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martedì 31 luglio 2012

NORMA DIMISSIONI: LE SITUAZIONI TIPO DELL'UFFICIO PERSONALE


I motivi per cui un Dipendente può revocare le dimissioni, pure già date, approfittando del pieno potere riconosciutogli dalla legge, sono vari e, tra i tanti, occorre tenere conto dell'ipotesi che il lavoratore impugni le dimissioni, perchè date a suo tempo sulla base di aspettative di tutela previdenziale poi rivelatesi infondate. 
Questa facoltà, remota e teorica fino al 18/07 us diventano realtà tangibile dopo la riforma Monti-Fornero che ha reintrodotto la disciplina limitativa delle dimissioni, già introdotta nel 2007, poi abrogata a giugno 2008.
La disciplina è invero oscura, ermetica e ha dato luogo a commenti e a travisamenti.
Consapevoli che la teoria serve a poco, intendiamo offrire agli operatori degli Uffici Paghe, Personale e di Consulenza del Lavoro in generale un'introduzione alla materia, secondo un approccio concreto, semplice, che ad evidenziare tre casistiche-tipo, con le quali potrete trovarvi ad avere a che fare, da cui crediamo possano evincersi le fondamentali linee di gestione (che sono poi quelle che contano nella pratica, aldilà di complesse elucubrazioni interpretative).
Ecco le fondamentali fattispecie cui l'Ufficio Paghe può trovarsi di fronte.
CASO 1:
Datore di Lavoro e Dipendente hanno convenuto insieme una risoluzione consensuale, fissando in un accordo scritto avente data certa la data dell'ultimo giorno di lavoro. Quando Datore e Lavoratore agiscono di comune accordo, il grado di criticità è tendente a zero. Il Dipendente potrà essere avviato alla DPT o al CPI a confermare le dimissioni, ovvero (procedura ancora più semplificata) può confermare istantaneamente le dimissioni, firmando il SARE di cessazione (che come noto può essere inviato ... ora per allora, ossia anticipatamente sulla data di chiusura, ma con indicazione del giorno di chiusura del rapporto. Una variante di questo caso, può essere l'eventualità che sia il Lavoratore ad emettere lettera di dimissioni, con indicazione della data di chiusura.
In questo senso, il Personale di Studio può trovarsi agevolato dalla presenza di atti negoziali (risoluzione consensuale, dimissioni) che ne tracciano il lavoro e la procedura con sufficiente chiarezza nella tempistica.
Si consideri poi che, in queste procedure, le Parti sono nella piena responsabilità di negoziare non solo la data delle dimissioni, ma anche l'eventuale addebito/accredito del preavviso: quindi, lo Studio di Consulenza non dovrà porsi preoccupazioni sul preavviso, salvo accertarsi che le Parti siano state debitamente (ma succintamente) informate.
CASO 2:
Tra Datore di Lavoro e Lavoratore non intercorre alcuna corrispondenza di dimissioni: caso molto frequente con Edili, Badanti, Extra UE. In queste condizioni, il personale di Studio non deve disperare, deve semplicemente farsi mandare via mail un'indicazione di una data di chiusura del rapporto, per avviare la procedura di conferma. Non è un problema se la notizia delle dimissioni viene dal Datore, perchè la procedura, consentendo nei ben noti "07 gg." la conferma delle dimissioni, permette comunque di chiarire in modo definitivo la situazione. A queste condizioni, infatti, le ipotesi possibili sono due: o il Lavoratore conferma-smentisce le dimissioni (in quest'ultimo caso, non c'è da meravigliarsi, specie in settori "viscosi" come Edilizia e Pubblici Esercizi); o il Lavoratore resta inerte, ma allora, stante il disposto della legge, il silenzio vale come assenso alle dimissioni. Il che, nei casi di irreperibilità del Lavoratore, costituisce un'opportuna semplificazione.
Anche in questo caso, il preavviso non genera difficoltà, anche considerato che lo stesso, solitamente breve (dai 07 ai 15 gg.) può agevolmente sovrapporsi col termine breve di "invito" del Dipendente avanti la DPL/CPI. E' necessario, comunque, che le Parti siano debitamente informate delle norme sul preavviso per gestire gli oneri economici (di mera rilevanza inter partes, e privi di riflessi sulla definizione della procedura di dimissioni).
CASO 3:
Al momento questa è l'ipotesi che merita più attenzione.
Ipotizziamo, cioè, che tra Datore di Lavoro e Lavoratore sia intercorsa una corrispondenza di dimissioni (o di risoluzione consensuale, poco importa) e che il CCNL preveda per le dimissioni un preavviso lungo, 60 gg., ben oltre, quindi, il "termine lungo" di 30 gg. previsto dalla Monti-Fornero che le Parti nella loro corrispondenza hanno dichiarato di voler rispettare. Può darsi il caso che il Dipendente, inviato a convalidare le dimissioni avanti la DPL, non si presenti; ovvero, invitato a sottoscrivere il SARE ritardi a tempo indefinito la sottoscrizione (addirittura rendendosi irreperibile). Se dall'invito al Dipendente sono decorsi 07 gg., le dimissioni si intendono convalidate? Stando alla lettera della legge, la risposta parrebbe positiva, poichè l'art. 04.22°comma l. 92/2012 dispone che l' "invito a confermare le dimissioni" può intervenire anche durante il preavviso: con ciò precisando che la convalida può anche avvenire in un tempo antecedente la formale chiusura del rapporto (diversamente l'inciso "può sovrapporsi al preavviso" non avrebbe alcun significato). Una soluzione lineare, apparentemente, ma che implica un'impegnativa interpretazione della normativa, difficile da praticare autonomamente, senza qualche riscontro o chiarimento in sede ministeriale*.
Crediamo con questo di avere esemplificato la casistica-tipo che può verificarsi in Ufficio, precostituendo la casistica fondamentale.
Ai fini del decorso dei termini previsti dalla legge per la convalida delle dimissioni/risoluzioni consensuali, è opportuno valorizzare le istanze di velocità e speditezza della procedura, operando in modo tale da concentrare il più possibile nella fase usualmente di preavviso l'esaurimento della procedura, in modo da evitare strascichi amministrativi e code burocratiche successive alla chiusura del rapporto, quando il Dipendente, già dimissionario, libero e senza grosse remore, può essere indotto più facilmente a "rovesciare il banco" e a assumere iniziative imprevedibili.
In ogni caso, riteniamo essenziale valorizzare un chiaro principio che si desume dalla legge: le dimissioni si presumono genuine. Finchè il Lavoratore non contesta, il Datore ha diritto a fare affidamento sulla continuità delle sue intenzioni solutorie. Questo per gli Uffici Personale significa stare tranquilli, e lasciare muovere "le bocce" a Datore e Lavoratore, limitandosi ad un ruolo notarile di "registrazione".

Dr. Giorgio Frabetti
Consulente d'Azienda in Ferrara

LA DISCIPLINA DELLE DIMISSIONI SI APPLICA ALL'AREA DELLA CD "LIBERA RECEDIBILITA'"?


Abbiamo intenzione di proporre un breve quesito per chiedere se sia o meno applicabile (ad un'attenta valutazione del testo legislativo l. 92/2012) la nuova disciplina "limitativa" delle dimissioni alle categorie di lavoratori per i quali vige il regime della libera recedibilità in caso di licenziamenti, ossia per
 
a) Lavoratori in prova;
b) Lavoratori Domestici;
c) Dirigenti;
d) Lavoratori in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiata.
 
Il quesito ricalca dubbi e argomentazioni recentissimamente espresse per gli apprendisti.
Ci appare, infatti, strano e contraddittorio che il legislatore abbia vincolato le dimissioni, senza vincolare il licenziamento. Di solito, le due limitazioni procedono insieme e l'una, rafforza l'altra (vedi legislazione sulle lavoratrici in maternità). In questi casi, è la legge a consentire al Datore la più libera recedibilità, cosìcchè il Datore, in questo caso, può ottenere direttamente e per le vie dirette ciò che, in caso di disciplina limitativa, ottiene per le vie traverse ("disfarsi" del Dipendente), ricorrendo allo stratagemma delle "dimissioni in bianco". E' plateale che in queste circostanze la disciplina limitativa delle dimissioni non riveste significato alcuno, perchè non esiste a monte una disciplina limitativa dei licenziamenti, rispetto a cui le dimissioni potrebbero assumere valenza anti-elusiva.
Insomma, delle due l'una: o il licenziamento è libero e allora le dimissioni sono libere, o il licenziamento è vincolato e allora le dimissioni sono vincolate: tertium non datur! Anche perchè non vi è chi non veda come sarebbe troppo facile per il Dipendente (per esempio, con dimissioni "finte" poi revocate) vincolare la sua presenza al lavoro in spregio alla legge che in questi casi garantisce al Datore la rapida espulsione del Dipendente ... "sgradito"!
Il disallineamento, la disarmonia (non composta nemmeno in sede di Circolare 18/2012) è grave e necessita un chiarimento ministeriale ufficiale.

Dr. Giorgio Frabetti,

Consulente d'Azienda in Ferrara

LE NUOVE REGOLE SULLE DIMISSIONI E L'APPRENDISTATO


La nuova disciplina Monti-Fornero contro le cd "dimissioni in bianco" determina una pesante asimmetria nella disciplina estintiva del rapporto di apprendistato.
In forza del combinato disposto art. 02 D.lgs. 167/2011 (TU app.) e art. 04.17 ss l. 92/2012, il rapporto di apprendistato è soggetto ai vincoli e alle procedure limitative delle dimissioni/risoluzioni consensuali, ma non è soggetto a limiti di recesso datorile, in caso di cessazione del periodo formativo.
Questa situazione invero singolare tale per cui il Datore, alla fine del periodo formativo, è libero di recedere senza i limiti della disciplina vincolistica dei licenziamenti, mentre l'apprendista, per dimettersi, deve confermare la propria intenzione di dimettersi (avanti la DPL, ovvero firmando la ricevuta SARE di estinzione del rapporto), è il frutto di un mancato coordinamento normativo.
E' difficile accettare che questa situazione possa ritenersi consolidata, tanto è contraddittoria. Recesso ad nutum ex. art. 2118 Codice Civile del Datore e disciplina vincolistica delle dimissioni non possono stare insieme: una esclude l'altra. Non solo: tale coesistenza, se non viene in qualche modo risolta dal Ministero, espone la normativa per come si trova nello stato attuale, a rilevanti eccezioni di incostituzionalità, con rilevante irrigidimento della disciplina del recesso in apprendistato (a sua volta già irrigiditasi con la tornata di sentenze "additive" degli anni '70).
La Ns. modesta impressione è che, nonostante tutto, la disciplina limitativa delle dimissioni non possa applicarsi al termine dell'apprendistato, costituendo in questa direzione la speciale disciplina del recesso ad nutum (finora mai messa in discussione nemmeno dalla Corte Costituzionale) non solo un indirizzo politico-legislativo consolidato, ma anche un "principio generale" della disciplina dell'apprendistato (tale è rubricato nel TU app. ex. art. 02.01°comma lett. m) D.lgs. 167/2011), espressione di una "volontà legislativa" speciale, tale da prevalere anche sulla Monti-Fornero. E in effetti, ad argomentare diversamente, cioè ad ipotizzare che le disciplina delle dimissioni in bianco abbia imposto tale vincolo anche alla cessazione del periodo delle dimissioni, si cade in una interpretazione abrogativa inaccettabile, che di fatto cancella l'applicazione del recesso ad nutum alla fine del periodo di apprendistato, ma senza che di questa ipotizzata abrogazione possa trovarsi traccia e giustificazione nel corpo della Monti-Fornero. Abrogazione, per di più, di cui sarebbe stata necessaria una formulazione espressa, stante la specialità della disciplina dell'art. 02 TU app.!
Del resto, è coerente ritenere, dal disegno legislativo complessivo della Monti-Fornero, che la disciplina limitativa delle dimissioni "segua" e rinforzi la disciplina limitativa dei licenziamenti: ed è coerente pensare che quest'ultima costituisca (in assenza di disposizioni diverse) un limite logico di applicazione: così, ove la disciplina limitativa dei licenziamenti non sia applicabile, si possa ritenere conseguentemente inapplicabile anche la disciplina limitativa delle dimissioni.
Un'interpretazione, quest'ultima, che è coerente con l'esito della pluridecennale opera di implementazione della normativa sul recesso in apprendistato ha conosciuto una complessa e articolata rimodulazione, tesa a riconoscere la massima stabilità del rapporto in costanza della formazione (riconoscendosi per via giurisprudenziale l'applicazione della disciplina limitativa e il conseguente carattere "a tempo indeterminato" del rapporto di lavoro) e contestualmente la massima libera recedibilità alla conclusione del periodo formativo (espressa nell'art. 19 l. 25/1955 della vecchia normativa).
Ma è evidente che, sul punto, occorrono chiare indicazioni ministeriali, che al momento non ci risultano impartite (nemmeno con la Circolare 18/2012).
Sul punto abbiamo sollecitato un Interpello presso la DTL.

Dr. Giorgio Frabetti,
Consulente Aziendale in Ferrara

venerdì 27 luglio 2012

DOSSIER MONTI-FORNERO, COSA RESTA DEL LAVORO ACCESSORIO PER PUBBLICI ESERCIZI (E NON SOLO!)- EDIZIONE RIVEDUTA



Questa nota sostituisce una precedente comparsa nel Blog, con specifiche e alcune correzioni relative all'uso dell'istituto del lavoro occasionale accessorio ex artt. 70 ss del D.lgs. 276/2003 in vigore a far data dal 18/07.
Una nota pensata per Pubblici Esericizi, Aziende Artigiane della stagione (estiva) ... e non solo!
Qui di seguito evidenzieremo le linee di base della disciplina in attesa dell’emanazione degli appositi chiarimenti ministeriali:

A)     La riforma ha abolito le precedenti disposizioni che facevano dipendere l’ammissione al lavoro accessorio da specifici ambiti operativi (es. lavoro domestico etc.) e da specifici status del Dipendente (pensionato etc.). Pertanto, di base, il lavoro occasionale accessorio è previsto per tutti i settori operativi (compresi Enti Pubblici), ma con le decisive limitazioni economiche che si diranno;
B)      L’art. 70 riformato dispone più stringenti limiti economici alle prestazioni occasionali accessorie (voucher), attivabili nei limiti di € 5.000 (rivalutati all’indice ISTAT) per anno solare per la totalità dei Committenti . Questo limite vale per i Committenti diversi da Imprese Commerciali e Studi Professionali. In quest'ultimo caso, infatti, il Collaboratore che attivi più voucher presso uno di questi soggetti dovrà sì rispettare il tetto di E. 5.000, ma spalmando le eventuali diverse Collaborazioni in voucher non superiori a € 2.000 (rivalutati ISTAT!) per ogni singolo rapporto. In questi termini, la restrizione dell'istituto è molto stringente!
D)     Possono accedere ai voucher Committenti che siano Imprenditori Commerciali, Agricoli a Professionisti: evidenti le problematicità per i Settori dei Pubblici Esercizi e l’Artigianato;
E)      Al momento dell’acquisto, i voucher devono riportare l’indicazione del valore orario, della data e di un numero progressivo;
F)       Il voucher è soggetto a queste aliquote: 13% contributi INPS Gestione Separata; 7% INAIL; 5% Quota al concessionario per la gestione del servizio;
G)     Il reddito derivante da voucher è rilevante ai fini dei requisiti reddituali previsti dalla legge per il rinnovo-rilascio del permesso di soggiorno del Lavoratore Extra UE. Ma sul punto, non ci permettiamo di dire di più, perché tali sono le criticità e le fragilità dello status di “lavoratore occasionale accessorio” secondo la nuova disciplina che è improbabile l’ utilizzo di tale strumento per consolidare la posizione di “soggiornante” del Lavoratore Extra UE.

Nella tabella sotto riportata, troverete prospetto riassuntivo dei nuovi requisitI dei voucher, anche con riferimento alla speciale fattispecie dei lavori agricoli.

Aziende Artigianali e del Turismo
Allo stato attuale, ci sembra di poter dire (in attesa di chiarimenti e conferme ministeriali) che le Aziende Artigianali e del Turismo potranno attivare voucher, Non rientrando nella speciale previsione riservata a Imprese Commerciali e Studi Professionali, non ricorrerebbe per questi lo speciale limite degli E.2000, ma l'ordinario limite dei E.5.000 per "anno solare".
ANNO SOLARE: Dovrà poi in sede ministeriale essere chiarito se la dizione "anno solare" debba intendersi nei termini dettati dalla Circolare INPS 102/2004 (mini cococo) che calcolava l' "anno solare" in modo "fisso" dal 01/01 al 31/12, ovvero nel termine "mobile" preferito dal Ministero del Lavoro (365 gg dal primo rapporto).

LE CRITICITA' DELLA GESTIONE AMMINISTRATIVA:
Non poche criticità genera la gestione di questa fattispecie nel caso speciale di voucher per Imprese Commerciali e Studi Professionali, che obbliga a complessi controlli sulle pluri-Committenze.
Ben difficilmente, infatti, il voucherista sarà in grado di programmare il volume di compensi (atteso il carattere evidentemente “fortuito” della prestazione). Evidentemente “diabolico”, poi, è pretendere dal Committente de quo un simile accertamento, che per di più gli farebbe correre il rischio di vedersi riqualificato il rapporto di lavoro accessorio come “lavoro subordinato”! Senza contare l’aleatorietà della disposizione, per l’INPS e Consulenti, dove un minimo errore di calcolo (per altro aggravato dalla non immediatezza ai calcoli ISTAT) farebbero scivolare forzosamente il rapporto verso il lavoro subordinato. La norma evidentemente esige chiarimenti, anche per l’evidente rischio di incostituzionalità della medesima!
In questi casi, è essenziale che il Committente si faccia rilasciare manleva sotto forma di dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà gli eventuali voucher già in essere (con i relativi importi), ovvero la loro assenza.

LA SORTE DELLE DISPOSIZIONI SPECIALI PER CASSINTEGRATI E LAVORATORI PART TIME

Dai primi commenti di qualche Autore (TOPPI Collana Studio STERN) emerge l’ipotesi che le “disposizioni sperimentali” dei DDLL Anti-crisi e delle leggi finanziarie che ammettevano ai voucher (fino al 31/12/2012) “percettori di misure di sostegno al reddito” (con gli speciali requisiti reddituali e di accredito figurativo della contribuzione) e lavoratori part time restino ferme e quindi vadano ad esaurirsi al 31/12/2012, senza che per esse operi la diversa decorrenza di entrata in vigore della Monti-Fornero (18/07/2012). L’interpretazione è interessante e suggestiva, ma non può essere accolta (almeno fino a diverso parere ministeriale). Le proroghe, infatti, sono sempre state compendiate nell’art. 70 (anche dall’ultima disposizione “milleproroghe 2012”[1]. Cadendo l’art. 70 per opera della Monti-Fornero sembrano proprio cadere anche le disposizioni di proroga (simul stabunt, simul cadent!);
            Una conclusione convalidata anche dalla stessa cronaca parlamentare, dove molto forte è stata la pressione per il mantenimento del voucher per Cassintegrati come disegnato dai DDLL anti crisi dal 2009 in avanti. A tal fine, è in dirittura d’arrivo un emendamento dedicato a questo tema. E’ evidente che il Legislatore presuppone l’abrogazione di queste disposizioni ad opera della Monti-Fornero, chè altrimenti non avrebbe avvertito il bisogno di un emendamento ad hoc!

IL LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO DOPO LA RIFORMA FORNERO
SCHEMA RIASSUNTIVO


DEFINIZIONE E CAMPO DI APPLICAZIONE DEL LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO
Prima della riforma
Dopo la riforma
Le attività lavorative in specifici ambiti, anche se svolte a favore di più beneficiari, non danno complessivamente luogo, con riferimento al Medesimo Committente, a compensi superiori a € 5.000 nel corso di un anno solare
Attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei Committenti, a compensi superiori ad € 5.000 nel corso di un anno solare per ogni singolo prestatore di lavoro.
AMBITO DI APPLICAZIONE
  • Lavoro domestico;
  • Lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione degli edifici, strade, parchi, monumenti;
  • Insegnamento privato supplementare;
  • Manifestazioni sportive, culturali, fieristiche, caritatevoli, lavori di emergenza, o di solidarietà;
  • Attività agricole di carattere stagionale effettuate da casalinghe, ovvero attività agricole svolte a favore dei produttori agricoli minori;
  • Attività dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis del Codice Civile (in tal caso è ammesso il ricorso al Lavoro accessorio fino al limite di € 10.000 netti annui);
  • Consegna porta a porta e vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica;
  • Attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie;
  • In qualsiasi settore produttivo purchè resi da:
a)      STUDENTI CON MENO DI 25 ANNI DI ETA’, se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso un Istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici (anche a favore di Enti Locali);
b)     PERCETTORI DI PRESTAZIONI INTEGRATIVE DEL SALARIO O SOSTEGNO DEL REDDITO per prestazioni che diano luogo a un compenso non superiore a € 3.000 netti complessivi per anno solare e non per singolo Committente;
c)      PENSIONATI (anche a favore di Enti Locali);
d)     PRESTATORI DI LAVORO A TEMPO PARZIALE (escluso Datore di Lavoro part time!).

-Tutti i settori;
- Per i rapporti tra Medesimo Committente Imprenditore Commerciale o Professionista e medesimo Lavoratore che non diano luogo a compensi complessivamente superiori a € 2.000;
- Nell’ambito di attività agricole di carattere stagionale svolte anche in forma imprenditoriale;
- A favore di un Committente Pubblico nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento della spesa del personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.



 VOUCHER IN AGRICOLTURA-NUOVE NORME

Prima della riforma
Dopo la riforma
Attività lavorative che non danno complessivamente luogo, con riferimento al Medesimo Committente, a compensi superiori ad E. 5000 nel corso di un anno solare.

Utilizzabili:

a)      Nell’ambito di attività agricole di carattere stagionale effettuate per prestazioni rese da pensionati, casalinghe, da giovani con meno di 25 anni di età, durante i periodi di vacanza –se regolarmente iscritti a un ciclo di Studi presso un Istituto Scolastico di ogni ordine e grado – o in qualunque periodo dell’anno – se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’Università.
b)      Nell’ambito delle attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’art. 34.06°comma DPR 633/1972 nr. 633;
c)      Percettori di ammortizzatori sociali nel limite massimo di E. 3.000 annui.

Attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno complessivamente luogo, con riferimento alla totalità dei Committente, a compensi superiori ad E. 5000 nel corso di un anno solare, per ogni singolo prestatore di lavoro

Utilizzabili
a)      Nell’ambito di attività di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età, se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso un Istituto Scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno, se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’Università.
b)      Alle attività agricole svolte a favore di soggetti ex. art. 34.06°comma DPR 633/1972, che non possono tuttavia essere esercitate da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.




Dr. Giorgio Frabetti,
Consulente d'Azienda in Ferrara

[1] Così nel DL 216/2011 (conv. in l. 14/2012), all’art. 04: “2. I termini di cui all'articolo 70, commi 1, secondo periodo, e 1-bis, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, come prorogati ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, e dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 marzo 2011, recante ulteriore proroga di termini relativa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31 marzo 2011, sono prorogati fino al 31 dicembre 2012.

mercoledì 25 luglio 2012

DOSSIER MONTI-FORNERO: I LICENZIAMENTI INDIVIDUALI E L'ARTICOLO 18 DOPO LA RIFORMA


Un breve schema riassuntivo dell’art. 18 St. lav. (legge 300/1970), che ha subito rilevanti rimodulazioni e assestamenti da parte della legge 92/2012 (Riforma Monti-Fornero).

Limiti dimensionali: La riforma Monti-Fornero (confermando largamente le disposizioni del passato) ha disposto l’applicabilità dell’art. 18 ai Datori di Lavoro (Imprenditori e non Imprenditori)

a)       Con più di 15 Dipendenti;
b)        Con più di 05 se si tratta di Imprenditore Agricolo;
c)        Al Datore di Lavoro (Imprenditore o non Imprenditore) che, nell’ambito dello stesso Comune, occupi più di 15 Dipendenti e all’Impresa Agricola che nel medesimo Comune occupi più di 05 Dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti;
d)       In ogni caso al Datore di Lavoro (Imprenditore o non Imprenditore) che occupi più di 60 Dipendenti.

Sono comunque da ritenersi escluse le cd “organizzazioni di tendenza”, come da disciplina previgente.
Questo il primo prospetto riassuntivo che si può realizzare.

A)      LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO (art. 18.01°comma):
Nei casi di:

·         Licenziamento per motivazioni politiche, religiose, razziali, di lunga, di sesso, di disabilità, di appartenenza o orientamento sindacale (la l. 92/2012 compendia casi già previsti all’art. 04 l. 604/1966, all’art. 15 l. 300/1970, all’art. 03 l. 108/90);
·         Licenziamento disposto per causa di matrimonio, ovvero intimato nel periodo immediatamente intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni ad un anno dopo la celebrazione (art. 35 D.lgs. 198/2006);
·         Licenziamento della Lavoratrice Madre intimato dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino; ovvero causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale (di maternità o di paternità) o dal congedo per la malattia del bambino; o ancora intimato fino ad un anno dall’ingresso del Minore adottivo nel nucleo familiare (art. 54.01, 06, 07 e 09 D.lgs. 151/2011);
·         Licenziamento riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge (es. licenziamento del Lavoratore svolgente pubbliche funzioni elettive, collocatosi in aspettativa).

Licenziamento determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 del Codice Civile (vedi ad esempio, abusi e omissioni dolose commesse nella nuova procedura di “raffreddamento” preventiva al cd “licenziamento economico” ex. art. 07 l. 604/1966, come riformato dalla Monti-Fornero).

                Quale trattamento risarcitorio per i casi di licenziamento discriminatorio, ai sensi del nuovo art. 18.01° comma l. 92/2012, il Giudice:

a)       Ordina al Datore la reintegrazione del Lavoratore nel posto di lavoro (in alternativa, il Lavoratore può chiedere un’indennità pari a 15 mensilità, non soggetta a contribuzione previdenziale);
b)       Condanna il Datore di Lavoro al risarcimento del danno, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, maturata dal giorno del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore alle 05 mensilità;
c)        Condanna il Datore di Lavoro al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione.

Al trattamento risarcitorio per licenziamento discriminatorio la legge 92/2012 equipara il caso di licenziamento in forma orale: aspetto questo di dubbia legittimità costituzionale, in quanto non si comprende per quale speciale motivo l’oralità debba subire un trattamento meno severo rispetto ad altri casi di carenze formali, sanzionate dalla riforma in modo meno severo nella generalità dei casi.

B)       LICENZIAMENTI DISCIPLINARI E LICENZIAMENTI “PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO” MANIFESTAMENTE INFONDATI (art. 18.04-07 comma):

Nei casi di

a)        Licenziamenti disciplinari: nei casi di provvedimenti disciplinari illegittimi per insussistenza dei fatti contestati, ovvero per errata applicazione di sanzione espulsiva (licenziamento) in luogo di sanzione conservativa disposta dal CCNL;
b)       Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo rientranti nella nuova previsione dell’art. 07 l. 604/66, di cui si contesti la “manifesta infondatezza”;
c)        Licenziamenti illegittimi motivati da inidoneità fisica o psichica del Lavoratore, senza l’osservanza della disciplina di tutela del posto di lavoro e della professionalità, in violazione cioè dell’art. 04.04°comma l. 68/1999, dell’art. 04.10°comma l. 68/1999 e dell’art. 2110 del Codice Civile.



Quale trattamento risarcitorio per questi casi, ai sensi del nuovo art. 18.04-07° comma l. 92/2012, il Giudice:

a) Ordina al Datore la reintegrazione del Lavoratore nel posto di lavoro (in alternativa, il Lavoratore può chiedere un’indennità pari a 15 mensilità, non soggetta a contribuzione previdenziale);
b) Condanna il Datore di Lavoro al risarcimento del danno, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, maturata dal giorno del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore alle 12 mensilità;
c) Condanna il Datore di Lavoro al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione.

ATTENZIONE ALLE REGOLE DELL’ACCREDITO DEI CONTRIBUTI INPS DOPO LA REINTEGRA!
Sia nel caso di licenziamento “discriminatorio” (Sub A) che nel caso di “licenziamento disciplinare o manifestamente infondato” (Sub B), la riforma Monti Fornero ha disposto speciali regole per l’accredito dei contributi dovuti nelle more del licenziamento e della reintegra.
In questi termini, dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti dal Datore di Lavoro dalla data dell’illegittimo licenziamento fino a quella dell’eventuale reintegrazione in servizio deve essere decurtata la contribuzione accreditata al Lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altra attività lavorativa: il Datore di Lavoro è tenuto a corrispondere solo il differenziale contributivo.
Nel caso, poi, in cui i contributi versati da altro Datore di Lavoro nelle more del giudizio dell’impugnativa afferiscano ad altra Gestione Previdenziale (es. Gestione Separata INPS), i medesimi contributi vanno imputati, d’ufficio, alla gestione corrispondente all’attività lavorativa illegittimamente risolta, con addebito dei costi di trasferimento contributivo al Datore di Lavoro che ha adottato il provvedimento di recesso dichiarato invalido.
Per alleggerire e ammorbidire speciali sanzioni “previdenziali” tipiche del regime della “reintegra”, e attenuare le rigidità gestionali che in questa situazione potrebbero determinarsi per la corretta ricostruzione della posizione contributiva del Dipendente, è prevista la possibilità della revoca del licenziamento da parte del Datore di Lavoro. Se questa viene emessa entro il termine di 15 gg. dalla comunicazione al Datore di Lavoro dell’impugnazione del medesimo, determina la ripresa del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, con piena maturazione in capo al Dipendente già licenziato dei diritti retributivi e contributivi preesistenti, senza applicazione delle sanzioni ivi previste nel caso di licenziamento illegittimo.

C) ALTRI LICENZIAMENTI DISCIPLINARI O “OGGETTIVI” ILLEGITTIMI (art. 18.05-07°comma):
Trattasi di fattispecie classicamente residuale, comprendente tutti i casi di violazione dei canoni di “giustificato motivo soggettivo” (licenziamento disciplinare) o di “giustificato motivo oggettivo” diversi da quelli soggetti alla più severa disciplina dell’art. 18.01°comma e dell’art. 18.04°comma.

Quale trattamento risarcitorio per questi casi, ai sensi del nuovo art. 18.04-07° comma l. 92/2012, il Giudice:

a) Dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data di licenziamento;
b) Condanna il Datore di Lavoro al risarcimento del danno, stabilendo a tal fine un’indennità onnicomprensiva commisurata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità, dell’ultima retribuzione globale di fatto.

D)ALTRI LICENZIAMENTI ILLEGITTIMI PER VIZI FORMALI O PROCEDURALI (art. 18.06°comma):

Trattasi dei casi di licenziamenti
a)Privi di motivazione in violazione dell’art. 02 l. 604/1966;
                b) Irrogati senza l’osservanza della procedura di cui all’art. 07 l. 300/1970;
c) Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati senza l’osservanza della procedura ex. art. 07 l. 604/1966.

Il limite dimensionale, però, non vale per tutti i casi qui citati. La disciplina di cui al punto A), ovvero del “licenziamento discriminatorio” si applica a tutte le imprese, anche con meno di 15 Dipendenti. Attenzione, però, che la riforma Fornero ha introdotto confini più “mobili” tra tutela reale e obbligatoria: stante la circostanza che sono soggetti all’art. 18 St. lav. Tutti i licenziamenti comunque compiuti in modo fraudolento (vedi art. 1345 Codice Civile) anche se prima facie sarebbero gestibili in tutela obbligatoria (in impresa con meno di 15 Dipendenti) sarebbero automaticamente compresi nella più severa disciplina dell’art. 18.

ATTENZIONE: IL RISARCIMENTO E’ RIDOTTO SE IL DIPENDENTE LICENZIATO SVOLGE ALTRO LAVORO NELLE MORE DELLA VERTENZA DI LICENZIAMENTO
In questi termini, la riforma Monti-Fornero, consolidando quelli che erano in larga parte “diritto vigente e non scritto” presso le Corti Giudiziarie, ha stabilito che quando il Datore di Lavoro sia stato condannato a risarcimento del danno (nelle ipotesi sopra contemplate), dalle somme riconosciute a titolo risarcitorio va dedotto l'eventuale aliunde perceptum (ossia il quantum percepito presso altri Datori di Lavoro a seguito della risoluzione del rapporto), ovvero l'aliunde percipiendum, vera novità della riforma (riferita a quanto il Lavoratore avrebbe potuto percepire con una ricerca accurata e diligente di lavoro, secondo la "propria occupabilità").
                Le disposizioni appaiono a prima vista meramente “ricognitive” di regole già esistenti e riteniamo parrebbero applicabili indistintamente ai licenziamenti intimati sia nell’ ”area reale” sia nell’area “obbligatoria”. Ma sul punto, svilupperemo i necessari chiarimenti.

                TERMINI DI IMPUGNAZIONE:
                La disciplina applicabile è differenziata:

a)       Fino al 31/12/2012, il licenziamento è impugabile in via stragiudiziale entro 60 gg. dalla ricezione della comunicazione. A questo fine, il Lavoratore decade dalla possibilità di agire in giudizio se entro 270 gg. non provvede a depositare il ricorso nella Cancelleria del Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro;
b)       Dal 01/01/2012, il Lavoratore, che può sempre impugnare il licenziamento in via stragiudiziale nel termine di 60 gg., decade dal diritto di azione giurisdizionale se entro 180 gg. dall’impugazione non provvede a depositare il ricorso nella Cancelleria del Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro.

Questo è quanto al momento appare possibile dire sulla nuova versione dell’art. 18, come riformato dalla l. 92/2012.
La riforma si caratterizza per una rimodulazione di tutele operata dalla Monti-Fornero tende ad avvicinare il più possibile le tecniche di tutela dell’area reale a quella dell’area risarcitoria, salvaguardando l’operatività della tradizionale reintegra come ultima ratio in casi particolarmente gravi, quale “pena privata” per sanzionare comportamenti particolarmente odiosi del Datore di Lavoro.
Colpisce poi la tecnica analitica, ma molto giudiziaria e “avvocatesca” della riforma, tesa a puntualizzare e dettagliare aspetti e tecniche di tutela giudiziaria, per contrastare abusi.

E I LICENZIAMENTI CD ECONOMICO/ORGANIZZATIVI?
SOLO ALCUNI CENNI SUL NUOVO ART. 06 l. 604/1966:
A margine, possiamo solo accennare all’altro aspetto della riforma dell’art. 18, la più discussa e controversa del cd “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” (economico). La difficile gestazione del progetto di riforma ha portato l’Esecutivo ad accantonare l’iniziale progetto che escludeva la reintegra dai cd “licenziamenti economico/organizzativi”, per portare avanti un disegno di “liberalizzazione” già iniziato dalla legge 183/2010 (cd Collegato Lavoro) ed ad approdare per una soluzione di compromesso abbastanza astrusa ed ermetica incentrata sull’obbligo del Datore a comunicare alla DPL l’intenzione di procedere a licenziamenti economici, in modo da permettere una serie di colloqui esplorativi col Lavoratore per “raffreddare” possibili forme di conflitto.
E’ prematuro pronunciarsi su tale normativa, che appositamente stralciamo da questa breve Comunicazione, riservandoci comunicazioni più consolidate quando il Ministero del Lavoro avrà “detto la sua” sugli adempimenti da farsi presso i propri Uffici.
L’unica cosa che al momento si può dire (e che non è incoraggiante per le prospettive di riforma) è che i “vincoli” ai licenziamenti economici non appartengono al rango di “diritto scritto” (così che, per rimuovere detti vincoli, basta rimuovere la norma scritta), ma sono di origine “non scritta”, ossia frutto di interpretazioni che si sono via via consolidate presso i Tribunali come “diritto vivente”. La battaglia, quindi, è più culturale che legislativa (e il legislatore tenta di combatterla di “retroguardia” con un’interpretazione autentica delle disposizioni del Codice di Procedura Civile sui cd “vizi di diritto” che rendono impugnabile una sentenza, inserendovi il caso di ingerenza del Giudice in considerazioni di merito tecnico-organizzativo.

Dr. Giorgio Frabetti
Consulente d'Azienda in Ferrara

COLLABORATORI DI STUDIO PROFESSIONALE IN PARTITA IVA E LEGGE MONTI FORNERO- UN QUESITO


QUESITO:
Sono un Geometra libero professionista iscritto all'Ordine dei Geometri. Nel mio Studio professionale lavora come Consulente in Partita IVA un Architetto non iscritto all'Ordine e un Geometra abilitato e iscritto al proprio Ordine Professionale. Come mi devo comportare con questi Collaboratori di Studio, dopo che la legge Monti-Fornero ha introdotto restrizioni alle Partite IVA? Grazie dell'attenzione.

RISPOSTA AL QUESITO: 
Prima di rispondere è necessario precisare che in data 18/07 us il Ministero ha emanato una Circolare applicativa che tratta solo una parte delle novità della contrattualistica, stralciando tutte le parti della riforma oggetto di emendamenti: tra queste, la disciplina sulle Partite IVA. 
E' inevitabile, allora, per trarre qualche utile indicazione orientativa, ripercorrere il travagliato iter della legge Monti-Fornero relativa alle "Partite IVA abusive" anche perchè proprio questa fattispecie è attualmente soggetta ad una prima revisione da parte delle Camere, in sede di conversione del DL Sviluppo.
Le restrizioni investono le Collaborazioni dove il lavoratore "sedicente" autonomo opera su una postazione fissa dell'Ufficio (scrivania etc.), in un rapporto continuativo con uno stesso Committente per più di 08 mesi e ritraendo dalla Collaborazione un compenso superiore all'80% del volume complessivo di compensi da lavoro autonomo entro l'anno (due anni, nella modifica legislativa al vaglio delle Camere; ma la disposizione è quanto di più incerto ci sia).
In ogni caso, per le collaborazioni in essere alla data di entrata in vigore della riforma, tali disposizioni scattano decorsi 12 mesi (ossia al 18/07/2013).
Dopo un defatigante iter di discussione, su pressione di Confindustria, il Governo ha precisato che tali elementi costituiscono solo indici presuntivi la cui ricorrenza obbliga gli Ispettori all'effettuazione di controlli, ma senza escludere per il Committente la prova della genuina autonomia.
Dopo svariate polemiche e critiche, che si sono fatte sentire aspramente dal mondo professionale (e dagli Architetti in particolare), in sede parlamentare (per opera degli On.li De Castro e Treu), sono state introdotte disposizioni che di fatto salvaguardano il settore delle Professioni dalle disposizioni sulle cd "finte Partite IVA" (disposizioni poi recepite dal Governo nei maxi-emendamenti votati rispettivamente alla Camera e al Senato).
La "salvaguardia" degli Studi Professionali discende dal seguente combinato disposto:
a) Esonero dai controlli delle Partite IVA che sviluppino un volume di compensi lordo pari al multiplo di 1.25 del minimale commercianti INPS (attualmente stimabile in € 18.667);
b) Esonero dai controlli delle Partite IVA dotate di elevate conoscenze teoriche, acquisite a seguito di significativi percorsi formativi o di cognizioni tecnico-pratiche  acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto delle attività;
c) Prestazioni professionali "riservate" a professionisti iscritti ad Ordini e Albi.

Il punto "b", a Ns. avviso, è la parte di disposto che salvaguarda il mondo della "consulenza professionale" di tutti i soggetti "fuori Albi e Ordini" (per i quali è prevista una, controversa, ma specifica disciplina ad hoc). Per quanto ci riguarda, e per quanto ci è dato sapere, è questo il binario che permette di "salvare" il rapporto con l'Architetto (non abilitato) di cui si parla nel Quesito.
Viceversa, il punto "c" è il punto che salvaguarda la prestazione dei Geometri abilitati che collaborano con lo Studio Professionale.
Quali criticità possono sorgere?
La legge "esonera" in questi casi la DPL dall'obbligo di effettuare controlli; ma non impedisce ai soggetti in Partite IVA di invocare il disconoscimento del lavoro autonomo, se riescono a provare che esso è finto. La legge in altre parole, non esclude che la prova della "finta autonomia" possa venire dall'inversione dell'onere della prova in capo ai Collaboratori: questo può essere il caso del Collaboratore che riesca a provare di aver svolto, dietro lo schermo del titolo, funzioni segretariali, ovvero attività soggetta a vincoli disciplinari molto stretti (chè questa prova è ritenuta più decisiva per il lavoro subordinato per i Professionisti intellettuali, come da consolidata giurisprudenza!). E' evidente, quindi, che questa è la principale (e ci teniamo a precisare TEORICA) criticità che può presentare la posizione dell'Architetto.
Per il Geometra, è più difficile virare verso il lavoro subordinato; criticità possono però sorgere se il Geometra sviluppa attività "non riservate" rispetto alla sua posizione ordinistica: se ad esempio, sconfina in operazioni che usualmente svolgono altri Professionisti (Architetti, Ingegneri etc.).
Naturalmente, in tutti questi casi, è il Collaboratore-Professionista a "muovere le bocce", ossia a poter invertire l'onere della prova. Ma è evidente che se quest'onere della prova non è assolto, la collaborazione autonoma si presume legittima.
Naturalmente, Vi aggiorneremo delle disposizioni e dei chiarimenti ministeriali che sopraggiungessero in questa complicatissima e delicatissima materia. 

Dr. Giorgio Frabetti, 
Consulente d'Azienda in Ferrara

martedì 24 luglio 2012

TARDIVA/OMESSA COMUNICAZIONE DI CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO: QUALE TERMINE DOPO LE NUOVE REGOLE SULLE DIMISSIONI?


Alcuni rilevanti problemi di coordinamento tra la disciplina degli obblighi e delle sanzioni per la comunicazione (UNILAV) di cessazione del rapporto di lavoro dipendente e la nuova disciplina delle dimissioni vincolate.
La procedura di conferma delle dimissioni diventa il nuovo dies a quo a partire dal quale far decorrere i termini di 05 gg per le comunicazioni obbligatorie di cessazione, ovvero le relative sanzioni amministrative in caso di ritardo? 
Qui si pone il problema di verificare se l'art. 21 l. 264/1949 e la relativa decorrenza dai "cinque gioni dalla cessazione" (entro cui è dovuta la comunicazione) sulla comunicazione di cessazione debba intendersi come subordinata alle dimissioni confermate secondo la procedura di legge (ed eventualmente non più dalle semplici dimissioni impartite a voce o per iscritto dal Dipendente). Dovrà mantenersi la data "fissa" indicata nella lettera di dimissioni o la data deve intendersi "mobile" in riferimento a quella di convalida da cui le dimissioni acquistano efficacia? Ovvero dovrà effettuarsi un supplemento di comunicazione, a norma dell'art. 21 l. 264/1949, che obbliga alla comunicazione ogni qualvolta tra la data di cessazione contrattualizzata e quella di cessazione effettiva ci sia una sfasatura?
Per quanto ci riguarda, riteniamo che non ci siano i presupposti per ritenere che la legge abbia innovato la decorrenza temporale della comunicazione di cessazione del rapporto
Allo stato attuale, l'art. 21, per come appare dal tenore letterale intrinseco, non pare adeguabile alla sopravvenuta nuova procedura di convalida delle dimissioni.
Nel caso ex. art. 21 cit., infatti, abbiamo descritto il caso di un rapporto di cui le parti avevano programmato la chiusura in una certa data che viene a concludersi in un'altra data (è il caso tipico del lavoro a termine che perduri ad es. per 20 gg dopo la cessazione del termine), nel caso di dimissioni abbiamo un rapporto già concluso con le dimissioni, soltanto soggetto ad una "condizione" per la definitiva chiusura formale.
Prudenzialmente, non riterremo assimilabili queste due circostanze (fino a diverso parere del Ministero naturalmente), poichè, ad ammettere la diversa conclusione ed ad ammetterne per conseguenza la sanzionabilità amministrativa per ritardata, omessa comunicazione, si arriverebbe ad una analogia in malam partem: nell'economia del sistema delle sanzioni amministrative ex. l. 689/1981, incentrate su un rigoroso principio di tipicità legale, riterremo pertanto che le sanzioni per ritardata/mancata comunicazione di cessazione (UNILAV) decorrano trascorsi 05 gg. dalla data contenuta nel tradizionale atto di dimissioni, a prescindere dalla convalida.
Il punto non è stato chiarito nella recente Circolare 18/2012, ma riteniamo questa la soluzione più prudente.
Una soluzione prudente, che comunque lascia aperto un problema: la comunicazione di cessazione telematica potrà pure essere dovuta entro 05 dalla data contenuta nella lettera di dimissioni. Ma se il Dipendente non conferma? Che ne è di quella comunicazione? Qualcuno opina già che il rapporto possa riprendersi con rettifiche, aprendo così un vespaio di discussioni, relative a problemi di gestione generati dal diffuso mancato coordinamento delle norme tecniche del sistema delle COT con la nuove procedure di convalida delle dimissioni.
Per evitare ogni contestazione, quindi, è opportuno che dimissioni e convalida siano il più possibile contestuali o almeno ravvicinate. E in questo senso, è opportuno che, insieme alla lettera di dimissioni, il Dipendente firmi anche la comunicazione telematica di cessazione (anche svolta con la data "futura" delle dimissioni) per evitare sorprese o ripensamenti.


Studio CDL Francesco Landi,
Consulente del Lavoro in Ferrara