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venerdì 29 novembre 2013

FLUSSI DI INGRESSO PER LAVORATORI NON STAGIONALI: SCADENZA AL 31/12/2013

Con Circolare congiunta nr. 4119/2013, Ministero del Lavoro e Ministero dell'Interno hanno disposto la proroga al 31/12 pv., per la presentazione delle istanze di ingresso sia dei Lavoratori Extra-UE sia (che abbiano seguito specifici programmi di istruzione e formazione nei propri Paesi di origine) sia per le richieste di conversione di permessi di soggiorno CE non rilasciati dall'Italia per soggiornanti di lungo periodo.
Detta proroga incide sulla ...
(...)
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QUANDO LE MAMME POSSONO ANDARE IN PENSIONE PRIMA ...

Le Lavoratrici madri, che maturano la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo e coloro che opzionano il criterio di calcolo contributivo, e che, quindi, possono anticipare l'uscita dal lavoro fino ad un anno, devono fare i conti con i nuovi limiti anagrafici stabiliti dalla riforma Fornero. Questo è quanto precisato dall'INPS nel messaggio nr. 18730/2013: in tale Messaggio, l'Istituto risponde ad alcune richieste di chiarimenti sull'argomento pervenute ai propri uffici periferici.
Per quanto riguarda, più specificamente, le Lavoratrici Madri, l'art. 01.40°comma l. 335/1995 (riforma Dini) riconosce a queste ...
(...)
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LAVORO GRATUITO PER IL NEO-LAUREATO: POSSIBILE?

Quesito:
Appena laureata in Giurisprudenza, ho ricevuto l'offerta di impiego presso l'Ufficio Legale di un grande Sindacato ... gratis! E' mai possibile che ai neo-laureati si debbano proporre schifezze del genere?
 
Risposta:
Innanzitutto, non ho capito: Le è stata offerta un'opportunità come Segretaria, ovvero un'opportunità di "pratica" legale? Le cose cambiano, evidentemente ... Nel primo caso, il lavoro deve svolgersi (se si esclude il lavoro subordinato) nella forma dello stage così come riformato dalla l. 92/2012 (Monti-Fornero), dall'accordo Stato-Regione 24/01/2013 e dalle eventuali leggi regionali, che implicano: a) L'obbligo per l'Ospitante di aprire una posizione INAIL; b) L'obbligo di redigere un progetto informativo; c) Il divieto di impiego di tirocini per sostituzione di personale assente (es. maternità); d) L'obbligo di corrispondere una "indennità di partecipazione" non inferiore a € 300 mensili lorde.
Se invece si tratta di "pratica professionale" per Avvocato, si deve seguire l'apposito regolamento forense.
Precisiamo che in sè il "lavoro gratuito", specie presso grosse organizzazioni fortemente motivate sul piano "etico-sociale", non è necessariamente un'eresia: la disponibilità a lavorare gratis può essere un modo per evidenziare l'attaccamento alla causa del volontario-professionista, senza contare i motivi di opportunità (non solo per l'Ospitante), ma anche per il Tirocinante, che potrebbe utilizzare la "gratuità" come utile "scudo" per non "bruciarsi", nella complessità delle funzioni che certe professioni (come quella del Legale) inevitabilmente implicano.
Essenziale, però, la chiarezza e la massima sincerità tra le Parti, onde evitare l'insorgere di rapporti troppo distorti o sbilanciati a favore di chi utilizza la prestazione del neo-laureato.
 

COME INCIDE LA FORMAZIONE DELL'APPRENDISTA NELLE ISPEZIONI-IL QUADRO DOPO IL DL LAVORO

Quesito:
Sono un Consulente del Lavoro e sono sconcertato dalla confusione che regna sul nuovo apprendistato. Riesce, per cortesia, a riepilogarmi il senso delle ultime novità?
 
Risposte:
L'ermetismo, che Lei giustamente accusa, nasce dalla oltremodo pessima e deprecabile tecnica legislativa adottata, in punto di apprendistato, dal DL Lavoro, che ha inizialmente previsto dei "principi" per l'emanazione di apposite Linee Guida da parte della Conferenza Stato-Regione; norme, quindi, non immediatamente operative (no self executing). Senonchè, in sede di conversione, queste norme, pure se generiche e chiaramente non adatte all'immediata applicazione, sono state dichiarate esecutive al 01/10/2013, in difetto di Linee Guida, con ciò costringendo Aziende e Consulenti del lavoro alla "quadratura del cerchio" o meglio alla "distillazione della pietra filosofale": tale è, infatti, la pretesa legislativa di chiedere alloperatore di applicare come "esecutive" (executing) norme che, in realtà, non lo sono (perchè no self executing).
Dopo i primi (ma problematici) tentativi di chiarimento della Circolare del Ministero del Lavoro nr. 35/2013, sono in dirittura di arrivo le Linee Guida che qualche indicazione in più paiono proprio darla.
Sulle Linee Guida, si segnala il pregevolissimo commento di DE FUSCO-FAZIO ne Il Sole 24 Ore del 25/11/2013 nello speciale Il nuovo apprendistato.
Secondo questa ricostruzione (che per altro segue gli auspici da Noi avanzati in questo Blog), la riforma ha inteso rimodulare l'obbligatorietà della formazione, precisando che, fermo restando il generale obbligo dell'Azienda di sottostare alla formazione regionale comprensiva delle ore di formazione di base e trasversale, la trasformazione del rapporto di apprendistato in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tout court avviene solo se l'Azienda disattende la formazione tecnico-professionale (oltre ad applicarsi la maggiorazione del 100% dei contributi INPS dovuti ex. art. 07 D.lgs. 167/2011 e già art. 53.04°comma D.lgs. 276/2003).
Se le infrazioni, riguardano le ore di formazione di base e trasversale, si applicheranno le relative (lievi) sanzioni amministrative e la carenza può essere valutata sul piano dell'inadempimento formativo, ma rimediabile, non tale da stravolgere la funzionalità dell'apprendistato.
Se queste ragionevoli ed equilibrate considerazioni verranno recepite e consolidate nella prassi, la semplificazione dell'apprendistato sarebbe notevole, e ne trarrebbero beneficio enorme sia le PMI sia i Lavoratori.
 
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro


giovedì 28 novembre 2013

IL LAVORATORE DIPENDENTE FULL TIME PUO' LAVORARE CON VOUCHER NEL FINE SETTIMANA?

Quesito:
Buongiorno, un lavoratore full time potrebbe prestare occasionalmente attività lavorativa durante il giorno di riposo ed essere remunerato con il voucher ? (naturalmente si intende presso una altro datore di lavoro) Oppure vi sono dei limiti soggettivi? 
 
Risposta:
La legge 92/2012 ha ammesso la possibilità di ricorrere al "lavoro accessorio" (voucher) ...
(...)

ACCORDO DI PREPENSIONAMENTO: SE LE "FINESTRE DI ACCESSO ALLA PENSIONE" CAMBIANO NEL CORSO DELL'ACCORDO

Quesito:
Leggendo il Vs. contributo di analisi sull'accordo di "prepensionamento" ex. art. 04.01°comma ss. l. 92/2012, unitamente alla Circolare 16/2013 della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, mi è venuto un dubbio. Se nell'arco dei quattro anni, dovessero mutare le "finestre pensionistiche" e quindi mutare la pianificazione pensionistica che ha sorretto l'accordo, l'accordo rimane in essere per i 48 mesi per cui è programmata la prestazione, ovvero fino alla maturazione della finestra pensionistica? Grazie.

Risposta:
Lei tocca un punto controverso, non a caso oggetto delle considerazioni dei Consulenti del Lavoro.
I Consulenti ritengono di poter ritrovare, in relazione al contesto politico-sociale presupposto nell'approvazione della riforma Monti-Fornero, caratterizzato dall'emergenza "esodati", l'implicita regola per cui l'accordo si prolunga implicitamente fino alla maturazione della finestra pensionistica vigente al momento dell'accordo di prepensionamento. Un'interpretazione improntata ad equità, che rinviene nell'accordo un' "efficacia prenotativa" della pensione pensionistica, politicamente impegnata (e impegnativa), ma non adeguatamente supportabile sul piano tecnico.
Con tutta la deferenza e il rispetto dovuto alla Fondazione Studi, Noi non ci ritroviamo (almeno per ora) in questa interpretazione, secondo un percorso già ampiamente delineato nel ns. post di giovedì scorso (vedi: http://costidellavoro.blogspot.it/2013/11/accordo-di-prepensionamento-la.html). Una breve scorsa al testo della normativa di legge rende chiaro e non suscettibile di equivoco questo aspetto: il comma 01 dell'art. 04 citato definisce la finalità dell'accordo come finalizzata al "al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento", avendo, però, cura di precisare, al secondo comma, che detti "requisiti minimi" sono "i requisiti minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipato, nei quattro anni successivi alla cessazione dal rapporto di lavoro". In assenza di specifiche disposizioni, questi "requisiti" non possono che essere definiti se non con riferimento ai requisiti pro tempore vigenti in base alle disposizioni di legge e non a quelli in vigore al momento dell'accordo. I "requisiti di pensione" afferiscono al diritto oggettivo, essendo materia di diritto pubblico, e, in assenza di deroghe legislativo, non possono intendersi a "disposizione" dall'autonomia privata.
La stessa INPS al punto 05 (pure nel passo citato dalla Fondazione Studi) conferma inequivocabilmente questo dato, quando recita: "Nel caso in cui intervengano modifiche normative che innalzino i requisiti di accesso al trattamento pensionistico, nonché nel caso di incremento dell'aspettativa di vita superiore a quello - tempo per tempo - previsto dalla tabella tecnica di accompagnamento al decreto legge n. 201/2011, a favore dei soggetti già titolari di prestazione, l'erogazione di quest'ultima proseguirà per l'ulteriore necessario periodo, fermo restando il limite dei 48 mesi, a carico del datore di lavoro esodante, anche con l'eventuale rimodulazione dell'importo della garanzia fideiussoria". Questa disposizione tratta del caso in cui l'accordo di prepensionamento sia modulato su un percorso temporale inferiore al massimo previsto di 48 mesi, stabilendo che, ove la legge allunghi il requisito di accesso, questo periodo può allungarsi ma solo fino a 48 mesi, non oltre.
Il che presuppone due dati essenziali di Ns. interesse:

a) Le "finestre" restano determinate dalla legge, senza che l'accordo possa assolutamente "prenotarle" (diversamente, questo passaggio INPS non avrebbe alcun significato);
b) I 48 mesi di prestazione sono un termine massimo, e, stante la tipicità legale della prestazione, in quanto "prestazione sociale", non è previsto (nè possibile) allungare il periodo coperto da prestazione oltre i 48 mesi.

Questo fino a diversa indicazione interpretativa ministeriale.

Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro

 

DIPENDENTE TAMPONATO MENTRE SVOLGE LAVORO ALL'ESTERO: CHI RICONOSCE L'INFORTUNIO SUL LAVORO?

Quesito:
Sono stata tamponata mentre svolgevo lavoro (dipendente) all'estero e ho accusato una serie di problemi nei giorni successivi. Chi mi deve riconoscere la malattia professionale: lo Stato Italiano, o lo Stato Estero?
 
Risposta:
La risposta al Suo quesito presuppone la risoluzione di due profili preliminari:
 
a) Presupposto/Titolo contrattuale e giuridico legittimante la permanenza all'estero, in relazione alle disposizioni del lavoro dipendente;
b)  L'individuazione della qualità dello Stato dove è avvenuto l'infortunio, se Comunitario (UE) o Extra-Comunitario (Extra UE): ciò consentirà l'applicazione del Reg. CE per la Sicurezza Sociale Reg. 1403/1971 (se lo Stato è UE), ovvero l'applicazione della speciale convenzione di Sicurezza Sociale (per Stati Extra UE), in mancanza, il DL 317/1987.
 
Il primo profilo preliminare è l'individuazione del titolo/presupposto contrattuale giustificativo della Sua permanenza all'estero. Trattasi di semplice "trasferta"? ovvero di "stabile occupazione" nel territorio dello Stato Estero? Ovvero di "temporaneo distacco" nello Stato Estero?
In secondo luogo, se lo Stato dove è svolta l'attività è uno Stato UE la disciplina applicabile ai fini della gestione dell'infortunio professionale e del relativo indennizzo, resta applicabile la disciplina italiana (DPR 1124/1965):
 
a) In caso di mera "trasferta" (lavoro svolto occasionalmente all'estero, con consegne specifiche e limitate);
b) In caso di distacco per non più di 12 mesi (prorogabile di altri 12, ovvero alla fine del lavoro, secondo le procedure di cui al Regolamento), purchè il distacco non sia motivato dalla necessità di sostituire un lavoratore nello Stato estero e sia gestito con le specifiche amministrative (Mod. PD-DA1).
 
L’INAIL, in quest'ultimo caso, però, deve comunque ricevere comunicazione dell’avvenuto distacco dei lavoratori all’estero, sia per consentire di valutare se la lavorazione che i lavoratori distaccati svolgeranno all’estero rientri nel rischio per il quale è stata istituita la posizione assicurativa, sia perché in caso di infortunio o malattia professionale verificatisi durante il distacco, l’Inail ricevuta la denuncia deve attestare alla ASL la qualità di lavoratore assicurato ai sensi del TU affinchè l’ASL possa notificarlo all’Istituto straniero preposto alle prestazioni sanitarie ed assumerle a proprio carico.
In tutti gli altri casi, ovvero nei casi di "stabile occupazione" del lavoratore italiano alle dipendenze del Paese estero, si applica la disciplina dello Stato dove l'attività viene esercitata.
Viceversa, se lo Stato dove è svolta l'attività sia uno Stato Extra UE occorre verificare se esista una Convenzione specifica di Sicurezza Sociale e seguire le disposizioni amministrative e previdenziali lì dettate.
In assenza, si applicano le disposizioni del DL 317/1987.
In particolare, l'art. 3, comma 3, l. 398/87 prevede che, per la malattia o l'infortunio o la malattia professionale venga corrisposta al lavoratore una prestazione da parte dell'ente straniero presso il quale è obbligatoriamente iscritto in forza della legge locale, l'Istituto previdenziale italiano erogatore di analoga prestazione economica riduce quest'ultima in maniera corrispondente. qualora nello Stato estero sia obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali ed il datore di lavoro dimostri di aver ottemperato ai relativi obblighi, i predetti valori possono essere ridotti, in misura corrispondente, con Decreto del Ministro del Lavoro. E' previsto, inoltre, che la tabella delle malattie professionali vigente in Italia può essere aggiornata con apposito Decreto del Ministro del Lavoro in relazione alle tecnopatie proprie delle aree geografiche dove i lavoratori svolgono la propria attività (art. 3, comma 1, lett. a), legge 398/1987). Infine, ai sensi dell'art. 3, comma 4, legge 398/1987, i datori di lavoro devono anticipare le prestazioni economiche di malattia e maternità (che sono poi conguagliate in conformità della legislazione nazionale dal datore di lavoro con i contributi dovuti), nonché le prestazioni economiche di indennità temporanea e assoluta dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali che sono rimborsate trimestralmente dall'INAL).
Inoltre, l’articolo 1 della legge 398/1987,in conseguenza della menzionata sentenza di incostituzionalità, ha previsto una specifica disciplina per tali lavoratori operanti all'Estero, a decorrere dal 9 gennaio 1986, consistente in un premio, da corrispondere all'INAIL che dal 1° gennaio 2001 è determinato sulla base delle quattro tariffe vigenti in Italia per tutti gli altri lavoratori, e di una base imponibile costituita da specifiche retribuzioni convenzionali. Dunque ad essi garantisce una serie di tutele.
Queste sono le coordinate principali di riferimento, entro quali si potrà "incasellare" la Sua personale casistica.
Buona giornata
 

mercoledì 27 novembre 2013

IL DATORE PUO' CONOSCERE COSA I DIPENDENTI HANNO RIFERITO ALL'ISPETTORATO DEL LAVORO?

Quesito:
Nel caso subissi un'Ispezione nella mia Azienda, e gli Ispettori interrogassero i Dipendenti, potrei accedere alle loro dichiarazioni?
 
Risposta:
Usualmente, l'Ispettorato oppone le prerogative al segreto riconosciutegli dal discusso dm 775/1994, che restringe i casi di accesso del Datore alle dichiarazioni rese dal Dipendente nel corso delle ispezioni, rimettendole alla valutazione dell'Ispettorato medesimo. Segreto che è funzionale ad evitare la reticenza del Lavoratore, altrimenti inevitabile, se al Datore fosse permesso di "intercettare" indiscriminatamente il proprio Dipendente.
Qualche volta, il Datore riesce a percepire le dichiarazioni rese dal Dipendente, se è questi a fare richiesta del Verbale contenente tali dichiarazioni (che qualche volta è rilasciato dalla DTL).
Sul punto, si registra da decenni ormai un'annosa diatriba giurisprudenziale, i cui ultimi assestamenti sono stati oggetto delle disposizioni di cui alla Circolare Ministero del Lavoro nr. 43/2013, che, sulla scia delle ultime pronunce del Consiglio di Stato 4035/2013, ha confermato (come orientamento uniforme) l'indicazione  per i servizi ispettivi di operare un "bilanciamento" tra tutela alla riservatezza dei Lavoratori e diritto alla difesa del Datore.
Non esistono, pertanto, atti a priori accessibili al Datore di Lavoro, ma atti individuati come "accessibili" solo dopo una valutazione discrezionale della DTL, condotta secondo i crismi della "discrezionalità amministrativa".
L'interesse del Datore all'accesso alle dichiarazioni del Lavoratore può "prevalere", solo se il Datore eccepisca la non sufficiente tutela delle proprie esigenze difensive-giurisdizionali a fronte delle informazioni del Verbale (debitamente motivate). Circostanza quest'ultima che (va detto) contribuisce a circoscrivere (e di molto) i casi di possibile accesso del Datore alle dichiarazioni del Lavoratore, anche per la tendenza sempre più marcata delle prassi ispettive alla conduzione di istruttorie in cui il lato documentale (LUL etc.) è prevalente (anche per gli sviluppi legislativi che favoriscono queste tecniche istruttorie: vedi riforma del "lavoro a progetto").
 
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro

SE LA COLF E' IRREPERIBILE, ISTRUZIONI PER IL LICENZIAMENTO

Quesito:
Cosa posso fare se ho intenzione di licenziare la Badante (convivente con mia mamma), ed essa si è resa irreperibile?
 
Risposta:
In questo caso, ai fini di chiarezza del rapporto, consigliamo di trattare la Badante come fosse dimissionaria, potendosi arguire ciò eventualmente dal ripetuto silenzio, dall'eventuale rifiuto di contattare l'Ex-Datore di Lavoro etc. In questo caso, conviene che il Datore invii all'ultimo domicilio noto della Badante una raccomandata, contenente l'invito a presentarsi avanti la DTL per la convalida (art. 04.20°comma l. 92/2012), con formale convocazione.
Se la Badante non si presenta nei 07 gg., il rapporto si considera formalmente risolto.
Medio tempore, non spetta nulla in termini economici, per espressa disposizione dell'art. 04.21°comma.
Questa procedura ha il vantaggio della certezza giuridica.
Il rischio che la Badante si presenti avanti alla DTL a rifiutare le dimissioni (pure esistente) è, a ns. esperienza, minimo, perchè la Badante, nella stragrande maggioranza dei casi, non può o non ha interesse a presentarsi: perchè è all'estero, quindi, non potrebbe evidentemente muoversi, ovvero perchè lavora da altra parte (di solito "in nero") e, quindi, non ha interesse a correre il rischio di "compromettersi" davanti ad un Ufficio Pubblico.
In ogni caso, resta sempre la "valvola di sfogo" del licenziamento, che è libero nel settore domestico, non coperto, cioè, dai noti vincoli alla recedibilità ex. l. 604/1966 e l. 300/1970, e che nessuna norma di legge vieta possa essere conseguente o addirittura concomitante alla convalida delle dimissioni.
Anzi, la circostanza che il licenziamento possa essere disposto in sede di DTL può essere un vantaggio per il Datore di Lavoro, che, specie nei casi di irreperibilità, può chiamare a testimonio l'Ufficio della legittimità del licenziamento e ottenere così quella certezza di fine rapporto che, altrimenti, sarebbe molto onerosa da conseguire.
 

martedì 26 novembre 2013

PICCOLA MOBILITA': LA BEFFA DEGLI ASSUNTI NEL 2012

Quesito:
In ottobre 2012 ho assunto dalla mobilità ("piccola") una Dipendente, ma l'INPS mi ha negato il finanziamento dell'agevolazione per il 2013, sostenendo l'assenza di copertura finanziaria. Ma come è possibile? Io mi sono avvalso dei benefici quando l'agevolazione era ancora riconosciuta dalla legge! Cosa posso fare?

Risposta:
Associazioni di Categoria si stanno mobilitando per avere ragione di questo problema, indotto dal mancato riconoscimento della copertura finanziaria per la "piccola mobilità" da parte della legge di stabilità del 2013. Sul tema da Lei sollevato, comunque, l'INPS ha preso una posizione molto netta, con Msg 18639/2013, sostenendo l'impossibilità di riconoscere per il 2013 le agevolazioni per la "piccola mobilità" anche se le assunzioni sono state effettuate nel 2012, prima dell'agevolazione. La disposizione, evidentemente, si presta a notevoli dubbi ed eccezioni sul piano dell'irretroattività delle leggi (art. 11 preleggi) e della ragionevolezza (art. 3 Cost.). Al momento, però, occorre attendere gli sviluppi.

INCENTIVO ALL'ESODO NON SOGGETTO A CONTRIBUTI INPS: A QUALI CONDIZIONI?

Quesito:
Dopo lunga trattativa, la mia Azienda è riuscita a "liberarsi" di un Dipendente, riconoscendogli un incentivo all'esodo che andrà in parte a finanziare un piano di prosecuzione volontaria di contributi INPS, dato che l'interessato tra poco maturerà il diritto a pensione. Tale incentivo rientra, secondo Lei, tra quelli esenti da contribuzione INPS ex. art. 12 l. 153/1969? Grazie.

Risposta:
L'art. 12 l. 153/1969 (come da Circolare INPS 326/1997) riconosce l'esenzione da contributi INPS alle somme di "incentivo all'esodo" accordate dall'Azienda al Dipendente per favorire la risoluzione di rapporti di lavoro subordinato coperti dal regime della stabilità. Questa "stabilità" è intesa in senso abbastanza largo dalla Circolare INPS nominata, ricomprendendo anche le Aziende con meno di 15 Dipendenti, coperte dalla legge 604/1966 limitativa dei licenziamenti nel segno della cd "tutela obbligatoria". Evidentemente, se la Sua Azienda vi ricade (non abbiamo motivi per ritenere il contrario), essa potrà beneficiare dell'esenzione dei contributi INPS nei termini di cui alla Circolare.

venerdì 22 novembre 2013

ACCORDO DI PREPENSIONAMENTO: LA PRESTAZIONE INPS A FAVORE DEL LAVORATORE, UN NUOVO RISCHIO "ESODATI"?- 2a PARTE

AVVERTENZA: Prosegue il commento dell'art. 04.01-07ter comma l. 92/2012 relativa al cd accordo per il prepensionamento. La prima parte dell'analisi era stata pubblicata al link http://costidellavoro.blogspot.it/2013/10/accordi-prepensionamento-art-0401comma.html



            La principale fonte di complessità della normativa discende dalla combinazione di istituti privatistici e pubblicistici in una congerie complessa.
            Innanzitutto, l’articolato mette in campo una congerie negoziale alquanto complessa.
Dal comma qui in esame, ci si accorge ancora più agevolmente che l’accordo di prepensionamento ex. art. 04.01-07ter comma l. 92/2012 si compone di due atti, ovvero due negozi giuridici correlati:

a)      Il negozio giuridico espulsivo (licenziamento o risoluzione consensuale);
b)      L’ “impegno” del Datore a corrispondere una “prestazione di importo pari al trattamento di pensione, che spetterebbe in base alle regole vigenti” (assimilabile latu sensu ad una “promessa del fatto di terzo”, dove il “terzo”, qui, non è un privato, ma un Ente Previdenziale!

Un negozio giuridico certamente composito, che non è semplice catalogare nelle classiche partizioni del “negozio composto” o del “negozio complesso” tanto care ai civilisti.
Ancora meno chiara è la combinazione di questi istituti con la definizione/liquidazione della prestazione: essa, scorrendo l’art. 04.02°comma, resta da definirsi secondo i consueti parametri “pubblicistici” proprie della prestazioni previdenziali.
Ma andiamo con ordine.

Compariamo l’inciso del comma 01 con il comma 02 dell’art. 04 l. 92/2012:

Comma 01:
Il Datore di Lavoro si impegn[a] a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti e a corrispondere all’INPS la contribuzione figurativa fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento”.

Comma 02:
I Lavoratori coinvolti nel programma di cui al comma 01 debbono raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipata, nei quattro anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro”.

La “validazione” della “prestazione” da parte dell’INPS, poi, determina un ulteriore obbligo in capo al Datore, come emerge dal comma 05:

A seguito dell’accettazione dell’accordo di cui al comma 01, il Datore di Lavoro è obbligato a versare mensilmente all’INPS la provvista per la prestazione e per la contribuzione figurativa. In ogni caso, in assenza del versamento mensile di cui al presente comma, l’INPS è tenuto a non erogare le prestazioni”.

Il riferimento all’ “accettazione” non deve trarre in inganno.
Il diritto del Lavoratore alla percezione della prestazione non sorge dall’accordo, ma dalla “validazione” (comma 03) dello stesso da parte dell’INPS, che ne accerta la sussistenza sotto i profili contributivi ex. comma 02.
Non si creda che la prestazione nasca dall’accordo, perché la prestazione resta di carattere previdenziale e pubblicistico, come si capisce dal comma 06, in cui si precisa che, in caso di mancati pagamenti, la prestazione è equiparata, quanto a riscossione, alle altre procedure pensionistiche.
Che siamo a tutta evidenza in presenza di un rapporto previdenziale-pubblicistico, lo dimostrano le prime Circolari e i successivi messaggi INPS, secondo i quali la “validazione” dell’accordo ex. comma 04 determina in capo al Lavoratore il diritto a percepire da parte dell’INPS una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, in ragione dell’anzianità contributiva e delle retribuzioni percepite fino a quel momento. Debitore della prestazione è quindi l’Ente Pubblico (INPS).
Correlata a questa posizione dell’INPS, scaturiscono tre rilevanti oneri tipicamente “contributivi” del Datore di Lavoro:

a)      Fornire la “provvista” della prestazione;
b)      Versare la “contribuzione figurativa” a favore del Lavoratore, fino al raggiungimento degli obiettivi pensionistici.
c)      Emissione di fideiussione bancaria.

Certo, la prestazione di cui parla il comma 01 è una prestazione diversa e distinta dalla prestazione pensionistica in senso stretto.
Circa la natura della prestazione economica che il Lavoratore percepisce, l’INPS, con Messaggio nr. 14984/2013 ha chiarito trattarsi di “prestazione a sostegno del reddito”.
Questa qualificazione determina, nelle valutazioni INPS, una serie di effetti a catena sul regime di “reversibilità” e sul trattamento per gli Assegni Familiari.
In punto di “reversibilità”, l’INPS ha avuto modo di precisare che, al momento del recesso del beneficiario ai superstiti non spetterà il relativo trattamento di reversibilità, ma una pensione indiretta, il cui importo è determinato sia dagli elementi contributivi e retributivi rilevanti al momento della cessazione del rapporto di lavoro, sia dalla contribuzione figurativa correlata, accreditata fino al momento del decesso.
Sull’importo della stessa, non spetta la perequazione automatica, né spettano gli assegni familiari, così come non possono essere effettuate ritenute per il pagamento di oneri per riscatti e ricongiunzioni, che devono quindi essere interamente versati prima dell’accesso alla prestazione.
C’è, però, in tutto questo, un rilevante problema.
La fattispecie è stata concepita per evitare che in futuro potessero ripetersi gli odiosi eventi come quello degli “esodati”. Davvero questa soluzione legislativa evita il problema?
C’è più di un motivo per dubitare, complice proprio le rilevanti carenze tecniche della disposizione in esame.
Innanzitutto, l’art. 04.01 ss l. 92/2012 non contiene alcuna clausola di salvaguardia che escluda l’applicazione di eventuali sopravvenuti nuovi requisiti di accesso agli accordi precedentemente intervenuti nei primi 04 anni. Una disposizione quanto mai necessaria, dato che questi aspetti attengono alla struttura “pubblicistica” della norma previdenziale, che opera autonomamente e al di sopra degli accordi. Né gli accordi in se possono compendiare una “prenotazione” di questi requisiti pubblicistici, per strutturale insufficienza tecnica (altra cosa è la valenza simbolico-politico-sindacale degli accordi!).
La riprova di quanto andiamo dicendo, la troviamo, tra l’altro, nel punto 05 della Circolare INPS 119/2013. Tale punto chiarisce che il diritto e la misura della pensione definitiva saranno determinati in base alla normativa in vigore alla data di decorrenza della medesima.
Senonchè si sarebbe costretti a compendiare le eventuali restrizioni nell’accesso pensionistico a ius superveniens!
La problematica degli esodati si riproporrebbe?
La riflessione va articolata e approfondita e, sotto questo profilo, “casca” particolarmente bene l’esegesi del comma 02 dell’articolo 04 cit. il quale dispone:

I Lavoratori coinvolti nel programma di cui al comma 01 debbono raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipata, nei quattro anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro”.
           
            Per la valutazione in dettaglio dei requisiti e del coordinamento con le recenti disposizioni dell’art. 24 DL 214/2011 si veda Circolare Fondazione Studi Consulenti del Lavoro numero 12/2013, sezione “ambito di applicazione e oggetto” al link: http://www.consulentidellavoro.it/pdf/fondazionestudi/circolare_12_2013.pdf.
            In sintesi, la legge dispone che, al momento dell’accordo, deve essere possibile pianificare il raggiungimento dei requisiti “minimi” (anagrafici e anzianità contributiva) per il pensionamento. Tutto questo, evidentemente a normativa pro tempore vigente (come del resto conferma lo stesso comma 01, quando riferisce il trattamento del Lavoratore a “regole vigenti”). Da questo punto di vista, se i conteggi sono corretti, non dovrebbero esserci sorprese almeno sotto il profilo della “prestazione” ex. art. 04.01°comma che resta spettante, anche se frattanto mutano i requisiti di accesso alla pensione, in senso più sfavorevole!
            Resta da capire (punto sul quale si interroga anche la Circolare 12/2013) della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che ne sarebbe della prestazione nel caso in cui il Lavoratore trovi un’altra occupazione?
Qui, le difficoltà (e talora) lo sbandamento di INPS e Ministero del Lavoro si mostrano con evidenza! In merito al suddetto caso, infatti, l’INPS conclude che, non avendo il legislatore previsto l’adeguamento della prestazione alla sopravvenuta retribuzione, il trattamento “pieno” continua a spettare. Un’affermazione che prova … tutto e niente! Perché o il trattamento de quo si qualifica come “pensione” (anticipata) e allora esso deve essere inteso come tale a tutti gli effetti come reversibilità, assegni familiari etc. (ma allora non si capisce perché la Circolare abbia escluso questa possibilità); ovvero il trattamento si qualifica (come del resto indicato nella Circolare) come “prestazione a sostegno del reddito”; ma allora, ci si aspetterebbe che la stessa, assimilabile, in questo a CIG, si presti ad essere adeguata alla retribuzione frattanto percepita. La circostanza che la legge nulla disponga non dovrebbe costituire fatto impeditivo, anzi dovrebbe valere come conferma di questo che è un autentico “principio generale”.
Il fatto è che, se la legge non è tecnicamente in grado di incidere sui requisiti di accesso al pensionamento, difettando una speciale disposizione di “congelamento” della carriera previdenziale del Lavoratore (che l’accordo in sé non può conseguire, attesa la valenza pubblicistica di questi aspetti), simili prese di posizione dell’INPS sono perfettamente inutili e anzi determinano trattamenti di eccessivo favore, rispetto agli altri percettori di prestazioni a sostegno del reddito (al limite, potrebbero darsi accordi simulati per speculare sui doppi emolumenti: retributivo e previdenziale!).
            Nell’ipotesi (non poi così estrema) in cui il Lavoratore dovesse trovare un’altra occupazione perfettamente sovrapponibile alla prestazione, a rigore, dovrebbe scaturire la totale cancellazione del trattamento (per evidente e sopraggiunto “difetto di causa” ex. art. 1342 Codice Civile) e la nuova decorrenza della carriera previdenziale del Lavoratore, soggiacendo egli ad eventuali restrizioni sopraggiunte.
            La mia personale impressione è che in questo punto sia avvenuto un corto circuito tra la “percezione politico-sociale” della materia e la sua dimensione “tecnico-normativa”.
            Nessun dubbio che l’INPS, aderendo alla impostazione apparentemente più lassista e generosa, e allo scopo di evitare “scoperture” nella carriera contributivo-pensionistica dei Dipendenti, abbia inteso realizzare una politica di massimo favore verso la rioccupazione dei lavoratori. Mettendo in conto che, anche “sotto trattamento”, i Dipendenti possono lavorare “in nero”, l’INPS ha forse creduto di aderire all’impostazione che creasse meno remore all’emersione dei redditi e dei contributi di lavoratori, che, come tali, restano a rischio “esodati” (se non altro per il rischio di essere “scoperti” nell’anello finale della procedura). Ma se questi obiettivi in sé sono apprezzabili e commendevoli nelle intenzioni, essi rientrano nella sfera di auto-responsabilità del Lavoratore, e allora la tutela INPS in parte qua è manifestamente sovrabbondante.
            Delle due l’una: o l’accordo è una misura di sostegno al reddito di soggetti, praticamente in occupabili; ma allora, non si capisce perché il trattamento dovrebbe spettare, anche se il soggetto lavora, dato che, con la rioccupazione, viene meno, magari pro parte, la ragione di sostegno al reddito. O l’accordo è un atto che prefigura un prepensionamento: e allora è coerente, dato il consolidarsi in capo al soggetto pensionato di una rendita ridotta, non è iniquo concepire un cumulo reddituale (a maggior ragione in un sistema “contributivo” dall’applicazione ormai generalizzata!).
            Ma la legge sullo specifico punto non è chiara, probabilmente a causa di compromessi politici che l’hanno contrassegnata in sede parlamentare e che hanno impedito lo scioglimento in quella sede dei nodi socialmente più spinosi.
            Né del resto aiuta la complicata e contorta veste tecnica adottata dal legislatore. Le conclamate carenze tecniche qui evidenziate sono, a mio modesto giudizio, il portato del farraginoso e complesso sistema creato dal legislatore, il quale ha confezionato una fattispecie, a metà tra le “procedure consensuali-negoziali” e le “procedure previdenziali-pubblicistiche”, restando fatalmente impigliato nell’intricata e poco decifrabile costruzione da esso fabbricata.
           

E’ proprio questa non chiara combinazione a porre problemi di tutela del Lavoratore, come evidenziato nel commento del comma 01. Deve, cioè, essere chiarito se la mancanza dell’anello finale della catena negoziale (la non spettanza della prestazione, deliberata/accertata dall’INPS) determini la caduta dell’intera serie di atti giuridici, ovvero la parziale salvaguardia dei negozi giuridici già perfezionati.
In quest’ultimo senso, si sono mosse le prime Circolari, quelle del Ministero del Lavoro e dell’INPS, che hanno ritenuto l’accordo di “licenziamento”, inefficace quanto a “prestazione” (per errori nel conteggio), possa rivivere come “licenziamento collettivo” o “per giustificato motivo oggettivo”, ricorrendone i presupposti di legge. Più problematico invece il caso che l’accordo sia stato disposto sulla base di conteggi erronei della posizione pensionistica dell’interessato e l’interessato abbia stipulato con l’Azienda una risoluzione consensuale, “accettata” in sede sindacale. Ragioni di equità dovrebbero consigliare di ritenere la risoluzione tamquam non esset per errore di calcolo e difetto di “presupposizione”, ma il punto dovrà essere chiarito in sede ministeriale, per l’evidente (e perniciosa) interferenza che sulla fattispecie esercita l’art. 04.17°comma ss. l. 92/2012 (che determina la convalida automatica delle risoluzioni consensuali decise in sede sindacale.
            Comunque, questo basti per ricordare la complessità latente, non ancora risolta nei primi pronunciamenti interpretativi.
           

CAPROTTI-ESSELUNGA, LA MONTI-FORNERO HA LIMITATO I LICENZIAMENTI ANCHE PER I LAVORATORI IN PROVA. PRECISAZIONI PER LE AZIENDE CON MENO DI 15 DIPENDENTI

Quesito:
Sul Corriere della Sera ho letto che Caprotti lamentava il fatto che la Monti-Fornero abbia esteso i limiti del licenziamento anche ai lavoratori in prova? Ma è vero? Se fosse così, la mia Azienda piccolissima, con meno di 15 Dipendenti, dovrebbe chiudere!
Risposta:
La frase testuale di Caprotti è la seguente: "la Signora 'Fornero' ha garantito anche i soggetti assunti in prova". Purtroppo Caprotti non specifica cosa siano queste "garanzie".
Venendo al caso del licenziamento per mancato superamento del periodo di prova per le PMI (con meno di 15 Dipendenti) esse rimangono assoggettate all'art. 10 l. 604/1966 (che la Monti-Fornero non ha modificato), che consente il libero recesso del Datore dal lavoro in prova ex. art. 2096 C.C. e con le correzioni apportate dalla giurisprudenza costituzionale (sent. 198/1980).

giovedì 21 novembre 2013

OBBLIGO ASSICURATIVO INPGI PER IL GIORNALISTA DIPENDENTE DALL'UFFICIO STAMPA DI UNA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Quesito:
Buongiorno, sono un giornalista Dipendente da un grosso Ente Pubblico Non Economico e sono addetto all'Ufficio Stampa. Devo iscrivermi all'INPGI, anche se non applico il CCNL del Lavoro Giornalistico? Grazie.
 
Risposta:
La risposta è affermativa.
Se Lei va al sito istituzionale dell'INPGI, l'Ente di Previdenza dei Giornalisti, troverà specificato che l'iscrizione all'Ente di Previdenza dei Giornalisti è obbligatorio per i giornalisti iscritti al relativo Albo (Professionisti, Pubblicisti, Praticanti) e che svolgano di fatto lavoro accessorio. Con la specifica "a prescindere dal CCNL applicato". Quindi, l'obbligo di iscrizione INPGI opera anche in caso di giornalista inquadrato nel CCNL Enti Pubblici Non Economici.
 

SOLO IL PATTO DI NON CONCORRENZA IMPEDISCE ALL'EX-DIPENDENTE DI LAVORARE

Quesito:
Ho dovuto subìre la risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni di un Dipendente Impiegato Commerciale, che, non contento delle condizioni che gli avevo praticato, è andato a lavorare con la concorrenza. Posso fargli causa, visto e considerato che percepiva cospicui ad personam tesi a impedire simili voltafaccia?
 
Risposta:
Davanti al Suo quesito, è d'uopo una domanda: esisteva un atto scritto che qualificava la corresponsione di tali somme in chiave di non concorrenza?
Se manca un atto scritto, Lei non può fare nulla.
Ai sensi dell'art. 2125 Codice Civile, infatti, Lei avrebbe potuto impedire al Dipendente di svolgere lavoro in un determinato settore, in un determinato ambito geografico, entro un tempo determinato. Essenziale, ricordare che queste clausole non possono validamente operare come "obbligazione di non facere", ossia di astensione dall'assumere lavoro alle dipendenze/collaborazione altrui senza un corrispondente indennizzo economico.
In assernza, Le rimane di agire contro il Dipendente nei termini previsti dall'art. 2598 Codice Civile, per "concorrenza sleale", ma ciò La obbliga a provare il "dolo di annientamento" dell'Ex-Dipendente: una prova più che diabolica, molto remota e forse non applicabile al Suo caso.
 

LA CONCILIAZIONE METTE UNA "PIETRA TOMBALE" SU TUTTE LE CONTESTAZIONI DEL DIPENDENTE? NOTE SUL "NE BIS IN IDEM" DEI VERBALI DI CONCILIAZIONE EX. ART. 411 CPC

Quesito:
In data 10/08 us., ho concluso una laboriosa conciliazione con un Dipendente, con il quale nell'ultimo anno i rapporti erano divenuti davvero molto tesi.
L'Avvocato mi ha consigliato di inserire questa clausola, necessaria, a suo dire, per evitare future azioni del Dipendente in futuro:
 
"Le Parti confermano, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, l'insussistenza anche di pretese per eventuali: stipendi, lavoro straordinario, festivo, domenicale, mancati riposi, ferie, permessi, mensilità supplementari di CCNL, TFR, impugnazione di licenziamento, differenza di livello, indennità, anche a titolo risarcitorio, nulla escluso ed eccettuato anche se non espressamente fatto valere con la presente vertenza, comunque connesso con il pregresso rapporto di lavoro, rinunciando il Medesimo Lavoratore a proporre nei confronti dell'Ex-Datore di Lavoro qualsiasi causa, in qualsiasi sede giudiziaria e non, comunque connessa al rapporto di lavoro intercorso e alla sua cessazione".
 
Davvero posso stare tranquillo per contestazioni future? E se mi fa causa per mobbing o danno professionale?
Grazie.
 
Risposta:
Il tema è molto delicato.
L'intervenuta conciliazione di una controversia Le consentirebbe, in caso di successiva controversia giudiziale aperta dal Dipendente sullo stesso "tema", di eccepire l'inammissibilità del ricorso. La ratio che sorregge questa regola è analoga al ne bis in idem, per cui è improcedibile un processo avviato su una questione già oggetto di una sentenza "passata in giudicato". Come noto, la citata preclusione del ne bis in idem si applica non solo alle questioni "dedotte", ma anche "deducibili" nel processo (art. 2909 Codice Civile, Cass. 04/11/2005 nr. 21352): tipico il caso di questioni che non siano state discusse, ma che, in quanto connesse al "tema" del ricorso, non possano più presentarsi per intervenuta "preclusione" ex. art. 415 CPC.
Una regola similare vale anche per i Verbali di conciliazione: nel caso specifico, l'Avvocato Le ha consigliato, molto opportunamente, una clausola che rafforza l'efficacia preclusiva di possibili ricorsi sovrapponibili al "tema" della Conciliazione a tutti i temi comunque "correlati".
E veniamo al tema del mobbing, del danno professionale etc., di cui Lei teme una riproposizione tardiva in giudizio da parte del Dipendente.
La clausola succitata va interpretata secondo i criteri logici, letterali, di "buona fede" che ex. artt. 1362 Codice Civile e ss. presiedono l'interpretazione dei negozi giuridici: la presenza di questa clausola significa inoppugnabilmente che il Dipendente era a conoscenza dei temi e delle concrete possibilità di contenzioso che la sede conciliativa offriva e che, pur potendo, non ha fatto nulla. La clausola certifica l'acquiescenza del Lavoratore, che, agli effetti pratici, equivale a rinuncia.
E questo vale ad escludere l'apertura di successive controversie.
Naturalmente, questa clausola contiene un'insidia.
L'effetto preclusivo di cui sopra non vale, laddove l'interessato (di solito, il Lavoratore Dipendente) provi che la conciliazione non è avvenuta tramite una negoziazione e un confronto diretto (es. scambio di carte, per interposta persona): su questo tema, si ritrova anche Cass. 13217/2008. Ecco perchè è importante che la conciliazione scaturisca da un confronto in sede istituzionale (DPL o Sindacato poco importa) e l'importanza che il Dipendente sia assistito da un Legale, Consulente del Lavoro, Sindacalista in grado di sostenerne le ragioni e le pretese.