La legislazione sulle collaborazioni coordinate e continuative, si è venuta consolidando a seguito della riforma Biagi ex. artt. 61 ss. D.lgs. 276/2003 e successivamente nella l. 92/2012 (legge Monti-Fornero).
In questa sede, metteremo in rilievo lo specialissimo "andamento" con cui l'ordinamento giuridico ha gestito la tutela di queste forme contrattuali. Un andamento che potremmo denominare, con notevole
margine di esattezza, "carsico" e "alluvionale".
a) La fase "pretoria".
Ad aprire la strada delle cococo è la
dottrina (e a ruota la giurisprudenza) che si avvale tecniche di qualificazione
pretoria (praeter legem). Il campo privilegiato di osservazione di
questo autentico tertium genus di lavoro è costituito dal rapporto di
Agenti e Rappresentanti di Commercio che spinge i "pratici" e la
dottrina ad elaborare (non senza ambiguità, consuete per altro dove sono in
gioco definizioni giuridiche, per eccellenza problematiche) la nozione di
"parasubordinazione". La dottrina e la giurisprudenza, in
particolare, consolidano la "para-subordinazione"[1] in questi termini:
1) Trattasi di rapporto costituente pur
sempre species dell'art. 2222 del Codice Civile, ossia
caratterizzato da apporto
professionale essenzialmente personale e caratterizzabile quale
"obbligazione di risultato" da parte del Collaboratore, con ciò
escludendo qualsiasi interferenza/imputazione del ciclo della produzione in
capo al Committente;
2) A differenza delle prestazioni solitamente
riconducibili all'art. 2222 del Codice
Civile (che avrebbero potuto caratterizzarsi
da prestazione di servizi istantanea e una
tantum), la prestazione del Collaboratore in regime di
"para-subordinazione"si caratterizza per una prestazione
"continuativa", tale cioè da dar vita ad una reiterazione di
prestazioni integranti diverse opere, aventi come raggio di interesse tutti gli
affari di una certa specie del Preponente, connessi ad un certo periodo di
tempo, non necessariamente di lunga durata;
3) La prestazione si svolge in regime di
"coordinamento" con l'organizzazione del Committente, essenzialmente in due sensi: da un lato,
rispetto allo schema tradizionale del "lavoro autonomo", nel rapporto
coordinato il Collaboratore organizza solo la propria "opera", non i
mezzi, nemmeno nella forma minimale del "lavoro autonomo prevalentemente
personale" ex. art. 2222 Codice
Civile, essendo i "mezzi" (Uffici, auto etc.) messi a
disposizione del Committente. Dall'altro, la sussistenza di questo
"vincolo organizzativo" in capo al Collaboratore, veniva
residualmente a caratterizzarsi, escluso il rapporto direttivo e disciplinare
classico del lavoro dipendente, in termini di "coordinamento", quale
obbligo del Collaboratore di cooperare (di volta in volta ovvero secondo
procedure contrattualizzate) a concordare le modalità di utilizzo dei mezzi
messi a disposizione dal Committente nell'esercizio della propria opera
professionale. Caso classico, la Collaborazione dell'Avvocato nell'Ufficio
Legale di un Ente Pubblico (come vedremo, su questo aspetto faranno
prevalentemente perno sia la legge Biagi, sia la legge Fornero per introdurre
le speciali "modulazioni" della contrattualistica co.co.co.).
Di questa fase "pretoria" abbiamo un'importante traccia
nell'art. 409 del Codice di
Procedura Civile, come modificato dalla legge 533/1973 quando richiama le
"prestazioni d'opere continuative e coordinate con l'organizzazione del
Committente", esemplificandole con i casi (socialmente tipici) degli
Agenti/Rappresentanti di Commercio, unitamente ad ... altri non precisati.
Anche qui ricorre quella che potremmo definire una "costante" del
cammino delle cococo, che tende ad emergere facendosi trascinare da fattispecie
a torto o a ragione ritenute "socialmente tipiche" (nel 1973 gli
"Agenti/Rappresentanti di Commercio", nel 2003 "il terziario
avanzato"), più che da definizioni giuridiche rigorose di
contrattualistica.
b) Primi (frammentari) recepimenti legislativi:
Dopo i primi inizi "pretorii", si inizia
(legislativamente parlando) in sordina e in modo del tutto “occasionale” e "frammentario"
(se non "casistico"): prima con l'estensione di qualche parziale
tutela per lo più processuali (la competenza del Giudice del Lavoro ex. art.
409 Codice Procedura Civile,
potenziata nella "novella" del 1992[2]), successivamente con
l'estensione ai "parasubordinati" delle garanzie contro le
"rinunce/transazioni" ex. art. 2113 del Codice Civile, infine
prevedendo la garanzia delle rivalutazioni ISTAT sui compensi rivendicati in
giudizio ex. art. 427 Codice
Procedura Civile.
Dal 1973, anno della prima legislazione di
tutela (processuale) al 2003 anno della "legge Biagi" passano 30
anni: in questi 30 anni, come vedremo, la riforma "biagiana" delle
cococo non "irrompe" improvvisamente; viceversa, questi 30 anni
costituiscono anni di preparazione, di impercettibile, ma tenace
"cova".
Più raramente tale "cova" avviene con disposizioni di
conclamata valenza giuslavoristica; più frequentemente, i momenti di emersione
di questa contrattualistica si ritrovano nella legislazione previdenziale (art.
02.26°comma l. 335/1995[3], istitutiva della cd
Gestione Separata INPS), l. 449/1997 (che finanzia assegni familiari, tutela
della malattia dei cococo e malattia) e la 388/2000[4] (che disciplinano la
tutela della maternità alle cococo, iniziando un decorso
"incrementale" delle tutele previdenziali dei Collaboratori), la l.
342/2000, che riconosce, sia pure ai limitati fini fiscali, i cd "redditi
assimilati a lavoro dipendente" quali "Amministratori",
"partecipanti a Collegi e Commissioni", fornendo una eloquente
definizione di lavoro coordinato e continuativo, densa di implicazioni
pratiche, per l'oggettiva valenza di punto di riferimento per la
contrattualistica e la pratica giuslavoristica (Art. 47 c-bis DPR 917/1986, poi
art. 50[5]):
“Le somme e i valori in genere, a qualunque
titolo percepiti nel periodo d'imposta […] in relazione ad altri rapporti di
collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza
vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un
rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con
retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni
non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell'attività di lavoro
dipendente di cui all'articolo 49, comma 1, concernente redditi di lavoro
dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione di cui all'articolo 53,
comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente”.
Ma il precedente più importante è sicuramente quello costituito
dalla specialissima disciplina del "lavoro sportivo".
L'art. 03.02°comma della l. 23 marzo 1981 nr. 93 introduce una
previsione sul "lavoro autonomo" sportivo così costruita:
La prestazione a titolo oneroso dell'atleta
costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme
contenute nella presente legge.
Essa costituisce, tuttavia, oggetto di
contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
a) l'attività sia svolta nell'ambito di una
singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in
un breve periodo di tempo;
b) l'atleta non sia contrattualmente
vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od
allenamento;
c) la prestazione che è oggetto del
contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali
oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno (1).
Nessun dubbio che questa disposizione, per
come è costruita, costituisce il precedente più diretto, anzi il modello delle
tecniche eufemisticamente e in modo pseudo-tecnico denominate "modulazioni
contrattuali" che altro non concretano che piena e completa
"ingerenza" del legislatore nel modo di essere di un rapporto, una
specie di "interpretazione autentica" dei contratti privati ai fini
di una riclassificazione subordinata, offerti dal legislatore di cui ampio
saggio offrirà il legislatore con gli artt. 61 ss D.lgs. 276/2003 e la stessa
l. 92/2012 con l'art. 69-bis sulle cd "finte Partite IVA". Ma su
questo precedente, e sulle ricadute in termini di contrattualistica e in
termini operativi, diremmo più ampiamente nelle prossime “puntate”.
c) La cococo, come fattore di anomalia e distorsione nel mercato del
lavoro: i tentativi di regolazione dalla sentenza pony express alla legge Treu:
Contemporaneamente a questa confusa e
alluvionale evoluzione legislativa, la cococo conosceva un autentico sviluppo
ipertrofico, assumendo i connotati del “contratto pigliatutto”, ben oltre i
connotati con cui il contratto si era fatto riconoscere, ossia Agenti
Rappresentanti di Commercio e “collaborazioni strutturate” di liberi
professionisti (tipici i casi degli Avvocati “consulenti” delle PA e i medici “liberi-professionisti
intra-moenia” entro le strutture
ospedalieri pubblici, molto contestate dal Fisco per i profili IVA), comunque “altamente
qualificate”, per abbracciare le più svariate figure professionali, anche le
più marginali e saltuarie: da Badanti, ai Camerieri “occasionali”, ai letturisti
di contatore, fattorini etc[6]. determinando così un
quadro di evidente stortura, in cui la “parasubordinazione” era invocata come
pura “valvola” di sfogo per ridurre i costi del lavoro dipendente, avvertito
(specie per le prestazioni più brevi e saltuarie) troppo onerose, ma al prezzo
di una pesante precarizzazione delle condizioni di lavoro e di una gravissima
frammentazione e desertificazione delle carriere previdenziali (tanto più forte
tra la seconda metà degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’00 per l’importo
estremamente basso delle aliquote previdenziali).
Una vicenda esemplare di questi squilibri
indotti dalla contrattualistica di cococo è il consistente contenzioso nato
attorno alla vicenda dei pony express,
che in fondo è la prima volta in cui una vicenda ispettiva (si direbbe “massiva”)
attira un dibattito sulle cococo, sulla presunta “genuinità” del lavoro
autonomo contrattualmente conclamato e che culmina con il pronunciamento di
Cass. Sez. lav., 25 gennaio 1993 nr. 811, che fissa, a mo si direbbe, di “Testo
Unico”, quello che diverrà in gran parte ius
receptum sul cd “finto lavoro autonomo” degli organi ispettivi (e poi,
recentemente del legislatore).
In questa fase, la parte principale della
discussione è occupata dalla verifica dei tempi di lavoro. Ove venga accertato –
questo il pensiero della Cassazione- che il pony
express cococo opera attraverso indicazioni di una centrale radio, lì è
legittimo ritenere il lavoro subordinato per la conclamata “eterodirezione”
(che sfocia addirittura in “controllo a distanza” aggiungo io!) del
Collaboratore.
Non così dove sia il Collaboratore a
gestire i tempi, sia pure dopo aver ricevuto direttive di massima sulle
consegne, dove la Cassazione riconosce, sia pure per “insufficienza di prove”
(di lavoro subordinato), la stipula di cococo. Con questo, i più lucidi
interpreti giuslavoristi (tra cui il compianto Prof. Marco Biagi) non mancarono
di accorgersi dell’insufficienza di questa posizione giurisprudenziale per le
esigenze di imprese e lavoratori. La lacuna era poi ravvisabile con particolare
evidenza sul versante della contrattualistica: perché, se, da un lato, il
criterio dell’auto-determinazione dei tempi di lavoro ben avrebbe potuto “salvare”
la “genuinità” delle cococo dei pony
express (ma solo per “insufficienza di prove”, ossia per assenza di criteri
dirimenti in giudizio per rilevare in questi casi il “lavoro subordinato”), ciò
non toglieva che la “deregolazione” che da questa sentenza avrebbe potuto
discendere sui tempi di lavoro dei pony
express, li avrebbe esposti a forme abusive di lavoro “a comando” che la
stessa giurisprudenza, al massimo livello (Corte Costituzionale, sentenza 210/1992
sul part time) aveva riconosciuto
come massimamente illecito e degrandante per il lavoratore. Di qui, la
riflessione del Prof. Biagi sull’opportunità di riconoscere la dimensione “a
comando” della prestazione onde regolarla a tutela dei Lavoratori (con una “modulazione”
dei tempi adatta, in fascia, non rigidamente fissata come nel part time) e delle imprese (a fronte di
effettive occasioni “saltuarie” e “intermittenti” di lavoro), ad imitazione
delle contrattualistiche di job and call,
note soprattutto nel mondo anglosassone (questa fattispecie sarà recepita negli
artt. 34 ss D.lgs. 276/2003 nel cd “lavoro a chiamata” dalle vicende politiche
e giuridiche molto controverse).
Sensibile a questo dibattito e alla
necessità di far tornare nell’ordine questa frantumazione e esplosione di
tutele lavoristiche, il Ministro Treu, adotta un primo provvedimento (la l. 1
196/1996) molto importante sul fronte della “liberalizzazione” dell’ apprendistato,
del part time, della
flessibilizzazione dell’orario di lavoro, dei tirocini etc., ma non riesce a
regolare e a gestire le forme spurie e anomale di lavoro autonomo che vanno
sotto il nome di “cococo”.
Fallisce, perché in quella fase il
legislatore non riesce a costruire delle “contrtattualistiche alternative”
credibili per incanalare la domanda di lavoro flessibile e saltuario di Imprese
e Lavoratori (che fatalmente si “scarica” sulla cococo).
In particolare, fallisce la coraggiosa
sperimentazione ministeriale che, caso abbastanza unico nel suo genere,
introduce, per via di Circolare ministeriale (la 43/1998), una “contrattualistica”
non nominata formalmente dalla legge il “lavoro ripartito” (il job saring) che, nelle intenzioni del
Ministro, dovrebbe recepire le principali fattispecie di “lavoro saltuario”,
tramite un’incentivazione del part time,
il cui costo unitario viene ammortizzato e “spalmato” su più lavoratori. Questa
operazione “paghi due al prezzo di uno” fallì miseramente i pure nobilissimi
intenti che si era posta, anche perché non era riuscita a intercettare il vero
problema da regolare, la prestazione “a comando/chiamata”, oggetto di
attenzione e attrattiva delle imprese, per i vantaggi di costi e operativi che
essa implicava, che in nessun modo (anche per i vincoli costituzionali citati)
avrebbe potuto essere inquadrata con efficacia nel diritto del lavoro,
vincolato sulle troppo rigide disposizioni del part time (per altro interpretate restrittivamente, come visto,
dalla Corte Costituzionale). E di fatto quando quando l’ordinamento riuscì a
regolare il “lavoro a chiamata” potè iniziare con efficacia l’opera di bonifica
e risistemazione delle cococo abusive, fin lì rimasta nel limbo.
d) La legge Biagi: l’interpretazione dell’art. 61.01°comma D.lgs.
276/2003:
L’illustrazione
più diffusa della riforma cd “Biagi” delle cococo sarà oggetto della prossima puntata.
In questa
sede, mentre ci avviamo alla conclusione di questa prima parte, riteniamo
sufficientemente mature le condizioni per una compiuta interpretazione di una
parte non poco “controversa” della “legge Biagi”, l’art. 61.01°-03°comma (“Fermo
restando …”), quella delle “collaborazioni” cd “senza progetto”, ossia
attivabili senza ricorrere alla speciale “modulazione contrattuale” prevista
dalla legge Biagi. A molti “pratici” e commentatori, questa situazione parve un
controsenso, faticando a trovare un logico discrimine che giustificasse l’esonero
da una norma generale e fondamentale come la “modulazione progettuale”. In
realtà, questa contraddizione si scioglie in sede di “interpretazione storica”,
ossia avendo presente il dibattito pregresso e avendo presente che l’art. 61
esonera dal “progetto” quelle collaborazioni che, precedentemente, avevano
trovato una sufficiente certezza e tipicità sociale per il tramite della norma
fiscale o legale, e che non abbisognano pertanto dei controlli e degli oneri di
motivazioni per tutte le “altre” collaborazioni.
L’esclusione
di Amministratori, Sindaci, componenti di Collegi e Commissioni non merita
particolari commenti, un po’ perché la “parasubordinazione” era già stata
tipizzata con dettaglio dalla norma fiscale (art. 49 lett.c-bis TUIR, poi art. 50), e un po’ per il
carattere evidentemente non problematico del rapporto. Così per il “lavoro
sportivo” di cui la Circolare Min. lav. 01/2004 conferma la l. 91/1981 come
sufficiente a fornire i criteri di valutazione della genuinità dell’autonomia.
Veramente
decisiva e qualificante, invece, dal punto di vista della “politica legislativa”
nell’opera di razionalizzazione/bonifica delle collaborazioni “spurie” è la
previsione delle “Collaborazioni occasionali”.
Sull’argomento,
abbiamo già speso valutazioni e considerazioni in un precedente post che in questa sede non si farà che
richiamare: http://costidellavoro.blogspot.it/2013/01/il-lavoro-per-chi-non-arriva-fine-mese.html.
La disposizione, invero esoterica, nel connotare le "prestazioni occasionali" solo in funzione di due
requisiti del tutto neutri rispetto alla contrattualistica (la Collaborazione,
cioè, non deve durare più di 30 gg. nell'anno solare e non deve dar luogo a
redditi superiori a €. 5.000 lordi nel "periodo annuale complessivo",
quindi, conteggiati tutti i Committenti), inaugura una tecnica definitoria che
sarà propria anche del “lavoro accessorio” ex. art. 70 ss D.lgs. 276/2003, tesa
cioè a definire un “rapporto di lavoro” per elementi del tutto estrinseci ai
connotati tradizionali della fattispecie contrattuale, pensiamo al lavoro
subordinato ex. art. 2094 Codice Civile,
e al lavoro autonomo ex. art. 2222 Codice
Civile, quasi fosse un “contenitore” onnicomprensivo di tutte le fattispecie
di lavoro saltuario e marginale, utile per intercettare e regolare queste
dinamiche (piccole ma rilevanti) del mercato del lavoro.
Grazie
a questa previsione, unitamente al “lavoro a chiamata”, “accessorio” etc. il
legislatore concorre a creare quelle “alternative contrattuali flessibili” alla
cococo che, nel vigore della legge Treu, erano mancate, per indirizzare un
disegno di “bonifica” della cococo (che, tramite la “modulazione a progetto”
viene ricondotta dagli artt. 61 ss. a lavori di “Terziario avanzato” e di
Consulenza. In questo senso, la razionalizzazione e la restrizione della cococo
può avvenire, ma senza frustrare la legittima domanda di lavoro flessibile
delle Imprese e dei Lavoratori, che, in questo modo, viene incanalata in
contrattualistiche ritenute più acconce e anche più tutelate.
Nel
disegno della legge Biagi, peraltro, in
parte qua, non si ravvisa solo la volontà di riversare nell’alveo del
lavoro subordinato (per quanto flessibile) la domanda di lavoro, ma di
indirizzare verso i tradizionali canali del lavoro autonomo e dei relativi contratti
d’opera civilistici prestazioni che vengono ritenute anch’esse abusivamente
ricondotte alle cococo (vedi Circolare Min. lav. 01/2004). E’ questo il caso
delle “prestazioni intellettuali di soggetti iscritti ad ordini”: qui, la ratio legislativa è di ordine
esclusivamente fiscale, e ovvia alla tendenza di molti Professionisti ordinistici,
come gli Avvocati, che, in passato (ma in fondo fino alla recente riforma
forense) avevano tentato di utilizzare la cococo per “coprire” volume d’affari
rilevante ai fini IVA, ma soprattutto alla rispettiva Cassa Professionale[7]. In parte qua, quindi, la norma ha solo
un limitato impatto ai fini giuslavoristici, in quanto qualificazioni
giuslavorsitiche e fiscali tendono a “fondersi” confusamente e indistintamente (tecnica
giustamente deplorata dalla Fondazione
Studi CDL in tempi recenti in occasione della riforma sulle cd “finte
Partite IVA”).
Legata,
invece, ad un pregresso assetto di legislazione previdenziale caratterizzato,
in alcuni settori, dalla tendenziale incompatibilità lavoro subordinato/autonomo-
status di pensionato è la parte del
comma 03 che “esonera” dal “progetto” le prestazioni dei “pensionati di vecchiaia”.
Una disposizione molto strana e invero incoerente con la ratio legislativa tipicamente anti-abuso della “modulazione” a
progetto della collaborazione autonoma: come non pensare anzi che
collaborazioni siffatte fossero per eccellenza elusive proprio per lo stretto
vincolo derivante dal divieto del lavoro subordinato e dalla decurtazione della
pensione? A rigore di termini, sarebbe parso che questa fattispecie avrebbe
dovuto essere particolarmente interessata dalla “modulazione a progetto”, non
esclusa, per favorire controlli ed emersione di base imponibile! L’esclusione
dal “progetto”, in parte qua, invece,
pur non precludendo a priori i controlli ispettivi, concorreva a salvare queste
collaborazioni dai rigori di “conversione in lavoro subordinato” di cui all’art.
69 D.lgs. 276/2003, con ciò evidenziando una generosa “zona grigia” (né lavoro
dipendente, né autonomo) a “favore” dei Pensionati (per i quali era pacifica l’iscrizione
alla Gestione Separata INPS), cui veniva di fatto “concessa” la prosecuzione
del rapporto sotto forma di “collaborazione”, senza gli obblighi di
interruzione previsti da molti ordinamenti pensionistici[8]. Una disposizione
che ha cessato la sua pur residuale attualità con l’eliminazione totale del “cumulo”
lavoro/pensione operata dalla l. 133/2008, e che oggi, per altro, pone alcuni
rilevanti problemi di coordinamento e di adattamento al nuovo assetto della
legge 92/2012, specie con riferimento alle disposizioni sulle cd “finte Partite
IVA” che, come noto, sono innestate nelle norme sulla modulazione “a progetto” specie
come novella all’art. 69-bis D.lgs. 276/2003 (per riflessioni e considerazioni
in questo senso vedi il mio link: http://costidellavoro.blogspot.it/2012/09/finte-partite-iva-niente-presunzione.html).
Conclusa
l’esposizione di questa alluvionale e “residuale” casistica, sarà compito della
prossima entrare nello specifico della cd “Modulazione a progetto” che è il
clou della riforma delle cococo dal 2003 in avanti.
Fine 1a parte-Continua
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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[1] Per un’esauriente trattazione
completa di riferimenti bibliografici e di giurisprudenza si rinvia a http://www.opinioiuris.it/Dott_Civ_Lav_0004.htm
e a GHERA, Diritto del Lavoro,
Cacucci Editore, 1997.
[2]
Per una breve storia dell’evoluzione legislativa vedi il mio link: http://costidellavoro.blogspot.it/2012/09/il-foro-delle-partite-iva-finte.html
[3] “A decorrere dal 1° gennaio 1996, sono tenuti all'iscrizione
presso una apposita Gestione separata, presso l'INPS, e finalizzata
all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la
vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale,
ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1
dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché i
titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al
comma 2, lettera a), dell'articolo 49 del medesimo testo unico e gli incaricati
alla vendita a domicilio di cui all'articolo 36 della legge 11
giugno 1971, n. 426. Sono esclusi dall'obbligo i soggetti assegnatari
di borse di studio, limitatamente alla relativa attività”.
[4]
Art. 59.16°comma l. 449/1997: “Per i soggetti che non risultano iscritti
ad altre forme obbligatorie, con effetto dal 1° gennaio 1998 il contributo alla
gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto
1995, n. 335, è elevato di 1,5 punti percentuali. Lo stesso è
ulteriormente elevato con effetto dalla stessa data in ragione di un punto
percentuale ogni biennio fino al raggiungimento dell'aliquota di 19 punti
percentuali. La relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni
pensionistiche è maggiorata rispetto a quella di finanziamento di due punti
percentuali nei limiti di una complessiva aliquota di computo di 20 punti
percentuali. È dovuta una ulteriore aliquota contributiva pari a 0,5 punti
percentuali per il finanziamento dell'onere derivante dall'estensione agli
stessi della tutela relativa alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e
alla malattia in caso di degenza ospedaliera (12). A tal fine, con decreto del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica, è disciplinata tale
estensione nei limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico gettito
contributivo (13). Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale,
di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica e con il Ministro della sanità, da emanare entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore della presente disposizione, si provvede alla disciplina
della tutela per malattia in caso di degenza ospedaliera nei limiti delle
risorse derivanti dallo specifico gettito contributivo e in relazione al
reddito individuale”. Art. 80.comma 12 l. 388/2000: “La disposizione di cui al comma 16,
quarto periodo, dell'articolo 59 della legge 27
dicembre 1997, n. 449, si interpreta nel senso che l'estensione ivi
prevista della tutela relativa alla maternità e agli assegni al nucleo
familiare avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro
dipendente”. La disciplina contenuta in questo comma ha ricevuto
attuazione con il Dm 04/04/2000.
[5] La specifica sulle cococo
è stata introdotta dall’art. 34 l. 21 novembre 2000 nr. 323 e successivamente
modificata (specie nella numerazione dell’articolo da “49” a “50” dal D.lgs. 12
dicembre 2003 nr. 344.
[6]
Per un compendio di giurisprudenza (precedente alla l. 92/2012 e talora al
D.lgs. 276/2003) relativo alle cococo si rinvia all’efficace sintesi contenuta
in http://assaniv.blogspot.it/2013/01/cocopro_3.html
[7]
In questi termini, la norma è stata fatta oggetto di un’interpretazione
autentica dall’art. 01.27°comma l. 92/2012: “La disposizione concernente le professioni
intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in albi
professionali, di cui al primo periodo del comma 3 dell'articolo 61 del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel
senso che l'esclusione dal campo di applicazione del capo I del titolo VII del
medesimo decreto riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il
cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali
intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi
albi professionali. In caso contrario, l'iscrizione del collaboratore ad albi
professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l'esclusione dal
campo di applicazione del suddetto capo I del titolo VII”.
[8] Indicazione però già esclusa a
monte nel settore Pubblico che, alla l. 724/1994, aveva recisamente vietato la
riassunzione di personale in pensione anche sotto forma di incarichi di
consulenze di qualsiasi tipo.
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