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venerdì 24 novembre 2017

IL CONVIVENTE DI FATTO PARTECIPA AGLI UTILI DELL'IMPRESA FAMILIARE: IL FISCO CHIARISCE LA TASSAZIONE APPLICABILE

Finalmente chiarita la tassazione della partecipazione agli utili del Convivente di fatto, che partecipi alla cd “impresa familiare”, secondo la speciale disciplina dell’art. 230ter del Codice Civile (introdotta dalla legge Cirinnà, legge 76/2016).
Con Risoluzione 134/2017, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche alla partecipazione agli utili del Convivente di fatto si applica la stessa tassazione (cd. “per trasparenza”) fissata per le “imprese familiari” normali (art. 230bis estese dalla legge Cirinnà, anche alle “Unioni Civili”).
I redditi dell’impresa familiare, in questo caso, sono tassati limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’Impresa Individuale e successivamente imputati pro quota ai partecipanti all’impresa, secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo, secondo quanto previsto dall’art. 5 DPR 917/86.
A questa “tassazione pro quota” partecipa anche il Convivente.
L’Agenzia ha superato le perplessità e i dubbi di tanti (noi compresi) che ritenevano non applicabile all’ “impresa familiare” del Convivente la disciplina fiscale dell’art. 5 TUIR. I dubbi, più che giustificati, nascevano dal fatto che la norma fiscale (nella fattispecie, l’art. 5) non era stato aggiornato per includervi anche “l’impresa familiare dei Conviventi” (mentre, invece, l’assimilazione era avvenuta per le “Unioni Civili”).
Un’ingiustizia, fortunatamente evitata dall’Amministrazione Fiscale.


giovedì 16 novembre 2017

DIRITTO DI CRITICA DEL DIPENDENTE, QUANDO E' LECITO E QUANDO NO: ALCUNI ESEMPI UTILI

Quando il Dipendente critica il Datore di Lavoro, generalmente scoppiano i casi di contenzioso più grosso, che sfociano quasi sempre in vertenze giudiziarie.
Di recente, un Tribunale di primo grado ha giudicato un Dipendente di Casa di Cura che aveva criticato la Struttura su Social-Network.
Il problema da porsi è, allora, questo: il Dipendente può criticare l’Azienda? A quali condizioni?
Secondo la giurisprudenza consolidata (vedi, tra le altre, Cass. 21649/2016), la critica del Dipendente all’Azienda è legittima, a condizione che:
  
1)      Il Dipendente accluda fatti veritieri e conclusioni ragionevolmente sostenibili entro una ordinata e articolata argomentazione (cd “Continenza sostanziale”);
2)      Il Dipendente utilizzi espressioni educate, corrette ed un “tono di voce” rispettoso (cd “Continenza formale”).

E tradotto in pratica? 
Ecco alcune sommarie, ma utili esemplificazioni.
Consideriamo il caso di un Dipendente Infermiere che critichi la Casa di Cura per condizioni anti-igieniche del reparto cui è adibito.
Consideriamo diversi casi di critica.

CASO A: Lettera a Direttore Sanitario (e per conoscenza Presidente): “Gent.mo Direttore, ci tengo a far presente come il Reparto ___ versi in condizioni non conformi a Igiene, come può verificare dalle foto che si accludono etc.

In questo caso, il Dipendente ha esercitato legittimamente il diritto di critica e non è passibile di alcuna azione disciplinare. Egli è, infatti, stato massimamente scrupoloso nel riferire fatti debitamente circostanziati (cd “continenza sostanziale”), oltrechè massimamente corretto nelle maniere e nei modi.

CASO B: Messaggio Wathsapp a Presidente e Direttore Sanitario: “Vi invio le foto che vi dicevo. Cosa dite adesso? Capite da soli che non sono matto, vero? Allora, stronzacci, muovete il culo e datevi da fare per risolvere la faccenda, altrimenti, vi denuncio ai NAS e qualche anno di galera non ve lo leva nessuno!”.

In questo caso, alla correttezza sostanziale delle informazioni (“continenza sostanziale”), non corrisponde certo un tono urbano e consono al clima collaborativo (anche se dialettico) che deve caratterizzare un rapporto di lavoro. I toni minacciosi e denigratori utilizzati dal Dipendente, pur a fronte delle denuncia di fatti veri, oltrechè gravemente scorretti dal punto di vista dell’educazione, rivelano la rottura del rapporto fiduciario. La Casa di Cura, in questi casi, può invocare il licenziamento per giusta causa (art. 2119 Codice Civile).

CASO C: Il Dipendente scrive un post pubblico su Facebook: “Cari cittadini, non recatevi alla Casa di Cura ______, che proprio non garantisce le minime condizioni di Igiene per i suoi assistiti. Particolarmente, nel reparto ___: guai a Voi, se vi recate in quei locali, c’è da prendere la scabbia o qualche altra brutta malattia! I Dirigenti, più volte richiamati dal Sottoscritto, proprio non sentono ragioni!

L’enfasi, le parole utilizzate (“c’è da prendere la scabbia”) denotano il totale scadimento di ogni minimo criterio di buona educazione e di correttezza, la “continenza formale” è completamente violata. Ma qui, c’è qualcosa di più grave, che assorbe ogni altro rilievo. Qui, la comunicazione non è interpersonale, ma è pubblica. Non solo, ma la diffusione tramite social network comporta che una vasta ed indeterminata platea di persone venga a conoscenza delle espressioni offensive e negative del Dipendente. A prescindere dal fatto che il Dipendente abbia o no riferito fatti veri, questa condotta è incompatibile con la permanenza del Dipendente in Azienda, il rapporto fiduciario è leso irreparabilmente: la Casa di Cura può licenziare. Ricordiamo che, in questi casi, i Datori di Lavoro possono valutare la sussistenza degli estremi del reato di “diffamazione”.

CASO D: Il Dipendente porta in Azienda un troupe di Report. Il Dipendente, con volto ovviamente oscurato, dichiara: “Mi scuso per il gesto, apparentemente enorme, ma non avevo altra scelta: non esiste altro rimedio, infatti, per denunciare una grave situazione di rischio per i degenti, a causa del clima intimidatorio in atto in Azienda e a causa dell’inattività ingiustificata degli organi di vigilanza (pur debitamente sollecitati)”.

E’ un caso limite. Queste pubbliche denunce sono consentite solo in casi molto gravi, dove la situazione denunciata sia decisamente grave e dove, per motivi vari (es. pressioni, intimidazioni interne, omertà) si riscontri la totale paralisi dei centri decisionali deputati alla vigilanza. Laddove si riscontri la ricorrenza di questi gravissimi presupposti, il Dipendente non è passibile di licenziamento.

NB: Attenzione, nei casi specifici, se il Dipendente denunciante riveste il ruolo di Sindacalista. Ove la critica risulti comunque garantita nei confini dell’attività sindacale, l’eventuale licenziamento del Datore di Lavoro è sanzionato assai più gravemente, in quanto “ritorsivo” e “anti-sindacale”.

IN QUESTI CASI, EVIDENTEMENTE, E' NECESSARIO AD AZIENDE O LAVORATORI CONSULTARE IL PROPRIO LEGALE DI FIDUCIA.