e maternità, è da ritenere che debba essere assicurata anche in tali periodi la tutela della malattia, della maternità e della tbc (per tale prestazione, ovviamente, in presenza del pregresso requisito contributivo previsto di un anno).
Dal diverso trattamento corrisposto al lavoratore nel periodo di effettivo lavoro e nel periodo di disponibilità deriva l’applicazione di un diverso parametro retributivo a seconda che le giornate di evento cadano nel periodo di prevista attività lavorativa ovvero di disponibilità; si prende, cioè, come riferimento, rispettivamente, la retribuzione giornaliera percepita durante il periodo di effettivo utilizzo lavorativo immediatamente antecedente all’insorgenza dell’evento ovvero l’indennità di disponibilità spettante secondo il contratto[1].
L’art. 38, comma 2, prevede espressamente un riproporzionamento del trattamento previdenziale in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita. Il riproporzionamento è realizzato utilizzando, per gli eventi di malattia, di maternità e tbc, un diverso parametro retributivo a seconda che le giornate di evento cadano nel periodo di prevista attività lavorativa ovvero di disponibilità; si prende, cioè, come riferimento, rispettivamente, la retribuzione giornaliera percepita durante il periodo di effettivo utilizzo lavorativo immediatamente antecedente all’insorgenza dell’evento ovvero l’indennità di disponibilità spettante secondo il contratto[2].
In merito al congedo parentale valgono le indicazioni precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale, con l’avvertenza che le istruzioni ivi contenute relativamente alle “pause contrattuali” sono riferibili alla condizione di “disponibilità”.
Anche per quanto riguarda la indennità di tbc, valgono le indicazioni (salvo il riferimento alla “retribuzione annua” nel caso di indennità, per i  primi 180 giorni, pari a quella di malattia) precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale.
Nei casi in cui il contratto sia stipulato a tempo determinato, si ricorda che le prestazioni di malattia possono essere corrisposte, fermo quanto precede a proposito della retribuzione da prendere a riferimento, entro i limiti previsti per tale tipologia di lavoro, tra i quali, ovviamente, l’erogabilità non oltre la data di prevista scadenza del rapporto.

B)    seconda  tipologia:  mera facoltà di risposta alla chiamata del datore di lavoro.
L’individuazione della disciplina previdenziale applicabile a tale tipologia contrattuale non può prescindere dal preventivo inquadramento giuridico della fattispecie in oggetto.
Il vincolo contrattuale per il lavoratore sembra sorgere solo al momento della risposta (facoltativa) alla chiamata del datore di lavoro. La risposta suddetta ha, quindi, efficacia costitutiva del rapporto contrattuale: fino a quel momento non vi è alcun obbligo di disponibilità in capo al lavoratore, cui pertanto non spetta né l’indennità di disponibilità, né alcun diritto alle prestazioni di malattia e maternità. I rapporti contrattuali in tal modo di volta in volta instaurati devono considerarsi come rapporti a tempo determinato, con conseguente applicazione dei relativi limiti di indennizzabilità ordinariamente previsti per le prestazioni di malattia (il diritto all’indennità si estingue al momento della cessazione dell’attività lavorativa).
Il riproporzionamento (vedi lettera A) di cui alla previsione dell’art. 38, comma 2, non può realizzarsi con la metodologia di cui alla tipologia precedente proprio per la mancanza di un obbligo contrattuale di disponibilità: la retribuzione complessivamente percepita quale corrispettivo dell’attività svolta nel corso dell’anno (ultimi 12 mesi) va divisa per il numero delle giornate indennizzabili in via ipotetica (360, per impiegati; 312, per operai), computando nella retribuzione anche le indennità di trasferta e i ratei di mensilità aggiuntive secondo gli stessi criteri illustrati per il contratto di lavoro a tempo parziale (paragrafo 6).
L’indennità per il congedo di maternità è corrisposta per tutta la durata dell’evento, purché ovviamente lo stesso abbia inizio durante la fase di svolgimento dell’attività, ovvero entro 60 giorni dall’ultimo lavorato.
Per il congedo parentale valgono le indicazioni precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale (paragrafo 6): vanno pertanto indennizzatenella misura del 30% della retribuzione (senza riproporzionamenti) che la/il lavoratrice/tore percepirebbe qualora non si astenesse e conteggiate come congedo parentale soltanto le giornate di previsto svolgimento dell’attività (comprese le festività cadenti nei periodi di congedo parentale richiesti).
Per quanto riguarda la indennità di tbc, valgono le indicazioni precisate nel paragrafo relativo al part-time verticale (paragrafo 6).
(…)
Per quanto riguarda, invece, il congedo parentale (già astensione facoltativa), si ritiene, come già precisato nella sopra citata circolare, che il diritto a fruire del beneficio di cui all’art. 32 del T. U. non possa essere riconosciuto durante le pause contrattuali, essendo tale diritto esercitabile nei soli periodi di svolgimento dell’attività lavorativa. Vanno pertanto indennizzate nella misura del 30% della retribuzione (senza riproporzionamenti, ugualmente a quanto previsto nell’ipotesi di cui al capoverso precedente) che la/il lavoratrice/tore percepirebbe qualora non si astenesse e conteggiate come congedo parentale soltanto le giornate di previsto svolgimento dell’attività (comprese le festività cadenti nei periodi di congedo parentale richiesti) e non anche le giornate rientranti nelle c.d. pause contrattuali.

Alcune note:
1)      Ai lavoratori intermittenti padri, si applicano le disposizioni ordinariamente applicabili (il congedo obbligatorio spetta in caso di morte e/o infermità della madre etc.);
2)      Alcuni dubbi residuano per i cd “riposi per allattamento” (padre e madre). La Circolare non ne parla. Pare, però, coerente ritenere che tali riposi, in quanto subordinati alla sussistenza di un orario di lavoro predeterminabile (inferiore, pari o superiore alle 6 h giornaliere), spettino al lavoratore intermittente solo laddove l’orario sia predeterminabile: quindi, (parrebbe!) per il lavoratore intermittente con “obbligo di disponibilità” (entro una certa fascia oraria), non per il lavoratore intermittente che a tale disponibilità non sia obbligato. Il punto è da verificare in sede INPS.

venerdì 15 dicembre 2017

MALATTIA CCNL STUDI PROFESSIONALI-L'OBBLIGO DI REPERIBILITA'

Il Lavoratore Dipendente di Studio Professionale è tenuto a rispettare gli “obblighi di reperibilità”, previsti per la generalità dei Lavoratori in malattia.
Il Lavoratore, infatti, è tenuto a trovarsi al proprio domicilio dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 17.00 alle ore 19.00, al fine di consentire l’effettuazione delle visite di controllo, richieste dal Datore di Lavoro.
Il Dm 11/1/2016 esonera dall’obbligo di reperibilità queste due tipologie di Dipendenti, la cui causa di malattia sia connessa a:
  • Patologie gravi che richiedono terapie salvavita, malattie che devono essere opportunamente documentate dalla Struttura sanitaria;
  • Stati patologici sottesi o connessi a situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67%
Salvi i casi di comprovata necessità di assentarsi dal domicilio (per visite, prestazioni, accertamenti specialistici, visite ambulatoriali di controllo, altri casi di forza maggiore, da notificarsi al Datore di Lavoro), l’assenza al domicilio in caso di visita fiscale è equiparata al caso di “assenza ingiustificata”.

Articolo 102
Obblighi del lavoratore
Il lavoratore assente per malattia è tenuto a rispettare scrupolosamente le prescrizioni mediche inerenti la permanenza presso il proprio domicilio.
Il lavoratore è altresì tenuto a trovarsi nel proprio domicilio dalle ore 10,00 alle ore 12,00 e dalle ore 17,00 alle ore 19,00, al fine di consentire l'effettuazione delle visite di controllo, richieste dal datore di lavoro.
Nel caso in cui a livello nazionale o territoriale le visite di controllo siano effettuate a seguito di un provvedimento amministrativo o su decisione dell'ente preposto ai controlli di malattia, in orari diversi da quelli indicati al secondo comma del presente articolo, questi ultimi saranno adeguati ai nuovi criteri organizzativi.
Salvo i casi di giustificata e comprovata necessità di assentarsi dal domicilio per le visite, le prestazioni e gli accertamenti specialistici, nonché le visite ambulatoriali di controllo, e salvo i casi di forza maggiore, dei quali il lavoratore ha l'obbligo di dare immediata notizia al datore di lavoro, il mancato rispetto da parte del lavoratore dell'obbligo di cui al secondo comma del presente articolo comporta comunque l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 5 della legge 11 novembre 1983, n. 638, comma 14, nonché l'obbligo dell'immediato rientro nella sede di lavoro, in caso di mancato rientro, l'assenza sarà considerata ingiustificata, con le conseguenze previste all'articolo 91 del presente contratto.

martedì 5 dicembre 2017

PAUSE E SOSTE DEL LAVORATORE, IN PILLOLE

Il lavoratore dipendente ha diritto alla pausa: almeno, a determinate condizioni, previste dalla legge.
Il lavoratore, cioè, ha diritto alla pausa di almeno 10 minuti (e il Datore di Lavoro è obbligato a concederla), laddove il suo orario di lavoro superi le 6 ore giornaliere/per turno lavorativo.
A cosa serve la pausa: la pausa serve al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, alla consumazione del pasto e/o all’attenuazione di mansioni monotone e ripetitive. La collocazione temporale della pausa è stabilita dal datore di lavoro, nel rispetto delle esigenze tecniche del processo produttivo.
Qualora l’organizzazione del lavoro preveda la “pausa pranzo”, l’obbligo di fruizione della pausa può essere assolto in corrispondenza del momento stesso di sospensione dell’attività.
Esistono inoltre delle previsioni specifiche ed integrative a tutela di determinate categorie di lavoratori:

·         gli addetti ai videoterminali con orario di lavoro pari ad almeno 20 ore settimanali hanno diritto ad una pausa di 15 minuti ogni due ore di applicazione continuativa al video;
·         i bambini e gli adolescenti, al superamento delle quattro ore e mezza di lavoro senza interruzione, devo osservare una pausa di almeno un’ora;
·         il lavoratore domestico ha diritto ad un congruo periodo di riposo giornalieri e a non meno di 8 ore consecutive di riposo notturno;
·         l’orario di lavoro del personale addetto al trasporto di merci o persone deve prevedere dei riposi intermedi di 30 minuti, in caso di orario compreso tra le sei e le nove ore giornaliere; di 45 minuti se superiore.

In assenza di specifiche previsioni dettate dalla contrattazione di categoria o aziendale, la legge prevede la non retribuibilità delle pause lavorative relative a:

·         riposi intermedi, trascorsi sia all’esterno che all’interno dell’azienda;
·         il tempo di viaggio necessario a raggiungere il posto di lavoro;
·         le soste di lavoro di durata superiore ai dieci minuti, durante le quali non sia richiesta alcuna prestazione di lavoro. Le soste, in particolare, costituiscono delle pause ”interne” alla prestazione, non predeterminate e connesse allo svolgimento e all’organizzazione del processo produttivo;
·         soste per causa di forza maggiore o comunque non imputabili al lavoratore. Ove qualora la durata superi i 30 minuti, il diritto alla retribuzione è previsto soltanto nel caso in cui il datore trattenga comunque il lavoratore presso il luogo di lavoro.

            LINK UTILI:
1)      Testo della Circolare Min. Lav. 8/2005 (dedicato all’istituto della pausa) http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Speciali/2006/documenti_lunedi/09gennaio2006/FERIE/CIR_3_3_2005_8.pdf?cmd%3Dart
2)      Art. 5 RD 1955/1923 (dedicato alla sosta): http://www.fiompiemonte.it/Storico/fiompie/TUTCOPY/Orario/rdl1955-23.htm

venerdì 24 novembre 2017

IL CONVIVENTE DI FATTO PARTECIPA AGLI UTILI DELL'IMPRESA FAMILIARE: IL FISCO CHIARISCE LA TASSAZIONE APPLICABILE

Finalmente chiarita la tassazione della partecipazione agli utili del Convivente di fatto, che partecipi alla cd “impresa familiare”, secondo la speciale disciplina dell’art. 230ter del Codice Civile (introdotta dalla legge Cirinnà, legge 76/2016).
Con Risoluzione 134/2017, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche alla partecipazione agli utili del Convivente di fatto si applica la stessa tassazione (cd. “per trasparenza”) fissata per le “imprese familiari” normali (art. 230bis estese dalla legge Cirinnà, anche alle “Unioni Civili”).
I redditi dell’impresa familiare, in questo caso, sono tassati limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’Impresa Individuale e successivamente imputati pro quota ai partecipanti all’impresa, secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo, secondo quanto previsto dall’art. 5 DPR 917/86.
A questa “tassazione pro quota” partecipa anche il Convivente.
L’Agenzia ha superato le perplessità e i dubbi di tanti (noi compresi) che ritenevano non applicabile all’ “impresa familiare” del Convivente la disciplina fiscale dell’art. 5 TUIR. I dubbi, più che giustificati, nascevano dal fatto che la norma fiscale (nella fattispecie, l’art. 5) non era stato aggiornato per includervi anche “l’impresa familiare dei Conviventi” (mentre, invece, l’assimilazione era avvenuta per le “Unioni Civili”).
Un’ingiustizia, fortunatamente evitata dall’Amministrazione Fiscale.


giovedì 16 novembre 2017

DIRITTO DI CRITICA DEL DIPENDENTE, QUANDO E' LECITO E QUANDO NO: ALCUNI ESEMPI UTILI

Quando il Dipendente critica il Datore di Lavoro, generalmente scoppiano i casi di contenzioso più grosso, che sfociano quasi sempre in vertenze giudiziarie.
Di recente, un Tribunale di primo grado ha giudicato un Dipendente di Casa di Cura che aveva criticato la Struttura su Social-Network.
Il problema da porsi è, allora, questo: il Dipendente può criticare l’Azienda? A quali condizioni?
Secondo la giurisprudenza consolidata (vedi, tra le altre, Cass. 21649/2016), la critica del Dipendente all’Azienda è legittima, a condizione che:
  
1)      Il Dipendente accluda fatti veritieri e conclusioni ragionevolmente sostenibili entro una ordinata e articolata argomentazione (cd “Continenza sostanziale”);
2)      Il Dipendente utilizzi espressioni educate, corrette ed un “tono di voce” rispettoso (cd “Continenza formale”).

E tradotto in pratica? 
Ecco alcune sommarie, ma utili esemplificazioni.
Consideriamo il caso di un Dipendente Infermiere che critichi la Casa di Cura per condizioni anti-igieniche del reparto cui è adibito.
Consideriamo diversi casi di critica.

CASO A: Lettera a Direttore Sanitario (e per conoscenza Presidente): “Gent.mo Direttore, ci tengo a far presente come il Reparto ___ versi in condizioni non conformi a Igiene, come può verificare dalle foto che si accludono etc.

In questo caso, il Dipendente ha esercitato legittimamente il diritto di critica e non è passibile di alcuna azione disciplinare. Egli è, infatti, stato massimamente scrupoloso nel riferire fatti debitamente circostanziati (cd “continenza sostanziale”), oltrechè massimamente corretto nelle maniere e nei modi.

CASO B: Messaggio Wathsapp a Presidente e Direttore Sanitario: “Vi invio le foto che vi dicevo. Cosa dite adesso? Capite da soli che non sono matto, vero? Allora, stronzacci, muovete il culo e datevi da fare per risolvere la faccenda, altrimenti, vi denuncio ai NAS e qualche anno di galera non ve lo leva nessuno!”.

In questo caso, alla correttezza sostanziale delle informazioni (“continenza sostanziale”), non corrisponde certo un tono urbano e consono al clima collaborativo (anche se dialettico) che deve caratterizzare un rapporto di lavoro. I toni minacciosi e denigratori utilizzati dal Dipendente, pur a fronte delle denuncia di fatti veri, oltrechè gravemente scorretti dal punto di vista dell’educazione, rivelano la rottura del rapporto fiduciario. La Casa di Cura, in questi casi, può invocare il licenziamento per giusta causa (art. 2119 Codice Civile).

CASO C: Il Dipendente scrive un post pubblico su Facebook: “Cari cittadini, non recatevi alla Casa di Cura ______, che proprio non garantisce le minime condizioni di Igiene per i suoi assistiti. Particolarmente, nel reparto ___: guai a Voi, se vi recate in quei locali, c’è da prendere la scabbia o qualche altra brutta malattia! I Dirigenti, più volte richiamati dal Sottoscritto, proprio non sentono ragioni!

L’enfasi, le parole utilizzate (“c’è da prendere la scabbia”) denotano il totale scadimento di ogni minimo criterio di buona educazione e di correttezza, la “continenza formale” è completamente violata. Ma qui, c’è qualcosa di più grave, che assorbe ogni altro rilievo. Qui, la comunicazione non è interpersonale, ma è pubblica. Non solo, ma la diffusione tramite social network comporta che una vasta ed indeterminata platea di persone venga a conoscenza delle espressioni offensive e negative del Dipendente. A prescindere dal fatto che il Dipendente abbia o no riferito fatti veri, questa condotta è incompatibile con la permanenza del Dipendente in Azienda, il rapporto fiduciario è leso irreparabilmente: la Casa di Cura può licenziare. Ricordiamo che, in questi casi, i Datori di Lavoro possono valutare la sussistenza degli estremi del reato di “diffamazione”.

CASO D: Il Dipendente porta in Azienda un troupe di Report. Il Dipendente, con volto ovviamente oscurato, dichiara: “Mi scuso per il gesto, apparentemente enorme, ma non avevo altra scelta: non esiste altro rimedio, infatti, per denunciare una grave situazione di rischio per i degenti, a causa del clima intimidatorio in atto in Azienda e a causa dell’inattività ingiustificata degli organi di vigilanza (pur debitamente sollecitati)”.

E’ un caso limite. Queste pubbliche denunce sono consentite solo in casi molto gravi, dove la situazione denunciata sia decisamente grave e dove, per motivi vari (es. pressioni, intimidazioni interne, omertà) si riscontri la totale paralisi dei centri decisionali deputati alla vigilanza. Laddove si riscontri la ricorrenza di questi gravissimi presupposti, il Dipendente non è passibile di licenziamento.

NB: Attenzione, nei casi specifici, se il Dipendente denunciante riveste il ruolo di Sindacalista. Ove la critica risulti comunque garantita nei confini dell’attività sindacale, l’eventuale licenziamento del Datore di Lavoro è sanzionato assai più gravemente, in quanto “ritorsivo” e “anti-sindacale”.

IN QUESTI CASI, EVIDENTEMENTE, E' NECESSARIO AD AZIENDE O LAVORATORI CONSULTARE IL PROPRIO LEGALE DI FIDUCIA.

martedì 31 ottobre 2017

LE FERIE "FORZATE", QUANDO SONO CONSENTITE...

Può il Datore di Lavoro costringere il Dipendente ad andare in ferie?
Il tema è assai delicato.
Per una prima (sommaria, ma efficace) disamina, si rinvia alla pagina web che contiene un incisivo parere del Dr. Maroscia, Consulente del Lavoro molisano.
Di massima, possiamo dire quanto segue.
Codice Civile e contratti collettivi usano sempre espressioni del tipo: “E’ facoltà del Datore di Lavoro fissare le ferie in…”, come se la fissazione delle ferie fosse prerogativa esclusiva del Datore di Lavoro. Ma questa fraseologia d’uso oggi deve adeguarsi al diverso regime del D.lgs. 66/2003 che ha riconosciuto il “diritto del lavoratore alle ferie”.
Il modus operandi che oggi deve presiedere alla gestione delle ferie del personale si trova efficacemente descritto nella Circolare Min. Lavoro 8/2005:

Un primo periodo, di almeno due settimane … [deve essere concesso dal Datore] su richiesta del Lavoratore.
La richiesta del lavoratore dovrà essere inquadrata nel rispetto dei principi dell’art. 2109 del Codice Civile. Pertanto, anche in assenza di norme contrattuali, dovrà essere formulata tempestivamente, in modo che l’imprenditore possa operare il corretto contemperamento tra le esigenze dell’impresa e gli interessi del prestatore di lavoro.
La contrattazione collettiva e la specifica disciplina per le categorie di cui all’articolo 2 comma 2 possono disporre diversamente.

Insomma, le cose sono piuttosto chiare: il Lavoratore ha “priorità” nella richiesta delle ferie (in analogia con la “priorità” alla trasformazione in part time di alcune categorie svantaggiate), ma la richiesta deve, comunque, avvenire in adeguato “coordinamento” con l’organizzazione aziendale.
Ciò significa che:

-Il Datore può legittimamente rifiutare le ferie, se richieste senza utile preavviso (in questo caso, la legge implicitamente raccomanda la “programmazione” delle ferie, come raccomandato, del resto, dallo Scrivente Studio);
-Il Datore può legittimamente rifiutare le ferie, per altri motivi (documentati) di ordine organizzativo (es. continuità impianti, punta di lavoro etc.).

Ma se è invece il Lavoratore che non vuole andare in ferie, l’Azienda può forzarlo?
Di massima, il Dipendente non può essere “forzato”: egli oggi dispone di un diritto soggettivo, che non può essergli arbitrariamente calpestato.
Ricordiamo, però, che se le ferie sono un “diritto” del Lavoratore, è anche dovere del Datore di Lavoro farle svolgere secondo gli scaglionamenti fissati dalla legge e dal CCNL, la cui inosservanza comporta l’applicazione di specifiche sanzioni amministrative.
In caso di inerzia del Dipendente, nel caso, cioè, in cui il Dipendente non chieda ferie o non le programmi in tempo utile, è nel pieno diritto del Datore disporre egli stesso le ferie: in questo caso, non si hanno “ferie forzate”, ma ferie disposte dal Datore in via di “auto-tutela”, per evitare sanzioni.
La Circolare ML 8/2005 si occupa di questo tema al paragrafo 16. Il testo di interesse lo puoi trovare al link: http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2005/03/Circolare_n_8_Ministero-del-Welfare.pdf


mercoledì 18 ottobre 2017

L'INFORTUNIO DEL LAVORATORE AGILE...

Caso:
Tizia, Impiegata con “lavoro agile” disegnatrice presso uno Studio di progettazione, si reca presso un edificio ad uso commerciale destinato ad essere adibito a Supermercato, per compiere un sopralluogo richiestole dal Datore di Lavoro. Deve, cioè, effettuare dei rilievi metrici al piano terra, conformemente al proprio mansionario, per valutare lo spessore del muro e l’ingombro del vano scala. Una volta entrata in questo vano, la donna non si accorge del vano vuoto destinato ad ascensore e cade nel piano interrato. Chi risponde dell’infortunio della lavoratrice agile?

Risposta (ispirata a Cass. 45808/2017):
In generale, la prestazione della disegnatrice rientra in una più complessiva sequenza di appalto.
In questo caso, dell’infortunio sono responsabili in solido civilmente (ed eventualmente, penalmente) tutti i soggetti coinvolti nell’appalto, i quali dovranno procedere alla valutazione dei relativi rischi, propri di questa attività complessa: dal Datore di Lavoro della disegnatrice alla Committente.
Non sembra assumere alcun rilievo la circostanza che la lavoratrice fosse impiegata secondo la modalità del cd “lavoro agile” (smart working): una Disegnatrice di Studio di progettazione, sia o meno … “agile”, è normale vada per cantieri. Deve, quindi, essere comunque tutelata con le regole di Sicurezza speciali per i cantieri (es. “valutazione dei rischi da interferenza”).
Committenti e Datore di Lavoro, non rispondono, in nessun caso, ove l’infortunio sia avvenuto per condotta imprevedibili e abnorme, rispetto alla normale eziologia del rischio, da parte della Lavoratrice.

lunedì 16 ottobre 2017

LA MALATTIA ONCOLOGICA DELL'ISCRITTO ALLA GESTIONE SEPARATA-FLASH

La malattia oncologica dell’iscritto alla Gestione Separata INPS (cococo o affine, Partita IVA) è indennizzabile come fosse “malattia per degenza ospedaliera”, quindi, è indennizzata con l’indennità di malattia INPS più generosa.
Questo, per effetto del Jobs Act Autonomi, il quale, all’art. 8.10°comma legge 81/2017, ha stabilito equiparato a “trattamento INPS da malattia ospedaliera”:

I periodi di malattia, certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche o di gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti o che, comunque, comportino una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento (…).

Nella Circolare 139/2017, l’INPS ha avuto modo di diramare le primissime istruzioni applicative, precisando che l’indennità è subordinata ad approfondite valutazioni medico-legali dell’Istituto. La malattia tutelata, infatti, precisa l’INPS, non è una malattia qualunque, ma una malattia equiparabile ad una sorta di “degenza domiciliata”. A questo fine, il Lavoratore non deve limitarsi a precisare la consueta certificazione sanitaria per giustificare l’assenza dal servizio; al contrario, è tenuto a presentare ampia documentazione che attesti la particolarità del percorso terapeutico intrapreso.
Al Lavoratore in queste condizioni, ha diritto ad un’indennità economica più consistente proporzionale alla contribuzione INPS accreditata al lavoratore negli 12 mesi precedenti, ovvero:

-    8% (dai 2 ai 4 mesi di accredito) del massimale contributivo diviso per 365;
- 12% (dai 5 agli 8 mesi di accredito) del massimale contributivo diviso per 365;
-16% (da 9 a 12 mesi di accredito) del massimale contributivo diviso per 365.

RIFLESSI SULLE COLLABORAZIONI CONTINUATIVE (Art. 14 legge 81/2017):
-La malattia non comportano l'estinzione del rapporto  di  lavoro;
-L’esecuzione del Lavoro, su richiesta del lavoratore,  rimane  sospesa,  senza diritto  al  corrispettivo,  per   un   periodo   non   superiore   a centocinquanta giorni per anno solare,  fatto  salvo  il  venir  meno dell'interesse del committente.
-In caso di malattia o infortunio di gravita' tale da impedire lo svolgimento dell'attivita' lavorativa per oltre sessanta  giorni,  il versamento dei contributi previdenziali e dei premi  assicurativi  e' sospeso per l'intera durata della malattia o dell'infortunio fino  ad un massimo di due anni, decorsi i quali il  lavoratore  e'  tenuto  a versare i contributi  e  i  premi  maturati  durante  il  periodo  di sospensione in un numero di rate mensili pari a tre volte i  mesi  di sospensione.

LINK UTILI:
-Informativa INPS sui principali aspetti di prassi, vai alla voce “malattia per degenza ospedaliera”: https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=50086

giovedì 12 ottobre 2017

PERMESSI ANCHE PER CURARE IL CANE (O ALTRO ANIMALE DOMESTICO)



Permessi riconosciuti ai Dipendenti anche per curare il cane (o altro animale domestico).
Il caso trattato dall’ANSA del 11/10, è destinato a entrare nella prassi: una Impiegata Amministrativa dell’Università di Roma, chiesta consulenza alla LAV (Lega Anti Vivisezione), ha chiesto (e ottenuto) un permesso di 2 giorni, adducendo il fatto di non aver altri cui affidare le cure dell’animale e che, diversamente, avrebbe commesso il reato di maltrattamento di animali.
Come noto, il nostro ordinamento giuridico non riconosce permessi e congedi per la cura di animali. Sull’argomento, esiste una proposta di legge che giace in Parlamento da quasi 10 anni e che tuttora non è ancora stata approvata. La Signora ha, quindi, fondato la sua richiesta sfruttando i margini concessi dai CCNL di comparto, principalmente il “congedo/permesso per motivi personali”.
Allo stesso modo, si può operare in caso di richieste analoghe in altri settori (Commercio, Studi Prof.), ove il CCNL possa essere interpretato in questo senso.
Ovviamente, nulla garantisce che tale congedo sia retribuito, dipenderà dal CCNL di settore.
Qui di seguito, la notizia al

martedì 10 ottobre 2017

PROFESSIONISTI, OBBLIGATORIO IL PREVENTIVO AI CLIENTI DAL 29 AGOSTO 2017-FLASH

Preventivo obbligatorio per i Professionisti dal 29/08 us.
Questo, il contenuto della DDL Concorrenza, divenuto legge 124/2017, che ha modificato l’art. 9.4°comma del DL 1/2012.
Ecco, l’attuale norma di riferimento (si parla di professionisti con “Ordine”):

4. Il compenso per le prestazioni professionali e' pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, al cliente il grado di complessita' dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresi' indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attivita' professionale. In ogni caso la misura del compenso e' previamente resa nota al cliente obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Al tirocinante e' riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio.

Non si comprende, attualmente, quali sanzioni possa subìre il Professionista, che non scriva per iscritto il preventivo al Cliente.
La norma, allo stato attuale, pare un “di cui” dell’art. 3 della legge 81/2017, che prescrive per i “Professionisti in generale” (con Ordine o senza) la forma scritta per i propri incarichi professionali. La stessa norma, però, non dichiara “nulli” i contratti “non scritti” dei Professionisti: a maggior ragione, quindi, non dovrebbero considerarsi “nulli” i contratti senza preventivo scritto del Professionista.
Teoricamente, il Professionista “con Ordine” è passibile di sanzioni ordinistiche: nei casi più gravi, può subire una declaratoria di “non congruità” del compenso.
Ma, quanto a contrattualistica e simili, è opportuno attendere le implementazioni degli Ordini Professionali.

giovedì 5 ottobre 2017

IL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO IN PILLOLE

Il Tuo Dipendente è in malattia da lungo tempo. Ti chiedi, “Posso licenziarlo?”. Io ti rispondo: “Sì, purchè sia trascorso il cd “periodo di comporto”.
            Di cosa stiamo parlando?
            Innanzitutto, cosa si intende per “comporto”. Il Lavoratore in malattia (come il lavoratore in infortunio, la lavoratrice in maternità) ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un numero di giorni fissati dal Contratto Collettivo di settore e conteggiati secondo lo stesso CCNL. E’ questo il cd “periodo di comporto”:

-Entro i giorni fissati dal CCNL, il Datore di Lavoro deve conservare il posto di lavoro al Dipendente malato e non può procedere a licenziarlo;
            -Oltre tali giorni, il Datore di Lavoro può procedere al licenziamento, purchè il licenziamento sia spiccato “senza ritardo”.

ATTENZIONE: Il licenziamento del Datore di Lavoro, in questi casi, è molto semplificato e non implica speciali oneri di motivazione e documentazione. Al Datore è sufficiente:
            -Dichiarare il superamento dei giorni di “comporto”;
            -Procedere al licenziamento “subito”, non appena trascorso il “periodo di comporto”*
            *Il licenziamento fuori da questa tempistica va valutato secondo la stregua della normale disciplina sul licenziamento (tipicamente D.lgs. 23/2015): ove i requisiti del licenziamento legittimo non dovessero sussistere, al Datore si applicherebbero le indennità economiche previste a fronte del cd “licenziamento illegittimo”.

*Quando si può intimare il licenziamento: La Cassazione ha escluso ogni rigidità, ammettendo che il licenziamento possa essere spiccato non solo nel giorno stesso di superamento del periodo di comporto, ma anche entro qualche giorno dopo, in presenza di giustificati motivi (es. il comporto massimo è scattato a Ferragosto, in periodo di chiusura aziendale). Il Datore di Lavoro, però, deve tenere presente che, più ritarda, più il Lavoratore gli può contestare l’impraticabilità del licenziamento, a causa delle tempistiche non conformi e incompatibili (Cass. 15973/2017; Cass. 19400/2014; Cass. 7037/2011).
           
Alcune note operative utili.
            -Il Datore di Lavoro, al superamento dei giorni di “comporto”, non è tenuto ad avvertire il Dipendente della maturazione dei tempi utili per il licenziamento, né della possibilità di richiedere un’eventuale, ulteriore aspettativa normalmente, non retribuita (vedi Cass. 3645/2016);
            -Il Datore di Lavoro non è tenuto ad accettare la richiesta di ferie del Dipendente, concepita per interrompere il periodo di comporto. Il rifiuto è valido, quando il CCNL di settore presenta una disciplina della cd “aspettativa per malattia”: il Dipendente in malattia, quindi, può ricorrere a quest’istituto, non alle ferie. E il Datore può farlo presente, nel rifiutare le ferie (Cass. 5521/2003).
            Ti raccomando, comunque, particolare prudenza, specie se le condizioni di salute del Dipendente appaiano molto gravi e se la disciplina di legge o collettiva rivela lacune o rigidità, che possono penalizzare la tutela del Dipendente malato. Ti ricordo che non tutti i CCNL prevedono tutele dedicate alle lunghe malattie di Dipendenti in “terapie salvavita” (es. Chemio, dialisi etc.).
In questi casi, la Tua Azienda deve mettere in campo tutte le opzioni possibili per conciliare organizzazione lavoro e vita privata del Dipendente malato. Ricordiamo che, per certe patologie, anche di familiari, la legge agevola il ricorso al part time: opzione, questa, sicuramente molto utile.
             PRUDENZA, MI RACCOMANDO!