Il licenziamento disciplinare appartiene alla famiglia dei
“licenziamenti per giusta causa” disciplinati, nelle grandi linee, dall’art.
2119 Codice Civile.
Si ha “giusta causa” di licenziamento, precisa il Codice, laddove si determina un evento
(imputabile al Lavoratore) di tale gravità da rendere impossibile la
prosecuzione del rapporto di lavoro, neanche in via provvisoria.
Riassumendo, sulla scia della più che consolidata giurisprudenza
di Cassazione, possiamo dire che il licenziamento disciplinare è giustificato,
laddove si determina una evidente, conclamata e irrecuperabile rottura del
rapporto fiduciario tra Datore di Lavoro e Dipendente; questo è il requisito
che viene altrimenti nominato (nelle pubblicazioni, ma anche nelle sentenze dei
Giudici) “proporzionalità” tra “Evento” e “Licenziamento”.
Qui di seguito, un rapido elenco delle condotte che, secondo
i CCNL e nella prassi, sono ritenute meritevoli di licenziamento illegittimo:
b) Assenza ingiustificata;
c) Comunicazioni non veritiere tra Datore di Lavoro e Dipendente;
d) Atti di insubordinazione e/o frode in costanza di malattia (correzione data del certificato medico, rifiuto di riprendere servizio cessata la malattia certificata, assenza ingiustificata alla visita di controllo etc.);
e) Insubordinazione (es. Dipendente che si rechi al Lavoro contravvenendo al provvedimento disciplinare che abbia disposto la sospensione del lavoro);+
f) Atti violenti verso Datore di Lavoro e Colleghi;
g) Divulgazione non autorizzata di informazioni relative agli ambienti di lavoro, specie se contenenti informazioni non veritiere, ovvero tese a restituire un’immagine distorta del Datore di Lavoro presso il pubblico;
h) Reati (vuoi commessi nella vita privata, vuoi commessi per causa di servizio), come spaccio di sostanze stupefacenti (anche spinelli), molestie sessuali anche se solo nei confronti di terzi, condanna per falsa testimonianza in processo civile, condanna a pene detentive per condotte gravi e incompatibili col rapporto di lavoro, appropriazione indebita di merci o oggetti di lavoro, sottrazione di un bene appartenente ad un collega, falsi documentali (N.B: A seconda del CCNL può essere necessario attendere, per la definizione del licenziamento disciplinare, la sentenza. Normalmente, però, se i fatti sono provati, il licenziamento può operare, indipendentemente dalle decisioni della Magistratura!);
i) Rifiuto di eseguire le prestazioni di lavoro connesse alle mansioni contrattualmente affidate;
j) Svolgimento di lavoro durante periodo di Cassa Integrazione Guadagni;
k) Violazione dei doveri di diligenza, obbedienza, fedeltà, riservatezza.
Un tale elenco non può essere tassativo: ricordiamo, al
riguardo, che l’art. 2119 Codice Civile
è una norma “aperta”, che consente il licenziamento del Dipendente, in tutti i
casi in cui sia comprovabile una grave e irrimediabile incompatibilità del
Dipendente con l’ambiente di lavoro.
Ricordiamo che, per giustificare il licenziamento del
Dipendente, non è sempre sufficiente il ricorrere dei fatti sopra descritti,
dovendo il Datore motivare il licenziamento relativamente alla reale
“incompatibilità” della condotta con gli ambienti di lavoro.
A questo riguardo, una non risalente sentenza (Cass.
30/1/2013 nr. 20158) ha offerto una esemplificazione utile circa il caso
(tutt’altro che infrequente) di un Dipendente condannato per molestie sessuali
verso terzi (non altre Dipendenti). Nella sentenza era stato giustificato il
licenziamento, ritenendo che tale condotta criminosa (accertata giudizialmente
e comunque notoria) evidenziasse una grave incompatibilità con il ruolo del
Dipendente, chiamato a svolgere mansioni di coordinamento, in una realtà a
composizione prevalentemente femminile. Ma la stessa condanna penale può non
evidenziare una incompatibilità in altri casi, per altre mansioni, per il cui
esercizio sia meno impegnativa e rilevante la personalità del Dipendente (es.
attività di custodia, magazzino etc.).
In tutti i casi, il licenziamento, per essere efficace, deve
essere “tempestivo” (ovvero non deve essere trascorso troppo tempo dalla
commissione del fatto o dalla sua conoscenza da parte del Datore di Lavoro),
ovvero comminato nel rispetto delle tempistiche del CCNL applicabile (in
funzione della difesa del Dipendente).
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