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mercoledì 26 ottobre 2016

LAVORO INTERMITTENTE: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA PUO' VIETARLO-FLASH

Se il CCNL esclude “espressamente” il ricorso al lavoro intermittente, il lavoratore non può essere assunto a chiamata, nemmeno ricorrendo alle note “causali” di cui al RD 2657/1923.
Così il Ministero, nel Parere 18194/2016, interpreta la disposizione dell’art. 13 D.lgs. 81/2015, che individua il ricorso al RD citato solo residuale, ovvero solo ove la contrattazione collettiva non abbia diversamente disposto.
Coerentemente, il Ministero conclude che la contrattazione collettiva possa escludere, relativamente al proprio settore, il ricorso al lavoro a chiamata, non essendo questa possibilità esclusa nel testo di legge. Ma quando possiamo stare certi che, ad un determinato settore, non si applica il “lavoro intermittente”? Quando il CCNL esclude espressamente tale possibilità (il Parere 7/2014 della Fondazione Studi CDL ritrovava questa esclusione nel CCNL Assicurazioni UNPASS-ANAPA). Solo cioè, se il CCNL vieta espressamente, si può ritenere vietato, in un certo settore, il ricorso al lavoro a chiamata. Questo discorso, però, non può riguardare, in nessun caso, le cd “causali soggettive” (giovani con meno di 25 anni, lavoratori con più di 5 anni): rispetto a questa casistica, il Ministero del Lavoro, con Interpello nr. 37/2008, l’autonomia collettiva non può contrattualmente negare questa possibilità di utilizzazione del contratto.

martedì 25 ottobre 2016

LA PRESCRIZIONE DEI DIRITTI DEL LAVORATORE-LE PRECISAZIONI DEL TRIBUNALE DI PADOVA

Il Tribunale di Padova, con sentenza 4/5/2016 (Giudice Perrone) ha precisato che, all’indomani del “superamento” da parte della legge 92/2012 della cd “stabilità reale” garantita dall’art. 18 l. 300/70, la prescrizione per i crediti di lavoro dei Dipendenti inizia a decorrere solo dopo la cessazione del rapporto e non durante il rapporto.
Questo, in coerenza con l’orientamento fissato a suo tempo dalla Corte Costituzionale con sentenza nr. 63/1966.
Naturalmente, il ragionamento vale anche per i rapporti insorti all’indomani dell’entrata in vigore del D.lgs. 23/2015 (contratto di lavoro a tutele crescenti).
Raccomandiamo, comunque, prudenza: la delicatezza della materia esige, infatti, l’ausilio del Legale.

giovedì 20 ottobre 2016

APPRENDISTATO DI I LIVELLO: NON E' MAI TROPPO TARDI PER PENSARE ALLA PENSIONE!


AVVERTENZA: Qui di seguito riportiamo in estratto un nostro articolo, scritto a quattro mani con il dr. Simone Caroli (Confindustria, Lecco e  Sondrio) dedicato all'analisi delle specifiche riduzioni retributive e contributive previste per l'apprendistato di I Livello (formazione-lavoro). Si ringrazia il dr. Caroli per l'opportunità.

Per favorire la formazione e l'occupazione dei Giovani, il Jobs Act ha reso il contratto di apprendistato il rapporto di lavoro subordinato più conveniente di tutti, sia per l'azienda che per l'apprendista. Il D.lgs. 81/2015, infatti, nel tentativo di fare dell’apprendistato il contratto per una migliore transizione Scuola-Lavoro per i giovani delle Scuole Superiori e degli Istituti professionali, mette a disposizione delle aziende un ricco paniere di incentivi, ma, forse, per rendere l'apprendistato più appetibile si sarebbe potuto fare qualcosa in più.
 Dell’argomento, recentemente, si è occupato il Ministero del Lavoro: il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti e degli Esperti contabili ha chiesto, infatti, delucidazioni sui contributi pensionistici INPS maturati dagli apprendisti di primo livello (quelli che, per intenderci, puntano ad un titolo di studio formandosi sia a scuola che nell'azienda dove lavorano). La risposta è arrivata con l’Interpello n. 22/2016.
La questione è posta in questi termini. Innanzitutto, il Ministero ha riconosciuto applicabile ...
(...)

martedì 18 ottobre 2016

PERMESSI 104 ANCHE AI CONVIVENTI: LO STABILISCE LA CORTE COSTITUZIONALE!

Permessi 104 riconosciuti al Dipendente, anche per assistere il Convivente more uxorio disabile.
A questo si giunge, a seguito della sentenza 213/16 della Consulta, che ha esteso il convivente more uxorio la possibilità di fruire dei permessi ex. art. 33 l. 104/92.
La ricostruzione da Noi effettuata in precedenti post, sulla base della normativa allora vigente, deve intendersi decaduta. L’INPS dovrà emanare disposizioni applicative.
Come si documenta la convivenza? Sulla base di quanto disposto dalla legge 76/2016, crediamo che, in questi casi, occorra specifica certificazione anagrafica dello “stato di famiglia”, già producibile secondo le disposizioni ordinarie dello stato civile.
Restiamo, comunque, a disposizione per aggiornarVi sulle disposizioni applicative che fornirà l'INPS per implementare tale sequenza di permessi ex. art. 33 l. 104/92.

venerdì 14 ottobre 2016

UN SOCIO PUÒ ESSERE DIPENDENTE DELLA SUA SOCIETÀ? PANORAMICA

Un Socio di Società può essere contemporaneamente lavoratore dipendente di Società?
Il quesito, oltre ad essere molto discusso, è anche di grande rilevanza pratica: sono numerose, infatti, le contestazioni a questo proposito sollevate dall’INPS e documentate nelle sentenze giudiziarie sviluppatesi su questo argomento.
Di massima, l’onere della prova circa la valida e genuina instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente del Socio con la stessa Società è a carico della Società stessa: l’INPS, per prassi amministrativa costante (Circ. 179/89, non revocata), ritiene invalido “per difetto di causa” (art. 1345 Codice Civile) il rapporto di lavoro costituito con l’Amministratore per mansioni che, a livello di lavoro dipendente, siano già comprese nel “mandato di amministratore”.
Il “difetto di causa”, in questo caso, è ravvisabile nella circostanza che la figura del Datore di Lavoro, di colui che dà ordini e organizza il lavoro coincide con la figura del Lavoratore, ovvero di colui che esegue: ci vuol poco a capire che non si può essere contemporaneamente Servi e Padroni! Questo, sia detto in linea di massima.
La situazione, poi, varia, in relazione al maggiore o minore grado di “personificazione” della Società: nelle compagine societarie, dotate di debole personificazione giuridica, prevale la “confusione” tra patrimoni, atti dei singoli; in queste circostanze, risulta particolarmente difficile giustificare un contemporaneo rapporto di lavoro dipendente del Socio. Ad esempio, nella SAS, la giurisprudenza più consolidata (a partire da Cass. 3948/1983) ritiene che il Socio Accomandante possa anche essere Dipendente, qualora non disponga (nemmeno di fatto!) di alcun potere amministrativo (come prescrive l'art. 2320 C.c., pena la piena responsabilità patrimoniale del Socio).
Ma un indice di possibile invalidità (lo ricordiamo, non si può essere contemporaneamente Servi e Padroni) viene anche ravvisato nella circostanza che il Socio Accomandante-Dipendente disponga la maggioranza del capitale Sociale, ovvero il nome del Socio citato compaia nella Ragione Sociale: tutte circostanze, queste, che evidenziano un ruolo marcatamente “padronale” del Socio, non compatibile con il ruolo da Dipendente.
Anche il rapporto parentale è valutato dall’INPS (Circ. 179/89) in senso restrittivo: sicuramente, ad esempio, non è valido il rapporto di lavoro dipendente della moglie del Socio che disponga di poteri amministrativi o capitalistici “schiaccianti”. Più agevole, invece, risulta la giustificazione del lavoro Dipendente del Socio in compagini societarie dove più marcata è la personificazione giuridica.
La giurisprudenza (Cass. 1739/96) e la successiva prassi INPS (Mes INPS nr. 12441/2011) hanno precisato che può essere dipendente di Cooperativa lo stesso Presidente di Cooperativa. Questo per la semplice ragione che il rapporto di rappresentanza organica e il rapporto di lavoro subordinato operano in due sfere differenti: nei rapporti con i terzi (il rapporto organico), nei rapporti endo-societari (il rapporto di lavoro subordinato).
Va da sè, che questo presuppone un minimo di organizzazione che giustifichi tale distinzione di ruoli, ovvero a condizione che il lavoro subordinato del Presidente abbia per oggetto attività estranee al rapporto organico e sia ravvisabile quel requisito della "eterodirezione" che rappresenta un elemento costitutivo e determinante del lavoro subordinato (art. 2103 Codice Civile).

mercoledì 12 ottobre 2016

IL POSSESSORE DI PEC DEVE ASSICURARSI CHE PC E CASELLA DI POSTA ELETTRONICA SIANO IN BUONO STATO DI FUNZIONAMENTO: NOTA FLASH SU CASSAZIONE 13917/2016*

*SINTESI CASS. 13917/2016 E ARTICOLO MAZZOLA SU EUROCONFERENCE 24/9/16
Quando si ha a che fare con le notifiche (giudiziarie, in primis, ma non solo) ci si scontra naturalmente con i vari sotterfugi, con i vari stratagemmi che i vari destinatari escogitano per impedire il perfezionamento della notifica (e paralizzare, così, gli atti correlati). Questi problemi si sono riproposti con il sistema delle notifiche telematiche a mezzo di PEC su cartelle INPS, INAIL, Equitalia etc. (come noto, da qualche tempo, per Imprenditori e Liberi Professionisti la PEC è obbligatoria): su uno di questi casi, è intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza nr. 13917/2016.
Nel caso trattato dalla Cassazione, un soggetto (un Imprenditore) aveva eccepito che la notifica della PEC (contenente cartella, atto, comunque, sfavorevole) non era andata a buon fine, per il cattivo funzionamento della casella di posta elettronica, colpita da virus informatici.
Per scongiurare facili elusioni, la Cassazione ha precisato che questa eccezione non ha valore: l’obbligo per Imprenditori (e Liberi Professionisti) di munirsi di PEC per ricevere le necessarie notifiche, introdotto dalla legge, implica, per il possessore della PEC stessa, l’obbligo di assicurarsi circa il corretto funzionamento della “Casella (Account) di posta elettronica”.
A questo fine, la Cassazione ha precisato che il possessore di PEC deve salvaguardare il proprio Account di posta con adeguato antivirus e affidando il PC a periodica e adeguata manutenzione da parte di Terzi esperti.

venerdì 7 ottobre 2016

PERIODO DI PROVA: SPECIALI REGOLE PER I CONTRATTI A TERMINE NEL CCNL COMMERCIO

Regole particolari per il patto di prova nei contratti a termine nel CCNL Commercio. Il CCNL citato, infatti, precisa che, in caso di “successione di contratti a termine”, si applica la disciplina dell’art. 64, qui di seguito evidenziata:

Sezione Quarta - Disciplina del rapporto di lavoro - Titolo I - Mercato del lavoro - Capo III - Contratto a tempo determinato - Somministrazione di lavoro a tempo determinato

Articolo 64 Periodo di prova
In caso di successione di contratti a tempo determinato con il medesimo lavoratore per le stesse mansioni, non si applica la disciplina del periodo di prova di cui all'art. 106.

mercoledì 5 ottobre 2016

IL CAR SHARING USATO DAL DIPENDENTE PUO' ESSERE TRATTATO COME SPESA DI TRASFERTA (NON IMPONIBILE)?*

*RIASSUNTO SCHEMATICO RISOLUZIONE A.E. 89 DEL 28/9/16
Caso:
Tizio, Tecnico Informatico dell’Azienda Complichiamolecosesemplici Spa, con sede a Milano, per prestazioni d’assistenza informatica, per andare nella località di destinazione, si avvale di un servizio di car sharing che contabilizza regolare fattura d’uso. Tale servizio viene utilizzato per trasferte interne al territorio comunale. Il servizio di car sharing costituisce spesa di trasferta fiscalmente non imponibile (o parzialmente non imponibile)? Oppure totalmente imponibile?

Risposta:
L’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione 83/2016, prende le mosse dall’art. 51.5°comma DPR 917/86, il quale dispone:

“Le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi spese di trasporto, comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito”.

L’Agenzia spiega che le trasferte entro il medesimo territorio comunale non godono di alcuna esenzione fiscale, in considerazione della “finalità di evitare che le indennità o i rimborsi spese per spostamenti poco rilevanti … possano sostituire la retribuzione ordinaria soggetta a tassazione”.
Il rimborso delle trasferte, per regola generale di legge, resta non imponibile, in caso di spese documentate da terzi, ovvero dal “vettore” (taxi, autobus e simili), incaricato dello spostamento del lavoratore. L’Agenzia delle Entrate ha parificato al rango di “terzo vettore” la Società che gestisce il servizio di car sharing: in questo caso, la spesa documentata dal Dipendente per trasferta, tramite car sharing, non è fiscalmente imponibile.
In questo caso, la Società di car sharing dovrà rilasciare documentazione adeguata, contenente indicazione dello spostamento del Lavoratore. La fattura, a quanto si coglie dalla Risoluzione, potrebbe anche essere intestata all’Azienda, senza problemi sul piano amministrativo.
La Risoluzione si trova al sito web dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov).