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giovedì 31 gennaio 2013

AUTOLIQUIDAZIONE INAIL 2013: NIENTE SGRAVIO INAIL PER LE ASSUNZIONI CON AGEVOLAZIONI PER LA MOBILITA'

Quesito:
Mi sovviene un dubbio.
Il lavoratore assunto a termine con i benefici della mobilità, cui è applicabile per legge l'aliquota INPS del 10% per gli apprendisti, sono esonerati dalle contribuzioni INAIL e dai conseguenti oneri dichiarativi?
Grazie per l'attenzione.

Risposta:
Lo sgravio INAIL per gli apprendisti non si applica ai Lavoratori in mobilità.
Così è disposto espressamente, in via di interpretazione autentica, dall'art. 68.06°comma l. 388/2000 con una disposizione di "interpretazione autentica" dell'art. 08 l. 223/1991.
Il punto è pacificamente consolidato in giurisprudenza: vedi Corte Cost. 291/2003 e Cass. 14316/2007.

Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro-Ferrara
Pagina FB https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912 

LAVORO NERO E INFORTUNI NEL "RAITING" DI LEGALITA' DELL'AZIENDA

AVVERTENZA: Pubblichiamo dal Blog http://andreaferrarini.blogspot.it/2013/01/rating-di-legalita-obbligatorio-il.html un brano di grande interesse per Aziende, Professionisti e Lavoratori.

POLITICHE DEL LAVORO E RESPONSABILITA' SOCIALE DELLE IMPRESE


C'è il rischio che il rating diventi un requisito minimo per l’accesso al credito gravando le imprese di nuovi oneri burocratici
L'Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance) ha pubblicato sul suo sito web una nota nella quale illustra i contenuti del regolamento dell'Antitrust in materia di rating di legalità ed evidenzia anche i rischi e le opportunità del nuovo strumento finalizzato a promuovere l'etica e la legalità nelle attività economiche.
Con la delibera n. 24075 del 14 novembre 2012 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 294 del 18 dicembre 2012), l'Antitrust ha varato il regolamento che stabilisce criteri e modalità di attribuzione del rating di legalità, in attuazione dell’articolo 5-ter del DL 1/2012 e s.m.i. che ha introdotto nell’ordinamento un sistema di premialità per le imprese che rispettano la legalità e adeguano la propria organizzazione in tale direzione.
Nelle intenzioni del legislatore, tale rating, attribuito su richiesta di ciascuna impresa interessata, oltre ad avere effetti positivi dal punto di vista reputazionale, verrà preso in considerazione in sede di accesso al credito bancario e di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni.
Sarà un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze e del Ministro dello Sviluppo Economico a stabilire come tali finalità verranno perseguite.
Il rating potrà essere richiesto dalle imprese operative in Italia che abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso l’anno precedente alla richiesta e che siano iscritte al registro delle imprese da almeno due anni.
Pubblicato il formulario e le istruzioni
Le aziende interessate dovranno presentare una domanda, per via telematica, utilizzando il formulario pubblicato sul sito dell’Antitrust (http://www.agcm.it/rating-di-legalita.html) che dovrà essere inoltrato per via telematica, seguendo le istruzioni per l'inoltro della domanda.
Da una stelletta a un massimo di tre stellette
Il rating avrà un range tra un minimo di una “stelletta” a un massimo di tre “stellette”, attribuito dall’Autorità sulla base di determinati requisiti che verranno comunicati dalle imprese e verificati tramite controlli incrociati con i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni interessate.
Le valutazioni dell'Ance
Fin da subito, l'Ance ha espresso alcune perplessità in merito alle modalità con le quali il rating di legalità interverrà in sede di accesso al credito bancario e di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Il rischio, secondo i costruttori edili, è che il rating diventi un requisito minimo per l’accesso al credito, finendo per rappresentare, in tal modo, l’ennesimo adempimento obbligatorio e perdendo, così, il carattere premiale che lo dovrebbe caratterizzare secondo le intenzioni iniziali del legislatore.
Secondo l'Ance la formulazione attuale del rating di legalità è eccessivamente generica e incompleta e rischia, quindi, di trasformarsi in un’ulteriore inutile procedura burocratica, che non sarà in grado di garantire alcun contrasto alla criminalità e che finirà per imporre altri oneri e adempimenti alle imprese, già sfinite dalla crisi.
Per quanto riguarda i requisiti, all’art.2, comma 2, lettera f) l'Associazione ritiene opportuno che il requisito necessario ai fini dell’attribuzione del rating di legalità per cui l’impresa non deve aver subito provvedimenti definitivi per mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro si applichi solo in caso di gravi e reiterate violazioni, come definite allegato I del Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs 81/2008).
L'Ance inoltre esprime contrarietà rispetto alla possibilità di prevedere il rilascio del rating di legalità alle imprese confiscate e reinserite nell’attività produttiva, evidenziando il rischio che ciò possa determinare un’alterazione del mercato proprio a vantaggio di quelle imprese che hanno operato e proliferato grazie a comportamenti illeciti propri della criminalità organizzata.
Sarebbe opportuno, invece, che il punteggio aggiuntivo ai fini del rating di legalità venisse attribuito solo nel caso in cui la gestione fosse affidata a un soggetto imprenditoriale privato, scelto mediante un confronto concorrenziale pubblico.
Per quanto attiene al punto a) degli ulteriori requisiti, di cui all’art. 3, così come viene previsto un punteggio aggiuntivo ai fini del rating per le imprese che rispettano i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministero dell’Interno e da Confindustria, è necessario garantire un’analoga premialità alle imprese associate all’Ance in virtù dell’accordo sottoscritto con Confindustria il 19 ottobre 2011.
Infine, poiché molti dei requisiti aggiuntivi (come l’iscrizione alle white list o l’adesione a codici etici di autoregolamentazione) non coprono tutte le attività economiche interessate al rating, è necessario secondo l'Ance specificare che queste condizioni possano essere considerate solo laddove siano operative e che, in caso contrario, l’impresa potrà comunque beneficiare di un eventuale massimo punteggio.


Fonte: http://www.casaeclima.com/

Scritto da Andrea Ferrarini (Consulente Modelli Organizzativi ex d.lgs 231/2001)
cell. 3472728727 - andreaferrarini@inwind.it

PREAVVISO DURANTE IL LICENZIAMENTO E VOLONTA' DI NON LAVORARLO TUTTO

Quesito:

Un'azienda ha licenziato il proprio lavoratore, indicando sulla lettera di licenziamento un periodo di preavviso inferiore a quello previsto dal CCNL: 60 gg invece di 90 gg. Il lavoratore “manda avanti” il sindacato il quale, invece, pretende che questi 30 gg gli vengano riconosciuti, perchè altrimenti il centro per l'impiego non gli riconosce la disoccupazione. Mi pare strana e incongrua questa richiesta: se c'è un accordo - anche tacito - tra le parti a non lavorare il preavviso, non capisco quale possa essere il problema! Cosa ne pensate?

Risposta:
Il lavoratore dice "se non godo del preavviso, non vado in disoccupazione". Ora, io mi chiedo: il Lavoratore ha l'anzianità sufficiente per andare in disoccupazione (oggi DS?)? 
Questo rileva.
Anche perché dalla soluzione del problema “disoccupazione” può derivare un alleggerimento consistente in capo al Datore dei costi della possibile vertenza (che con l’ASPI una parte del risarcimento sarebbe trasferito, sia pure virtualmente, in capo all’INPS, Ente Assicuratore!).
Essenziale, allora, diventa capire se l'evento di interruzione del rapporto è caduto prima o dopo il 1/1/2013, data di entrata in vigore dell'ASpI. 
Se versiamo in periodo ante-ASpi, allora, rinvio al Msg INPS 19273/2012 e al commento di PIANETA LAVORO E TRIBUTI (http://www.teleconsul.it/pianetalavoro/primo-piano.aspx?id=246591) e del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro (http://www.consulentidellavoro.it/browse.php?mod=article&opt=view&id=11914). Il msg INPS, in recepimento di Cass. 29237/2011, ha precisato che la decorrenza dell’indennità di disoccupazione e dell’indennità di mobilità, subirà il differimento, ex art. 73 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 (siamo prima dell'ASpI!), all’ottavo giorno successivo alla data finale del periodo corrispondente all’indennità di mancato preavviso ragguagliata a giornate solo nei casi in cui detta indennità sia stata effettivamente corrisposta dal datore di lavoro (Cass. n. 3836/2012). Nei casi, invece, in cui essa non sia stata corrisposta anche a seguito di rinuncia, la decorrenza delle predette indennità farà riferimento ai normali meccanismi legati alla data di cessazione del rapporto di lavoro e di presentazione della domanda di prestazione. 
La rinuncia può essere tacita ... Si pone allora un problema di prova, su cui in questa sede non posso entrare nel merito. 
E dopo l'ASPI? 
Ora, la Circolare INPS 142/2012 http://www.inps.it/bussola/visualizzadoc.aspx?svirtualurl=%2Fcircolari%2Fcircolare%20numero%20142%20del%2018-12-2012.htm), ai fini dell'ASpI, pare segnare una "Marcia indietro". La Monti-Fornero differisce alla conclusione del "periodo di preavviso" (non si parla di "pagamento dell'indennità") il periodo di decorrenza per presentare la domanda di trattamento. 
Sul punto, dovranno uscire chiarimenti. 
Una cosa pare sicura: la Monti-Fornero non ha innovato nulla sull'indennità di mancato preavviso e dintorni; pertanto, resta ferma l'indicazione giurisprudenziale e INPS che ne aveva riconosciuto la disponibilità e la rinunci abilità del preavviso, anche tacita. 
Resta evidentemente lo stesso problema di prova…
Piccolo CAVEAT: il tema della “rinunciabilità” del preavviso, sostenuta dall’INPS, lascia a mio giudizio impregiudicata la possibile controversia sull’attrazione di questa “rinuncia” tra gli atti impugabili dal Lavoratore ex. art. 2113 del Codice Civile alla cessazione del rapporto. A mio modesto avviso, però, l’INPS non ha “detto la sua” su questa complessa questione giurisprudenziale. L’indicazione INPS va letta come indicazione di “razionalità economica” data agli stretti fini dell’ “indennizzabilità” della disoccupazione. Ed è evidente che tale indicazione va tenuta presente da un Lavoratore dipendente che voglia valutare “in buona fede” la convenienza di aprire o meno una vertenza successiva al licenziamento.
Spero di non aver fatto confusione.

Dr. Giorgio Frabetti-Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara

PARAMETRI FORENSI, LA BOCCIATURA DEL CONSIGLIO DI STATO

AVVERTENZA: Data l'attualità dell'argomento, si coglie l'occasione di riepilogare lo "stato dell'arte" intorno alla controversa questione dei "parametri forensi" oggetto dei provvedimenti di "liberalizzazione" ex DL 01/2012, oggetto di un complesso "tira e molla" tra Ministero della Giustizia e Consiglio di Stato. Questo uno stralcio del commento di ANDREA BULGARELLI (Altalex) all'ultima versione del dm che recepisce le osservazioni del Consiglio di Stato.

(...)

Lo schema di regolamentino modificativo si compone di tre articoli e due allegati: l’art. 1 contiene le modifiche al D.M. n. 140/2012; l’art. 2 richiama gli allegati che modificano le tabelle A e B relative agli avvocati, del citato decreto; l’art. 3 prevede una clausola sulla sua entrata in vigore.
La proposta modifica delle spese forfetarie (generali)
La prima modifica proposta col decretino riguarda l'art. 1, comma 2, del D.M. 140/2012 in materia di spese, attraverso la previsione che al compenso sia aggiunto un importo per quelle c.d. “spese forfettarie” che il professionista “inevitabilmente sopporta ma che, per la natura delle stesse, non può documentare o comunque provare precisamente (secondo la relazione, si tratta, tipicamente, delle spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale)”.
Si tratta delle vecchie spese generali ex artt. 14 tabella A, 8 tabella B, 12 tabella C dell’abrogata tariffa (D.M. 127/2004).
Per tale voce sarebbe stato previsto dal Ministero un incremento del compenso liquidato, in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento.
Da notare che la modifica riguarderebbe tutte le professioni, come risulta anche dalla sua collocazione sistematica, e non solo l’avvocatura.
Secondo il Consiglio di Stato la modifica proposta cozzerebbe col concetto di compenso omnicomprensivo previsto dall’art. 9, comma 4 penultimo periodo, del D.L. 1/2012 in base al quale la misura del compenso deve essere:
“pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi”.
Il Consiglio di Stato, benché rimasto sul punto inascoltato dal Ministero, aveva già suggerito, nell’ambito della sua funzione consultiva, di modificare il comma 2 dell’art. 1 del D.M. 140/12nel senso che il compenso è unitario e omnicomprensivo e comprende anche le spese, ferma restando la possibilità di indicarle in modo distinto come componente del compenso stesso.
Tenuto conto dell’indicato principio di onnicomprensività del compenso anche nel nuovo parere sul decretino viene mantenuto fermo tale punto di vista.
Non viene, infatti, ritenuto coerente con la richiamata norma primaria:
“introdurre il rimborso delle spese forfettarie, che si aggiungono a quelle documentate, considerato anche che le spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale, richiamate dall’Amministrazione nella relazione, devono ritenersi già incluse nel compenso e prese in considerazione ai fini della liquidazione dello stesso”.
Vieppiù in quanto la segnalata criticità si aggraverebbe:
“con la proposta modifica, introducendo un livello di spese forfettarie in misura peraltro rilevante (di regola, tra il 10 e il 20 % del corrispettivo)”.
La proposta modifica del compenso per l’attività stragiudiziale
Per l'attività stragiudiziale degli avvocati il decretino prevedrebbe due modifiche.
La prima stabilisce che il compenso possa essere quantificato in una percentuale calcolata tra il 5 e il 20% del valore dell'affare, mentre ora, come noto, il D.M. 140/2012 stabilisce all’art. 3, commi 1 e 2, che si debba genericamente tener conto:
“del valore e della natura dell'affare, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, del pregio dell'opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione e delle ore complessive impiegate per la prestazione, valutate anche secondo il valore di mercato attribuito alle stesse”.
Secondo il Ministero la modifica proposta consentirebbe di evitare il ricorso al criterio del compenso orario, che non sarebbe risultato ancorabile (che gran scoperta! bastava rifletterci prima) a un parametro di riferimento sufficientemente certo in sede di vaglio giudiziale.
A tale proposta il Consiglio di Stato pur condividendo la ratio della modifica, oppone l’esigenza di non prevedere un minimo per il compenso, ma solo una misura massima, rilevando tuttavia come quella proposta appaia elevata.
La seconda modifica, che interesserebbe l'attività stragiudiziale, riguarda la mediazione di cui al decreto legislativo 28/2010 (proprio ora che quella obbligatoria è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza 272/2012!).
Grazie al decreto correttivo il compenso potrebbe infatti essere aumentato fino ad un terzo in favore dell'avvocato che assista una parte nel relativo procedimento.
A prescindere dall’esito dunque, mentre ora il comma 3 dell’art. 3 si limita a prevedere che:
“Quando l'affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile a norma dei commi che precedono”.
e la maggiorazione è dunque attualmente ancorata al “successo” del tentativo di mediazione.
Secondo il Ministero la modifica proposta avrebbe la finalità di incentivare in modo significativo il ricorso assistito alla procedura di mediazione e, quindi, in un'ottica deflattiva, di ridurre l'instaurazione di procedimenti davanti all'organo giurisdizionale.
Il Consiglio di Stato nel suo parere obietta giustamente che sarebbe allora preferibile non far conseguire l’aumento del compenso solo in ragione dell’assistenza nel procedimento di mediazione, ma di farlo derivare dall’esito positivo del procedimento e dal contenuto dell’attività svolta dall’avvocato al fine di favorirlo (specie, se si vuole incentivare la finalità deflativa dell’istituto). Ciò al fine di premiare non l’assistenza ad una qualsiasi attività di mediazione, ma l’ausilio ad una mediazione coronata da buon esito, o comunque svolta dal professionista con proposte idonee a favorire il buon esito.
Il Consiglio suggerisce poi addirittura una sorte di penalizzazione per l’avvocato (sotto forma di diminuzione del compenso) in caso di assistenza nel procedimento di mediazione non rispondente a tali principi, anche ad es. con riguardo alla mancata accettazione di proposte, poi risultate coerenti con l’esito del giudizio.
La proposta introduzione della fase di studio per la fase esecutiva
Il Consiglio esprime parere negativo in ordine all’introduzione, nel settore civile, della voce “studio” per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare con valori corrispondenti al 35-50 per cento degli importi previsti nel D.M. 140/12.
Viene infatti sostenuto che siccome la fase esecutiva deve essere vista come un completamento per la realizzazione del bene della vita perseguito nel settore civile, amministrativo (comprensivo del contenzioso contabile) e tributario, e quale segmento terminale nel penale non vi sarebbe alcuna ragione per inserire all’interno di tale (unica) fase una voce “studio” che finirebbe per costituire una duplicazione della fase di studio già prevista con dignità autonoma.
È noto infatti che tra le varie fasi dell'attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria previste dall’art. 4 del D.M. 140/2012, prima di quelle d’introduzione del procedimento, istruttoria, decisoria ed esecutiva, vi sia quella di studio della controversia.
Le proposte di modifica dei compensi per decreti ingiuntivi e precetti
Il Consiglio di Stato boccia l’incremento (in misura oscillante tra il 30% e il 50%, in modo logicamente regressivo) – proposto dal Ministero onde riferire anche a tali attività la componente di “studio” – dei valori “parametrici” previsti per il procedimento di ingiunzione e per il precetto.
Sostiene infatti, senza troppo motivare, che non vi siano le dedotte ragioni per aumentare i parametri numerici dei compensi per l’ingiunzione monitoria e per il precetto.
E dire che quanto ai precetti fin da subito era apparsa evidente l’assoluta inadeguatezza e iniquità degli importi previsti unita alla difficoltà di valorizzare in precetto alcune attività (richiesta copia titolo esecutivo, ritiro detto, ecc…) il cui compenso era stato dal contestato D.M. incluso solo nella (eventuale) fase esecutiva…
Le proposte di modifica condivise per l’attività giudiziale civile
Il Consiglio di Stato ha invece espresso parere favorevole ad alcune delle proposte di modifiche del decreto parametri.
La prima è quella avente ad oggetto la previsione di un aumento fino al triplo (in sostituzione dell’attuale doppio) del compenso spettante all'avvocato che difenda più persone con la medesima posizione processuale al fine di evitare l'incentivazione dell’instaurazione di più giudizi aventi identici petita e causae petendi per conseguire un maggior compenso sommando la liquidazione prevista per ciascun procedimento.
La seconda consiste nella “restaurazione” della differenza (difficilmente comprensibile) tra la difesa in ambito civile e quella ambito penale introdotta dal DPR n. 115/2002 (dove i compensi per la difesa nel procedimento civile dei soggetti sopra citati sono ridotti alla metà) in un'asserita ottica di “recupero della funzione sociale dello Stato, che si fa carico per intero di delicate difese di soggetti con insufficienti mezzi economici”.
In pratica viene approvata la proposta soppressione della possibile riduzione a metà del compenso (prevista dall'articolo 9 del D.M. n. 140/2012 - cause per l'indennizzo da irragionevole durata del processo e patrocinio a spese dello Stato) spettante all'avvocato che presti la sua assistenza nel procedimento penale in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato nonché a soggetti a questi equiparati dal DPR n. 115/2002.
La terza proposta di modifica viene approvata benchè se ne suggerisca una modifica. Il nuovo comma 6 bis dell’art. 4 del D.M. disciplina la così detta “soccombenza qualificata” che prevede un significativo aumento del compenso liquidato a carico della parte soccombente quando le difese della parte vittoriosa siano risultate manifestamente fondate con lo scopo, non solo di scoraggiare pretestuose resistenze processuali, ma di premiare anche l'abilità tecnica dell'avvocato che sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie.
Secondo il Consiglio di Stato tale previsione dovrà trovare applicazione in tutti i giudizi e non appare opportuno limitarla (come proposto dal Ministero) solo a quelli non contumaciali.
La quarta proposta concerne la soppressione del comma 9, dell’art. 1, del D.M. n. 140/2012, che richiamava l'applicazione dei criteri generali di cui all'art. 4, commi da 2 a 5, per la determinazione del compenso nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000 e l’introduzione di due ulteriori scaglioni: uno da euro 1.500.001 a euro 5.000.000, l'altro oltre euro 5.000.000.
Il Consiglio di Stato, pur concordando che la modifica rende più obiettivi i parametri di liquidazione dei compensi nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000, suggerisce di contenere nel quantum i parametri per i due nuovi scaglioni in ragione “delle esigenze di contenere la misura dei parametri di liquidazione”, già segnalate nel precedente parere allo schema del D.M. 140/2012, e poste in relazione alla crisi finanziaria in atto nel Paese.
In pratica gli avvocati dovrebbero essere chiamati a far la loro parte di sacrifici in nome della crisi… si sconosce, tuttavia, il fondamento giuridico e comunque logico di una tale valutazione.
Le proposte di modifica condivise per l’attività giudiziale penale
Anche per l’attività giudiziale penale il Consiglio di Stato approva alcune proposte di modifica.
La prima ad essere valutata positivamente è quella che consiste nella soppressione della possibilità di riduzione alla metà del compenso dell'avvocato che assista d'ufficio nei giudizi penali un minorenne (art. 12 comma 5 D.M. 140/12). Si ritiene infatti che ciò consenta di evitare che la difesa di soggetti deboli sia considerata di minore dignità, determini un minor impegno e non le sia attribuito quel riconoscimento che le è invece dovuto per la delicatezza dell’incarico.
La seconda è quella avente ad oggetto l’aggiunta alle altre di una nuova fase: quella dell’investigazione.
E ciò in quanto tale nuova autonoma fase valorizzerebbe:
“un’attività particolarmente impegnativa e delicata, come quella investigativa appunto, che è stata introdotta al fine di porre su un piano paritario accusa e difesa nel giudizio penale”.
Osservazioni finali
Gli articoli 13, comma 6 e 1, comma 3 della L. 31 dicembre 2012, n. 247 (nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) prevedono che entro due anni dalla sua entrata in vigore (ed in seguito a cadenza biennale), con decreto del Ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense, dovranno essere approvati per gli avvocati dei nuovi parametri per la determinazione dei loro compensi.
L'odioso decreto parametri (fortunatamente) a prescindere dall’esito che avrà il decretino correttivo in commento è quindi destinato ad essere superato da un nuovo regolamento dei compensi professionali caratterizzato da un diverso procedimento d’adozione (consultazione del CNF).
I compensi degli avvocati torneranno, tra l’altro, ad essere regolamentati con un decreto ad hoc a differenza di quanto oggi previsto col vituperato D.M. 140/12 che è norma “condivisa” con altri professionisti liberali.
A tal fine prevede il comma 7 della nuova legge professionale forense che tra gli specifici criteri che devono guidare la formulazione dei nuovi parametri vi siano la trasparenza, l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali.
In attesa che il nostro CNF si faccia promotore dell’approvazione dei nuovi parametri per la determinazione del compenso degli avvocati ci auguriamo che ci si ricordi di aggiungere a tali criteri anche quello dell’adeguatezza della determinanda retribuzione all’importanza dell’incarico e al decoro della professione (art. 2233 c.c.).
Non paiono affatto valori superati, vieppiù in un’ottica di effettiva tutela del valore costituzionale del ruolo svolto dall’avvocatura (artt. 2, 3, 24-28, 111 Cost.) che non può e non deve più tollerare attacchi basati su infondate esigenze di liberalizzazione e rilancio dell’economia che paiono costituire meri e vuoti alibi per introdurre norme penalizzanti per un’intera categoria a vantaggio dei soliti noti...che peraltro non ne hanno affatto bisogno.

ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO EX. ART. 445-BIS CPC: LA MANCATA INDICAZIONE DEL VALORE PROVOCA L'INAMMISSIBILITA' DEL RICORSO

AVVERTENZA: Pubblichiamo volentieri un contributo dell'Avv. Michele Iapicca (Cosenza), relativo ad uno dei diversi problemi applicativi del nuovo procedimento ex. art. 445-bis CPC ("accertamento tecnico preventivo") in materia di trattamenti di invalidità. 


Per come noto, il Decreto Legge del 6/7/11 n. 98, convertito con modificazioni con la L. 111/11, all’art. 38 comma I lettera b) n. 1 stabilisce:
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «
A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Pare proprio che questa modifica, sia stata presa ‘alla lettera’ (dura lex, sed lex) dai Magistrati di quasi tutte le sezioni Lavoro-Previdenza ed Assistenza che, per i ricorsi privi del detto requisito, depositati dal 7/7/11 in poi, sono concordi nell’applicare (D’UFFICIO) la sanzione della INAMMISSIBILITA’ del ricorso, sanzione che rischia di produrre effetti preclusivi per i diritti del cittadino ricorrente (es. decadenza).
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini del­l’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
In attesa che qualcuno sollevi la rilevanza costituzionale della ingiusta preclusione, ovvero che il legislatore intervenga a sostegno del cittadino, tutti noi ‘operatori del diritto’ siamo pregati di osservare scrupolosamente le linee guida che ci vengono indicate.
Per come noto, il Decreto Legge del 6/7/11 n. 98, convertito con modificazioni con la L. 111/11, all’art. 38 comma I lettera b) n. 1 stabilisce:
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «
A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Pare proprio che questa modifica, sia stata presa ‘alla lettera’ (dura lex, sed lex) dai Magistrati di quasi tutte le sezioni Lavoro-Previdenza ed Assistenza che, per i ricorsi privi del detto requisito, depositati dal 7/7/11 in poi, sono concordi nell’applicare (D’UFFICIO) la sanzione della INAMMISSIBILITA’ del ricorso, sanzione che rischia di produrre effetti preclusivi per i diritti del cittadino ricorrente (es. decadenza).
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini del­l’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
In attesa che qualcuno sollevi la rilevanza costituzionale della ingiusta preclusione, ovvero che il legislatore intervenga a sostegno del cittadino, tutti noi ‘operatori del diritto’ siamo pregati di osservare scrupolosamente le linee guida che ci vengono indicate.

martedì 29 gennaio 2013

IL "LAVORO ACCESSORIO" NELLE COOPERATIVE SOCIALI

Caso:
Sono un'Impiegata di un'Associazione di Categoria che seguo una Cooperativa Sociale ONLUS di tipo A, che gestisce varie attività (anche di ristorazione etc.).
Il Presidente della Cooperativa mi ha chiesto di attivare un voucher per instaurare un rapporto di lavoro accessorio con un soggetto "problematico", per adibirlo a mansioni di Cameriere nella Pizzeria gestita dalla Cooperativa.
Mi chiedo se in questo caso la Cooperativa non possa considerarsi, ai fini dei limiti dei voucher "Impresa" e, quindi, tenuta a rispettare il vincolo degli € 2.000.
Cosa sa dirmi al riguardo?

Risposta:
Il caso da Lei esaminato è stato del tutto ignorato dalla recente Circolare Min. Lav. 04/2013.
A mio modesto giudizio, non è possibile stabilire, normativa attuale alla mano, che le Cooperative Sociali siano "in assoluto" qualificabili come Imprese o no, in relazione alla disciplina del lavoro accessorio.
L'impressione è che la parola "Impresa" nel corpo della Monti-Fornero sia una "nozione propria", dettata da una specifica intentio anti-elusiva della normativa lavoristica e non sovrapponibile con le consuete categorie commercialistiche e fiscali consuete.
Se si scorrono, infatti, sia la Circolare 18/2012, sia la Circolare 04/2013 del Ministero del Lavoro, l'elemento qualificante dell'espressione "Impresa" nella Monti-Fornero è assunto nella "proiezione dell'attività economica al mercato": proiezione che, di per sè, parrebbe ritagliata sia nel caso in cui l'attività economica sia organizzata e preordinata a produrre lucro oggettivo e soggettivo, sia solo lucro oggettivo, come nel caso della Cooperativa Sociale, che svolga ad esempio attività di ristorazione, come nel Suo caso.
A questa conclusione, a mio avviso (la più prudente, anche se dovranno intervenire chiarimenti da parte del Ministero), si arriva considerando la finalità specificamente "anti-elusiva" del nuovo limite degli € 2.000 dettato per le Imprese che, in relazione ai nuovi limiti orari-giornalieri dei voucher, vanno concepiti nei termini di ancorare l'uso dei voucher a "valori-ora-lavorata" davvero marginali. Limiti che postulano un regime di maggior rigore per l'uso dei voucher nelle Imprese, in conformità alle finalità conclamatamente antielusive della normativa, riprese dalla stessa Circolare (che richiama la necessità che il voucher non si presti ad operazione di "destrutturazione" dei processi produttivi e della forza lavoro).
Al momento, questa è l'interpretazione più prudente.
Attendiamo chiarimenti dal Ministero.

Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara, Consulenza del Lavoro
Pagina FB: 
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO: IL VOUCHER LAVORATO PRIMA DEL 18/07/2012

Quesito:
Sono un Consulente del Lavoro, cui sopravviene un dubbio.
In data 01/03/2012, ho acquistato "voucher" per una Badante per € 2.000. Adesso me la Committente me ne chiede un altro per impiegare la stessa lavoratrice come "accessoria".
Secondo le nuove regole, che fissano nell' "anno solare" il periodo di computo dei nuovi limiti economici per "lavoro accessorio" ex. art. 70 ss. D.lgs. 276/2003, dovrei conteggiare il limite nel periodo 01/03/2012-01/03/2013?

Risposta:
Il quesito da Lei posto attiene ad un'ipotesi controversa, per la quale ho chiesto personalmente specifici chiarimenti.
Per il momento, il conteggio da Lei ipotizzato parrebbe il più ortodosso, considerando la lettera della legge, che parla di "anno solare" e considerando il periodo transitorio di utilizzo di voucher, come disciplinato dall'art. 01.33°comma l. 92/2012, che riferisce l'applicazione (residuale) della "normativa previgente" solo ai voucher già acquistati al 18/07/2012 e non considera il caso da Lei citato.
Caso, per il quale l'indicazione della legge è l' "anno solare", capace di coinvolgere nel conteggio anche periodi precedenti la Monti-Fornero.
Ma sul punto, La terrò aggiornato in relazione ai chiarimenti che sto assumendo nelle sedi competenti.
Buona giornata

Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Pagina FB:
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LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO: COME SI CONTEGGIA

Quesito:
Buon giorno.
Ho attivato al 01/08/2012 un voucher di € 2.000 per prestare assistenza ad un'anziana. Adesso, ho ricevuto una seconda proposta per prestare lo stesso servizio con la stessa forma del "lavoro accessorio" per altri € 2.000? Sono in regola con le nuove disposizioni sul "lavoro accessorio"?

Risposta:
La l. 92/2012 (Monti-Fornero) ha previsto un nuovo limite economico di € 5.000 (rivalutato ISTAT, lordo, senza ritenute fiscali) riferito all'anno solare.
Stando alla Circolare 04/2013 del Ministero del Lavoro, l'espressione "anno solare" starebbe ad indicare un "termine mobile" riferito non alla cadenza gennaio-febbraio ma alla cadenza mese-mese.
Nel Suo caso, l'anno solare comprende il periodo 01/08/2012-31/07/2013.
Pertanto, entro questo periodo, Lei dovrà restare nei limiti economici complessivi (tra vari Committenti) di € 5.000 (e € 2.000 per Committente, fino a concorrenza degli € 5.000).
Buona giornata

Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara
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venerdì 25 gennaio 2013

IL LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO E LA "MANLEVA" DEL COMMITTENTE

La legge 92/2012 ha previsto stringenti regole e oneri burocratici in capo ai Committenti (Aziende, Professionisti, Privati) che intendessero assumere personale con il contratto di lavoro accessorio.
Nuovi limiti economici, ossia € 5.000 "lordi" nell'anno solare complessivamente tra tutti i Committenti e un non ancora ben precisato limite di € 2.000 (a concorrenza degli € 5.000) per gli "Imprenditori Commerciali" e i "Professionisti".
La Circolare 04/2013 raccomanda ai Committenti di gestire queste evenienze (evidentemente fuori dalla loro portata) con "dichiarazioni di manleva", ossia dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà con le quali il "lavoratore accessorio" si impegni a dichiarare la sua conformità alle nuove regole e conseguentemente a "manlevare" il Committente.
Una disposizione che comunque suscita dubbi e perplessità, in considerazione del fatto che, manleva o non manleva, il Committente corre comunque il rischio di vedersi trasformato il voucherista in lavoratore Dipendente.
Qui di seguito si raccomanda di accompagnare la Dichiarazione di manleva del Voucherista, con un altro atto: una Dichiarazione con la quale il Committente esige dal Voucherista (e conseguentemente lo impegna) ad informarsi sulla normativa e a garantire la massima conformità; e contemporaneamente, si assevera la chiara esclusione delle Parti alla conclusione di un lavoro subordinato.
Non è moltissimo, perchè, come sappiamo, ci sono mansioni (tipo Cameriere etc.) dove comunque il voucherista è a altro rischio di trasformazione.
Ma è comunque una traccia utile e trasparente di lavoro, che si ritiene di sottoporre all'attenzione (e alle eventuali critiche) della Comunità Web.

ATTO 1: DICHIARAZIONE COMMITTENTE

COMMITTENTE






                                                                                                          DATA


                                                                                                          VOUCHERISTA



            RACCOMANDATA A MANO

            OGGETTO: Informativa lavoro occasionale accessorio

            La presente accompagna breve nota per invitare la SV, in procinto di attivare con lo Scrivente un “lavoro occasionale accessorio” nella forma del voucher ex. artt. 70 ss. D.lgs. 276/2003, come modificati dalla legge 92/2012, a chiarire la propria personale posizione, in rapporto ai nuovi limiti legali di attivazione del suddetto rapporto.
            Come Lei ben sa, a far data dal 18/07/2012, sono mutati i limiti economici e di Committenza ai fini dell’ attivazione dell’ istituto: il suddetto “lavoro occasionale accessorio”, infatti, in forza delle nuove disposizione, può essere prestato fino al limite massimo di lordi € 5.000 (cinquemila/00), con rivalutazione annuale ISTAT, in riferimento all’anno solare (periodo mobile: es. 01/08/2012-31/07/2013) e alla totalità dei Suoi Committenti. Ovvero, i medesimi compensi non dovranno essere superiori a lordi € 2.000 (duemila/00), con rivalutazione ISTAT, se la SV ha attivato rapporti di lavoro accessorio con Imprenditori Commerciali o Professionisti.
            Viste cioè le pesanti sanzioni previste dalla Circolare 04/2013 in caso di trasgressione, che possono comportare a carico del Committente la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, che comunque non era intenzione delle parti accendere, dato il carattere pacificamente saltuario e sporadico del rapporto, la SV è invitata ad asseverare, tramite apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, il rispetto dei suddetti requisiti e a “manlevare” il Committente, in caso di errore o di dichiarazioni false.
            Dalla SV ci attendiamo, pertanto, massima informazione e consapevolezza delle nuove regole; date le pesanti conseguenze sanzionatorie, siamo, infatti, costretti a porre massimo affidamento nella Sua diligenza e capacità di informazione.
            Si invita la SV a sottoscrivere la presente in segno di ricevuta e conoscenza e a sottoscrivere il modulo di dichiarazione sostitutiva di notorietà che si allega, invitandola a prestare la massima attenzione ad ogni contenuto ivi esposto.
            Cordiali saluti.

                                                                                              COMMITTENTE

VOUCHERISTA
Per ricevuta e conoscenza
_______________________


ATTO 2: IL VOUCHERISTA "MANLEVA" IL COMMITTENTE


DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA ATTO DI NOTORIETA’
Ai sensi dell’art. 47. comma 3 DPR 445/2000


            Io Sottoscritto Sig. ____________ nato in _______ il _________ C. Fisc. _____________, residente a _________ in Via _____ nr __;

In qualità di Lavoratore Occasionale Accessorio del Sig. ________________ come da DNA INAIL etc. (ESTREMI)

Viste, previa informativa del Committente, le nuove disposizioni sul “lavoro occasionale accessorio” di cui alla l. 92/2012, come implementate dalla Circolare del Ministero del Lavoro nr. 04/2013;

Consapevole dei nuovi limiti economici lordi e di utilizzabilità dei voucher per “Lavoro occasionale accessorio”;

Avendo ritenuto utile e opportuno documentare i necessari requisiti nella forma della dichiarazione sostitutiva di notorietà ai sensi dell’art. 47 DPR 445/2000, onde manlevare il Committente da conseguenze ispettive e sanzionatorie varie;

Consapevole delle conseguenze amministrative e penalistiche, in caso di dichiarazione mendace;

DICHIARO
QUANTO SEGUE

·         Di non essere incorso nell’annualità _____ SPECIFICARE “ANNO SOLARE” (es. 01/08/2012- 31/07/2013) nei limiti economici lordo e di Committenza previsti dalla legge, conformemente a informativa ricevuta dal Committente;
·         Di manlevare il Committente da qualsivoglia conseguenza sanzionatoria e ispettiva, in caso di errata asseverazione.

Ferrara, lì, __________
Firma ______________



Ai sensi dell’art. 38 D.P.R. n. 445 del 28/12/2000 la dichiarazione è sottoscritta dall’interessato e inviata al destinatario unitamente a copia fotostatica di un documento di identità del sottoscrittore, a titolo di autentica, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge.

Informativa ai sensi del d.lgs. 196/2003:
I dati sopra riportati sono prescritti dalle disposizioni vigenti ai fini del procedimento per il quale sono richiesti e verranno utilizzati esclusivamente per tale scopo.

Francesco Landi, 
Consulente del Lavoro, Ferrara
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