AVVERTENZA

AVVERTENZA:
QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI"
GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.

NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.

IL PRESENTE BLOG NON OFFRE,
NE' PUO', NE' VUOLE OFFRIRE CONSULENZA ONLINE IN ORDINE AGLI ADEMPIMENTI DI LAVORO DI IMPRESE, O LAVORATORI.

NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.




domenica 28 aprile 2013

LA COMUNICAZIONE UNILAV DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE: COME, QUANDO, PERCHE'

Quesito:
Sono un centro di formazione professionale privato che saltuariamente collabora con un Istituto Tecnico. Un Professionista mi ha fatto notare che per le collaborazioni occasionali dei miei Docenti dei miei corsi dovrei effettuare la Comunicazione UNILAV, ma non mi ha detto di più. Sapreste spiegarmi Voi il perchè? Grazie.

Risposta:
La normativa per le Comunicazioni UNILAV segue regole speciali per le "Istituzioni Scolastiche".

L'art. 02.04°comma DL 147/2007, infatti recita:
 
Le istituzioni scolastiche provvedono agli adempimenti di cui al comma 2 dell'articolo 9-bis del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, come da ultimo sostituito dall'articolo 1, comma 1180, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al comma 5 dell'articolo 4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni, ed al primo comma dell'articolo 21 della legge 29 aprile 1949, n. 264, come sostituito dall'articolo 6, comma 2, deldecreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, entro il termine di dieci giorni successivi all'instaurazione, [ trasformazione,] variazione o cessazione del rapporto di lavoro. (...)
 
Questa disposizione (speciale rispetto alla norma generale dell'UNILAV art. 01.1180 l. 296/2006) riferisce l'obbligo di comunicazione ai "rapporti di lavoro", con dizione onnicomprensiva, tale da comprendere anche quelle che Voi chiamate le "collaborazioni occasionali" dei docenti (laddove l'UNILAV è prevista ex. l. 296/2006 per il "lavoro autonomo coordinato e continuativo"), in relazione alla specialissima ratio di controllo di gestione del personale propria della Scuola.
Naturalmente, questo determina dei problemi tecnici e operativi non irrilevanti per quelle prestazioni "occasionali" che di solito non sono attivate con predeterminazione di termini finali e senza continuità.
Ma questo onere, a rigore, dovrebbe valere solo per i corsi attivati in convenzione con progetti, iniziative di "Istituzioni Scolastiche"; non per i corsi organizzati privatamente a pagamento.
Questo "doppio binario" rende non agevole la Vs. posizione. Per evitare complessità amministrative, si può pensare di effettuare sempre e comunque la Comunicazione UNILAV degli occasionali; ovvero utilizzare contrattualistica alternativa, cococo o incarico libero-professionale a "Partita IVA".





mercoledì 24 aprile 2013

DETASSAZIONE 2013: E L'ACCORDO DI PRODUTTIVITA' DEL 2005?


Quesito:
Salve, sarei interessata anch'io all'argomento. Mi viene da pensare che l'onere del deposito del contratto di "produttività" dovrebbe avere carattere di periodicità proprio a sottolineare la variabilità..ma da quando? ... Stando così le cose chi non ha recentemente(2012) depositato l'accordo sindacale e/o contratto di produttività ma opera mantenendo in essere quelli antecedenti la riforma 2012 (non essendoci prima l'obbligo di deposito per la detassazione) non potrà usufruire della detassazione nel 2013? Ad esempio accordo del 2005 depositato, e tacito rinnovo fino al 2012. Nel 2013 non usufruirà della detassazione? La linea di demarcazione è data dall'importo , fisso o variabile? Grazie , trovo sempre spunti interessantissimi

Risposta:
Precisiamo in via preliminare che il DPCM 22/01/2013 subordina la detassazione alla vigenza di un accordo "di secondo livello" (territoriale o aziendale) che preveda voci di produttività (fisiologicamente "variabili").
A rigore, la detassazione spetta in costanza della vigenza del contratto.
Il "deposito" e l'acclusa "dichiarazione di conformità" serve, nell'economia della normativa vigente, a rendere opponibile al Fisco l'accordo, in quanto conforme ai presupposti di accesso alla detassazione. Ma una volta che il Fisco nulla obbietta all'accordo, la detassazione si applica alle voci per tutta la durata dell'accordo, senza che ci sia bisogno di procedere di volta in volta al deposito.
La ratio di "opponibilità" connessa al deposito è tale che se l'accordo non viene meno per disdetta o scadenza, esso rimane opponibile in qualsiasi momento: anche in caso di proroga della detassazione (senza modifiche alla normativa ovviamente). 
Nel caso Suo, ove Lei abbia proceduto al deposito di accordo di produttività nel 2005, dovrà comunque procedere ad una "dichiarazione di conformità" che attesti che le voci dell'accordo sono comunque conformi alla normativa sopravvenuta.
Evidentemente, il mancato deposito/adeguamento della contrattazione in essere al momento dell'entrata in vigore del DPCM preclude la fruizione della detassazione.
Resta inteso che la detassazione si applica ai "lavoratori del settore privato" così come identificati dal DL 93/2008 e succ. modd.


Studio Landi Francesco
Consulente del Lavoro in Ferrara
Potete consultare la ns. pagina facebook al seguente indirizzo :


lunedì 22 aprile 2013

NOI AVEVAMO DETTO ... LAVORO A CHIAMATA E CONTRIBUTO ADDIZIONALE ASPI

Con Interpello 15 del 17/04/2013, il Ministero del Lavoro ha dato una risposta, per la verità un pò frettolosa e tranchant, sull'applicabilità del contributo addizionale del 1,4% al lavoro a chiamata, già oggetto di Ns. approfondimento (vai al linkhttps://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/lavoro-a-chiamata-si-applica-il-contributo-addizionale-aspi/470241556370091). Il Ministero, nella specie, ha chiarito che il contributo non si applica nel caso di assunzione a chiamata a tempo indeterminato, ma si applica per i rapporti a tempo determinato (il che statisticamente equivale alla maggioranza dei casi). Noi auspicavamo una ricostruzione diversa, che tenesse conto della specialissima flessibilità del rapporto "a chiamata". Per l'Interpello, vai al link: http://www.dplmodena.it/interpelli/15-2013.pdf

venerdì 19 aprile 2013

DETASSAZIONE: STRAORDINARIO E NOTTURNO SENZA DEPOSITO DELL'ACCORDO SINDACALE


QUESITO:
Se era possibile vorrei un chiarimento sulla detassazione del notturno e straordinario se il mio datore di lavoro non ha presentato il contratto al DTL come faccio ad avere la detassazione? aspetto risposta grazie ciao

RISPOSTA:
Premesso che dalla Sua risposta devo presupporre che Lei lavora nel settore privato (nel settore pubblico, la detassazione non si applica), colgo l'occasione di precisare che l'onere di deposito del contratto "di produttività" trova la sua giustificazione negli stessi termini con cui analogo onere amministrativo era disposto nella l. 135/97 sull'analogo istituto della decontribuzione INPS dei premi di risultato: ancorare ladetassazione alla certezza (pubblica) che la voce retributiva di produttività (chiesta appunto in detassazione) fosse "voce variabile", e non componente fisso. Questo per evidenti controlli circa il possibile uso elusivo della contrattazione di secondo livello. Per straordinario e notturno questa specifica parrebbe superflua, ma ciò potrebbe non essere in relazione al contesto: ad esempio, se lo straordinario e il notturno sono inseriti in un ambito di articolazione multiperiodale con assorbimento delle ore aggiuntive con corrispondenti riposi compensativi, lì non spetta la voce di lavoro straordinario/notturno. Per facilitare questi controlli, e per evitare defatiganti contestazioni è previsto il deposito e la correlativa "dichiarazione di conformità" delle voci di produttività al DPCM 22/01/2013. Sono auspicabili semplificazioni, e attendiamo disposizioni al riguardo da parte del Ministero del Lavoro. La terremo informata.

Studio Landi Francesco 
Consulente del Lavoro in Ferrara
Potete consultare la ns. pagina facebook al seguente indirizzo :



giovedì 18 aprile 2013

COMPORTO MALATTIA E SOPRAGGIUNTA DISABILITA' NEL CCNL ALIMENTARI INDUSTRIA


Quesito:
Un lavoratore del settore CCNL Alimentari Industria con una anzianita' inferiore a 5 anni, in vista dello scadere del comporto, si informa su quanti giorni gli restano e comunica che ha fatto domanda di invalidita' e che attende la documentazione che poi fara' avere alla ditta. Mi sapete confermare se, in caso di ottenimento della invalidità, il comporto si interrompe e il lavoratore non e'quindi piu' licenziabile ? Grazie.

Risposta:
Per impostare una risposta al quesito, occorre considerare l’art. 47 CCNL Alimentari-Industria, il quale dispone che, nel caso delle patologie gravi (uremia cronica, talassemia ed emopatie sistemiche, neoplasie), debitamente accertate e certificate, i lavoratori che abbiano effettuato la domanda di pensione di inabilità assoluta prevista dalla legislazione vigente, avranno diritto a richiedere la conservazione del posto di lavoro, fermo restando il trattamento economico in atto, senza alcun limite di comporto, fino al momento della decisione di accoglimento o rigetto della domanda stessa da parte del sistema pubblico sanitario/assistenziale, che deve essere tempestivamente comunicata dal lavoratore all'azienda.


mercoledì 17 aprile 2013

PAGARE LA MAXISANZIONE ... CON RISERVA DI CONTENZIOSO- UN CASO

Quesito:
Ho ricevuto un Verbale della DTL con una contestazione assolutamente ridicola e infondata di lavoro subordinato di un Collaboratore familiare. Siccome sono Titolare di un Ristorante, e non è certo mio interesse "fare andare a male" la roba da mangiare, ho firmato il Verbale, ho pagato e ho mandato avanti l'opposizione in sede giurisdizionale. Il Tribunale mi ha rigettato l'istanza, e l'Avvocato mi ha scoraggiato dall'andare avanti. Perchè?

Risposta:
Per rispondere credo opportuno rispolverare una recente sentenza della Corte d'Appello di Venezia 596/2012. Secondo questa sentenza, è necessario che le Aziende (ma anche i liberi professionisti etc.) che aderiscono per ragioni di convenienza economica (o semplicemente di "quieto vivere") ai Verbali loro contestati, ma con l'intenzione di adire successivamente il contenzioso, comunichino la loro volontà di pagare "con riserva di impugnazione" (dove legalmente possibile e non precluso da disposizioni di legge!).

Questa specifica serve ad evitare che, nel giudizio di opposizione successivo, il pagamento sia opposto e conseguentemente interpretato dal Giudice come "acquiescenza" del "pagante" alle ragioni dell'organo inquirente verbalizzante.



IL NUOVO ARTICOLO 18 ALLA PROVA DEI TRIBUNALI-IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO E PERSECUTORIO-1a PARTE

AVVERTENZA: Questa serie di post nasce come risposta, talora critica, talora adesiva, ad un contributo di analisi uscito nella Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 04, 2012 del Dr. Guido Vidiri, Presidente pro tempore della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione. Il contributo è quantomai rilevante e importante, perchè, aldilà delle speculazioni dottrinali dei "giuristi dotti" (che possono sfiorare l'astrattezza e l'intellettualismo), la testimonianza del Dr. Vidiri ci riporta alla "pratica" processuale del lavoro e ad un punto di vista ineludibile se si vuole comprendere (a titolo previsionale) i più verosimili termini di recepimento della riforma dell'art 18 l. 300/1970 (Aziende con più di 15 Dipendenti) da parte delle Curie e dei Tribunali. Contributo che, aldilà delle carenze e del deficit di esegesi che denunceremo, resta importantissimo e insuperato come  "metodologia"per un'analisi realistica della riforma Monti-Fornero (che normalmente viene messa in ombra da contributi rigorosi dal punto di vista formale ma astratti). A questa modalità di analisi "realistica" ci adatteremo in questo che è la prima serie di post dedicati ad un punto socialmente ed economicamente molto qualificante (ancorchè controverso e discusso da ogni parte) della recente riforma del mercato del lavoro.

In sede strettamente forense, quale sarebbe la più verosimile strategia difensiva che il Lavoratore licenziato può porre in essere contro il proprio Datore di Lavoro? Può fare tre cose, secondo il Dr. Vidiri:

a) Proporre una domanda principale per vedersi riconosciuto il regime di tutela reale del licenziamento invalido e inefficace (reintegra piena);
b) Formulare, in subordine, una richiesta di reintegra (attenuata) per la ingiustificatezza qualificata del licenziamento ex. art. 18. 04°-07° comma;
c) Reclamare la tutela indennitaria.

La riforma, in altre parole, a detta del dr. Vidiri, non concorre a delineare un quadro di semplificazione e razionalizzazione delle tutele giudiziarie: la "rimodulazione" delle tutele, a detta dell'Autore, è alla base di una ancora più accentuata farragine e prolissità e di un più eminente appensantimento dell'Amministrazione della Giustizia. E questo, con buona pace, secondo il Dr. Vidiri degli auspici e degli slogan, che più frequentemente sono stati lanciati, sia in sede governativa e parlamentare, sia in sede di convegnistica sul senso e la ratio della riforma dell'art. 18 L. 300/1970: "nella riforma Monti-Fornero, la tutela indennitaria è generale, la reintegra residuale". Un sistema che, per il dr. Vidiri, per essere davvero disincentivante, avrebbe dovuto comportare una tecnica legislativa capace di circoscrivere con maggiore chiarezza e precisioni gli ambiti della residuale reintegra; difettando quest'ultima, invece, secondo l'Autore, grande è la discrezionalità interpretativa di Avvocati e Magistrati nell'ampliare o restringere alla bisogna i margini della reintegra. Una facoltà di aggiustamento, che non giova alla certezza e alla prevedibilità dei costi del contenzioso, che era il principale obiettivo del Governo Monti per allineare il contenzioso sul licenziamento a standard europei, eliminando quello che era ritenuto una delle principali fonti di scoraggiamento per gli investimenti stranieri.
Sul banco degli imputati di questo deficit riformatore è il comma 01 dell'art. 18, in cui le carenze e le insufficienze tecniche sono alla base del mancato "contenimento" del più scomodo e ingombrante dei rimedi giudiziari contro i licenziamenti illegittimi.
Su questa base, il Dr. Vidiri avvia l'esegesi del comma 01 dell'art. 18, di cui l'Autore rivela la "forza attrattiva" e la "potenzialità espansiva" aldilà delle intenzioni "riduttive" conclamate in sede politico-legislativa.
In tale articolo, la previsione della reintegra piena è stata oggettivamente ampliata a tutti i casi che un tempo erano considerati nulli di diritto comune, e, quindi, ritenuti sottratti: non solo ai casi (canonici) di licenziamento per causa di matrimonio, per genitori in congedo, ma anche per i licenziamenti intimati oralmente e a quelli posti in essere con "frode alla legge" ex. art. 1345 Codice Civile. Ma la vera "pietra dello scandalo", secondo il Dr. Vidiri, è la parte del disposto dove si ammette la reintegra per tutti gli altri casi in cui il licenziamento sia stato comminato "con motivo illecito determinante":

"Nella novella legislativa- dice il Dr. Vidiri- la sanzione della reintegrazione piena [è] espressamente riferita al licenziamento connotato da 'motivo illecito determinante', senza però alcun riferimento all'ulteriore requisito dell' 'esclusività' del motivo illecito. Requisito pacificamente richiesto sino ad oggi dalla giurisprudenza proprio in applicazione dell'art. 1345 del Codice Civile".

Di qui, la pessimistica valutazione del Magistrato:

"Sembra facile ritenere che la lettera della norma ora scrutinata ora scrutinata - nella parte in cui, con espressione non certo ineccepibile sul versante formale, sanziona di diritto la nullità 'il licenziamento determinato da motivo illecito determinante' senza alcuna ulteriore specificazione- induce ad avvalorare un'esegesi contrastante con la giurisprudenza consolidata fondata sul presupposto che il motivo illecito per causare la nullità del licenziamento ex. art. 1345 Codice Civile, deve essere, oltrechè determinante, anche esclusivo".

E a corollario di questo ultra-pessimistico ragionamento, il Ns. conclude con il più classico degli argomenti: "il legislatore NON POTEVA NON SAPERE:

"Ed invero un'opzione ermeneutica contraria a quella sinora costantemente seguita in giurisprudenza può essere accreditata dal significato attribuibile al silenzio del legislatore, il quale non poteva non conoscere (sic!) i dicta giurisprudenziali che, in quanto ripetuti e conformi, sono divenuti diritto vivente". E al riguardo il Ns. cita, Cass. 26 giugno 2009 nr. 15093 e Cass. 14 luglio 2005 nr. 14815.
Come avremo modo di spiegare più avanti, la parte esegetica del ragionamento del Dr. Vidiri è paradossalmente quella che mostra più carenze. In questa sede, per completezza di esposizione e per lumeggiare la lungimiranza del suo approccio ampio e aperto sulla prevedibile "ricaduta pratica" (ossia "forense") dell'art. 18.01°comma, l'Autore dichiara (purtroppo solo in nota):

"Per confortare l'assunto secondo cui la forza attrattiva della reintegrazione possa moltiplicare i casi di licenziamenti nulli per motivo illecito -al fine di ribaltare un indirizzo giurisprudenziale grantico su cui sinora si è fatto pieno affidamento nella regolamentazione del rapporto lavorativo- è sufficiente rimarcare come il nuovo articolo 18 possa indurre ad incentivare il contenzioso attraverso la rivendicazione della declaratoria di nullità del licenziamento anche nei casi in cui il licenziamento è determinato -aldilà del motivo discriminatorio- in misura prevalente o paritaria da condotte suscettibili da sole di configurare una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo di recesso, che non hanno garantito al lavoratore la tutela reale" (Cass. 16 febbraio 2011 nr. 3821)".

Un riferimento giurisprudenziale che, fedele all'approccio "pratico" e "forense" proposto dal Dr. Vidiri, diventa quantomai importante ed essenziale per "testare" quanto in concreto (nella prassi giudiziaria) la fattispecie "licenziamento discriminatorio/persecutorio" possa essere realisticamente utilizzata per forzare/ampliare l'area di applicabilità dell'art. 18 l. 300/1970.
Nel caso specifico trattato dalla sentenza, il Lavoratore, dalla posizione decisionale elevata in Azienda, era stato licenziato per aver abusato dei poteri discrezionali affidatigli dall'Azienda in violazione delle Linee Guida Aziendali; a contrasto di questo assunto, in sè grave, il Lavoratore aveva eccepito il carattere discriminatorio per motivi religiosi del licenziamento, impugnando le disposizioni e le prassi aziendali che a suo dire oggettivamente lo discriminavano.

In effetti la sentenza tratta di un caso che costituisce oggettivamente un precedente giudiziario (molto pesante) nella Ns. analisi, in quanto verte su un licenziamento disciplinare che il Lavoratore (nel vigore della precedente normativa) aveva impugnato non solo sotto il profilo dell'art. 07 e 18 l. 300/1970, ma anche sotto il profilo discriminatorio (due fattispecie che oggi ricadono l'una nel comma 04, reintegra attenutata, l'altra nel comma 01, reintegra piena: essendo quest'ultima più favorevole, è evidente la concorrenza dei rimedi!).
Ma la sentenza si lascia oltremodo apprezzare per l'impostazione del "tema" discriminatorio, condotto sulla scia del D.lgs. 216/2003 (successivamente modificato dal D.lgs. 150/2011), contenente recezione delle Direttive UE contro la discriminazione sui luoghi di lavoro, che, come noto, concorre ad arricchire il quadro descrittivo e probatorio della discriminazione sui luoghi di lavoro in generale, la cui ricaduta non può essere ignorata nell'applicazione dei rimedi contro il licenziamento. E non vale chiarire come, alzandosi l'attenzione e l'interesse in sede forense da parte dei Lavoratori sui profili discriminatori del licenziamento, è giocoforza concludere che queste disposizioni, ove presentino spunti utili, saranno utilizzate, con ciò arricchendo e rendendo vieppiù farraginoso il sistema della reintegra, pure riformata.
Ma cominciamo con ordine.
Per valutare la possibile concorrenza/sovrapposizione tra D.lgs. 216/04 e art. 18 occorre valutare il concreto sistema di tutele offerto dal D.lgs. 216/04.
Anzitutto, cosa si intende per discriminazione. L'art. 02.01°comma dispone:

1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.
2. (Omissis)
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

Dal punto di vista processuale, peraltro, è previsto dall'art. 28 D.lgs. 150/2011 un "rito sommario", molto simile tra l'altro al nuovo "rito del licenziamento" introdotto dalla l. 92/2012.
Non potendo in questa sede addentrarci oltre, ma limitando l'analisi alle connessioni tra la tutela anti-discriminatoria e quella anti-licenziamento, possiamo dire quanto segue.
Dal punto di vista delle tutele, Innanzitutto, le nomenklature discriminazione diretta/indiretta possono arricchire il quadro di valutazione dei comportamenti discriminatori tali da invalidare un licenziamento così motivato, e possono altresì convogliare nel giudizio sommario anti-discriminatorio un "licenziamento illegittimo".Infatti, il Giudice, in questo specialissimo "rito anti-discriminatorio" può di fatto ordinare la reintegra del lavoratore discriminato (con l'ordinanza inibitoria), ovvero ordinando la revisione delle disposizioni aziendali interne (es. il Codice Disciplinare) affinchè non si prestino ad usi discriminatori. Quindi, in sè la discriminazione può ricevere tutela giurisdizionale.
 Ciò non esclude la reintegra, ma con ciò ci muoviamo su piani e ambiti del tutto differenti: ex D.lgs. 150/2011 ci muoviamo in un ambito che presuppone la continuità del rapporto e la sua "correzione" giudiziaria, ex. art. 18 ci muoviamo viceversa in un ottica di sanzione-risarcimento per l'ingiusta interruzione di un rapporto di durata, che comporta problemi di continuità reddituale-patrimoniale che sono ben noti. L'uno è un provvedimento "costruttivo", l'altro un rimedio ad una situazione già distrutta!
Ma aldilà di questa considerazione, che potrà sembrare metafisica ai più, non può sfuggire la constatazione che la materia "discriminazione" sui luoghi di lavoro conosce già una regolamentazione distinta e privilegiata il D.lgs. 216/2003 e s.m.i., in luogo dell'art. 18.
Sulla carta, ci sono gli elementi per impedire la dilatazione delle tutele anti-discriminatorie nel nuovo art. 18 e, se si intende, come il Dr. Vidiri, offrire spunti per una proficua prospettiva "nomofilattica" del nuovo art. 18 è su questo tema, che dobbiamo insistere. Certo, sono poco note, ma certo in sede di analisi non possiamo farci carico delle lacune conoscitive di Avvocati e Magistrati ...
Il riferimento alla norma europea recepita, mi consente, poi, di compendiare un ultimo, ma decisivo argomento relativo all'art. 18.01°comma.

Mettiamo a confronto art. 18.01°comma l. 300/1970 e art. 01 D.lgs. 216/2003.
Dal punto di vista "descrittivo", non si può utilmente dubitare che l'art. 18.01°comma e l'art. 01 D.lgs. 216/2003 siano in un conclamato rapporto di genus ad speciem: nel licenziamento indotto per "motivo illecito determinante" (quale ne sia l'inquadramento sistematico alla luce del coordinamento con l'art. 1345 del Codice Civile di cui parla il Dr. Vidiri), non ci vuol molto a capire come possa esservi compreso anche la discriminazione così come descritta nel D.lgs. 216/2003. Cambia la superficie: in luogo di una descrizione ampia e incentrata sull' "intenzione dolosa" dell'agente (art. 18.01°comma), abbiamo la descrizione di un quadro in cui le discriminazioni possono derivare da una sequenza amministrativa di atti, prassi decisionali costituenti esercizio del potere (unilaterale) direttivo del Datore di Lavoro ex. art. 2103 del Codice Civile nell'ambito di una realtà organizzata. Ma ciò non basta a trarne variazioni significative (sul carattere discriminatorio delle disposizioni organizzative aziendali vai al Ns. post dedicato: http://costidellavoro.blogspot.it/2013/02/niente-comizi-in-azienda-quando-la.html): il thema probandum è lo stesso, il "dolo di discriminazione" (animus nocendi): per quanto, nel caso del D.lgs. 216/2003, mirato a farne emergere le distorsioni in sede organizzativa, possa "semplificarne" l'emergenza in sede probatoria, ciò non basta a cambiarne la sostanza (degradando ad esempio la discriminazione ad "elemento oggettivo dell'illecito").
Sia l'art. 18.01°comma sia l'art. 01 D.lgs. 216/2003 orientano l'azione anti-discriminatoria nel solco della classica actio doli generalis!
A questo punto, ci vuol poco per comprendere come la dizione utilizzata dal legislatore della riforma nel nuovo art. 18.01°comma ("motivo illecito determinante") sia di fatto un modo (maldestro) di compendiare nella tutela reintegratoria piena ogni altra ipotesi di licenziamento disposto dal Datore di Lavoro con motivi di "dolo" (animus nocendi).
Conforta questa mia ricostruzione (oltre il confronto con l'art. 01 D.lgs. 216/2003) anche la constatazione della debolezza dell'assunto esegetico di Vidiri, il quale sostiene che, complice un'interpretazione letterale del disposto "motivo illecito determinante" senza il riferimento all'"esclusività" di esso, possano annullarsi (con reintegra) tutti i licenziamenti che compendiano insieme motivi leciti (giusta causa, giustificato motivo soggettivo, giustificato motivo oggettivo) e discriminatori.
C'è un argomento di diritto comune che esclude questa conclusione, la constatazione che il "dolo" per annullare un atto (vedi annullabilità degli atti ex. artt. 1442 C.C.) deve essere diretto, determinante e non "incidente".

Tra l'altro è la stessa legge Monti-Fornero ad offrirci la contro-prova di questo assunto, quando assimila alla reintegra attenuata (comma 06) il caso di "licenziamento per giustificato motivo oggettivo" disposto a fronte della "manifesta insussistenza del fatto".
Proviamo a metterci nella prospettiva di un Lavoratore che eccepisca un licenziamento formalmente motivato per calo di fatturato etc., ma rispetto a cui risulti un quadro di rapporti personali col Datore di Lavoro molto complesso, a fronte di pesanti disaccordi politici. Quanto può pesare l'antipatia politica (che pure è fatto personale e in sè non coercibile) al punto da invalidare un licenziamento per motivi economici?
La legge Monti-Fornero precisa: per invalidare un "licenziamento economico" è necessario provare che i fatti addotti a sostegno del licenziamento "non sussistono". Ciò significa che se il Lavoratore ha impostato la propria azione giudiziaria sulla "reintegra attenuata", ove si trovi a dover constatare che i motivi economici esistono e che avrebbero comunque determinato il licenziamento, il licenziamento deve considerarsi valido.
E la prova di screzi etc. fanno decadere la prova della discriminazione? Sì.
Anche nell'ipotesi di un'azione impostata ex. art. 18.01°comma, la prevalenza netta delle circostanze economiche nel licenziamento è tale da rendere anche l'eventuale "motivo illecito discriminatorio" non determinante, e, quindi, non rilevante ai fini della reintegra piena.
Tutto questo complesso di motivi a Ns. parere conforta la ricostruzione esegetica secondo la quale l'espressione "motivo illecito determinante" nel corpus del primo comma dell'art. 18 ha una valenza propria e serve ad indicare qualunque ipotesi di "dolo discriminatorio" nel corso del licenziamento, con l'avvertenza però di precisare che ai fini dell'azione di reintegra piena assumono rilievo solo le motivazioni dolose "dirette", che così delimitano (efficacemente) l'area delle condotte interessate alla specifica "Modulazione" anti-discriminatoria del licenziamento di cui all'art. 18.01°comma.
In altre parole, la reintegra anti-discriminatoria trova in sè, nella sua logica di "azione di dolo generale", la chiave per auto-limitarsi: per auto-limitarsi nel segno del più rigoroso onere della prova (art. 2697 Codice Civile), tale da scoraggiare (anche per le potenzialità penali in termini di diffamazione) un'iniziativa processuale avventata.

Fine 1a parte-Continua

Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB 

https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts



ASSEGNO DI MATERNITA' ex art. 74 D.LGS. 151/2001


Ai sensi dell'art. 74 D.lgs. 151/2001, è previsto un assegno base di maternità a carico dei Comuni: un'erogazione "straordinaria" distinta dalla prestazione di maternità consueta a carico all'INPS e all'Azienda.
Con Comunicato 20/02/2013, come ripreso dalla Circolare INPS 34/2013, l'importo dell'assegno mensile di maternità, spettante, nella misura intera, per nascite, affidamenti preadottivi, adozioni senza affidamento, avvenuti dal 01/01/2013 al 31/12/2013, è pari a € 334.53 per cinque mensilità e, quindi, a complessivi € 1.672,65.
Il valore dell'indicatore della situazione economica, con riferimento ai nuclei familiari composti da 03 componenti, da tenere presente per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento, avvenuti dall'01/01/2013 al 31/12/2013, è pari ad € 34.873, 24.
Le operazioni di riparametrazione dell'ISEE dei nuclei familiari con diversa composizione e il calcolo della misura delle prestazioni da erogare sono effettuati secondo le procedure di cui all'Allegato "A" ex Dm Solidarietà Sociale 21/12/2000 nr. 452, come modificato da dm 25/05/2011 nr. 337.


ASSEGNO PER IL NUCLEO FAMILIARE NUMEROSO ex. l. 448/1998-IMPORTI 2013


Con Comunicato 20/02/2013 del Dipartimento per le Politiche della Famiglia della Presidenza del Consiglio, ripresa da Circolare INPS 34/2013, è stato fissato l'importo dell'assegno per "famiglie numerose" ex. art. 65.04°comma l. 448/1998 da corrispondere agli aventi diritto per il 2013 nella misura intera a € 139.49.
Per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica, con riferimento ai nuclei familiari composti da 05 componenti, di cui almeno 03 figli minori, è pari a € 25.108,71.
Per i nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza ex D.lgs. 109/1998 (comma l) art. 685 l. 448/1998).
L'incremento dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di Operai e Impiegati, calcolato con le esclusioni di cui alla l. 05/02/1992 nr. 81, è pari al 3%.
E' evidente l'importanza del Modello ISEE da cui possono estrarsi informazioni decisive al riguardo.



martedì 16 aprile 2013

IL LAVORO IN NERO DEL "CLANDESTINO" EXTRA-UE- LE SANZIONI A CARICO DEL DATORE DI LAVORO


Quesito:
Mi è stata contestato l'impiego "in nero" di Lavoratore Extra-UE clandestino dalla DTL e a ruota dall'Agenzia delle Entrate.
A quali sanzioni vado incontro?

Risposta:
In primo luogo, Lei va incontro a maxi-sanzione e a sospensione dell'attività ex. art. 36-bis l. 248/2006, come modificate dalla l. 183/2010 (Collegato Lavoro).
A fronte della contestazione della maxi-sanzione, riteniamo che, nel caso di specie, non possano ricorrere gli estremi per applicare la diffida ex. art. 13 D.lgs. 124/2004. Come noto, il Collegato Lavoro ha reso (meritevolmente) la diffida applicabile contestualmente alla maxi-sanzione, rendendo così immediatamente regolarizzabili le condotte di "lavoro sommerso", impedendo le rigidità e pesanti problematiche derivanti dalla sospensione dell'attività (prima di fatti generalizzata, ma che, specie nei ristoranti, esercizi alimentari, creava notevoli problemi di igiene e conservazione degli alimenti). Viceversa, stante il disposto dell'art. 13 D.lgs. 124/2004, come interpretato dalla Lett. Circolare Min. Lav. 24/01/2006, la presenza di Lavoratore Extra-UE clandestino costituisce circostanza impeditiva dell'immediata sanatoria. La DTL applicherà la sospensione dell'attività, almeno fino a quando l'Azienda non avrà avviato le pratiche per il permesso di soggiorno del Lavoratore (se intende rinnovarne il rapporto).
A margine, si coglie l'occasione di precisare che la presenza di lavoratore clandestino determina in capo all'Azienda l'applicazione delle sanzioni penali ex. art. 22.12°comma D.lgs. 268/1998 (aggravate dal D.lgs. 109/2012) che comminano al Datore di Lavoro che si avvalga delle prestazioni d'opera di un Lavoratore Extra-UE privo di permesso di soggiorno la sanzione della reclusione da sei mesi a tre anni. 
Sul punto, va chiarito che nell'applicazione di tale norma concorre, a Ns. avviso proficuamente, la nuova previsione ex. art. 03 D.lgs. 109/2012, che fissa in 03 anni la presunzione di permanenza del cittadino Extra-UE alle dipendenze "irregolari" del Datore di Lavoro. La disposizione, concepita per ovviare alle ben note incertezze che in punto di stima della durata si determinavano ove venisse accertato un lavoro "in nero" di Extra-UE, appare abbastanza "garantista" verso il Datore (almeno fino a che non risulti provata una durata superiore). Ciò vale, a Ns. giudizio, a fissare la pena applicabile verso il minimo edittale, sufficiente cioè a far scattare la "pena sostitutiva" pecuniaria come ex. art. 53 l. 689/1981 (con stima dell'importo parametrato ai virtuali giorni di detenzione, secondo la procedura di stima di cui all'articolo citato).
Per quanto concerne, poi, la dimensione fiscale è essenziale precisare che la sanzione penale (art. 04 D.lgs. 74/2000) contenente sanzione per "dichiarazione infedele" (da uno a tre anni) solo se l'imposta complessivamente (frutto dell'occultamento costo del lavoro-ricavi) viene in rilievo solo se dovesse ridondare ad una stima, in sede di accertamento fiscale, di un reddito lordo complessivo almeno superiore a € 50.000 (da € 50.000 in sù). Questo significa che prima di arrivare a questa imputazione, anche solo ai fini di denuncia, occorre passare per accertamento fiscale, i cui termini potranno allungarsi ex. art. 37.24-26°comma DL 223/2006 per le virtuali ricadute penali. Resta inteso che, ove l'accertamento non attinga le soglie penalmente rilevanti, l'infedeltà in dichiarazione sarà passibile di una semplice sanzione amministrativa, punibile (eventualmente anche con ravvedimento) nelle più "miti" forme ex. art. 01 D.lgs. 472/1997 (corrispondente al 100% o 200% della maggiore imposta).
A margine, poi, si precisa che, se lei è titolare di Azienda soggetta alla disciplina ex D.lgs. 231/2001, è prevista la speciale sanzione ex. art. 02 D.lgs. 109/2012 che prevede una sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di € 150.000".





LAVORO NERO ACCERTATO DALL'AGENZIA DELLE ENTRATE: L'ACCERTAMENTO PARZIALE IN ADESIONE NON PRECLUDE ALTRI ACCERTAMENTI


Quesito:
Sono il Titolare di un Pubblico Esercizio in località termale. A seguito di Verbale della DTL, mi sono visto recapitare verbale di accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate per redditi evasi corrispondenti alla mancata denuncia dei lavoratori, come documentato dal Verbale della DTL. Ho posto in essere adesione. Da un mese, però, sto subendo una vertenza da parte di una Lavoratrice (non coinvolta nell'accertamento) che dichiara di aver contratto malattia professionale dopo aver lavorato "in nero" presso il mio esercizio come Cuoca in annualità pregressa l'ultima ispezione. Se dovesse esserci altra ispezione, come potrebbe comportarsi il Fisco? Spiccherebbe un nuovo Verbale o l'accertamento con adesione ha tombato tutto? Grazie.

Risposta:
Dal tenore di quanto mi ha detto, mi pare di dedurre che il Fisco ha operato nei suoi confronti la prima volta con accertamento parziale ex. art. 41-bis DPR 600/1973 (imposte dirette) e art. 54 DPR 633/1972 (IVA), da accertarsi nelle speciali e semplificate forme ex. art. 60 DPR 600/1973 (Raccomandata AR/Messi Comunali). Trattasi di accertamenti che vengono spiccati dall'Agenzia delle Entrate quando Le pervengono informazioni da "soggetti qualificati": in questo caso, la DTL che ha accertato la presenza di "lavoratori sommersi", informazione puntualmente compendiata in un atto ufficiale (il Verbale di ispezione), evidentemente molto ... interessante ai fini fiscali. La caratteristica di questo accertamento è la sua "ripetibilità": non avendo per oggetto la posizione unitaria del contribuente in un dato periodo (come nella normalità dei tradizionali accertamenti), ma solo una specifica situazione, esso non preclude all'Agenzia fiscale una successiva iniziativa ispettiva, ove sopravvengano elementi nuovi. Nel Suo caso, l'Agenzia potrebbe ripetere l'accertamento se la doglianza della Lavoratrice dovesse portare ad un nuovo Verbale DTL di accertamento di "lavoro nero".
Non vale a precludere questa eventualità, la circostanza che Lei abbia definito il precedente accertamento fiscale per adesione, che, a questo fine, non riveste alcuna efficacia preclusiva.
Cordialità.




IL LAVORO NOTTURNO DELLA LAVORATRICE MADRE

Quesito:
Una OSS, Dipendente di Casa di Riposo per Anziani inquadrata nel CCNL Case di Cura AIOP, neo-mamma, può essere adibita a lavoro notturno, fuori dal periodo di astensione obbligatoria?

Risposta:
Il divieto di adibizione al Lavoro notturno è assoluto e inderogabile tra il 09° mese precedente la certificata gravidanza e il 12 mese successivo (ossia fino al compimento di 01 anno di età del figlio).
Il divieto è "relativo" nel periodo compreso tra il 12 mese successivo alla nascita del figlio e fino al 36° mese (03 anni di vita del bambino): nel senso che la legge riconosce alla Dipendente la facoltà di rifiutare il lavoro notturno, senza patire conseguenze.
Va da sè, però, che, se la Lavoratrice accetta di svolgere lavoro notturno, ciò non esonera la Casa di Cura dagli oneri di vigilanza sanitaria previsti dalla legge, ove, ad esempio, dovessero sopravvenire problematiche di Salute (e la cosa può essere rilevante nel particolare settore "sanitario"). Il consenso della Lavoratrice, cioè, non può legittimare la Casa di Cura ad "abbassare la guardia" rispetto alla sorveglianza sanitaria prescritta dalla legge: in questo caso, la Casa di Cura vigilerà eventualmente valutando l'adibizione della Lavoratrice madre a turnazioni "compatibili" e, nei casi più gravi, provvedendo all'adibizione ad altre mansioni adeguate, nel rispetto dell'art. 2103 Codice Civile, che tutela la professionalità acquisita dal Dipendente.

Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB 

https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts


IL BUONO PASTO E IL PARCHEGGIO PREPAGATI DELLA SEGRETARIA DI STUDIO

Quesito:
Sono un Dentista, e voglio erogare alla mia Segretaria buoni pasti pre-pagati e un abbonamento (pagato) per il parcheggio.
Come li devo trattare ai fini della busta paga?

Risposta:
In primo luogo, dobbiamo precisare che questi servizi rientrano nella tipologia dei fringe benefit, ovvero dei "compensi in natura", integranti reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell'art. 48 TUIR e imponibile previdenziale ed assicurativo.
L'erogazione dei buoni pasto è soggetta a esenzione parziale da imponibilità fiscale e contributiva (nel limite di E. 5,49 giornaliero) laddove i buoni medesimi siano erogati nel rispetto delle condizioni previste dal Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri 18 novembre 2005, ovvero devono recare obbligatoriamente la dizione "il buono pasto non è cedibile, nè commerciabile, nè convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dall'utilizzatore" (art. 05). Il buono deve essere stipulato (tramite convenzione) con Società di Capitali avente capitale sociale non inferiore a E. 750.000 (art. 01).
In presenza dei suddetti requisiti, l'erogazione del "buono pasto" è equiparata a "somministrazione sostitutiva di mensa" parzialmente esente (fino a E. 5,49 giornaliero), come si legge anche nella Risoluzione nr. 118/2006.
A sua volta, il parcheggio è esente sa da imposte sia da contributi se l'abbonamento non supera nell'anno gli E. 258, 23; diversamente è totalmente imponibile.

Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB 

https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts