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giovedì 21 novembre 2013

LA CONCILIAZIONE METTE UNA "PIETRA TOMBALE" SU TUTTE LE CONTESTAZIONI DEL DIPENDENTE? NOTE SUL "NE BIS IN IDEM" DEI VERBALI DI CONCILIAZIONE EX. ART. 411 CPC

Quesito:
In data 10/08 us., ho concluso una laboriosa conciliazione con un Dipendente, con il quale nell'ultimo anno i rapporti erano divenuti davvero molto tesi.
L'Avvocato mi ha consigliato di inserire questa clausola, necessaria, a suo dire, per evitare future azioni del Dipendente in futuro:
 
"Le Parti confermano, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, l'insussistenza anche di pretese per eventuali: stipendi, lavoro straordinario, festivo, domenicale, mancati riposi, ferie, permessi, mensilità supplementari di CCNL, TFR, impugnazione di licenziamento, differenza di livello, indennità, anche a titolo risarcitorio, nulla escluso ed eccettuato anche se non espressamente fatto valere con la presente vertenza, comunque connesso con il pregresso rapporto di lavoro, rinunciando il Medesimo Lavoratore a proporre nei confronti dell'Ex-Datore di Lavoro qualsiasi causa, in qualsiasi sede giudiziaria e non, comunque connessa al rapporto di lavoro intercorso e alla sua cessazione".
 
Davvero posso stare tranquillo per contestazioni future? E se mi fa causa per mobbing o danno professionale?
Grazie.
 
Risposta:
Il tema è molto delicato.
L'intervenuta conciliazione di una controversia Le consentirebbe, in caso di successiva controversia giudiziale aperta dal Dipendente sullo stesso "tema", di eccepire l'inammissibilità del ricorso. La ratio che sorregge questa regola è analoga al ne bis in idem, per cui è improcedibile un processo avviato su una questione già oggetto di una sentenza "passata in giudicato". Come noto, la citata preclusione del ne bis in idem si applica non solo alle questioni "dedotte", ma anche "deducibili" nel processo (art. 2909 Codice Civile, Cass. 04/11/2005 nr. 21352): tipico il caso di questioni che non siano state discusse, ma che, in quanto connesse al "tema" del ricorso, non possano più presentarsi per intervenuta "preclusione" ex. art. 415 CPC.
Una regola similare vale anche per i Verbali di conciliazione: nel caso specifico, l'Avvocato Le ha consigliato, molto opportunamente, una clausola che rafforza l'efficacia preclusiva di possibili ricorsi sovrapponibili al "tema" della Conciliazione a tutti i temi comunque "correlati".
E veniamo al tema del mobbing, del danno professionale etc., di cui Lei teme una riproposizione tardiva in giudizio da parte del Dipendente.
La clausola succitata va interpretata secondo i criteri logici, letterali, di "buona fede" che ex. artt. 1362 Codice Civile e ss. presiedono l'interpretazione dei negozi giuridici: la presenza di questa clausola significa inoppugnabilmente che il Dipendente era a conoscenza dei temi e delle concrete possibilità di contenzioso che la sede conciliativa offriva e che, pur potendo, non ha fatto nulla. La clausola certifica l'acquiescenza del Lavoratore, che, agli effetti pratici, equivale a rinuncia.
E questo vale ad escludere l'apertura di successive controversie.
Naturalmente, questa clausola contiene un'insidia.
L'effetto preclusivo di cui sopra non vale, laddove l'interessato (di solito, il Lavoratore Dipendente) provi che la conciliazione non è avvenuta tramite una negoziazione e un confronto diretto (es. scambio di carte, per interposta persona): su questo tema, si ritrova anche Cass. 13217/2008. Ecco perchè è importante che la conciliazione scaturisca da un confronto in sede istituzionale (DPL o Sindacato poco importa) e l'importanza che il Dipendente sia assistito da un Legale, Consulente del Lavoro, Sindacalista in grado di sostenerne le ragioni e le pretese.
 

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