Quesito:
In data 10/08 us., ho concluso una laboriosa conciliazione
con un Dipendente, con il quale nell'ultimo anno i rapporti erano divenuti
davvero molto tesi.
L'Avvocato mi ha consigliato di inserire questa clausola,
necessaria, a suo dire, per evitare future azioni del Dipendente in futuro:
"Le Parti confermano, a titolo meramente esemplificativo
e non esaustivo, l'insussistenza anche di pretese per eventuali: stipendi,
lavoro straordinario, festivo, domenicale, mancati riposi, ferie, permessi,
mensilità supplementari di CCNL, TFR, impugnazione di licenziamento, differenza
di livello, indennità, anche a titolo risarcitorio, nulla escluso ed eccettuato
anche se non espressamente fatto valere con la presente vertenza, comunque
connesso con il pregresso rapporto di lavoro, rinunciando il Medesimo Lavoratore
a proporre nei confronti dell'Ex-Datore di Lavoro qualsiasi causa, in qualsiasi
sede giudiziaria e non, comunque connessa al rapporto di lavoro intercorso e
alla sua cessazione".
Davvero posso stare tranquillo per contestazioni future? E se
mi fa causa per mobbing o danno professionale?
Grazie.
Risposta:
Il tema è molto delicato.
L'intervenuta conciliazione di una controversia Le
consentirebbe, in caso di successiva controversia giudiziale aperta dal
Dipendente sullo stesso "tema", di eccepire l'inammissibilità del ricorso. La
ratio che sorregge questa regola è analoga al ne bis in idem,
per cui è improcedibile un processo avviato su una questione già oggetto di una
sentenza "passata in giudicato". Come noto, la citata preclusione del ne bis
in idem si applica non solo alle questioni "dedotte", ma anche "deducibili"
nel processo (art. 2909 Codice Civile, Cass. 04/11/2005 nr. 21352): tipico il
caso di questioni che non siano state discusse, ma che, in quanto connesse al
"tema" del ricorso, non possano più presentarsi per intervenuta "preclusione"
ex. art. 415 CPC.
Una regola similare vale anche per i Verbali di
conciliazione: nel caso specifico, l'Avvocato Le ha consigliato, molto
opportunamente, una clausola che rafforza l'efficacia preclusiva
di possibili ricorsi sovrapponibili al "tema" della Conciliazione a tutti i temi
comunque "correlati".
E veniamo al tema del mobbing, del danno
professionale etc., di cui Lei teme una riproposizione tardiva in giudizio da
parte del Dipendente.
La clausola succitata va interpretata secondo i criteri
logici, letterali, di "buona fede" che ex. artt. 1362 Codice Civile e
ss. presiedono l'interpretazione dei negozi giuridici: la presenza di questa
clausola significa inoppugnabilmente che il Dipendente era a conoscenza dei temi
e delle concrete possibilità di contenzioso che la sede conciliativa offriva e
che, pur potendo, non ha fatto nulla. La clausola certifica l'acquiescenza del
Lavoratore, che, agli effetti pratici, equivale a rinuncia.
E questo vale ad escludere l'apertura di successive
controversie.
Naturalmente, questa clausola contiene
un'insidia.
L'effetto preclusivo di cui sopra non vale, laddove
l'interessato (di solito, il Lavoratore Dipendente) provi che la conciliazione
non è avvenuta tramite una negoziazione e un confronto diretto (es. scambio di
carte, per interposta persona): su questo tema, si ritrova anche Cass.
13217/2008. Ecco perchè è importante che la conciliazione scaturisca da un
confronto in sede istituzionale (DPL o Sindacato poco importa) e l'importanza
che il Dipendente sia assistito da un Legale, Consulente del Lavoro,
Sindacalista in grado di sostenerne le ragioni e le pretese.
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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