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mercoledì 29 ottobre 2014

INPS, INAIL: TASSO DI DILAZIONE, DIFFERIMENTO E SANZIONI DOPO L'INTERVENTO DELLA BCE

Come dichiarato con grande clamore ed evidenza da tutti i media di informazione, la BCE, con decisione del 04/09 us., ha provveduto al taglio di 10 punti base del tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento dell'Eurosistema.
Le ricadute di queste decisione sono immediati per tutti i casi in cui norme di legge, provvedimento amministrativo o contratto, indichino la misurazione degli interessi a partire dal cd TUR (Tasso Unico di riferimento), che oggi deve intendersi riferito proprio al tasso individuato dalla BCE.
Con Circolare INPS nr. 103/2014 e Circolare INAIL nr. 38/2014, INPS e INAIL hanno provveduto ad adeguare gli effetti di tale variazione sul tasso di dilazione e di differimento da applicare agli importi dovuti a titolo di contribuzione a Enti gestori di Previdenza e Assistenza obbligatorie, nonchè sulla misura delle sanzioni civili di cui all'art. 116.08°comma lett. a) e b) e comma 10 della l. 388/2000.
Questo il riepilogo delle principali disposizioni INPS e INAIL:
 
- La nuova misura del tasso sarà applicata alle istanze di rateazione e dilazione presentate a partire dal 10/09/2014;
- La nuova misura del tasso sarà applicata alle istanze di rateazione e dilazione presentate  in data anteriore al 10/09/2014 a condizione che: a) La Sede non abbia comunicato ancora il piano di rateazione o dilazione; b) La Sede comunichi il piano di rateazione o dilazione in data 10/09 o successiva;
- L'interesse di dilazione per la regolarizzazione rateale dei debiti per contributi e sanzioni civili e l'interesse dovuto in casi di autorizzazione al differimento del termine di versamento dei contributi dovranno essere calcolati al tasso dello 6.04% annuo, con riferimento alle rateazioni presentate a decorrere dal 10/09/2014.
- I piani di ammortamento già emessi e notificati in base al tasso precedentemente in vigore non subiranno modificazioni;
- Nei casi di autorizzazioni al differimento del termine di versamento dei contributi, il nuovo tasso pari al 6.05% sarà applicato a partire dalla contribuzione relativa al mese di agosto 2014.
- In caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie ex. art. 116.08°comma lett.a) l. 338/2000, la sanzione civile è pari al 5.55% in ragione d'anno (tasso dello 0.05 maggiorato di 5.5 punti);
- Ove la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima delle contestazioni o richieste da parte degli Enti impositori e comunque entro 12 mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e semprechè il versamento dei contributi e premi sia effettuato entro 30 gg. dalla denuncia stessa, la sanzione civile è pari al 5.55% in ragione d'anno (tasso dello 0.05 maggiorato di 5.5 punti);
- Ove il mancato o ritardato pagamento sia dovuto a oggettive incertezze, derivanti da contrasti interpretativi in sede amministrativa o giurisprudenziale, la sanzione civile è pari al 5.55% in ragione d'anno (tasso dello 0.05 maggiorato di 5.5 punti);
- In caso di evasione contributiva (art. 116.10°comma l. 388/2000), resta ferma la misura della sanzione civile, in ragione d'anno, pari al 30%, nel limite del 60% dell'importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.
 
Procedure concorsuali:
- In caso di procedure concorsuali, le sanzioni amministrative ridotte ex. art. 116.08°comma lett. a) l. 388/2000 dovranno essere calcolate nella misura del TUR, oggi Tasso di interesse dell'Eurosistema;
- In caso di evasione contributiva, ex. art. 116.08°comma lett. b) l. 388/2000, la misura delle sanzioni è pari al predetto tasso, aumentato di due punti;
- Ai sensi dell'art. 01.220°comma l. 662/1996, il limite massimo di riduzione non può essere inferiore alla misura dell'interesse legale*.
 
*Pertanto, ove il tasso TUR/Eurosistema scenda al di sotto degli interessi legali, la riduzione massima sarà pari all'interesse legale, maggiorato di due punti.
Tenuto conto che, per effetto della decisione BCE, a decorrere dal 10/09/2014, il tasso Eurosistema ex TUR è inferiore alla misura dell'interesse legale in vigore al 01/01/2014, dalla medesima data, la riduzione opererà sulla base di tali ultime misure.
 

"ATTIVITA' PREVALENTE" D'IMPRESA: QUANDO E' RILEVANTE PER L'ISCRIZIONE ALLA CASSA COMMERCIANTI INPS*

*TESTO RITOCCATO IN DATA 30/9/2016

Quesito:
Tizio, lavoratore dipendente a tempo indeterminato tiene aperta una Partita IVA per lo svolgimento di attività d'impresa "marginale". Questa attività dà luogo a ricavi marginali. Per attività di così minima rilevanza reddituale, si può evitare di versare la contribuzione annua all'INPS alla Gestione Commercianti? Grazie.
Risposta:
Ai sensi dell'art. 29.01°comma l. 160/1975, per l'iscrizione alla Gestione Commercianti INPS è richiesto il possesso dei seguenti requisiti:
a) Il possesso, in capo all'Esercente, della titolarità o della gestione in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei Dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
b) Il possesso della piena responsabilità dell'impresa e dell'assunzione di tutti gli oneri e i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita, nonchè per i Soci di società a responsabilità limitata;
c) La partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
d) Il possesso, ove previsto da leggi e regolamenti, di licenze e/o autorizzazioni, di iscrizione ad Albi, Registri, Ruoli.
Nel caso di cui sopra, diventa dirimente il requisito della "prevalenza" di cui al punto c). Per avere una verosimile idea delle "metodiche" di accertamento da parte dell'INPS di tale requisito, occorre prendere le mosse dalla Circolare INPS 70/99.
Detta Circolare ritiene, in via ermeneutica, la piena e completa sovrapponibilità concettuale tra "abitualità e prevalenza" nell'attività di impresa commerciale ex. art. 29.01°comma lett. c) l. 160/75 e "abitualità e prevalenza" ex. art. 02 l. 09/1963 (Cassa INPS Mezzadri, Coloni etc.). Di qui, ne discendono linearmente i seguenti corollari:
- Attività Commerciale esercitata in via esclusiva: E' obbligatoria l'iscrizione alla Gestione Commercianti INPS e il pagamento della contribuzione, salva la prova che l'attività esercitata sia meramente "occasionale";
- Attività Commerciale esercitata non in via esclusiva, ma insieme ad altre attività: L'iscrizione alla Gestione Commercianti INPS e il pagamento della contribuzione sono escluse se l'attività commerciale concomitante, in raffronto con l'attività di lavoro dipendente, non copre una fascia significativa di tempo nell'anno solare e se, in subordine, non sviluppano un reddito rilevante (es. i redditi da attività di procacciamento d'affari svolta "salturariamente" nel corso dell'anno).

venerdì 24 ottobre 2014

RLS DI GRUPPO (DI SOCIETA'): E' POSSIBILE?

Quesito:
Alcune Banche hanno istituito il cd "RLS di Gruppo" (Gruppo Bancario): visto e considerato che il D.lgs. 81/2008 non ne parla, è legittima l'istituzione di questa figura?

Risposta:
La figura del RLS "di gruppo", è vero, non è prevista dalla legge, ma non ne pare nemmeno preclusa l'istituzione.
Anzi, in considerazione della più piena autonomia regolativa riconosciuta in merito alla "contrattazione collettiva" ex. art. 47.06°comma D.lgs. 81/2008, non ne pare proprio preclusa l'istituzione.

Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pr 

SE IL DATORE DI LAVORO DISCONOSCE IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORI PER LA SICUREZZA: UN INCERTO PARERE DEL MINISTERO DEL LAVORO

Quesito:
Un Datore di Lavoro a quali condizioni può "disconoscere" la nomina di Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza? Ad esempio, se appartengono a Rappresentanze Sindacali non gradite?
 
Risposta:
Il caso è andato all'attenzione della Commissione Sicurezza del lavoro del Ministero del Lavoro, la quale si è espressa sul punto con l'Interpello nr. 16/2014 (per un caso riguardante i Vigili del Fuoco).
Il parere ministeriale, però, appare largamente fuorviante, perchè frutto forse di una scarsa comprensione della fattispecie, e forse di scarsa dimestichezza pratica con la contrattualistica collettiva.
E', quindi, opportuno riepilogare per filo e per segno la materia.
Innanzitutto, è da chiarire in che modo il Datore di Lavoro abbia in concreto agito per "sconfessare" i RLS: il modo più classico (vedi caso FIAT) è che il Datore abbia "disdetto" il contratto collettivo con cui il RLS sono stati eletti con una sigla sindacale "sgradita".
Da questo punto di vista, il parere ministeriale getta lumi, nel momento in cui sostiene che la nomina del RLS, avvenuta regolarmente sulla base della contrattazione collettiva (ex. art. 47.06°comma D.lgs. 81/2008) si deve dare per acquisita, in quanto "ufficio" necessario ai fini della legge sulla Sicurezza, e non rientrante in quella che usualmente si chiama "parte obbligatoria" dei contratti collettivi, quella parte, che, tanto per intenderci, può essere disdetta ad ogni "capriccio" di Impresa o Sindacato.
Questa ricostruzione presuppone (ma il punto, purtroppo, non è molto approfondito nell'Interpello) un peculiare rapporto tra fonte-legge (D.lgs. 81/2008) e fonte-contrattazione collettiva, che, a questi fini, integra e completa la norma di legge, ad integrare un "ufficio" obbligatorio (appunto ex lege): in quanto non meramente volontario, tale Ufficio è insensibile alle vicende "sindacali" del CCNL, alle eventuali disdette delle parti.
Nel caso, invece, in cui la "sconfessione" sia di tipo diverso, perchè il Datore contesti l'assenza di requisiti di eleggibilità del RLS (ad esempio, perchè non fa parte delle RSA: vedi Interpello 20/2014), posto che prevale la competenza "sovrana" del "contratto collettivo", il caso può essere esaminato e risolto alla luce dell'art. 47.04°comma: che prevede sì l'eleggibilità del RLS tra le RSA nelle Aziende con più di 15 Dipendenti, sempre che le RSA siano costituite secondo i criteri dell'art. 19 l. 300/1970.
Ma a tutta evidenza si tratta di "norma cedevole", applicabile in assenza di diversa disposizione della contrattazione collettiva.
Convince meno, però, il Ministero dove arriva a prefigurare una sorta di prorogatio ex lege dell'ufficio di RLS.
Se noi, infatti, leggiamo l'art. 47 così come è formulato, non possiamo non concludere che le regole di elezione e permanenza del RLS sono affidate dalla legge alla "contrattazione collettiva". Ora, nel silenzio della legge (che non parla di prorogatio del RLS cessato), è giocoforza ritenere che sia abbia prorogatio solo se disposto dalla "contrattazione collettiva". Se la prorogatio non è disposta dalla "contrattazione collettiva", il RLS eletto deve ritenersi decaduto.
L'Interpello, però, tende a "drammatizzare" il problema della decadenza del RLS dei Lavoratori: così facendo, del resto, dimentica che la legge ha disposto specifiche forme di "supplenza" dell'Ufficio di RLS carente con gli artt. 47 e 48 TU Sicurezza (specialmente, i RLS territoriali).
 
 

AGGIORNAMENTO FORMAZIONE COORDINATORI CANTIERI: NON AMMESSA TOLLERANZA NELLE ASSENZE

Quesito:
Un Professionista Coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione nei cantieri temporanei e mobili ex. Titolo IV D.lgs. 81/2008 svolge 36 ore di formazione, in luogo delle 40 previste, con 4 ore di assenze. Questa frequenza oraria si considera valida ai fini dell'assolvimento dell'obbligo formativo di aggiornamento previsto dal D.lgs. 81/2008?
 
Risposta:
Sul punto, complice anche l'Interpello nr. 17/2013 del Ministero del Lavoro, l'assetto normativo è chiaro: l'Allegato XIV del D.lgs. 81/2008 prevede, per la formazione del Coordinatore, una tolleranza del 10% delle assenze solo per il corso di formazione abilitante di 120 ore, ma non per i corsi di aggiornamento.
Se il Professionista non ha svolto le ore necessarie di aggiornamento, non potrà esercitare l'attività di Coordinatore.
 

IL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE DEVE ESSERE DOTATO DI RISORSE ADEGUATE

Quesito:
Il Datore di Lavoro che nomini un Responsabile per la Prevenzione e Protezione della Sicurezza nei luoghi di lavoro (interno) è responsabile, se omette di fornire le risorse necessarie? Se, ad esempio, non rimborsa trasferte etc. e ogni altro atto inerente allo svolgimento dell'incarico?
 
Risposta:
Al quesito, l'Interpello nr. 22/2014 della Commissione Interpelli per Salute/Sicurezza sul lavoro ha confermato la necessità che il RSSP interno, una volta nominato, deve disporre di risorse assegnate dal Datore di Lavoro.
In questo senso, il RSPP (se Dipendente) deve usufruire del tempo e delle risorse necessarie per l'espletamento nell'incarico: es. il Datore deve pagare le trasferte necessarie, il Datore deve dotarlo della strumentistica di intervento eventualmente necessaria.
In questo senso, il Datore risponde, ed è inadempiente se non provvede.
Ci pare, però, di capire che il RSPP non può comunque addurre l'assenza di risorse per omettere quegli interventi necessari in via emergenziale ed urgente, che possano comunque essere resi grazie al suo personale intervento. In questo caso, se sostiene spese (trasferta e simili) comunque necessari e inerenti all'incarico, potrà chiederne rimborso al Datore di Lavoro.
 
 

ITALIA LAVORO SPA-INCENTIVI PER RAPPORTI DI APPRENDISTATO/FLASH

Un breve flash per informare che Italia Lavoro Spa ha introdotto specifici incentivi per contratti di apprendistato per alta formazione e ricerca, nonchè per il conseguimento di titoli di Studio di alta formazione (Diploma di Istruzione secondaria superiore), titoli per la specializzazione tecnica superiore (ITS, IFTS), titoli di Studio Universitari (laurea triennale, magistrale a ciclo unico, master di I e II Livello, dottorato di ricerca).
La formazione deve svolgersi in orario di lavoro.
L'impresa può progettare l'impegno formativo con la Regione (per le Regioni dove tale modalità di apprendistato sia attivata: per l'Emilia Romagna vedi sito Internet FormazioneLavoro-EmiliaRomagna).
Italia Lavoro Spa riconosce un contributo a fondo perduto di € 6.000 per ogni assunto a tempo pieno, € 4.000, se assunto a tempo parziale per almeno 24 ore.
Sono, altresì, previsti sgravi retributivi e contributivi: applicazione aliquota del 10%  della retribuzione per imporese dai 10 Dipendenti; sgravio contributivo del 100% nei primi 3 anni di contratto (dal 04° si applica l'aliquota del 10%) per imprese con meno di 10 Dipendenti.
Per partecipare, la domanda dovrà essere inviata al portale informatico al sito Internet http://FixoL4.italialavoro.it, dove si trova anche la Guida per l'utilizzo.
Sito Internet www.italialavoro.it.


Nei prossimi giorni, seguiranno i necessari approfondimenti.

giovedì 23 ottobre 2014

LA CONSULTA DEMOLISCE GLI ACCERTAMENTI BANCARI SU PROFESSIONISTI E LAVORATORI AUTONOMI

Una breve nota per informare la Clientela che con la sentenza nr. 228/2014, la Corte Costituzionale ha avviato la "demolizione" in via giurisprudenziale del sistema degli "accertamenti bancari" ex. art. 32 DPR 600/73, ove essi abbiano per destinatari liberi professionisti.
Oggetto della censura, ...
(...)
VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/la-consulta-demolisce-gli-accertamenti-bancari-su-professionisti-e-lavoratori-au/774269019300675

LEGGE DI STABILITA' E CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO A TUTELE CRESCENTI-FLASH

Un  brevissimo flash in merito ai primi rumors giornalistici che stanno uscendo sulla legge di stabilità e sugli incentivi per i cd "contratti a tutele crescenti".
Il tutto apparirebbe frutto di un "combinato disposto" tra la legge di stabilità 2015 e il cd Jobs Act, che dovrebbe riformare la contrattualistica di lavoro subordinato introducendo quest'ultima tipologia contrattuale.
La Fondazione Studi CDL ha emesso prima valutazione...
(...)
VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK:https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/legge-di-stabilita-e-contratto-di-lavoro-subordinato-a-tutele-crescenti-flash/774268605967383 

NIENTE ACCORDO SINDACALE AZIENDALE DI RIDUZIONE D'ORARIO SE IL LAVORATORE NON ESPRIME IL CONSENSO

Quesito (tratto da Diritto & Pratica di Lavoro nr. 39/2014):
Un'Azienda in crisi stipula un accordo sindacale aziendale di riduzione d'orario per alcuni lavoratori. Ma i Lavoratori rifiutano di sottoscrivere la riduzione d'orario, assumendo di non aver conferito mandato al Sindacato di riduzione d'orario. L'Azienda minaccia il licenziamento, ma i Lavoratori resistono.
Chi ha ragione?
 
Risposta:
Innanzitutto, occorre dire che il D.lgs. 61/2000 conferma un dato acquisito dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale è invalido l'accordo di riduzione d'orario adottato unilateralmente dal Datore (anche per il tramite del Sindacato), senza l'effettivo concorso della volontà del Lavoratore.
Concorso di volontà che può essere, oltrechè esplicito (desumibile da esplicito mandato, connesso all'iscrizione sindacale), anche desumibile per fatti concludenti (es. acquiescenza), ma mai presunto in assenza di elementi di fatto.
Sul punto, è intervenuta di recente Cass. 16089/2014.
Ma c'è un punto "pratico" che la sentenza non ha chiarito.
Stando al tenore complessivo di tale giurisprudenza, infatti, per i casi dubbi, come quello di cui al quesito schematizzato, diventa rilevante la tempistica di contestazione.
E' evidente che più il Lavoratore ritarda a contestare, più la sua inerzia è valutabile (anche per un conclamato "affidamento contrattuale") come accettazione dell'intesa di riduzione dell'orario.
L'acquiescenza, in particolare, facilita nel Giudice la deduzione/presunzione di accettazione, specie se viene dimostrato un quadro economico-gestionale aziendale caratterizzato da alta criticità.
Se, infatti, è vero che l'art. 05.01°comma D.lgs. 61/2000 dispone "Il rifiuto di un Lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno non costituisce giustificato motivo di licenziamento", è altrettanto vero che il quadro di crisi aziendale può precostituire valide ragioni di "licenziamento economico", a fronte della quale l'accettazione di un accordo di riduzione oraria può ben apparire "l'ultima spiaggia" per il Lavoratore per evitare il licenziamento (un pò come succede per gli "accordi di demansionamento" ...). A queste condizioni, quindi, è ben difficile per il Giudice pensare che l'accordo non sia voluto dal Lavoratore, se non per entusiasmo, quantomeno per rassegnazione.
E questa circostanza evidentemente complica la situazione nel contenzioso di quel Lavoratore che intenda sottrarsi alle conseguenze della riduzione d'orario e far valere il tempo pieno.
 

DECRETO POLETTI: DIRITTO DI PRECEDENZA DEL LAVORATORE A TERMINE- APPROFONDIMENTI

Alcuni brevi approfondimenti relativamente al "nuovo" diritto di precedenza introdotto dal DL 34/2014 (conv. in l. 78/2014: cd "Decreto Poletti").
Un approfondimento a parte sarà riservato per le particolarissime previsioni sul "diritto di precedenza" delle lavoratrici madri introdotte dal citato DL.
 
1) Il diritto di precedenza deve essere menzionato nel contratto: e se il Datore se ne dimentica? Al riguardo, la Circolare 18/2014 del Ministero del Lavoro ha escluso ogni conseguenza sanzionatoria. L'eventuale carente informazione, che incida sul mancato esercizio del diritto di precedenza può essere invocata come circostanza per chiedere un risarcimento del danno ex. art. 2043 Codice Civile, ma il danno lo deve provare il Lavoratore e non può essere presunto.
 
2) Il diritto di precedenza è riconosciuto per ogni tipo di rapporto di lavoro? Che ne è del lavoro a chiamata a termine? Dell'apprendistato a termine? Dei rapporti agricoli? Teniamo presente che la disposizione sul "diritto di precedenza" disciplinata dal DL 34/2014 condivide lo stesso campo di applicazione del D.lgs. 368/2001, definito dall'art. 10, il quale esclude dalla disciplina del D.lgs. 368 i rapporti di apprendistato, formazione lavoro, somministrazione lavoro.
-Apprendistato a tempo determinato, a rigore dovrebbe essere escluso, ma la conclusione è problematica per quanto concerne l'ipotesi di "apprendistato stagionale" contemplata, del resto, dall'ultimo comma dell'art. 04 D.lgs. 167/2011, che non dovrebbe essere esclusa dalle tutele del Decreto Poletti sul "lavoro stagionale". Sul punto, però, crediamo sia la contrattazione collettiva a dover risolvere il problema, dato poi che alla contrattazione collettiva il D.lgs. 167/2011 ritaglia un ruolo preminente nella definizione della disciplina dell'apprendistato;
-Lavoro a chiamata a tempo determinato: Il "lavoro a chiamata" anche se a tempo determinato deve ritenersi escluso (Interpello nr. 79/2009) dal campo di applicazione del D.lgs. 368/2001 e quindi da ogni previsione del diritto di precedenza (salvo che sia previsto dal CCNL).
- Operai Agricoli a tempo determinato: Sono esclusi espressamente dal campo di applicazione del D.lgs. 368/01: ad essi, non si applicano le disposizioni del D.lgs. 368/01 e del DL 34/2014 sul "diritto di precedenza". Va anche detto che il CCNL Agricoltura Contoterzi riconosce tutele analoghe al diritto di precedenza.
 
3) Il Lavoratore esercita il diritto di precedenza nei termini. Il Datore di Lavoro è per forza obbligato ad assumerlo a tempo pieno e indeterminato? O può, invece, assumere il lavoratore come apprendista o part time? Ovvero "a chiamata", ma a tempo indeterminato?
Dobbiamo tener conto che il diritto di precedenza determina un "vincolo assunzionale" in capo al Datore di Lavoro: le disposizioni di legge che prevedono tale vincolo devono essere interpretate in modo aderente al testo di legge, come succede per tutte le disposizioni limitative di una libertà civile (vedi art. 14 Preleggi), senza che sia dato all'interprete dedurre vincoli ulteriori a quelli scritti e contemplati nel testo di legge. In questo senso, la legge, nel definire il diritto di precedenza, "vincola" l'assunzione solo in riferimento all'assunzione a tempo indeterminato, ma senza specificare altro (orario di lavoro, tipologia contrattuale).
- Part time: Non si pongono preclusioni di sorta sull'assunzione part time, a seguito di esercizio del diritto di precedenza. 
- Apprendistato: Problematica è l'assunzione a titolo di apprendistato. Benchè tale tipologia contrattuale sia definita dal legislatore (D.lgs. 167/2011) "assunzione a tempo indeterminato", l'apprendistato non appare facilmente conciliabile con il D.lgs. 368/01, che subordina il diritto di precedenza all'esercizio delle "stesse mansioni" (è evidente che un apprendistato simile sarebbe nullo per carenza di causa formativa). Evidentemente, sul punto, dovrà intervenire il Ministero del Lavoro;
- Lavoro a chiamata a tempo indeterminato: E’ prudente ritenere preclusa questa opzione. Esistono, infatti, svariati precedenti amministrativi (vedi, ad esempio, Circ. Min. Lav. 38/2010) che escludono il “lavoro a chiamata” (anche a tempo indeterminato) una soluzione credibile in termini di “stabilizzazione” del personale “precario”.
 
4) Se i posti di lavoro disponibili sono inferiori a quelli oggetto di "preferenza" da parte dei Dipendenti, esiste un criterio che fissi la priorità nell'assegnazione del posto di lavoro tra i richiedenti? (Vedi mail del 10/09/2014 h. 19.53). La legge non prevede alcun criterio di priorità (salvo una vaga indicazione del Ministero del Lavoro, nella Circ. 13/2008, che rimetteva la materia alla contrattazione collettiva). In assenza di norme specifiche, si può dire che il primo criterio discriminante può essere rinvenuto nella cd “priorità temporale”, che premi quei Lavoratori che, per primi, e in ordine cronologico, abbiano manifestato la volontà di avvalersi del diritto di precedenza. Questa conclusione è perfettamente coerente dal punto di vista civilistico, anche perché particolarmente attenta al canone dell’ “affidamento contrattuale”. Problemi si possono porre per lavoratori con carichi familiari, lavoratrici madri etc., ma va anche precisato che, in assenza di una “tutela privilegiata” riconosciuta dal legislatore, è coerente ritenere che questi lavoratori possano tutelarsi non direttamente (facendo valere il proprio status di “soggetto bisognoso”) ma solo indirettamente, esercitando tempestivamente il diritto di precedenza, in vista della loro necessità di un’occupazione. Solo se le istanze “di precedenza” sono cronologicamente contestuali, si potrà valutare l’applicazione di criteri di priorità che (equitativamente) possono rinvenirsi nelle regole codificate dall’art. 15 l. 264/49, qui di seguito riportato (anche se, lo ricordiamo, abrogato formalmente). 
 
N.B.: Consigliamo fare un passo presso i Sindacati per giungere ad eventuali accordi "di secondo livello" per definire un regolamento di queste casistiche (particolarmente importante per le Aziende "stagionali").
 

venerdì 17 ottobre 2014

IL RI-LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE

 Quesito:
Un Dipendente già licenziato per motivazioni disciplinari può essere ri-licenziato per motivi economici?
 
Risposta:
Il tema può sembrare paradossale e fanta-scientifico, ma non è così remoto nella prassi, che, non di rado, registra esitazioni, contraddizioni, ripensamenti dei Datori di Lavoro che si riverberano in atti di licenziamento emessi, ritirati o modificati ...
In linea generale, il "ri-licenziamento" è possibile, se nella fattispecie si registrano più elementi riconducibili a più fattispecie giustificatrici di licenziamento (così in Cass. 20/01/2011 nr. 1244). Di massima, però, in queste circostanze, l'onere della prova del Datore di Lavoro si aggrava considerevolmente, sotto il versante della motivazione, chè non è agevole passaggio motivazionale giustificare il "salto" da un tipo di licenziamento ad un altro.
Ad esempio, può essere possibile "mutare il titolo" di un licenziamento che passi da "economico" a "disciplinare": in questo caso, però, per emettere il licenziamento disciplinare dovranno ricorrere i presupposti necessari (tempestività etc.), ovvero dovrà darsi prova della sopravvenienza di fatti suscettibili di rilevare ai fini disciplinari. Più complesso obiettivamente passare da "motivazioni disciplinari" e "motivazioni economiche" ... salvo che ricorrano circostanze organizzative conclamate (ma che, comunque, lasciano aperto l'interrogativo: perchè il licenziamento non è stato spiccato prima?).
Diremmo comunque precluso il "mutamento del titolo" del licenziamento, ove sia in corso una causa di licenziamento.
Questo stratagemma è stato utilizzato in alcuni casi per contrastare la richiesta di reintegra ex. art. 18 St. Lav. del Dipendente, dove cioè il licenziamento può risultare annullato (non invece nelle Aziende con meno di 15 Dipendenti, dove la l. 604/66 garantisce comunque l'estinzione giuridica del rapporto di lavoro).
Per evitare la reintegra, alcuni Datori di Lavoro sub iudice (ovvero sotto controversia giudiziaria) hanno pensato bene di "cambiare" la motivazione del licenziamento da "disciplinare" a "economico". Evidentemente, in caso di reintegra decretata dal Giudice, questa "conversione" opererebbe ex nunc, dal momento dell'atto e non potrebbe sanare con efficacia retroattiva l'eventuale illegittimità del licenziamento medio tempore riconosciuta giudizialmente.
Questa condotta è problematica tecnicamente e processualmente (come interpretare la condotta? Come "ammissione di illegittimità del licenziamento"? ...)
Con sentenza nr. 27390/2014, la Cassazione, in quest'ultimo specifico caso, ha ammesso il "ri-licenziamento" in corso di vertenza giudiziale (ovvero il "mutamento del titolo del licenziamento"), subordinandolo però a due essenziali presupposti:
 
a) Il "secondo licenziamento" deve essere espressamente condizionato alla (eventuale) dichiarazione di illegittimità (ovvero inefficacia) del primo licenziamento sub iudice;
b) Il "secondo licenziamento" deve avere motivo non solo diverso, ma anche deve riferirsi a fatti sopravvenuti, che il "primo licenziamento" non avrebbe potuto compendiare.
 
A queste condizioni, si può imbastire un "ri-licenziamento" secondo legittimità.
 

INVIO TELEMATICO CERTIFICAZIONE PEDIATRA- PERMESSI PER MALATTIA DEL BAMBINO

Quesito:
Per le domande di permesso per malattia del figlio con età inferiore a 3 anni, è previsto l'invio online della certificazione medica del pediatra? Grazie.
 
Risposta:
Con riguardo agli adempimenti di certificazione medica pediatrica, necessari ai fini del godimento dei permessi per malattia del bambino ex D.lgs. 151/2001, si precisa che a dette certificazioni sono virtualmente estese le procedure di invio telematico, come per la generalità delle certificazioni per malattia, in forza dell'art. 07.03°comma DL 179/2012.
Questa disposizione, per entrare a regime, attende alcuni decreti attuativi.
Non consta attualmente che essi siano stati emanati, anche perchè tale carenza è attualmente documentata nella relativa sezione informativa del Sito Internet INPS (che, evidentemente, fa fede, a questo riguardo).
In assenza, e fino all'emanazione del decreto (di cui daremo informazione quanto prima, in caso di emanazione), restano in vigore gli attuali obblighi di certificazione cartacea.
 
 
 

PERMESSI MALATTIA FIGLI


Una brevissima nota relativamente alla gestione dei permessi per malattia dei figli minori.
Come noto, l'art. 47.01-02-06°comma D.lgs. 151/2001, riconosce ai genitori, in alternativa tra loro e indipendentemente dal fatto che l'altro ne disponga autonomo diritto, la possibilità di fruire di permessi non retribuiti per le malattie di ciascun figlio.
Essi possono assentarsi dal lavoro:
 
- Per tutta la durata della malattia del bambino, fino al compimento dei tre anni di vita;
- Nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, per figli di età compresa fra i tre e gli otto anni.
 
Tale diritto, pertanto, decorre dal giorno successivo al compimento del terzo anno di età del bambino e fino agli otto anni, compreso il giorno del compimento dell'ottavo anno di età (Int. Min. Lav. 33/08).
La certificazione di malattia deve essere trasmessa all'INPS in via telamatica direttamente dal Medico Curante del SSN (o con esso convenzionato), utilizzando il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia (dm 26/02/2010).
L'Istituto provvede ad inoltrarla/renderla disponibile immediatamente al Datore di Lavoro interessato.
Ai fini della fruizione dei permessi, il Lavoratore comunica direttamente al Medico, all'atto della compilazione del certificato di malattia, le generalità del genitore che ha scelto di usufruirne.
La nozione di "malattia del bambino" non coincide con quella di "malattia del Lavoratore" durante l'esecuzione del rapporto di lavoro, poichè comprende non solo la fase patologica vera e propria, ma anche quella successiva di convalescenza (Cass. 04/04/1997 nr. 2953).
Ciò comporta che nè l'INPS, nè la DTL siano tenuti ad effettuare controlli sull'effettivo stato di malattia del bambino.
La fruizione di permessi per malattia del bambino, insorta durante il congedo parentale (art. 32 D.lgs. 151/01) può sospenderne il godimento, consentendo così la sostituzione del titolo dell'assenza. La legge, infatti, non prevede alcun divieto di cumulo dei due istituti.
A tal fine, occorre che l'interessato presenti domanda di sospensione del congedo e che sussistano i requisiti prescritti per l'accesso all'uno e all'altro istituto (Interpello nr. 28/06/2006 Prot. nr. 25/I/0003004).
 
Studio Francesco Landi- Ferrara
 

giovedì 16 ottobre 2014

NIENTE SANZIONI AI MEDICI LIBRI PROFESSIONISTI SENZA ASSICURAZIONE EX DL138/2011

Una brevissima nota per precisare ai Medici Clienti, che esercitassero la Professione, che, a tutt'oggi, non possono considerarsi applicative e in vigore le disposizioni ex DL 138/11, che hanno introdotto per i Professionisti (anche Medici) l'obbligo di dotarsi di polizza assicurativa professionale, in difetto della relativa normativa attuativa. Tali obblighi, pertanto, non saranno passibili di alcuna sanzione disciplinare da parte dell'Ordine Professionale di competenza. Sul punto, si da conto di un importante passaggio della lettera che la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCEO) ha scritto al Ministro Lorenzin: "E' parere di questa Federazione che tale obbligo non è operante fino a quando non sia stato emanato il suddetto decreto di cui all'art. 03 del DL 158/12, dove saranno disciplinati le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l'idoneità dei relativi contratti [di assicurazione, nota nostra]. Al tempo stesso, si ritiene che non possa trovare applicazione la disposizione di cui all'art. 05 del DPR 137/12, dove si prevede che costituisce illecito disciplinare la mancata stipula da parte dei Professionisti di una polizza assicurativa".

 STUDIO FRANCESCO LANDI-Ferrara

DOCUMENTO VALUTAZIONE DEI RISCHI: QUANDO AGGIORNARLO

Un architrave consolidato della legislazione per la Sicurezza e l'Igiene nei luoghi di lavoro è la Valutazione dei Rischi, che si compendia nella compilazione dell'apposito Documentodi Valutazione dei Rischi, usualmente indicato con l'acronimo DVR.
La valutazione dei rischi va realizzata dal Datore di Lavoro in collaborazione con il Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP), se presente, e il Medico Competente. Deve informarne il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).
Dal dettato normativo del D.lgs. 81/2008, si evince che il legislatore non ha fissato una frequenza minima per l'aggiornamento del relativo Documento.
Per il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), la legge (art. 29.03°comma D.lgs. 81/2008) si limita a imporne l'aggiornamento in presenza delle seguenti circostanze:

a) Modifiche del processo produttivo o dell'organizzazione del lavoro, che siano entrambe significative, ai fini della Salute e Sicurezza dei Lavoratori;
b) Evoluzione della Tecnica, della Prevenzione o della Protezione;
c) Necessità evidenziate dalla sorveglianza sanitaria.

Una menzione a parte merita il cd Documento di Valutazione dei Rischi da stress-lavoro-correlato.
Sulla tempistica di aggiornamento, esiste un generico riferimento nel "Manuale di ricerca" ad uso delle Aziende predisposto dall'INAIL nel 2011: al riguardo, tale "Manuale" indica in 2-3 anni la cadenza di aggiornamento della situazione stress dell'organizzazione datorile, senza escludere, però, una diversa indicazione di "buona prassi" come l'aggiornamento annuale.
A margine, ricordiamo le peculiari tecniche di valutazione dei rischi da stress-lavoro-correlato, che si articola in due fasi: una fase obbligatoria per tutti i Datori di Lavoro, che viene effettuata mediante compilazione di un questionario con domande a risposte chiuse, atte a rilevare e quantificare gli indicatori oggettivi di rischio stress. Nel caso in cui il rischio stress abbia un valore basso, la valutazione del rischio può ritenersi conclusa. Ove, invece, dalla medesima valutazione si evinca un rischio medio o alto, si deve procedere ad una valutazione più approfondita con i Lavoratori (o l'RLS), nonchè con gli psicologi del lavoro, i quali potranno valutare altre metodiche di affinamento/approfondimento della valutazione dei rischi (come la somministrazione di altri questionari, interviste strutturate, focus group etc.).
Il Datore di Lavoro, in particolare, deve introdurre specifiche valutazioni dei rischi e misure di protezione per salvaguardare le Lavoratrici Madri, ex. art. 11.01°comma D.lgs. 151/2001.
In questo caso, infatti, il Datore di Lavoro deve:

- Valutare i rischi per la Sicurezza e la Salute delle Lavoratrici, con particolare attenzione ai rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, ai processi o condizioni di lavoro (vedi Allegato C D.lgs. 151/01);
- Individuare le misure di prevenzione e protezione da adottare, tenendo conto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione UE.

In questi casi, il Datore di Lavoro dovrà informare le Lavoratrici e i Rappresentanti per la Sicurezza circa i risultati della valutazione e le conseguenti misure di protezione e prevenzione adottate, anche aggiornando la precedente documentazione di valutazione dei rischi, se necessario.
Se, nel corso dell'attività di impresa, il Datore dovesse assumere lavoratori disabili, stranieri, in questo caso, la legge non prescrive specifici obblighi di aggiornamento dei Documenti di Valutazione dei Rischi.
Per i minori, occorrono le specifiche di Sicurezza dettate dalla legge a protezione del lavoro minorile.
A disposizione per approfondimenti

sabato 11 ottobre 2014

LE VISITE MEDICHE OBBLIGATORIE DEVONO CONSIDERARSI "ORARIO DI LAVORO"?-NOTE A MARGINE DI UN INTERPELLO EX ART. 12 DLGS 81/2008

Con Interpello nr. 18/2014 ex. art. 12 D.lgs. 81/2008 (e non ex. art. 09 D.lgs. 124/04), il Ministero del Lavoro ha precisato che le visite mediche, che il Datore di Lavoro ha l'obbligo di effettuare in adempimento dei doveri di sorveglianza sanitaria (siano essi "comuni" a tutti i Lavoratori, ovvero prescritti per specifiche aree di rischio) devono considerarsi di rigore pieno "orario di lavoro".
Il tempo impiegato durante le visite, cioè, si considera ...
(...)
VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/le-visite-mediche-obbligatorie-devono-considerarsi-orario-di-lavoro-note-a-margi/768220483238862

NON RETROATTIVITA' DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE-TEMPUS REGIT ACTUM

Quesito:
In caso di Ispezione, la DTL può applicare retroattivamente previsioni di illecito amministrativo? E le norme di procedura ispettiva, se modificate durante l'Ispezione? Grazie.

Risposta:
Non possono essere contestati illeciti amministrativi che non fossero contenuti in previsione di legge al momento della commissione dei fatti.
Questo, per effetto dell'art. 01 della l. 689/81.
Qualora le Aziende fossero state destinatari di Verbali contenenti siffatte anomalie, sono pregati di comunicarlo ai loro Consulenti, per provvedere ad eccepire la circostanza alla DTL competente per territorio.
Ricordiamo che lo stesso ragionamento non vale per le norme procedimentali, ossia le norme che regolano la procedura di accertamento e sanzione amministrativa: se cioè muta la legislazione che regola l'ispezione in Azienda nel corso della stessa Ispezione, e l'organo ispettivo non sia arrivato ad alcuna conclusione, sarà applicabile la legge sopravvenuta.
Questa circostanza può essere più o meno favorevole per l'Azienda, a seconda dei casi ...
 

ISPEZIONI DEL LAVORO- LA PRESCRIZIONE DEGLI ILLECITI AMMINISTRATIVI

Quesito:
Entro quanto si prescrivono gli illeciti amministrativi contestati dagli Ispettori del Lavoro? Grazie.
Risposta:
E' della massima importanza conoscere, in caso di ispezione da parte della DTL in Azienda, i termini di prescrizione degli illeciti amministrativi.
Ai sensi dell'art.28 l. 689/1981, la DTL ha diritto a riscuotere le somme derivanti da sanzioni amministrative nel termine di 05 anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione.
Questo significa che, se, accedendo all'Azienda, la DTL riscontra illeciti amministrativi già perfezionatisi e consumatisi da più di 05 anni, essa non può procedere a irrogare la sanzione e l'Azienda ha diritto di eccepire la prescrizione.
Qualche problema può insorgere per gli illeciti "permanenti", come lo sfruttamento di manodopera "in nero": in questo caso, in cui la condotta illecita si protrae nel tempo, la prescrizione decorre solo dal momento della cessazione della condotta.
Se lo sfruttamento è in atto al momento dell'Ispezione, è dal momento del primo accesso ispettivo in Azienda che inizia a decorrere la prescrizione; altrimenti, dal momento presumibile di cessazione della condotta (deducibile dall'Ispettore, se l'Azienda non riesca a fornire prove certe in merito).
La prescrizione è opponibile alla DTL in sede di giudizio di opposizione a ordinanza/ingiunzione ex. art. 06 D.lgs. 151/2011

IL LICENZIAMENTO NELLA COOPERATIVA: CASI PRATICI

La presente accompagna note di commento, in parte adesive, in parte critiche, all'articolo di DARIO VEGANI sul tema in oggetto, comparso in Guida alle Paghe nr. 11/2014.
L'art. 02 l. 142/2001 ha previsto, per le Cooperative con più di 15 Dipendenti, l'inapplicabilità dell'art. 18 St. Lav., quando al licenziamento si accompagni la cessazione del rapporto sociale o per recesso del socio o per esclusione disposta ai sensi degli artt. 2532 e 2533 Codice Civile (così devono intendersi "aggiornate" le disposizioni di rinvio esistenti nell'art. 02 l. 142/01, non ancora aggiornata alla successiva riforma societaria).
Questa disposizione va comunque coordinata con la l. 108/90 che ha codificato un principio, confermato poi dalla legge 92/2012, secondo cui il licenziamento "discriminatorio" è sempre passibile di reintegra: la reintegra, quindi, connessa ad una ratio di tutela generalizzata della personalità del Lavoratore, si deve intendere applicabile anche alle Cooperative. In parte qua, deve ritenersi inapplicabile il disposto limitativo dell'art. 02 l. 142/01.
Qui di seguito, alcune esemplificazioni delle casistiche più tipiche.
 
- Recesso del Socio: che ne è del rapporto di lavoro eventualmente instaurato? Ai sensi dell'effetto combinato tra l'art. 05 l. 142/2001 ("Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso e l'esclusione del Socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità all'art. 2533 del Codice Civile") e dell'art. 2533.u.c. Codice Civile ("Qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti"), il recesso del Socio determina l'estinzione del rapporto di lavoro. Per effetto della previsione dell'art. 02 l. 142/2001 non si applica in nessun caso l'art. 18 l. 300/70. Non è chiaro, però, se, a questi fini, la cessazione del rapporto di lavoro possa qualificarsi come "dimissioni volontarie", e se, a questo caso, sia applicabile la procedura sulla "convalida" delle dimissioni medesime ex. art. 04.17-21°commi l. 92/2012.
Per il recesso del Socio, devono essere osservate le procedure previste dall'art. 2532 Codice Civile (notifica tramite raccomandata, esame della raccomandata da parte del Consiglio di Amministrazione entro 60 gg. etc.).
 
- Licenziamento per giusta causa/giustificato motivo di licenziamento: si determina esclusione del Socio? La risposta positiva a tale quesito determinerebbe, nel caso di specie, l'inapplicabilità dell'art. 18 l. 300/70 (salva l'applicabilità dell'art. 08 l. 604/66 per le Cooperative con meno di 15 Dipendenti). In ogni caso, la soluzione positiva del quesito presuppone che il licenziamento per giusta causa rivesta anche i requisiti che, ai sensi dell'art. 2532.01°comma del Codice Civile, legittimano l'esclusione del Socio di Cooperativa ("gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge"). Pur non potendosi assicurare nessun automatismo tra "licenziamento per giusta causa/giustificato motivo soggettivo" ex. art. 03 l. 604/66 e "esclusione del Socio" ex. art. 2532.01°comma del Codice Civile, normalmente i "licenziamenti per giusta causa", avendo natura "disciplinare", presuppongono violazioni "gravi" ed è difficile pensare che possano tali violazioni non avere rilievo anche per l'esclusione del Socio da Cooperativa. Ricordiamo, però, che, in questi casi, la disposizione che esclude l'applicazione dell'art. 18, va coordinata con le modifiche che l'art. 18 medesimo ha subito in punto di reintegra per licenziamento disciplinare illegittimo. Ove, cioè, il Socio Lavoratore contesti il licenziamento per "insussistenza del fatto contestato", ovvero per avere il Datore applicato il licenziamento in luogo di diversa sanzione "conservativa" prevista dal CCNL o dal Codice Disciplinare, non potrà ricorrere alla tutela "reale", ma solo a quella "obbligatoria".
Si segnala, comunque, che, a seguito delle rimodulazione delle "tutele reintegratorie" disposte dalla legge 92/2012, l'esclusione dell'art. 18 St. Lav. per le Cooperative con più di 15 Dipendenti potrebbe andare soggetta a facili eccezioni di incostituzionalità. Con la legge 92/2012, infatti, la tutela reintegratoria è disposta a fronte di condotte variamente definibili come "abusive"/"discriminatorie": ora, se è vero che contro i licenziamenti "abusivi" è riconosciuta l'applicabilità dell'art. 18 anche alle Cooperative, non si vede perchè, ricorrendo la stessa ratio di tutela, dovrebbe operare l'esclusione della reintegra da parte della l. 142/01 per i casi di licenziamento disciplinare di cui all'art. 18.04°comma l. 92/2012.
 
- Licenziamento per giusta causa/giustificato motivo oggettivo: si determina l'esclusione del Socio? Il "motivo economico"  non rientra, di per sè, tra i motivi che, ex. art. 2532.01°comma del Codice Civile, giustificano l'esclusione del Socio. Quindi, in assenza di previsioni statutarie che lo dispongano, un licenziamento comminato con queste condizioni resta soggetto all'art. 18 St. Lav.
Problematica, invece, è l'esclusione dell'art. 18 (e dell'art. 18.06°comma) ove lo Statuto disponga l'automatico scioglimento del rapporto sociale, a fronte di evenienze di "licenziamento economico".
Ricordiamo che, a seguito delle consistenti "rimodulazioni" che l'art. 18 l. 300/70, l'art. 18 (reintegra) si applica solo ai casi di "licenziamento" manifestamente privo di qualsiasi giustificazione oggettiva, non al "licenziamento economico" tout court. Questa rimodulazione è foriera di ulteriori, possibili, eccezioni di incostituzionalità: alla tutela ex. art. 18 contro i "licenziamenti manifestamente privi di motivazione oggettiva" si addicono le stesse considerazioni interpretative sopra svolte.
 
Cogliamo l'occasione di ricordare che, a fronte di evenienze di risoluzione dei rapporti, come sopra descritti, sussistono rilevanti incertezze interpretative relativamente all'individuazione del Giudice competente: le fattispecie, infatti, sono "a mezza strada" tra il diritto del lavoro (per cui sarebbe competente il Giudice del Lavoro funzionalmente), ovvero la fattispecie societaria (per cui basterebbe il Giudice ordinario). Consigliamo ai Clienti che si trovassero coinvolti in queste problematiche di rivolgersi a dei legali.
A disposizione per aggiornamenti