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martedì 30 giugno 2015

LA NUOVA DISCIPLINA DELLE COCOCO, UN CASO PROBLEMATICO

Quesito: Immaginiamoci un’Azienda che, il giorno successivo all’entrata in vigore del Codice dei Contratti, intenda stipulare una co.co.co. Con un Collaboratore, che non aveva mai avuto prima un simile rapporto, anzi nessun contratto di lavoro o ingaggio libero-professionale precedente. Può stipulare una cococo? E facendo riferimento a quale disciplina?

Risposta: Allo stato attuale, non è semplice rispondere. L’impressione è che, sulla fattispecie esaminata, si registri un vuoto regolativo da parte del Codice dei contratti. Se, infatti, è pacifico escludere che alla cococo in esame possano applicarsi le precedenti disposizioni sulla “collaborazione a progetto”, residualmente in vigore “esclusivamente per le collaborazioni in essere al momento dell’entrata in vigore” delle nuove norme (art. 52.1°comma), la conclusione più lineare è che tale cococo sia stipulabile, ma secondo la previsione dell’art. 52.2°comma, ovvero ai sensi dell’art. 409 cpc (disposizione che, ex. art. 57, deve ritenersi certamente in vigore). Questa ricostruzione, però, sconta una “falla”, che non pare al momento superabile: tale regime contrattuale, infatti, non conosce sanzioni, almeno fino al 31/12/2015. E’ solo, infatti, a partire dal 1/1/2016, che può applicarsi la nuova regola ex. art. 2 Codice Contratti, che sanziona il “finto” lavoro autonomo. Nello stesso tempo, è certamente da escludersi l’applicabilità dell’art. 69 D.lgs. 276/03 e le relative presunzioni di lavoro subordinato, dato che ex. art. 52.1°comma tale norma è certamente in vigore ma “esclusivamente” per le “cocopro in essere” alla data di entrata in vigore del Codice dei Contratti. Un bel rompicapo, difficilmente districabile. Si attendono, evidentemente, le istruzioni ministeriali in proposito.

Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

JOBS ACT E NUOVE COCOCO: DALL'ETERODIREZIONE ALL'ETERO ORGANIZZAZIONE

Un brevissimo flash per sintetizzare il significato (molto efficacemente compendiato in Sole 24 Ore nr. 164/2015) della riforma sulle cococo: “DALL’ETERO-DIREZIONE ALL’ETERO-ORGANIZZAZIONE”. Questo è il frutto del combinato disposto tra l’art.1 e l’art. 52.2°comma del Codice dei Contratti. L’art. 52.2°comma richiama, per la definizione-tipizzazione delle cococo, l’art. 409 cpc, con il portato della tradizionale e consolidata interpretazione giurisprudenziale, che si porta dietro. Dall’altra, l’art. 1 (in vigore, però, dall’1/1/2016) ne circoscrive la portata. Se in tempi antecedenti era decisivo per disconoscere la cocopro la prova della concreta soggezione del Collaboratore a vincoli e obblighi disciplinari (l’eterodirezione), oggi è decisivo provare che la prestazione non è auto-organizzata dal Collaboratore, quanto alle modalità di tempo e orario, ma dal Committente. Se si vuole un confronto con la precedente normativa, si può dire che il legislatore sicuramente esclude la genuinità di quelle collaborazione meramente ripetitive/meramente esecutive. Si possono riprendere, al riguardo, le esemplificazioni contenute nelle precedenti Circolari del Ministero del Lavoro, particolarmente la Circ. 29/2012 che codificavano l’incompatibilità tra la cococo e le mansioni di Imputazione Dati, di pulizie, di Barista. Restiamo comunque a disposizione per prossimi aggiornamenti e approfondimenti.

mercoledì 24 giugno 2015

DOPO IL JOBS ACT, NIENTE ASSOCIAZIONI IN PARTECIPAZIONE ANCHE SE MISTE (LAVORO+CAPITALE)

Un brevissimo flash per ricordarVi che, con la imminente entrata in vigore del Codice dei Contratti, non sarà più possibile stipulare il contratto di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro, ovvero anche con apporto misto capitale-lavoro. Così dispone l’art. 53.1°comma lett. a) del Codice dei Contratti, che, novellando l’art. 2549 del Codice Civile così dispone: «Nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro»; I contratti di associazione in partecipazione, con apporto totale o parziale di lavoro, in essere al momento dell’entrata in vigore del Codice dei Contratti, restano in vigore fino alla loro scadenza (questo riferimento testuale dovrebbe escludere, per incompatibilità logica, la possibilità che i contratti di associazione in partecipazione in essere possano essere prorogati o rinnovati). Questo il testo di interesse:
Art. 53 (Superamento dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro)
1. All’articolo 2549 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) il secondo comma è sostituito dal seguente:«Nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro»; b) il comma terzo è abrogato.
2. I contratti di associazione in partecipazione in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto, nei quali l’apporto dell’associato persona fisica consiste,in tutto o in parte, in una prestazione di lavoro, sono fatti salvi fino alla loro cessazione.
Ci riserviamo comunque ulteriori approfondimenti, atteso che la disciplina contrattuale che residua non è del tutto coerente e razionale: non si capisce, infatti, per quale ragione un contratto (incontestabilmente d’impresa, sia pure “minore”) come l’associazione in partecipazione, nel suo piccolo, affine al contratto di società, debba essere così limitato e stravolto. Se è vero, infatti, che il contratto si è prestato ad abusi, e a simulare lavoro subordinato, è altrettanto vero che nessuno ha mai avuto dubbi sulla sua utilità per regolare rapporti di sinergia organizzativa per lavoro autonomo, artigiano etc. E’ questa circostanza a sollevare più di un dubbio sulla mancanza di ragionevolezza di una disciplina che, nel colpire una fattispecie di frequente “finto” lavoro autonomo (associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro), ne colpisce un’altra dove, invece, la genuinità del lavoro autonomo è molto probabile (associazione lavoro-capitali, dove esiste un chiaro rischio di impresa, come nel contratto di società). Del resto, l’associazione “genuina” è stata, fin qui, utile per regolare sinergie di impresa/lavoro autonomo in sé ineccepibili. A disposizione per aggiornamenti

LA RIFORMA DELLE MANSIONI: IL NUOVO ART. 2103 CODICE CIVILE

Questi i principali contenuti dell’art. 3 del cd. Codice dei Contratti (D.lgs. attuativo del Jobs Act, in via di pubblicazione in Gazzetta) recante l’attesa “riforma delle mansioni”:

1) Si conferma il diritto del Lavoratore ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero a quelle acquisite attraverso lo sviluppo del proprio iter professionale;
2) Viene eliminato il riferimento alle “mansioni equivalenti” come termine obbligatorio per il mutamento discrezionale delle mansioni da parte del Datore (il cd ius variandi): con le nuove norme, è viceversa riconosciuto al Lavoratore il diritto di essere adibito a mansioni di pari livello all’interno della categoria di appartenenza, corrispondenti alle ultime effettivamente svolte N.B.: Questa modifica apre una serie di rilevanti problemi interpretativi, per la sopravvivenza di molte norme contenenti il riferimento a “mansioni equivalenti” (es. art. 4.11°comma l. 223/91; art. 4.4°comma l. 68/1999; art. 10.3°comma l. 68/1999; art. 10.3°comma l. 68/1999; art. 42.1°comma D.lgs. 81/2008; art. 15 D.lgs. 66/2003). Non è chiaro se questi riferimenti debbano intendersi abrogati (per quanto tacitamente), ovvero confermati quali leggi speciali;
3) In presenza di “variazione degli assetti organizzativi aziendali che incidano sulla posizione del Lavoratore”, il Datore può procedere al demansionamento del Dipendente a mansioni riferite all’inquadramento inferiore, ma sempre nell’ambito della stessa categoria di inquadramento (quindi, niente “scivolamenti” da Qualifica di Impiegato a Qualifica di Operaio), e con la conservazione della retribuzione “minima” in godimento (escluse indennità specifiche correlate alla mansione. Ma, sul punto, vedi precedente post “La riforma delle mansioni”);
4) Altre ipotesi di assegnazione di mansioni inferiori potranno avvenire secondo le previsioni dei contratti collettivi (N.B: La norma non parla di “contratti collettivi nazionali”, parrebbe quindi abilitare alla modifica anche i contratti ‘di secondo livello’ e ‘aziendali’: ma è bene attendere chiarimenti);
5) Sono consentiti accordi ad personam tra Azienda e Lavoratore con modifica ancora più rilevante delle mansioni e della corrispondente retribuzione (conforme al livello di inquadramento più basso), a condizione, però, che vengano stipulati nelle cd “sedi protette” ex. art. 2113 Codice Civile (Commissioni di Conciliazioni DTL e simili) finalizzati a: -Mantenimento dell’occupazione; - Acquisizione di una diversa professionalità; -Miglioramento delle condizioni di vita. N.B.: La disposizione, non poco innovativa, dovrà chiaramente essere implementata dai chiarimenti del Ministero del Lavoro, il quale dovrà anche definire quali poteri (meramente notarili, o attivi) potranno esercitare le Commissioni di Conciliazioni delle locali DTL;
6) Viene confermata la possibilità di adibire il Dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle di assunzione: l’assegnazione diviene definitiva dopo 6 mesi di esercizio continuativo della mansione superiore, ovvero per altro termine fissato dai contratti collettivi (anche aziendali, a quanto ci è dato capire), salvo diverso accordo tra le parti. Non si determina, in nessun caso, assegnazione di mansioni superiori, in caso di adibizione a mansione superiore, temporaneamente disposta per “ragioni sostitutive” di “lavoratore in servizio” (non necessariamente, come precisato dalla vecchia norma, per “sostituzione di Lavoratore, avente diritto alla conservazione del posto”). Il Dipendente, per iscritto, può rinunciare alla mansione superiore (senza passare, a quanto è dato capire, per la “sede protetta” ex. art. 2113 Codice Civile. Ma sul punto occorre prestare attenzione a possibili eccezioni di incostituzionalità);
7) Non cambia in modo sostanziale la disciplina del trasferimento, che deve essere disposto per comprovate “ragioni tecniche, sostitutive, organizzative”;
8) Viene confermata la nullità di ogni patto contrario (ovvero di demansionamento), che non avvenga all’interno delle previsioni del nuovo art. 2103 Codice Civile (specie commi 2-4). N.B.: La persistenza di questa grave sanzione per i demansionamenti illegittimi è uno degli elementi che ci deve indurre ad interpretare con prudenza e anche restrittivamente (almeno in prima applicazione) le previsioni di demansionamento previste dal Jobs Act, le quali, proprio perché in deroga ad una disciplina che resta fortemente protettiva, restano “eccezionali” e di stretta interpretazione;
9) Viene abrogato l’art. 6 l. 190/1985 Secondo tale previsione, per l’attribuzione del Livello Quadro o Dirigente, era necessario lo svolgimento della mansione superiore per almeno 3 mesi. Abrogato tale articolo, l’assegnazione di Quadri e Dirigenti a mansioni superiori viene allineata alla nuova disciplina comune.
10) Il Datore di Lavoro deve impartire, al Lavoratore che muta mansione, una adeguata formazione; la mancata formazione non determina, però, nulllità dell’assegnazione a mansione inferiore;

CCNL STUDI PROF.-I NUOVI LIMITI QUANTITATIVI DEL LAVORO A TERMINE, FLASH

Un brevissimo flash per informarVi che, con la stipula del CCNL 17/4/2015, per gli Studi Professionali, questi sono i nuovi limiti quantitativi massimi per le assunzioni a termine:

a) 3 rapporti a termine per Strutture fino a 5 Dipendenti;
b) 50% per Strutture da 6 a 15 Dipendenti (il 50% è da arrotondare al numero intero superiore degli assunti a tempo indeterminato);
c) 30% nelle Strutture con più di 15 Dipendenti (il 50% è da arrotondare al numero intero superiore degli assunti a tempo indeterminato).

La percentuale è calcolata sul numero di lavoratori a tempo indeterminato esistenti al momento dell’attivazione dei contratti a termine: qui, il CCNL deroga (e pare favorevolmente) alla legge, che, al contrario, assume, a base di calcolo, i “lavoratori fissi” in essere al 1/1 dell’anno cui le assunzioni si riferiscono.
I “limiti quantitativi” non si applicano in fase di avvio di nuove attività per i primi 18 mesi (fino a 24, se lo dispone la contrattazione territoriale), per assunzioni sostitutive, per assunzioni di lavoratori con più di 55 anni.
Sotto riportiamo il testo di CCNL di interesse.

Art. 53
(…) Ai sensi dell'art. 5, comma 3, secondo periodo, del D.Lgs. n. 368/2001, i rapporti di lavoro a tempo determinato possono essere rinnovati senza soluzione di continuità. In relazione al numero di contratti a termine attivabili, i datori di lavoro devono attenersi ai seguenti criteri: - Le strutture che occupano fino a 5 dipendenti a tempo indeterminato possono assumere fino a 3 lavoratori a termine. - Le strutture che occupano da 6 a 15 dipendenti non possono eccedere il 50 % arrotondato al numero intero superiore (es. per 7 dipendenti, fino a 4 lavoratori a termine) del numero dei lavoratori a tempo indeterminato. - Le strutture che occupano un numero di dipendenti superiore a 15 non possono eccedere, arrotondato al numero intero superiore (es. per 16 dipendenti, fino a 6 lavoratori), il limite del 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato. Il numero dei lavoratori a tempo indeterminato da utilizzare come base di calcolo per stabilire il limite di ricorso al lavoro a termine è quello esistente al momento dell'assunzione dei lavoratori a termine. Detti limiti non si applicano alle seguenti ipotesi: a) nella fase di avvio di nuove attività per i primi 18 mesi elevabili a 24 mesi dalla contrattazione territoriali; b) per ragioni di carattere sostitutivo; c) con lavoratori di età superiore a 55 anni.

A disposizione per approfondimenti

lunedì 22 giugno 2015

JOBS ACT E LAVORO INTERMITTENTE, MOMENTANEA INOPERATIVITA' DEL CONTRATTO?-AGGIORNAMENTI

Il Codice dei Contratti, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri, e in via di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, abroga l’art. 40 D.lgs. 276/03 (art. 55.1°comma lett. d). Abrogando l’art. 40, il D.lgs abroga simultaneamente il dm 30/10/2004 che, in forza di detto articolo, era stato emanato, rendendo inoperante il richiamo al RD 2657/1923 quale riferimento per individuare i “casi di ricorso al lavoro a chiamata” fissati dal Ministero del Lavoro. Attualmente, è coerente ritenere che il RD 2657/1923 non possa più operare per individuare i casi di lavoro a chiamata. Ciò determina, attualmente, una restrizione nell’utilizzazione del lavoro a chiamata nei casi di: -Lavoratori con meno di 24 anni; -Lavoratori con più di 55 anni; -Casi fissati dai CCNL (ipotesi più che marginale).

IL LAVORO A CHIAMATA, LE NOVITA' PER GLI STUDI PROFESSIONALI

IL LAVORO INTERMITTENTE NEGLI STUDI PROFESSIONALI-UNA NUOVA POSSIBILITA' OFFERTA DAL RECENTE NUOVO CCNL Il recente rinnovo del CCNL Studi Prof., per la prima volta, regolamenta per gli Studi Professionali, il lavoro intermittente. Questo speciale contratto entra a regime dal 1/4/2015, ed è immediatamente spendibile per emergenze di sicura rilevanza e attualità come: a) Dichiarazioni annuali (tipicamente redditi, IVA, Mod. 770), per Commercialisti e Consulenti del Lavoro (tipicamente); b) Archiviazione documenti (per tutti i Professionisti); c) Informatizzazione del sistema o di documenti (per tutti i Professionisti). La regolamentazione specifica è disposta dall’art. 67 CCNL ultimo rinnovo (vedi il testo completo del CCNL al link: http://www.confprofessionilavoro.eu/wp-content/uploads/2015/05/CCNL-Studi-Professionali-2015_0.pdf Si attendono sviluppi in relazione alla revisione del “lavoro a chiamata” che dovrà essere apportata dal D.lgs. di riordino delle tipologie contrattuali. Se il testo del D.lgs dovesse restare quello attualmente fissato nell’art. 12.1°comma (e che individua, nel CCNL, la fonte principale per la regolazione di tale contrattualistica), l’attuale assetto regolativo per gli Studi Prof. ne verrebbe oltremodo consolidato. Comunque, l’art. 67 CCNL sul “lavoro a chiamata”, è normativa certamente spendibile per questi mesi che vedono gli Studi (Commercialisti et simila) impegnati in Dichiarazione dei redditi e simili. A disposizione per approfondimenti

JOBS ACT, CODICE DEI CONTRATTI: COME CAMBIA IL LAVORO PART TIME

Un brevissimo flash per esporre i punti-chiave della riforma dei contratti di lavoro subordinato a tempo parziale (part time) di cui all’art. 4 del Codice dei Contratti, in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. -I CCNL fissano il limite massimo di ore di lavoro supplementare, e le conseguenze economiche connesse al suo superamento, ma non è più previsto il ricorso al lavoro supplementare al ricorrere di specifiche causali (punte di lavoro etc.); -Il rifiuto ingiustificato del Dipendente di svolgere lavoro supplementare può integrare “giusta causa” di licenziamento (mentre nel vigore dell’art. 3.3°comma D.lgs. 61/2000 il Dipendente era immune da licenziamento, in questo caso); -Il lavoro supplementare esige un consenso ad hoc nel lavoratore nel contratto di assunzione. In difetto di disciplina di CCNL, e, previo consenso del Lavoratore, il Datore potrà richiedere ore di lavoro supplementare in misura non superiore al 25% dell’orario settimanale, garantendo una maggiorazione retributiva del 25%; -Lo straordinario è ammesso senza limitazioni (prima era ammesso solo per il part time misto o verticale); -Non esiste più la distinzione tra clausole elastiche e flessibili (le une previste per i part time orizzontali, le seconde per i part time verticali). Ora, sia nel part time orizzontale, sia nel part time verticale, il Datore potrà, indifferentemente, chiedere la variazione in aumento della prestazione part time (mai superiore al 25% della “normale prestazione annua part time”) o la collocazione in fascia oraria diversa. Obbligatorio un preavviso di almeno 2 giorni, a pena di nullità delle suddette clausole. Prevista una maggiorazione del 15%, comprensiva anche degli istituti indiretti e differiti. In difetto di previa previsione nei CCNL, tali clausole potranno essere fissate solo in sede di Commissione di Certificazione! -Il lavoratore (Padre e Madre) può optare per una trasformazione part time del rapporto di lavoro, in luogo dell’astensione facoltativa per congedo parentale: in questo caso, la trasformazione deve essere operata dal Datore entro 15 gg. dalla richiesta. -Lavoratori affetti da patologie oncologiche e affetti, altresì, da malattie cronico-degenerative ingravescenti, hanno diritto a ottenere la trasformazione a tempo parziale del rapporto di lavoro (a tempo pieno), nonché di revocare il consenso a clausole elastiche e flessibili. In un secondo tempo, provvederemo a singoli focus su ogni specifico aspetto della disciplina.

giovedì 18 giugno 2015

RINNOVO CCNL COMMERCIO, IL LAVORO A TERMINE NELLE "LOCALITA' TURISTICHE"

Con il recente rinnovo del 30/3/2015, il CCNL Commercio-Terziario-Servizi prevede una speciale ipotesi di “rapporto a termine” per le Imprese Commerciali che operino il “località turistiche”. Stiamo parlando dell’art. 66bis (che riportiamo sotto). Raccomandiamo particolare prudenza rispetto a questa previsione: solo in apparenza favorevole, in realtà ricca di punti oscuri e di incognite pratiche, da disaminare con particolare cura, ove le Aziende Clienti intendessero beneficiarne. Innanzitutto, il campo di applicazione della disciplina, le cd “località turistiche”: queste saranno individuate da un apposito contratto di secondo livello. In difetto, pertanto, questa disciplina speciale di contratto a termine, non sarà attuabile. In secondo luogo, il CCNL ritaglia una previsione di “deroga” solo per i “limiti quantitativi” (inapplicabili per questa tipologia speciale di rapporti a termine), senza nulla prevedere per altri aspetti. Come documentato molto acutamente dall’approfondimento di ROBERTO CAMERA, il CCNL non permette al Datore di Lavoro di fruire di altri vantaggi connessi con la “stagionalità”. Ad esempio, non è possibile usufruire dell’esonero dell’aliquota addizionale NASPI 1,4% per rapporti a termine. Sotto riportiamo il testo contrattuale.

Art. 66 bis (Contratti a tempo determinato in località turistiche)
Le parti, preso atto che in determinate località a prevalente vocazione turistica le aziende che applicano il presente c.c.n.l., pur non esercitando attività a carattere stagionale secondo quanto previsto dall'elenco allegato al D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni, necessitano di gestire picchi di lavoro intensificati in determinati periodi dell'anno, concordano che i contratti a tempo determinato conclusi per gestire detti picchi di lavoro siano riconducibili a ragioni di stagionalità, pertanto esclusi da limitazioni quantitative ai sensi dell'art. 10, comma 7, lett. b), D.Lgs. n. 368/2001. Le parti concordano che l'individuazione delle località a prevalente vocazione turistica, ove si collocano le suddette assunzioni a tempo determinato, sia definita dalle organizzazioni territoriali aderenti alle parti stipulanti il presente c.c.n.l., con apposito accordo.

JOBS ACT E CODICE DEI CONTRATTI - LAVORO A TERMINE, NUOVE REGIME DI CALCOLO DEI 36 MESI

Un brevissimo e urgente flash per precisarVi che, con l’entrata in vigore del D.lgs. di riordino della contrattualistica flessibile, è stato modificata la consolidata “regola dei 36 mesi” introdotta nel 2009 quale limite massimo per consentire alle Aziende il ricorso ai contratti a tempo determinato. Con l’art. 19.2°comma D.lgs. di riordino delle tipologie contrattuali (testo definitivo) viene precisato che nel limite dei 36 mesi non si contano più solo i rapporti a termine aventi per oggetto “mansioni uguali o equivalenti”, ma qualunque tipo di mansione. Se precedentemente al Jobs Act, nel computo dei 36 mesi, non si sarebbero potuti cumulare rapporti a termine dello stesso Dipendente (con lo stesso Datore di Lavoro) aventi per oggetto mansioni Operaie e impiegatizie, ora … tutto fa brodo! Questa circostanza va monitorata particolarmente per rapporti di Commercio/Pubblici Esercizi, che conoscono simili fattispecie.

martedì 16 giugno 2015

SE IL DIPENDENTE RIFIUTA LA LETTERA DI LICENZIAMENTO, E' INUTILE PRECOSTITUIRE PROVE TESTIMONIALI DI AVVENUTA CONSEGNA

Può capitare che, in una vertenza di licenziamento, venga smarrita la lettera che intimava il licenziamento del Dipendente. Una circostanza particolarmente grave, se il Lavoratore, chiamato ad attestare la ricevuta a mano della raccomandata di licenziamento, rifiuti di attestare l’avvenuta ricezione. In qualche caso, i Consulenti o i Legali dell’Azienda hanno consigliato ai Datori di redigere un Verbale con la dichiarazione per testimoni circa l’avvenuta consegna (poi rifiutata) della lettera di licenziamento. Purtroppo, ai sensi dell’art. 2725 Codice Civile, la prova testimoniale è nulla e inutile per surrogare un atto (come la lettera di licenziamento) la cui forma scritta sia richiesta sotto pena di nullità e di inefficacia. A queste condizioni, pertanto, la legge (e la giurisprudenza, vedi Cass. 11479/2015) assimilano tale licenziamento al licenziamento “orale”. In questo caso, si applica la reintegra ex. art. 18 l. 300/70, anche nel vigore delle nuove regole sulle “tutele crescenti”. Nel regime delle tutele crescenti, la reintegra si applica anche alle Aziende con meno di 15 Dipendenti (art. 2.1°comma ultimo capoverso). E’ pertanto indispensabile e urgente che Aziende che seguiamo comprendano che, in caso di rifiuto del Dipendente a ricevere spontaneamente la lettera di licenziamento, è indispensabile procedere a notifica tramite il servizio pubblico postale e, nei casi più gravi, tramite Ufficiali giudiziari.

TICKET RESTAURANT: DAL 1/7 PV ESENTI FINO A € 7-FLASH

Dal 1° luglio 2015 il limite di esenzione fiscale e previdenziale applicabile ai buoni pasto elettronici, acquistati in favore di lavoratori dipendenti ed assimilati, passa da 5,29 a 7,00 euro, per ciascun buono emesso su base giornaliera (Legge di Stabilità 2015 – legge 190/2014). Il superamento del limite di esenzione comporta l’assoggettamento in busta paga di ritenute fiscali e contributi per la differenza attribuita. Nei prossimi giorni, ci attiveremo per implementare i necessari aggiornamenti, per la messa a fuoco delle nuove disposizioni di legge, e per verificare la compatibilità di tutte le previgenti interpretazioni, al riguardo.

lunedì 15 giugno 2015

JOBS ACT E RIFORMA DELLE MANSIONI: UN CASO PROBLEMATICO-FLASH

Il nuovo D.lgs. di riordino delle tipologie contrattuali approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri la settimana scorsa, come tranche molto significativa del Jobs Act, presenta una casistica particolarmente dubbia e nebulosa. Il nuovo art. 2103 Codice Civile, infatti, consente l’assegnazione del Lavoratore a mansioni anche inferiori (ma pur sempre a parità di retribuzione e nell’ambito della stessa “Categoria”, ovvero “Qualifica”) ove ricorrano “mutamenti organizzativi” suscettibili di “incidere sulla posizione del Lavoratore”. Attualmente, la norma può essere interpretata in due modi, entrambi perfettamente compatibili con il testo:
1) Il “mutamento organizzativo” deve virtualmente identificare un “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento: una problematica aziendale grave, e tale da giustificare a monti provvedimenti di licenziamento. In questo senso, si conclude che solo a queste condizioni sarebbe possibile operare il demansionamento del Dipendente: solo quale extrema ratio per evitare il licenziamento;
2) Il “mutamento organizzativo” non deve necessariamente coincidere con un “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento, potendo corrispondere a qualsiasi decisione di cambiamento, anche puramente volontaria del Datore di Lavoro, anche non necessariamente sorretta da motivi organizzativi “emergenziali”. A queste condizioni, sarebbe consentito al Datore demansionare il Dipendente, a prescindere dall’imminenza o meno di un probabile licenziamento per motivi economico/organizzativi.
Sicuramente, l’interpretazione di cui al punto 2) appare più marcatamente riformista e innovativa; viceversa, l’interpretazione di cui al punto 1) appare più conservatrice e in linea con la normativa tradizionale. E’ noto che su questo aspetto, già in sede di dibattito parlamentare, si sono alzate le barricate: già è battaglia, anche a livello legale, avendo annunciato alcune frazioni politico-sindacali di Sinistra un ricorso alla Consulta, che verosimilmente volgerebbe a vantaggio della versione più conservatrice e rigida del testo di legge. In attesa di ulteriori approfondimenti (che potranno arrivare dai Convegni, ma anche, in prima battuta, dalla Fondazione Studi CDL), e nel dubbio, riteniamo prudente conformarci all’interpretazione più restrittiva.
Questa linea di prudenza ci è suggerita dal tenore di un testo, in cui le possibilità di deroga sono costellate da molte limitazioni procedurali. La circostanza, ad esempio, che i casi di demansionamento più spinto debbano passare per le procedure di “deroga assistita” ex. art. 2113.4°comma Codice Civile, lascia pensare che il “demansionamento” per “mutamento organizzativo” (nelle ipotesi più spinte) debba sottostare a tale procedura. Ove tale procedura non è prevista, ben difficilmente il “demansionamento” può avvenire senza incorrere nelle sanzioni tuttora previste dell’impugnazione ex. art. 2113.1°comma C.C. Il che lascia pensare che i soli, veri “mutamenti organizzativi” per cui è consentito il demansionamento siano quelli in cui si profila “a monte” un “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento (e il demansionamento si profili come una ultima ratio per evitare il licenziamento). Un’ipotesi, come noto, non contemplata dal testo precedente dell’art. 2103 Codice Civile, ma già estrapolata in via di prassi (di “diritto vivente”) dalla giurisprudenza fin dagli anni ’90. In questi termini, la previsione del Jobs Act, in parte qua, equivarrebbe a mera “codificazione legislativa” del cd “diritto vivente”.
Restiamo a disposizione per aggiornamenti.
Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

venerdì 12 giugno 2015

JOBS ACT, APPROVATO IN VIA DEFINITIVA IL DECRETO SULLA CONCILIAZIONE LAVORO-FAMIGLIA

Fonte, http://www.dottrinalavoro.it/notizie-c/governo-altri-6-decreti-legislativi-sul-jobs-act-in-via-di-emanazione

IN DATA 11/6 US., IL CONSIGLIO DEI MINISTRI HA APPROVATO, IN VIA DEFINITIVA, UNO DEI DLGS ATTUATIVI DEL JOBS ACT RELATIVI ALLE DISPOSIZIONI SULLA CONCILIAZIONE LAVORO-FAMIGLIA, PER LAVORATORI PADRI E LAVORATRICI MADRI. IL DLGS E’ LEGGE DELLO STATO. UNA VOLTA PUBBLICATO IN GAZZETTA UFFICIALE DIVERRA’ PIENAMENTE ESECUTIVO. QUI DI SEGUITO, UN PRIMO SUNTO DEI PRINCIPALI CONTENUTI

Il provvedimento interviene, prevalentemente, sul testo unico a tutela della maternità (n° 151 del 26 marzo 2001), e reca misure volte a sostenere le cure parentali e a tutelare in particolare le madri lavoratrici. Il decreto interviene, innanzitutto, sul congedo obbligatorio di maternità, al fine di rendere più flessibile la possibilità di fruirne in casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato. Il decreto prevede un’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12. Quello parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età a 6 anni; per le famiglie meno abbienti tale beneficio può arrivare sino ad 8 anni. Analoga previsione viene introdotta per i casi di adozione o di affidamento. In materia di congedi di paternità, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo per i lavoratori dipendenti come attualmente previsto, la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti. Sono inoltre state introdotte norme volte a tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali. Importante l’estensione dell’istituto della automaticità delle prestazioni (ovvero l’erogazione dell’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi) anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335/95 non iscritti ad altre forme obbligatorie. Il decreto contiene due disposizioni innovative in materia di telelavoro e di donne vittime di violenza di genere. La norma sul telelavoro prevede benefici per i datori di lavoro privato che vi facciano ricorso per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti. La seconda norma introduce il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati. Si prevede la possibilità per le lavoratrici dipendenti di datore di lavoro pubblico o privato, con esclusione del lavoro domestico, nonché per le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata o continuativa di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo loro la retribuzione e gli altri istituti connessi.
A disposizione per approfondimenti

JOBS ACT, APPROVATO IN VIA DEFINITIVA IL RIORDINO DEI CONTRATTI FLESSIBILI E LA RIFORMA DELLE MANSIONI

Fonte, DPL Modena http://www.dottrinalavoro.it/notizie-c/governo-altri-6-decreti-legislativi-sul-jobs-act-in-via-di-emanazione

NELLA GIORNATA DEL 11/6 US. IL CONSIGLIO DEI MINISTRI HA APPROVATO, IN VIA DEFINITIVA, L’ATTESO D.LGS. DI RIORDINO DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI FLESSIBILI E DI RIFORMA DELLA DISCIPLINA DELLE MANSIONI. UNA VOLTA PUBBLICATO IN GAZZETTA UFFICIALE, IL DLGS DIVERRA’ PIENAMENTE ESECUTIVO. QUESTE, IN UNA PRIMA SINTESI, LE DISPOSIZIONI:

· Abolizione Co.Co.Pro.: Per quanto riguarda i contratti di collaborazione a progetto (Co. Co. Pro.), a partire dall’entrata in vigore del decreto, non potranno più esserne attivati (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal 1° gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione personali che si concretizzino in prestazioni di lavoro continuative ed etero-organizzate dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni. Con l’intento di espandere le tutele del lavoro subordinato, il decreto legislativo prevede, con effetto dal 1° gennaio 2016, un meccanismo di stabilizzazione dei collaboratori e dei lavoratori autonomi che hanno prestato attività lavorativa a favore dell’impresa.
· Abrogazione Associazione in Partecipazione: Rientra nel quadro della promozione del lavoro subordinato e del contrasto all’elusione anche l’abrogazione delle disposizioni sull’associazione in partecipazione con apporto di lavoro dell’associato persona fisica.
· Contratto a tempo determinato cui non sono apportate modifiche sostanziali.
· Contratto di somministrazione – Per il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) si prevede un’estensione del campo di applicazione, eliminando le causali e fissando al contempo un limite percentuale all’utilizzo calcolato sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato dell’impresa che vi fa ricorso (20%).
· Contratto a chiamata – Viene confermata anche l’attuale modalità tecnologica, sms, di tracciabilità dell’attivazione del contratto.
· Lavoro accessorio (voucher) – Viene elevato il tetto dell’importo per il lavoratore fino a 7.000 euro, restando comunque nei limiti della no-tax area, e verrà introdotta la tracciabilità per evitare, così, un loro uso improprio, prevedendo, da un lato, che il committente imprenditore o professionista possa acquistare il voucher solo in via telematica, dall’altro che debba comunicare preventivamente quale uso farà dei voucher, indicando il codice fiscale del lavoratore e il luogo di svolgimento della prestazione, in un arco temporale di 30 giorni.
· Apprendistato – Con la revisione della disciplina dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma – che ora assume la nuova denominazione di «apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore» – nonché dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, si pongono le basi di un «sistema duale», in cui il conseguimento dei titoli, rispettivamente, del livello secondario di istruzione e formazione e del livello terziario, potrà avvenire anche attraverso l’apprendimento presso l’impresa. Si intende, inoltre, rivitalizzare le predette due tipologie di apprendistato, che finora non hanno trovato un adeguato apprezzamento dal sistema delle imprese. Recependo, poi, la volontà espressa dal Governo nel disegno di legge «Scuola» lo schema prevede che possano accedere all’apprendistato, di durata massima quadriennale, anche gli studenti degli istituti scolastici statali per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore. · Part-time – Vengono definiti i limiti e le modalità con cui, più in assenza di previsioni al proposito del contratto collettivo, il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare seppur in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate, e le parti possono pattuire clausole elastiche (le clausole che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (le clausole che consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part- time verticale o misto), con diritto del lavoratore ad una maggiorazione onnicomprensiva della retribuzione pari al 25 per cento per le ore di cui è variata la collocazione o prestate in aumento. Viene inoltre prevista la possibilità, per il lavoratore, di richiedere il passaggio al part-time in caso di necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa alla fruizione del congedo parentale.
· Riforma delle mansioni: Viene previsto che il lavoratore può essere assegnato a qualunque mansione del livello di inquadramento, così com’è previsto nel lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione (articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001), purché rientranti nella medesima categoria e non più soltanto a mansioni «equivalenti», a mansioni, cioè, che implicano l’utilizzo della medesima professionalità. In presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri casi individuati dai contratti collettivi l’impresa potrà modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo trattamento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimento del lavoro). Viene altresì prevista la possibilità di accordi individuali, “in sede protetta”, tra datore di lavoro e lavoratore che possano prevedere la modifica anche del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.
A disposizione per approfondimenti

JOBS ACT, LA NUOVA "INFORNATA" DI DECRETI

Fonte, DPL Modena, http://www.dottrinalavoro.it/notizie-c/governo-altri-6-decreti-legislativi-sul-jobs-act-in-via-di-emanazione Nella giornata di giovedì 11 giugno, il Consiglio dei Ministri, in attuazione della delega ricevuta con l. 183/2014 ha emanato, in via definita: 1) Il decreto contenente misure per la conciliazione di lavoro e famiglia; 2) Il decreto di riordino/semplificazione delle tipologie contrattuali flessibili. Questi dlgs, in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sono legge dello Stato. Sono stati viceversa approvati in via preliminare, in attesa del vaglio delle competenti Commissioni parlamentari: 1) Razionalizzazione/Semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale; 2) Riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali; 3) Riordino dei servizi per il lavoro e politiche attive; 4) Razionalizzazione e semplificazione degli adempimenti in materia di lavoro e disposizioni in materia di pari opportunità. A disposizione per aggiornamenti

lunedì 8 giugno 2015

MANCATA CONSEGNA DEI PROSPETTI PAGA ALL'ISPETTORE DEL LAVORO: E' REATO?

Quesito (rielaborazione di www.fisco7.it, del 1/6/2015):
Tizio, Imprenditore, riceve un’Ispezione della DTL nella sua azienda. Richiesto si rifiuta di consegnare i cedolini paga dei propri Dipendenti agli Ispettori. Incorre in reato?

Risposta: Premesso che ogni ipotesi di reato va vagliata in relazione alle minute circostanze del caso concreto, l’art. 4.5-7°comma l. 628/61, il quale prescrive: “L'Ispettorato del lavoro, nell'esercizio della vigilanza e degli altri compiti di cui al presente articolo, può chiedere o rilevare ogni notizia o risultanza esistente presso gli enti pubblici ed i privati che svolgono attività dirette alla protezione sociale dei lavoratori. (…) Coloro che, legalmente richiesti dall'Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate od incomplete, sono puniti con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a lire un milione”. La Cassazione Penale (sent. 47241/2014) ha confermato che tale reato deve intendersi come reato formale che si può realizzare in due modi: - In forma omissiva, se il Datore di Lavoro (o chi per esso) non risponde alle domande dell’Ispettore; - In forma commissiva, se il Datore (o chi per esso) fornisce all’Ispettore informazioni false. Nel caso di specie, però, pare non potersi ritenere configurato il fatto tipico di reato. Il reato, infatti, riferisce la violazione a “notizie” (non date o false) all’Ispettore, non a condotte di “omessa consegna documentale”: stante l’art. 14 preleggi che vieta l’estrapolazione di previsioni di reato per mezzo dell’interpretazione analogica, la mancata consegna delle buste paga non può configurare reato: almeno, non sotto la previsione di cui sopra. Il reato, pertanto, si realizza quando il Datore di Lavoro (o chi per esso) non mette a disposizione dell’Ispettore informazioni e notizie tramite interrogazioni e richieste di chiarimenti. A margine, ricordiamo che la mancata consegna dei “cedolini paga” al Dipendente è comunque sanzionata in via amministrativa con sanzione da € 125 a € 770 ex. art. 5 l. 4/1953.

Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

OMESSA COMUNICAZIONE DI "AVVENUTA CONCILIAZIONE" AL CENTRO PER L'IMPIEGO (ART. 6 DLGS 22/2015): DA QUANDO SI APPLICA? NOTE DI DIRITTO INTERTEMPORALE

Quesito: L’art. 6.3°comma D.lgs. 22/2015 sanziona la mancata comunicazione della “avvenuta”, “non avvenuta” conciliazione (art. 6.1°comma) nel termine di 65 gg. dalla cessazione del rapporto di lavoro con la sanzione da € 100 a € 500. Come si deve ricostruire il regime “intertemporale” di tale norma? Da quando, cioè, prende ad applicarsi la sanzione? 

Risposta: Il regime “intertemporale” di tale disposizione va ricostruito coordinando art. 6.3°comma D.lgs. 22/2015 con l’art. 1. Pertanto, ricadono nel citato obbligo tutti i rapporti di lavoro cui si applichi la normativa delle cd “tutele crescenti” e cioè: 1) I rapporti di lavoro costituiti dopo il 7/3/2015; 2) I rapporti di lavoro a termine, di apprendistato antecedenti il 7/3/2015, ma trasformati in rapporti a tempo indeterminato dopo il 7/3/2015; 3) I rapporti di lavoro a tempo indeterminato costituiti prima del 7/3/2015 di Aziende che, dopo il 7/3/2015, abbiano aumentato la consistenza numerica in più di 15 Dipendenti. Si attendono, comunque, le necessarie conferme in sede ministeriale.

Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

venerdì 5 giugno 2015

INFORTUNIO INCORSO IN COSTANZA DI DISTACCO: LA RESPONSABILITA' PENALE DELL'AZIENDA DISTACCANTE

Caso: Tizio, Imprenditore edile, cede in distacco all’Impresa Pulimpianti Srl il proprio Dipendente Operaio Caio, per l’esecuzione di un rapporto di appalto. In tale ambito, Caio è chiamato a svolgere operazioni di “rabbocco” di olio in condizioni di precario equilibrio. Caio cade e muore e, nella successiva indagine penale, emergono gravi violazioni e omissioni nella normativa di Sicurezza? Chi risponde? 

Risposta (conforme a Cass. 30483/2014, Sez. IV): Per stabilire correttamente la catena di responsabilità in caso di infortuni in Azienda dovuti a cattiva o carente cura della Sicurezza, in punto di distacco, occorre partire dall’art. 3.6°comma D.lgs. 81/2008, il quale pone a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l’obbligo di informare e formare il Lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni, per le quali questo viene distaccato. Tali ultimi obblighi restano a carico del Datore di Lavoro distaccante. Ove sia dimostrato un nesso causale (art. 40 Codice Penale) tra l’omissione, da parte del Distaccante, di tali oneri di formazione-informazione e l’infortunio, allora non è possibile escludere il concorso (usualmente colposo) del distaccante medesimo nell’infortunio e, specie in caso, di morte, nel reato penale di “omicidio” (art. 571 cp). Usualmente, si incorre nella fattispecie di reato più lieve “omicidio colposo” (art. 589 Cp). In sede forense, però, lo ricordiamo, possono sempre scattare delle sorprese spiacevoli: se, ad esempio, in questo caso, si appura che il distaccante era comunque consapevole di essere “fuori legge”, con le sue omissioni, il Datore rischia l’imputazione per il più grave “omicidio doloso” per “dolo eventuale”: nei casi più gravi, cioè, stante, ovviamente le risultanze processuali disponibili, il Giudice può ritenere che l’omissione non sia avvenuta “per sbadataggine”, ma per aver accettato consapevolmente il rischio (per motivi economici) di possibili atti illeciti.
Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA