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venerdì 29 aprile 2016

DISTACCO COMUNITARIO (UE): NUOVE NORME IN ARRIVO-FLASH

Fonte: DottrinaLavoro.it-Consiglio dei Ministri

Nel Consiglio dei Ministri n. 112 del 15 aprile 2016 è stato approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/67/UE del parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE che disciplina il distacco transfrontaliero (ovvero meccanismo in base al quale le imprese presenti nel territorio di uno stato membro prestano servizi tramite i propri lavoratori nel territorio di un altro stato membro) e modifica il regolamento (Ue) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (regolamento IMI).
Gli obiettivi fondamentali della Direttiva sono il contrasto del fenomeno del distacco abusivo, attraverso cui si realizza la violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori e pratiche di concorrenza sleale e l’agevolazione della cooperazione tra gli Stati membri nell’accertamento dell’autenticità dei distacchi e nel perseguimento e nella repressione dei distacchi abusivi. Il decreto legislativo individua una serie di elementi fattuali utili a verificare l’autenticità del distacco e prevede, innovando rispetto a quanto attualmente previsto, che nel caso in cui il distacco transnazionale risulti non autentico il lavoratore distaccato è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze del distaccatario. Disciplina le condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati in Italia e dispone che tali condizioni di lavoro devono essere corrispondenti a quelle dei lavoratori italiani che prestano la stessa o analoga attività e prevede che in caso di inadempimento agli obblighi retributivi e contributivi da parte dell’impresa distaccante, l’utilizzatore sia solidalmente responsabile. Inoltre impone l’obbligo all’impresa distaccante di comunicare il distacco dei suoi lavoratori in Italia almeno 24 ore prima dell’inizio, fornendo una serie di informazioni relative, tra l’altro, all’impresa distaccante, all’impresa distaccataria, all’identità ed al numero dei lavoratori distaccati e alla natura del contratto in base al quale viene effettuato il distacco.
Infine stabilisce le disposizioni che disciplinano la cooperazione tra Stati nell’attività di verifica dell’autenticità dei distacchi e di perseguimento e repressione dei distacchi abusivi, e che prevedono l’utilizzo al fine della piattaforma informatica europea IMI, veicolo per lo scambio di informazioni tra le Autorità dei diversi Stati membri e per la trasmissione di atti o provvedimenti che le Autorità di uno Stato chiedono vengano notificati o eseguiti nel territorio di un altro Stato membro.

Vi terremo aggiornati.

mercoledì 27 aprile 2016

I CASI IN CUI E' POSSIBILE LICENZIARE IL DIRIGENTE-PANORAMICA

I Lavoratori Dipendenti in possesso della qualifica dirigenziale non sono mai stati soggetti alle speciali discipline limitative del licenziamento individuale previste dalla l. 604/66, dalla l. 300/70 e ora aggiornate dal D.lgs. 23/2015 (cd contratto a tutele crescenti).
L’unica cornice legale regolativa della fattispecie è il Codice Civile, in particolare gli artt. 2118-2119.
Tale disciplina, però, risulta rimodulata in relazione agli adattamenti introdotti dalla contrattazione collettiva.
In particolare, mentre l’art. 2119 C.C. sulla cd “giusta causa” di licenziamento (e dimissioni) è immediatamente applicabile (ed è talmente noto, da non meritare ulteriori approfondimenti), la contrattazione collettiva è via via intervenuta per circoscrivere la portata applicativa dell’art. 2118 che, se applicabile direttamente in forza della nuda disposizione del Codice Civile, renderebbe assolutamente libero il licenziamento del Dirigente, salvo l’obbligo del preavviso (è l’ipotesi del cd Licenziamento ad nutum).
Una delle fonti collettive più rilevanti per la regolazione del licenziamento dei Dirigenti è il CCNL “Dirigenti Industria” che, aldilà del limite settoriale di applicazione, costituisce una specie di “modello”, di “disciplina-tipo” su cui sono ricalcate molte altri CCNL (es. Terziario). Per la sua tipicità e significatività, ne forniamo un compendio sotto.
Qui, sarà sufficiente una breve, ma efficace sintesi.
Il “licenziamento economico” del Dirigente (industria), sottratto al regime “deregolato” dell’art. 2118 Codice Civile, è regolato dal CCNL Industria all’art. 22.
Il “licenziamento economico” del Dirigente non soggiace alla regola, comune per gli altri Dipendenti, del cd “giustificato motivo oggettivo”, quanto al più ampio criterio della cd “giustificatezza”.
In altre parole, il licenziamento non deve essere discriminatorio, non deve essere dettato da “motivo illecito”, ma deve essere sorretto da ragioni “oggettive e concretamente accertabili” (vedi, tra le altre, Cass. 17/2/2015 nr. 3121).
Alcuni esempi tratti dalla giurisprudenza:

1)      Soppressione del posto e conseguente riorganizzazione Aziendale (Cass. 8/3/2012 nr. 3628);
2)      Mancato raggiungimento di un certo risultato, a condizione che questo sia pattuito nel contratto individuale di lavoro (Trib. Milano, 9/10/2007);

Sussiste, poi, la “giusta causa” di licenziamento ex. art. 2119, tutte le volte in cui tra Azienda e Dirigente venga meno il rapporto di fiducia. Alcuni esempi:

1)      Dirigente che, in malattia, si renda irreperibile, senza ragione alcuna, alla Direzione Aziendale con cui ordinariamente si interfaccia (Cass. 20/11/2006 nr. 24591);
2)      Dirigente che consenta un indebitamento dell’Azienda oltre il limiti di budget consentiti (Cass. 12/1/2009 nr. 394).

Il Datore di Lavoro è obbligato, contestualmente alla comunicazione del licenziamento, a comunicarne le motivazioni, salvo che per lavoratori aventi diritto alla pensione di vecchiaia o, comunque, al compimento dei 67 anni di età. In ogni caso, è obbligatoria la forma scritta del licenziamento del Dirigente.
Ai sensi dell’art. 32.1-2 comma l. 183/2010, il Dirigente può impugnare il licenziamento entro 60 giorni decorrenti dal ricevimento della sua comunicazione e disporre di ogni istituto di tutela (giudiziale e stragiudiziale) previsto dalla legge e dal CCNL. Va notato, però, che il comma 2 dell'art. 32 riferisce questa possibilità di impugnazione del Dirigente (la stessa tempistica degli altri lavoratori dipendenti) al caso di "licenziamento invalido": tale è il "licenziamento discriminatorio", o "per motivo illecito" del Dirigente. Meno chiaro se sia anche il "licenziamento ingiustificato" (un'espressione non utilizzata dall'art. 32.2 comma citato). Sul punto, pertanto, si raccomanda prudenza. In ogni caso, ove non fosse possibile l'impugnazione ex. Art. 32.2 comma l. 183/2010, sono disponibili le tutele del CCNL (Vedi art. 19 CCNL Dirigenti Industria). 
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Dirigenti industria

Testo Coordinato

Testo coordinato del ccnl per il settore Dirigenti - Industria da valere per il periodo 2015 - 2018


Inizio validità : 25 novembre 2009 - Fine validità : 31 dicembre 2018



Parte sesta - Risoluzione del rapporto
Articolo 22
Risoluzione del rapporto di lavoro
1. Nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la parte recedente deve darne comunicazione per iscritto all'altra parte.
2. Nel caso di risoluzione ad iniziativa dell'azienda, quest'ultima è tenuta a specificarne contestualmente la motivazione.
3. Il dirigente, ove non ritenga giustificata la motivazione addotta dall'azienda, ovvero nel caso in cui detta motivazione non sia stata fornita contestualmente alla comunicazione del recesso, potrà ricorrere al Collegio arbitrale di cui all'art. 19.
4. Il ricorso dovrà essere inoltrato all'Organizzazione territoriale della Federmanager, a mezzo raccomandata a.r. che costituirà prova del rispetto dei termini, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione scritta del licenziamento.
5. Il ricorso al Collegio non costituisce di per sé motivo per sospendere la corresponsione al dirigente delle indennità di cui agli artt. 23 e 24.
6. Le disposizioni del presente articolo, salva la comunicazione per iscritto di cui al comma 1, non si applicano in caso di risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti del dirigente che sia in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia o che abbia comunque superato il 65° anno di età (60° se donna).

Articolo 23
Preavviso
1. Salvo il disposto dell'art. 2119 del cod. civ., il contratto a tempo indeterminato non potrà essere risolto, dal datore di lavoro, senza preavviso i cui termini sono stabiliti come segue:
a) mesi otto di preavviso se il dirigente ha un'anzianità di servizio non superiore a due anni;
b) un ulteriore mezzo mese per ogni successivo anno di anzianità con un massimo di altri quattro mesi di preavviso.
2. In conseguenza, il termine complessivo di preavviso, come dovuto ai sensi del comma 1, non dovrà, comunque, essere superiore a 12 mesi.
3. Il dirigente dimissionario deve dare al datore di lavoro un preavviso i cui termini saranno pari ad 1/3 di quelli sopra indicati.
4. In caso di inosservanza dei termini suddetti è dovuta dalla parte inadempiente all'altra parte, per il periodo di mancato preavviso, una indennità pari alla retribuzione che il dirigente avrebbe percepito durante il periodo di mancato preavviso.
5. È in facoltà del dirigente che riceve la disdetta di troncare il rapporto, sia all'inizio, sia durante il preavviso, senza che da ciò gli derivi alcun obbligo di indennizzo per il periodo di preavviso non compiuto.
6. Il periodo di preavviso sarà computato nell'anzianità agli effetti del trattamento di fine rapporto.
7. L'indennità sostitutiva del preavviso è soggetta ai contributi previdenziali e assistenziali; i contributi predetti saranno versati agli Enti previdenziali e assistenziali di categoria con l'indicazione separata e distinta dei mesi di competenza nei quali avrebbero dovuto essere pagati.
8. Durante il periodo di preavviso non potrà farsi obbligo al dirigente uscente di prestare servizio senza il suo consenso alle dipendenze del dirigente di pari grado che lo dovrà sostituire.
9. Agli effetti di cui alla lettera b) del comma 1 viene trascurata la frazione di anno inferiore al semestre e viene considerata come anno compiuto la frazione di anno uguale o superiore al semestre.
Dichiarazione a verbale
Le parti concordano che dalla stipula del contratto collettivo nazionale di lavoro 16 maggio 1985, per la peculiarità delle funzioni dirigenziali, il preavviso, anche se sostituito dalla corrispondente indennità, è computato agli effetti del trattamento di fine rapporto.
Modifiche ed integrazioni apportate dall'accordo di rinnovo 30 dicembre 2014 al testo del ccnl 25 novembre 2009

Preavviso
L’art. 23, primo comma è sostituito dalla seguente:
1. Salvo il disposto dell’art. 2119 del cod. civ., il contratto a tempo indeterminato non potrà essere risolto dal datore di lavoro senza preavviso i cui termini sono stabiliti come segue:
a) mesi 6 di preavviso per i dirigenti fino a sei anni di anzianità aziendale;
a) mesi 8 di preavviso per i dirigenti fino a dieci anni di anzianità aziendale;
b) mesi 10 di preavviso per i dirigenti fino a quindici anni di anzianità aziendale;
c) mesi 12 di preavviso per i dirigenti oltre quindici anni di anzianità aziendale. 

Articolo 24
Trattamento di fine rapporto
1. In caso di risoluzione del rapporto, spetterà al dirigente, a parte quanto previsto dall'art. 23, un trattamento di fine rapporto da calcolarsi in base a quanto disposto dall'art. 2120 del cod. civ., come sostituito dall'art. 1 della legge 29 maggio 1982, n. 297.
2. Con riferimento al comma 2 del citato art. 2120 del cod. civ., per il computo del trattamento di fine rapporto si considerano, oltre allo stipendio, tutti gli elementi costitutivi della retribuzione aventi carattere continuativo, ivi compresi le provvigioni, i premi di produzione ed ogni altro compenso ed indennità anche se non di ammontare fisso, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese e di emolumenti di carattere occasionale. Fanno altresì parte della retribuzione l'equivalente del vitto e dell'alloggio eventualmente dovuti al dirigente nella misura convenzionalmente concordata, nonché le partecipazioni agli utili e le gratifiche non consuetudinarie e gli aumenti di gratifica pure non consuetudinari, corrisposti in funzione del favorevole andamento aziendale.
Disposizione transitoria
Ai fini della determinazione dell'indennità di anzianità da calcolarsi all'atto dell'entrata in vigore della legge n. 297 del 1982, ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge medesima, si richiamano le particolari norme di cui alle disposizioni transitorie in calce all'art. 24 del contratto collettivo nazionale di lavoro 13 aprile 1981, i cui termini vengono di seguito integralmente riportati.
"Per i dirigenti che, alla data del 31 gennaio 1979, hanno maturato l'anzianità già prevista dal sostituito art. 22 del contratto collettivo nazionale di lavoro 4 aprile 1975 per il conseguimento, sull'intera anzianità o su parte di essa, della maggiore indennità in ragione di mezza mensilità, si procederà a quantificare l'indicata maggiore indennità spettante alla data predetta, traducendola in corrispondenti mensilità (e/o frazione individuata ai sensi dell'art. 24, comma 2, del citato contratto collettivo nazionale di lavoro) che saranno erogate all'atto della risoluzione del rapporto di lavoro e con il valore dell'ultima retribuzione al quale fanno riferimento i criteri di computo dell'indennità di anzianità.
Per i dirigenti che, alla data del 31 gennaio 1979, non hanno maturato i requisiti già stabiliti dal sostituito art. 22 per conseguire la maggiore indennità, si procederà alla relativa quantificazione e traduzione in corrispondenti mensilità (e/o frazione) in proporzione alle singole anzianità.
Nei casi di anzianità che, ai sensi del comma 1, diano diritto alla maggiore indennità limitatamente a parte dell'anzianità stessa, il riconoscimento di cui al precedente comma si aggiungerà a quello dovuto ai sensi del comma 1.
La liquidazione ed erogazione saranno effettuate con le modalità stabilite dal comma 1, anche nei casi di cui ai commi 2 e 3.
Le quantificazioni stabilite al comma 2 avverranno in base al rapporto tra l'anzianità maturata nella qualifica di dirigente alla data del 31 gennaio 1979 e la permanenza in detta qualifica che sarebbe stata individualmente necessaria a norma del sostituito art. 22 per consentire la migliore misura per l'intera anzianità. Per procedere al calcolo del rapporto, che sarà espresso con tre cifre decimali, le suddette grandezze vanno indicate in numero di mesi. L'individuazione delle corrispondenti mensilità e/o frazione sarà ottenuta moltiplicando per quattro l'indicato rapporto".

Articolo 25
Indennità in caso di morte
1. In caso di morte del dirigente, l'azienda corrisponderà agli aventi diritto, oltre all'indennità sostitutiva del preavviso, il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 24. Ciò, indipendentemente da quanto possa loro spettare a titolo integrativo per fondo di previdenza, per coperture assicurative e per ogni altra causa.

Articolo 26
Anzianità
1. A tutti gli effetti del presente contratto l'anzianità si computa comprendendovi tutto il periodo di servizio prestato alle dipendenze dell'azienda anche con altre qualifiche.
2. Agli effetti della determinazione dell'anzianità ogni anno iniziato si computa pro-rata in relazione ai mesi di servizio prestato, computandosi come mese intero la frazione di mese superiore a 15 giorni.
3. All'anzianità come sopra specificata vanno sommate quelle anzianità convenzionali cui il dirigente abbia diritto.

martedì 26 aprile 2016

DAL 2016, DETASSAZIONE DEL 10% ANCHE PER IL LAVORO AGILE-UNA NOSTRA COLLABORAZIONE PER IL SITO WEB "PROPOSTA LAVORO"

AVVERTENZA: Oggi, sul sito web "Proposta Lavoro", è stato pubblicato, con il gentile concorso del dr. Simone Caroli (Assistente Relazioni Industriali Confindustria Lecco e Sondrio), il testo Smart Working Act: come pagare meno tasse sul lavoro agile. Il contributo tratta della rilevante novità del dm 25 marzo 2016 che estende la detassazione alle "voci di produttività" previste dalla contrattazione collettiva (per lo più aziendale e territoriale) per incentivare e premiare il ricorso al lavoro agile (smart working). Qui di seguito, se ne pubblicherà un primo stralcio. Ringraziamo il dr. Simone Caroli e il sito web "Proposta Lavoro" per l'opportunità ricevuta.

 Meno tasse se il lavoratore è agile. Il disegno di legge sullo Smart Working vuole agevolare il Lavoro Agile anche dal punto di vista fiscale. I dipendenti regolarmente impiegati in modalità di lavoro agile, infatti, potranno beneficiare di agevolazioni fiscali grazie al Decreto del Ministero del Lavoro del 25 marzo scorso, in attuazione di quanto disposto dalla Legge di Stabilità 2016.
Il presupposto è che dal Lavoro Agile derivi una maggiore produttività, che, quindi, viene retribuita non più con il meccanismo dell'orario-lavoro, ma con un «salario di produttività». Così come i premi di risultato, quindi, il reddito da Lavoro Agile non subirà la stessa pressione fiscale del normale «reddito da lavoro dipendente», ma solamente una “imposta sostitutiva” IRPEF del 10%.
Bisogna capire ora cosa si intende per produttività. (...)
VUOI PROSEGUIRE NELLA LETTURA DELL'ARTICOLO? VAI AL SITO WEB: http://www.propostalavoro.com/benessere-e-lavoro/strumenti-autopromozione/smart-working-act-come-pagare-meno-tasse-sul-lavoro-agile

venerdì 22 aprile 2016

SE IL DIPENDENTE IN MALATTIA NON SI FA TROVARE PER LA VISITA MEDICA DAL MEDICO FISCALE ...-BREVE SINTESI

Cosa succede se il lavoratore, regolarmente in malattia e con diritto alla conservazione del posto di lavoro ex. art. 2110 Codice Civile, si rende irreperibile al Medico Fiscale INPS nelle fasce di reperibilità?

Ricordiamo che le fasce di reperibilità sono attualmente comprese dalle ore 10,00 alle ore 12,00 e dalle ore 17,00 alle ore 19,00, durante tutta la giornata di malattia, compresi domenica e giorni festivi.
Qui di seguito, una breve sintesi.
Oltre ad incorrere, nei casi più gravi, nel licenziamento, il Dipendente perde anche il diritto all’indennità di malattia, con le seguenti progressioni:

-Assenza ingiustificata alla prima visita: Perdita totale di qualsiasi trattamento economico per i primi 10 giorni di malattia (in questi, sono comprensi anche i primi 3 giorni di malattia; l’assenza dal lavoro diventa così ingiustificata);
-Assenza ingiustificata alla seconda visita (sia ambulatoriale, sia a domicilio): L’ulteriore assenza determina, oltre alla precedente sanzione, anche la riduzione del 50% del trattamento economico per il periodo residuo;
-Assenza ingiustificata alla terza visita: L’erogazione dell’indennità economica previdenziale a carico INPS (e del Datore di Lavoro) viene interrotta da quel momento e fino al termine del periodo di malattia, in quanto il caso si configura come mancato riconoscimento della malattia, ai fini della corresponsione della relativa indennità (Circ. INPS 65/1989).

Come da giurisprudenza consolidata (Cass. 6597/94; Cass. 9709/2000), la perdita del trattamento è causata dalla mera assenza al domicilio e non è connessa alla inesistenza della malattia. La sanzione si può applicare anche se il Lavoratore presenzia alla successiva vista ambulatoriale, dopo la precedente andata deserta.
La sanzione si applica anche nel caso in cui il Lavoratore, presente il Medico Fiscale, ritorni al domicilio da luogo esterno alla residenza (non deve, ad esempio, tornare dal garage): in questo caso, il Medico INPS, pur effettuando regolarmente la visita, deve verbalizzare la circostanza che il Lavoratore malato proveniva da fuori, una circostanza utile per applicare le decurtazioni previste dalla legge sul trattamento di malattia.
Le decurtazioni sopra evidenziate al trattamento INPS di malattia, comunque, non si applicano nei seguenti casi:

a)      Ricovero ospedaliero;
b)      Esistenza di periodi già accertati come validi da precedente visita di controllo;
c)       Assenza dovuta a giustificato motivo (es. esigenza indifferibile di recarsi in farmacia, visita in ospedale a parenti quando l’orario di ricevimento dei parenti della struttura coincida con quello di reperibilità e non vi siano soluzioni alternative etc.).

Sono  esclusi  dall'obbligo   di   rispettare   le   fasce   di reperibilita' i lavoratori  subordinati,  dipendenti  dai  datori  di lavoro  privati,   per   i   quali   l'assenza   e'   etiologicamente
riconducibile ad una delle seguenti circostanze:

a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
b)  stati  patologici  sottesi  o  connessi  alla  situazione  di invalidita' riconosciuta.
2. Le patologie di cui al comma 1, lettera a), devono risultare  da idonea  documentazione,   rilasciata   dalle   competenti   strutture sanitarie, che attesti la  natura  della  patologia  e  la  specifica terapia salvavita da effettuare.
3 Per beneficiare dell'esclusione  dell'obbligo  di  reperibilita', l'invalidita' di cui al comma 1, lettera b),  deve  aver  determinato una  riduzione  della  capacita'  lavorativa,  nella  misura  pari  o superiore al 67 per cento.

martedì 19 aprile 2016

ABROGAZIONE REGISTRO INFORTUNI: QUALI CONSEGUENZE PER I DATORI DI LAVORO?-FLASH

L’art. 21.4°comma del D.lgs. 151/2015 ha definitivamente abrogato il Registro Infortuni e posto fine alle ultime incertezze relative alla sopravvivenza delle connesse eventuali sanzioni amministrative.
Si segnala, quale utile commento e quale utile riflessione sulle conseguenze operative di questa disposizione, il contributo del dr. LONGO, nell’editoriale del 5/3/16 di Ipsoa Quotidiano che segnala come, venendo meno l’obbligo (sia pure residuale) di compilazione del Registro Infortuni, venga meno lo “storico” dell’infortunistica aziendale.
In sua assenza, mancherebbe uno strumento equivalente per obbligare in modo efficace i Datori di Lavoro ad archiviare gli infortuni e le denunce di infortunio occorse in Azienda e verrebbe meno uno strumento utilissimo per la valutazione dei rischi. In verità, scorrendo, sia pure velocemente la normativa di Sicurezza, ci pare che questi obblighi non vengano meno.
Pur abolito il registro infortuni, resta in vigore l’art. 28 D.lgs. 81/2008 ed è su questo articolo che si deve far leva, per ritenere comunque l’Azienda obbligata a informare volta per volta il Responsabile della valutazione dei rischi degli infortuni, anche minimi, occorsi in Azienda. Ricordiamo, infatti, che la valutazione dei rischi ex. art. 28 postula una valutazione di “tutti i rischi”, anche minimi, anche quelli che, solo fortuitamente, hanno impedito un maggiore danno (i cd near miss): come si potrebbe efficacemente adempiere a tale consegna di legge senza presupporre come necessario e dovuta la repertazione dell’andamento “storico” di tutta l’infortunistica aziendale (obbligata o meno che sia la compilazione del Registro infortuni)?
E’ evidente che, ove questa conservazione di dati e informazioni non fosse curata a dovere, scatterebbero tutte le responsabilità di legge, prima fra tutte quella (civile e penale) per infortunio e per mancata adozione di misure di Sicurezza adeguate.
Sul punto, comunque, restiamo in attesa di aggiornamenti da parte dell’INAIL e del Ministero del Lavoro.

lunedì 18 aprile 2016

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: I CASI IN CUI SI PUO' LICENZIARE IL DIPENDENTE-SINTESI

Il licenziamento disciplinare appartiene alla famiglia dei “licenziamenti per giusta causa” disciplinati, nelle grandi linee, dall’art. 2119 Codice Civile.
Si ha “giusta causa” di licenziamento, precisa il Codice, laddove si determina un evento (imputabile al Lavoratore) di tale gravità da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, neanche in via provvisoria.
Riassumendo, sulla scia della più che consolidata giurisprudenza di Cassazione, possiamo dire che il licenziamento disciplinare è giustificato, laddove si determina una evidente, conclamata e irrecuperabile rottura del rapporto fiduciario tra Datore di Lavoro e Dipendente; questo è il requisito che viene altrimenti nominato (nelle pubblicazioni, ma anche nelle sentenze dei Giudici) “proporzionalità” tra “Evento” e “Licenziamento”.
Qui di seguito, un rapido elenco delle condotte che, secondo i CCNL e nella prassi, sono ritenute meritevoli di licenziamento illegittimo:

a)      Abbandono ingiustificato del posto di lavoro;
b)      Assenza ingiustificata;
c)       Comunicazioni non veritiere tra Datore di Lavoro e Dipendente;
d)      Atti di insubordinazione e/o frode in costanza di malattia (correzione data del certificato medico, rifiuto di riprendere servizio cessata la malattia certificata, assenza ingiustificata alla visita di controllo etc.);
e)      Insubordinazione (es. Dipendente che si rechi al Lavoro contravvenendo al provvedimento disciplinare che abbia disposto la sospensione del lavoro);+
f)       Atti violenti verso Datore di Lavoro e Colleghi;
g)      Divulgazione non autorizzata di informazioni relative agli ambienti di lavoro, specie se contenenti informazioni non veritiere, ovvero tese a restituire un’immagine distorta del Datore di Lavoro presso il pubblico;
h)      Reati (vuoi commessi nella vita privata, vuoi commessi per causa di servizio), come spaccio di sostanze stupefacenti (anche spinelli), molestie sessuali anche se solo nei confronti di terzi, condanna per falsa testimonianza in processo civile, condanna a pene detentive per condotte gravi e incompatibili col rapporto di lavoro, appropriazione indebita di merci o oggetti di lavoro, sottrazione di un bene appartenente ad un collega, falsi documentali (N.B: A seconda del CCNL può essere necessario attendere, per la definizione del licenziamento disciplinare, la sentenza. Normalmente, però, se i fatti sono provati, il licenziamento può operare, indipendentemente dalle decisioni della Magistratura!);
i)        Rifiuto di eseguire le prestazioni di lavoro connesse alle mansioni contrattualmente affidate;
j)        Svolgimento di lavoro durante periodo di Cassa Integrazione Guadagni;
k)      Violazione dei doveri di diligenza, obbedienza, fedeltà, riservatezza.

Un tale elenco non può essere tassativo: ricordiamo, al riguardo, che l’art. 2119 Codice Civile è una norma “aperta”, che consente il licenziamento del Dipendente, in tutti i casi in cui sia comprovabile una grave e irrimediabile incompatibilità del Dipendente con l’ambiente di lavoro.
Ricordiamo che, per giustificare il licenziamento del Dipendente, non è sempre sufficiente il ricorrere dei fatti sopra descritti, dovendo il Datore motivare il licenziamento relativamente alla reale “incompatibilità” della condotta con gli ambienti di lavoro.
A questo riguardo, una non risalente sentenza (Cass. 30/1/2013 nr. 20158) ha offerto una esemplificazione utile circa il caso (tutt’altro che infrequente) di un Dipendente condannato per molestie sessuali verso terzi (non altre Dipendenti). Nella sentenza era stato giustificato il licenziamento, ritenendo che tale condotta criminosa (accertata giudizialmente e comunque notoria) evidenziasse una grave incompatibilità con il ruolo del Dipendente, chiamato a svolgere mansioni di coordinamento, in una realtà a composizione prevalentemente femminile. Ma la stessa condanna penale può non evidenziare una incompatibilità in altri casi, per altre mansioni, per il cui esercizio sia meno impegnativa e rilevante la personalità del Dipendente (es. attività di custodia, magazzino etc.).
In tutti i casi, il licenziamento, per essere efficace, deve essere “tempestivo” (ovvero non deve essere trascorso troppo tempo dalla commissione del fatto o dalla sua conoscenza da parte del Datore di Lavoro), ovvero comminato nel rispetto delle tempistiche del CCNL applicabile (in funzione della difesa del Dipendente).

venerdì 15 aprile 2016

COLF, I PRINCIPALI PERMESSI RETRIBUITI (ART. 20 CCNL)

Qui di seguito, un brevissimo elenco dei principali permessi retribuiti che il CCNL Lavoro domestico riconosce in capo ai e alle Colf.

1) PERMESSI RETRIBUITI PER VISITE MEDICHE DOCUMENTATE (art. 20.1°comma): Trattasi di permessi per visite mediche documentate da svolgersi in orari anche parzialmente coincidenti con l’orario di lavoro. Competono fino ad un massimo di 16 h per i lavoratori conviventi, fino a h 12 per lavoratori conviventi ma ad orario ridotto ex. art. 15.2°comma CCNL. Per i lavoratori non conviventi, con orario settimanale inferiore a 30 h, le 12 h di permesso retribuito saranno riproporzionate. Sul calcolo del riproporzionamento, si ritiene valida e coerente l’esemplificazione offerta dal Patronato FENAPI. Rapportato il “monte ore” completo di permessi di 12 h a 30h, ovvero al 40%, per conoscere il “monte ore” spettante in relazione al Lavoratore domestico, dovrà effettuarsi la seguente proporzione: Es. per un rapporto di lavoro di 29 h, la dote “massima” di permessi disponibile sarà h. 11.6 (29*40/100). Allo stesso risultato, però, sembra si possa pervenire con un semplice calcolo percentuale: se, infatti, consideriamo 29/30*100, e, di seguito, otteniamo il coefficiente 96.6%, se, inoltre, moltiplichiamo per tale percentuale 12 h (monte massimo di permessi su 30h) otteniamo lo stesso importo, 11.6 h. Per lo stesso motivo, potranno essere concessi ulteriori permessi che, però, non saranno retribuiti (comma 2), né su di essi potrà maturare l’eventuale indennità di vitto e alloggio (comma 6).
2) PERMESSI PER “COMPROVATA DISGRAZIA” AI FAMILIARI (art. 20.3°comma): Il CCNL non specifica cosa si intenda per “comprovata disgrazia” occorsa ai familiari, ma specifica che deve trattarsi di evento che ha colpito i “familiari conviventi”, ovvero parenti entro il 2° grado (“familiari conviventi”: dovrebbe rilevare a questo fine qualunque parente di qualsiasi linea parentale, purchè “convivente”; ma ricordiamo che la “famiglia convivente” può essere anche la cd “famiglia di fatto more uxorio” etero e uni-sessuale, purchè documentata dallo “stato di famiglia anagrafico”);
3) PERMESSI AL LAVORATORE PADRE PER NASCITA DI UN FIGLIO (art. 20.4°comma): Spettano due giornate di permesso al Lavoratore Padre per la nascita di un figlio.

Il comma 5 del medesimo articolo ricorda che al Lavoratore Domestico che ne faccia richiesta potranno, comunque, essere concessi, per giustificati motivi, permessi di breve durata non retribuiti.
In caso di permessi non retribuiti, non maturano gli ordinari istituti economici, compresi l’indennità per vitto e alloggio ove corrisposta.

mercoledì 13 aprile 2016

CONTRATTI DI PROSSIMITA' ATTENTI AI RIFLESSI DURC ...

L’art. 1.1175°comma l. 296/2006 richiede, ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi, non solo il possesso del DURC, ma anche l’osservanza “degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Ci si è chiesti quali riflessi possano spiegare a questo fine i cd “contratti di prossimità” ex. art. 8 DL 138/2011, speciali “accordi aziendali” che consentono la deroga a taluni specifici istituti inderogabili (orario di lavoro, mansioni etc.).
Il Ministero del Lavoro, nell’Interpello nr. 8/2016, ha confermato che tali specialissime “intese sindacali in deroga” sono competenti per disciplinare solo alcune specifiche materie, tassativamente definite dalla legge, senza poter mai derogare alle norme costituzionali ed europee in materia di lavoro.
In questo senso, è stato ritenuto invalido un “accordo di prossimità” che puntava a rideterminare (in deroga alle norme di legge) le retribuzioni imponibili ai fini previdenziali ex. l. 338/89 e l. 549/95.
Ai fini dell’art. 1.1175°comma l. 296/06, rilevano, pertanto, solo gli “accordi collettivi” (anche in deroga) conclusi secondo canoni di legittimità: pertanto, l’osservanza dell’illegittimo “accordo di prossimità” preclude all’Azienda il rilascio del DURC e la fruizione delle connesse agevolazioni contributive.

martedì 12 aprile 2016

APPRENDISTATO PER DIPLOMA O QUALIFICA PROFESSIONALE: QUALE ORARIO DI LAVORO?

Caso (tratto da Interpello Min. Lav. 11/2016):
Tizio è un ragazzino di 15 anni; non ha assolto all’obbligo scolastico per i 10 anni richiesti dalla legge ed è titolare di un rapporto di apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale. Posto che la disciplina dell’orario di lavoro deve seguire quella “speciale” ex. l. 977/67 (come modificata dal D.lgs. 345/99), qual è l’orario massimo di lavoro che Tizio deve legalmente effettuare?

Risposta:
La disciplina che rileva, ai fini della determinazione dell’orario di lavoro utile, è quella dell’art. 18 l. 977/67 che così stabilisce:

Art. 18. 1.
Per i bambini, liberi da obblighi scolastici, l'orario di lavoro non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 settimanali. Per gli adolescenti l'orario di lavoro non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali.

Deve, a questo riguardo, farsi notare che Tizio, pur essendo “di fatto” “adolescente”, “di diritto” (ossia ai fini della disciplina dell’orario di lavoro) deve considerarsi “bambino”, poiché non ha maturato gli anni necessari per l’assolvimento dell’obbligo scolastico.
L’art. 1.2°comma l. 977/1967 (come modificato dal D.lgs. 345/99), al riguardo, dispone:

Art. 1. 2.
Ai fini della presente legge si intende per: a) bambino: il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che è ancora soggetto all'obbligo scolastico; b) adolescente: il minore di età compresa tra i 15 e i 18 anni di età e che non è più soggetto all'obbligo scolastico.

A questi fini, il suo orario massimo di lavoro è individuato in 7h giornaliere e 35h settimanali.
Il Ministero del Lavoro, con Interpello 11/2016, ha precisato che l’applicazione di quest’ultima disciplina oraria si impone, nell'apprendistato per diploma etc., anche considerando che questa special tipologia di apprendistato costituisce essa stessa modalità di “assolvimento” dell’obbligo scolastico.
L’Interpello ha, altresì, confermato, sulla scia di una consolidata giurisprudenza (Cass. 9516/2003), che la disciplina speciale di tutela del lavoro dei minori e i suoi speciali istituti (es. orario massimo di lavoro) prevalgono sempre sulla disciplina contrattuale dell’apprendistato.

mercoledì 6 aprile 2016

LE NUOVE NORME SULL'INFORTUNIO IN ITINERE DEI CICLISTI. LE PRIME INDICAZIONI DI PRASSI DELL'INAIL

Con il post del 24/2 us., abbiamo avuto modo di illustrare i contenuti della l. 221/2015 (cd Collegato Ambientale) relativi alla revisione della disciplina dell’assicurazione INAIL per “infortuni in itinere” occorsi con l’uso di velocipede.
In quella circostanza, abbiamo evidenziato come le disposizioni di legge (es. art. 2.2°comma ultimo cpv) introducano una “presunzione di necessità” dell’uso del velocipede:

ai fini dell’infortunio in itinere, tale norma, almeno intesa nel suo significato letterale, dovrebbe escludere ogni accertamento INAIL relativamente a questo classico presupposto di assicurabilità dell’infortunio in itinere.

Presa alla lettera, cioè, la legge garantirebbe una presunzione assoluta di necessità dell’uso del velocipede, in quanto direttamente e inderogabilmente valutata dal legislatore, in considerazione della generale “positiva” ricaduta ambientale dell’uso del velocipede. Un’interpretazione recisamente respinta dall’INAIL che, nella recentissima Circolare nr. 14/2016 (25/3) precisa:

Nulla cambia .. con riferimento alla valutazione relativa al carattere necessitato del mezzo di trasporto privato.

La “necessità” del mezzo, quindi, va valutata alla stregua dei “principi generali” delle norme anti-infortunistiche INAIL sul “rischio elettivo”.

AGGIORNAMENTO 13/7/16
Al riguardo, si segnala come l’INAIL abbia interpretato l’inciso “l’uso del velocipede è sempre necessitato”, precisando come la “necessità del velocipede” non vada presunta ex lege (interpretazione da noi criticata nella mail del 22/1 h. 18,44), ma sia, al contrario, soggetta ad una “inversione dell’onere della prova” in capo all’istituto, in relazione alle alternative disponibili (percorso a piedi, mezzi pubblici). L’istituto, cioè, pare poter escludere la presunzione di “uso necessitato” del velocipede (codificata dalla legge 221/15), solo in casi di “manifesta non necessità” del velocipede (ci pare di dire quando il tragitto, talmente breve, possa essere compiuto, più efficacemente, a piedi).

Questo appare il punto più qualificante della Circolare INAIL 14/2016: per il resto, si richiamano i principi generali dell’infortunio in itinere (normalità del percorso, interruzioni etc.).
Con maggiore puntualità tecnica rispetto al testo legislativo, l’INAIL precisa che la riforma ex. l. 221/2015 incide efficacemente anche sulla valutazione di un altro requisito di assicurabilità tradizionale dell’infortunistica in itinere, il cd requisito della “normalità” del percorso.
Per l’INAIL, “percorso normale” spesso equivale a “tempo più breve”: per questi motivi, in passato, l’Istituto, pur in mezzo a molte critiche, era arrivato a riconoscere l’indennizzo dell’infortunio in itinere con velocipede, per lo più, in casi di percorrenza sulla sede stradale aperta (in esecuzione del “tragitto più breve”), non in piste ciclabili, quando il ricorso a queste “allungasse” il tragitto.
Ora, la Circolare 14/2016 assesta l’accertamento di questo requisito di assicurabilità, precisando che, per effetto della nuova legge, potrà valutarsi positivamente (ai fini della cd “normalità del tragitto”) il caso dell’infortunio occorso in pista ciclabile per accedere alla quale il Lavoratore-Ciclista abbia affrontato un percorso più lungo di quello normale, giustificato dalla concreta situazione della viabilità e dalla maggiore agilità di uso connessa al velocipede (ovviamente, ricorrendo gli altri requisiti di legge per l’assicurazione dell’infortunio in itinere).

martedì 5 aprile 2016

DIRITTI DI PRECEDENZA E ESONERO INPS EX ART.1.178°COMMA L. 208/2015

La già intricata diatriba interpretativa che ha opposto INPS e Consulenti del Lavoro nell’interpretare l’influenza restrittiva dei cd “diritti di precedenza” sulle agevolazioni nell’assunzione (prima discendenti dall’art. 4.12°comma lett. b) l. 92/2012, ora discendenti dall’art. 31.1°comma lett. b) D.lgs. 150/2015) è stata (parzialmente) risolta a beneficio delle Aziende dal Ministero del Lavoro con l’Interpello nr. 7/2016.
Risulta, cioè, chiarita, in via definitiva, il problema dell’influenza del “diritto di precedenza” (del lavoratore a termine “cessato”) sull’eventuale agevolazione cui il Datore intenda accedere (tipicamente, l’esonero INPS ex. art. 1.178°comma l. 208/2015). Recependo l’interpretazione più volte evidenziata dalla Fondazione Studi CDL, il Ministero del Lavoro, con Interpello 7/2016, ha chiarito che il diritto di precedenza del Lavoratore a termine cessato, per spiegare effetti restrittivi sul godimento in capo al Datore di Lavoro, deve risultare manifestato formalmente (e, quindi, notificato dal Lavoratore al Datore di Lavoro) nei termini previsti dal CCNL, ovvero, in difetto, entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto (ricordiamo che tale diritto riguarda, di norma, i lavoratori a termine, non stagionali, il cui termine contrattuale sia superiore a 6 mesi), ovvero entro 3 mesi (se stagionali). Nulla avendo ricevuto il Datore da parte del dipendente a termine cessato, il Datore di Lavoro (chiarisce il Ministero) può assumere chi vuole con l’agevolazione desiderata (ricorrendone, ovviamente i presupposti), senza che gli possa essere opposto in nessun senso il diritto a precedenza del Lavoratore cessato.
L’INPS ha provveduto a recepire tale parere ministeriale per l’esonero INPS con la Circolare nr. 57/2016 (vedi par. 4 num. 1).
Ricordiamo, però, che “diritti di precedenza” non sorgono solo in corrispondenza di rapporti a termine cessati, ma anche in corrispondenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, che siano sfociati in licenziamenti.
Tale, infatti, è il tenore dell’art. 15.6°comma l. 264/49 che dispone:

I lavoratori licenziati da un'azienda per riduzione di personale hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro sei mesi

Si noti che la tempistica di questo diritto è molto più incerta e “lassa” di quella prevista per i lavoratori a termine e questo induce qualche incertezza per i Datori che, avendo licenziato personale, intendessero assumere altri lavoratori, in pendenza di tale precedenza.
Presa alla lettera e, comunque, interpretata come da prassi tradizionale, i “sei mesi” di precedenza sembrano proprio decorrere dalla cessazione del rapporto.
Medio tempore, pare coerente ritenere che l’Azienda (visto anche l’art. 31.1°comma lett. b D.lgs. 150/15 che sostituisce il vecchio art. 4.12°comma l. 92/2012) non possa accedere ad alcuna agevolazione: e questo, in forza della norma che pretende, per l’accesso a qualunque assunzione agevolata, il rispetto dei cd “diritti di precedenza”.
Sul punto, comunque, ci riserviamo i necessari approfondimenti del caso; una cosa è comunque certa.
I chiarimenti ministeriali offerti dall’Interpello 7/2016 valgono, per espressa indicazione testuale del Ministero, solo “con specifico riferimento al diritto di precedenza previsto in favore dei lavoratori a tempo determinato”: evidentemente non altre ipotesi di diritto di precedenza (come per i licenziati a tempo indeterminato ex art. 15.6°comma l. 264/49).
E' necessario, quindi, osservare la necessaria prudenza, ove occorresse gestire tali pratiche di “agevolazione”.

venerdì 1 aprile 2016

DETASSAZIONE, FIRMATO IL DECRETO MINISTERIALE-FLASH

Fonte “dottrina lavoro”

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, ha sottoscritto il decreto del 25 marzo 2016 che disciplina i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione ai quali i contratti aziendali o territoriali legano la corresponsione di premi di risultato di ammontare variabile nonché i criteri di individuazione delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa. Il decreto, inoltre, regolamenta gli strumenti e le modalità attraverso cui le aziende realizzano il coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro e l’erogazione tramite voucher di beni, prestazioni e servizi di welfare aziendale (come, ad esempio, servizi di educazione e istruzione per i figli, o di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, ecc.). Il decreto sarà trasmesso a breve alla Corte dei Conti per la relativa registrazione.

Il Decreto applica i contenuti della legge di stabilità 2016, che prevede una tassazione agevolata, con imposta sostitutiva del 10%, per i premi di risultato e per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa, entro il limite di 2.000 euro lordi (che sale a 2.500 euro per le aziende che «coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro») in favore di lavoratori con redditi da lavoro dipendente fino a 50mila Euro.

I criteri di misurazione per i premi di risultato
Il decreto dispone che i contratti collettivi di lavoro devono prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, che possono consistere nell’aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, rispetto ad un periodo congruo definito dall’accordo, il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati.

La partecipazione agli utili dell’impresa
Il decreto chiarisce che per somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa si intendono gli utili distribuiti ai sensi dell’articolo 2102 del codice civile e che l’applicazione dell’imposta sostituiva del 10% si applica, sussistendo le condizioni ivi previste, anche alle somme erogate a titolo di partecipazione agli utili relativi al 2015.

Coinvolgimento paritetico dei lavoratori
Il decreto stabilisce che l’incremento del limite a 2.500 euro lordi per i premi di risultato con tassazione agevolata viene riconosciuto qualora i contratti collettivi di lavoro prevedano strumenti e modalità di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro da realizzarsi attraverso un piano che stabilisca, a titolo esemplificativo, la costituzione di gruppi di lavoro nei quali operano responsabili aziendali e lavoratori finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione, e che prevedono strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie nonché la predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti. Non costituiscono invece strumenti e modalità utili al fine dell’incremento del limite i gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione.

Deposito e monitoraggio dei contratti
L’applicazione dell’imposta sostitutiva al 10% è subordinata al deposito del contratto da effettuare entro 30 giorni dalla sottoscrizione dei contratti collettivi aziendali o territoriali, insieme con la dichiarazione di conformità del contratto alle disposizioni del decreto, redatta in conformità allo specifico modello che verrà reso disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per i premi di risultato relativi al 2015, il deposito del contratto e della dichiarazione di conformità deve avvenire entro i 30 giorni successivi all’entrata in vigore del decreto.

Le risorse La legge di stabilità prevede che le risorse necessarie sono reperite attraverso corrispondenti riduzioni del Fondo per l’occupazione, per un ammontare di 344,7 milioni per l’anno 2016, 325,8 milioni per il 2017, 320,4 milioni per il 2018, 344 milioni per il 2019, 329 milioni per l’anno 2020, 310 milioni per il 2021 e 293 milioni annui a decorrere dal 2022.