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mercoledì 10 aprile 2013

LA COLLABORAZIONE A PROGETTO: EVOLUZIONE E STORIA-1a PARTE


La legislazione sulle collaborazioni coordinate e continuative, si è venuta consolidando a seguito della riforma Biagi ex. artt. 61 ss. D.lgs. 276/2003 e successivamente nella l. 92/2012 (legge Monti-Fornero).
In questa sede, metteremo in rilievo lo specialissimo "andamento" con cui l'ordinamento giuridico ha gestito la tutela di queste forme contrattuali. Un andamento che potremmo denominare, con notevole margine di esattezza, "carsico" e "alluvionale".

a) La fase "pretoria".
Ad aprire la strada delle cococo è la dottrina (e a ruota la giurisprudenza) che si avvale tecniche di qualificazione pretoria (praeter legem). Il campo privilegiato di osservazione di questo autentico tertium genus di lavoro è costituito dal rapporto di Agenti e Rappresentanti di Commercio che spinge i "pratici" e la dottrina ad elaborare (non senza ambiguità, consuete per altro dove sono in gioco definizioni giuridiche, per eccellenza problematiche) la nozione di "parasubordinazione". La dottrina e la giurisprudenza, in particolare, consolidano la "para-subordinazione"[1] in questi termini:

1) Trattasi di rapporto costituente pur sempre species dell'art. 2222 del Codice Civile, ossia caratterizzato da apporto professionale essenzialmente personale e caratterizzabile quale "obbligazione di risultato" da parte del Collaboratore, con ciò escludendo qualsiasi interferenza/imputazione del ciclo della produzione in capo al Committente;
2) A differenza delle prestazioni solitamente riconducibili all'art. 2222 del Codice Civile (che avrebbero potuto caratterizzarsi da prestazione di servizi istantanea e una tantum), la prestazione del Collaboratore in regime di "para-subordinazione"si caratterizza per una prestazione "continuativa", tale cioè da dar vita ad una reiterazione di prestazioni integranti diverse opere, aventi come raggio di interesse tutti gli affari di una certa specie del Preponente, connessi ad un certo periodo di tempo, non necessariamente di lunga durata;
3) La prestazione si svolge in regime di "coordinamento" con l'organizzazione del Committente, essenzialmente in due sensi: da un lato, rispetto allo schema tradizionale del "lavoro autonomo", nel rapporto coordinato il Collaboratore organizza solo la propria "opera", non i mezzi, nemmeno nella forma minimale del "lavoro autonomo prevalentemente personale" ex. art. 2222 Codice Civile, essendo i "mezzi" (Uffici, auto etc.) messi a disposizione del Committente. Dall'altro, la sussistenza di questo "vincolo organizzativo" in capo al Collaboratore, veniva residualmente a caratterizzarsi, escluso il rapporto direttivo e disciplinare classico del lavoro dipendente, in termini di "coordinamento", quale obbligo del Collaboratore di cooperare (di volta in volta ovvero secondo procedure contrattualizzate) a concordare le modalità di utilizzo dei mezzi messi a disposizione dal Committente nell'esercizio della propria opera professionale. Caso classico, la Collaborazione dell'Avvocato nell'Ufficio Legale di un Ente Pubblico (come vedremo, su questo aspetto faranno prevalentemente perno sia la legge Biagi, sia la legge Fornero per introdurre le speciali "modulazioni" della contrattualistica co.co.co.).

Di questa fase "pretoria" abbiamo un'importante traccia nell'art. 409 del Codice di Procedura Civile, come modificato dalla legge 533/1973 quando richiama le "prestazioni d'opere continuative e coordinate con l'organizzazione del Committente", esemplificandole con i casi (socialmente tipici) degli Agenti/Rappresentanti di Commercio, unitamente ad ... altri non precisati. Anche qui ricorre quella che potremmo definire una "costante" del cammino delle cococo, che tende ad emergere facendosi trascinare da fattispecie a torto o a ragione ritenute "socialmente tipiche" (nel 1973 gli "Agenti/Rappresentanti di Commercio", nel 2003 "il terziario avanzato"), più che da definizioni giuridiche rigorose di contrattualistica.

b) Primi (frammentari) recepimenti legislativi:
Dopo i primi inizi "pretorii", si inizia (legislativamente parlando) in sordina e in modo del tutto “occasionale” e "frammentario" (se non "casistico"): prima con l'estensione di qualche parziale tutela per lo più processuali (la competenza del Giudice del Lavoro ex. art. 409 Codice Procedura Civile, potenziata nella "novella" del 1992[2]), successivamente con l'estensione ai "parasubordinati" delle garanzie contro le "rinunce/transazioni" ex. art. 2113 del Codice Civile, infine prevedendo la garanzia delle rivalutazioni ISTAT sui compensi rivendicati in giudizio ex. art. 427 Codice Procedura Civile.
Dal 1973, anno della prima legislazione di tutela (processuale) al 2003 anno della "legge Biagi" passano 30 anni: in questi 30 anni, come vedremo, la riforma "biagiana" delle cococo non "irrompe" improvvisamente; viceversa, questi 30 anni costituiscono anni di preparazione, di impercettibile, ma tenace "cova".
Più raramente tale "cova" avviene con disposizioni di conclamata valenza giuslavoristica; più frequentemente, i momenti di emersione di questa contrattualistica si ritrovano nella legislazione previdenziale (art. 02.26°comma l. 335/1995[3], istitutiva della cd Gestione Separata INPS), l. 449/1997 (che finanzia assegni familiari, tutela della malattia dei cococo e malattia) e la 388/2000[4] (che disciplinano la tutela della maternità alle cococo, iniziando un decorso "incrementale" delle tutele previdenziali dei Collaboratori), la l. 342/2000, che riconosce, sia pure ai limitati fini fiscali, i cd "redditi assimilati a lavoro dipendente" quali "Amministratori", "partecipanti a Collegi e Commissioni", fornendo una eloquente definizione di lavoro coordinato e continuativo, densa di implicazioni pratiche, per l'oggettiva valenza di punto di riferimento per la contrattualistica e la pratica giuslavoristica (Art. 47 c-bis DPR 917/1986, poi art. 50[5]):

“Le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta […] in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell'attività di lavoro dipendente di cui all'articolo 49, comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione di cui all'articolo 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente”.

Ma il precedente più importante è sicuramente quello costituito dalla specialissima disciplina del "lavoro sportivo".
L'art. 03.02°comma della l. 23 marzo 1981 nr. 93 introduce una previsione sul "lavoro autonomo" sportivo così costruita:

La prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge.
Essa costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
a) l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
b) l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno (1).
(1) Vedi, anche, il D.M. 31 gennaio 2003, n. 98.

Nessun dubbio che questa disposizione, per come è costruita, costituisce il precedente più diretto, anzi il modello delle tecniche eufemisticamente e in modo pseudo-tecnico denominate "modulazioni contrattuali" che altro non concretano che piena e completa "ingerenza" del legislatore nel modo di essere di un rapporto, una specie di "interpretazione autentica" dei contratti privati ai fini di una riclassificazione subordinata, offerti dal legislatore di cui ampio saggio offrirà il legislatore con gli artt. 61 ss D.lgs. 276/2003 e la stessa l. 92/2012 con l'art. 69-bis sulle cd "finte Partite IVA". Ma su questo precedente, e sulle ricadute in termini di contrattualistica e in termini operativi, diremmo più ampiamente nelle prossime “puntate”.

c) La cococo, come fattore di anomalia e distorsione nel mercato del lavoro: i tentativi di regolazione dalla sentenza pony express alla legge Treu:
Contemporaneamente a questa confusa e alluvionale evoluzione legislativa, la cococo conosceva un autentico sviluppo ipertrofico, assumendo i connotati del “contratto pigliatutto”, ben oltre i connotati con cui il contratto si era fatto riconoscere, ossia Agenti Rappresentanti di Commercio e “collaborazioni strutturate” di liberi professionisti (tipici i casi degli Avvocati “consulenti” delle PA e i medici “liberi-professionisti intra-moenia” entro le strutture ospedalieri pubblici, molto contestate dal Fisco per i profili IVA), comunque “altamente qualificate”, per abbracciare le più svariate figure professionali, anche le più marginali e saltuarie: da Badanti, ai Camerieri “occasionali”, ai letturisti di contatore, fattorini etc[6]. determinando così un quadro di evidente stortura, in cui la “parasubordinazione” era invocata come pura “valvola” di sfogo per ridurre i costi del lavoro dipendente, avvertito (specie per le prestazioni più brevi e saltuarie) troppo onerose, ma al prezzo di una pesante precarizzazione delle condizioni di lavoro e di una gravissima frammentazione e desertificazione delle carriere previdenziali (tanto più forte tra la seconda metà degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’00 per l’importo estremamente basso delle aliquote previdenziali).
Una vicenda esemplare di questi squilibri indotti dalla contrattualistica di cococo è il consistente contenzioso nato attorno alla vicenda dei pony express, che in fondo è la prima volta in cui una vicenda ispettiva (si direbbe “massiva”) attira un dibattito sulle cococo, sulla presunta “genuinità” del lavoro autonomo contrattualmente conclamato e che culmina con il pronunciamento di Cass. Sez. lav., 25 gennaio 1993 nr. 811, che fissa, a mo si direbbe, di “Testo Unico”, quello che diverrà in gran parte ius receptum sul cd “finto lavoro autonomo” degli organi ispettivi (e poi, recentemente del legislatore).
In questa fase, la parte principale della discussione è occupata dalla verifica dei tempi di lavoro. Ove venga accertato – questo il pensiero della Cassazione- che il pony express cococo opera attraverso indicazioni di una centrale radio, lì è legittimo ritenere il lavoro subordinato per la conclamata “eterodirezione” (che sfocia addirittura in “controllo a distanza” aggiungo io!) del Collaboratore.
Non così dove sia il Collaboratore a gestire i tempi, sia pure dopo aver ricevuto direttive di massima sulle consegne, dove la Cassazione riconosce, sia pure per “insufficienza di prove” (di lavoro subordinato), la stipula di cococo. Con questo, i più lucidi interpreti giuslavoristi (tra cui il compianto Prof. Marco Biagi) non mancarono di accorgersi dell’insufficienza di questa posizione giurisprudenziale per le esigenze di imprese e lavoratori. La lacuna era poi ravvisabile con particolare evidenza sul versante della contrattualistica: perché, se, da un lato, il criterio dell’auto-determinazione dei tempi di lavoro ben avrebbe potuto “salvare” la “genuinità” delle cococo dei pony express (ma solo per “insufficienza di prove”, ossia per assenza di criteri dirimenti in giudizio per rilevare in questi casi il “lavoro subordinato”), ciò non toglieva che la “deregolazione” che da questa sentenza avrebbe potuto discendere sui tempi di lavoro dei pony express, li avrebbe esposti a forme abusive di lavoro “a comando” che la stessa giurisprudenza, al massimo livello (Corte Costituzionale, sentenza 210/1992 sul part time) aveva riconosciuto come massimamente illecito e degrandante per il lavoratore. Di qui, la riflessione del Prof. Biagi sull’opportunità di riconoscere la dimensione “a comando” della prestazione onde regolarla a tutela dei Lavoratori (con una “modulazione” dei tempi adatta, in fascia, non rigidamente fissata come nel part time) e delle imprese (a fronte di effettive occasioni “saltuarie” e “intermittenti” di lavoro), ad imitazione delle contrattualistiche di job and call, note soprattutto nel mondo anglosassone (questa fattispecie sarà recepita negli artt. 34 ss D.lgs. 276/2003 nel cd “lavoro a chiamata” dalle vicende politiche e giuridiche molto controverse).
Sensibile a questo dibattito e alla necessità di far tornare nell’ordine questa frantumazione e esplosione di tutele lavoristiche, il Ministro Treu, adotta un primo provvedimento (la l. 1 196/1996) molto importante sul fronte della “liberalizzazione” dell’ apprendistato, del part time, della flessibilizzazione dell’orario di lavoro, dei tirocini etc., ma non riesce a regolare e a gestire le forme spurie e anomale di lavoro autonomo che vanno sotto il nome di “cococo”.
Fallisce, perché in quella fase il legislatore non riesce a costruire delle “contrtattualistiche alternative” credibili per incanalare la domanda di lavoro flessibile e saltuario di Imprese e Lavoratori (che fatalmente si “scarica” sulla cococo).
In particolare, fallisce la coraggiosa sperimentazione ministeriale che, caso abbastanza unico nel suo genere, introduce, per via di Circolare ministeriale (la 43/1998), una “contrattualistica” non nominata formalmente dalla legge il “lavoro ripartito” (il job saring) che, nelle intenzioni del Ministro, dovrebbe recepire le principali fattispecie di “lavoro saltuario”, tramite un’incentivazione del part time, il cui costo unitario viene ammortizzato e “spalmato” su più lavoratori. Questa operazione “paghi due al prezzo di uno” fallì miseramente i pure nobilissimi intenti che si era posta, anche perché non era riuscita a intercettare il vero problema da regolare, la prestazione “a comando/chiamata”, oggetto di attenzione e attrattiva delle imprese, per i vantaggi di costi e operativi che essa implicava, che in nessun modo (anche per i vincoli costituzionali citati) avrebbe potuto essere inquadrata con efficacia nel diritto del lavoro, vincolato sulle troppo rigide disposizioni del part time (per altro interpretate restrittivamente, come visto, dalla Corte Costituzionale). E di fatto quando quando l’ordinamento riuscì a regolare il “lavoro a chiamata” potè iniziare con efficacia l’opera di bonifica e risistemazione delle cococo abusive, fin lì rimasta nel limbo.

d) La legge Biagi: l’interpretazione dell’art. 61.01°comma D.lgs. 276/2003:

            L’illustrazione più diffusa della riforma cd “Biagi” delle cococo  sarà oggetto della prossima puntata.
            In questa sede, mentre ci avviamo alla conclusione di questa prima parte, riteniamo sufficientemente mature le condizioni per una compiuta interpretazione di una parte non poco “controversa” della “legge Biagi”, l’art. 61.01°-03°comma (“Fermo restando …”), quella delle “collaborazioni” cd “senza progetto”, ossia attivabili senza ricorrere alla speciale “modulazione contrattuale” prevista dalla legge Biagi. A molti “pratici” e commentatori, questa situazione parve un controsenso, faticando a trovare un logico discrimine che giustificasse l’esonero da una norma generale e fondamentale come la “modulazione progettuale”. In realtà, questa contraddizione si scioglie in sede di “interpretazione storica”, ossia avendo presente il dibattito pregresso e avendo presente che l’art. 61 esonera dal “progetto” quelle collaborazioni che, precedentemente, avevano trovato una sufficiente certezza e tipicità sociale per il tramite della norma fiscale o legale, e che non abbisognano pertanto dei controlli e degli oneri di motivazioni per tutte le “altre” collaborazioni.
            L’esclusione di Amministratori, Sindaci, componenti di Collegi e Commissioni non merita particolari commenti, un po’ perché la “parasubordinazione” era già stata tipizzata con dettaglio dalla norma fiscale (art. 49 lett.c-bis TUIR, poi art. 50), e un po’ per il carattere evidentemente non problematico del rapporto. Così per il “lavoro sportivo” di cui la Circolare Min. lav. 01/2004 conferma la l. 91/1981 come sufficiente a fornire i criteri di valutazione della genuinità dell’autonomia.
            Veramente decisiva e qualificante, invece, dal punto di vista della “politica legislativa” nell’opera di razionalizzazione/bonifica delle collaborazioni “spurie” è la previsione delle “Collaborazioni occasionali”.
            Sull’argomento, abbiamo già speso valutazioni e considerazioni in un precedente post che in questa sede non si farà che richiamare: http://costidellavoro.blogspot.it/2013/01/il-lavoro-per-chi-non-arriva-fine-mese.html. La disposizione, invero esoterica, nel connotare le "prestazioni occasionali" solo in funzione di due requisiti del tutto neutri rispetto alla contrattualistica (la Collaborazione, cioè, non deve durare più di 30 gg. nell'anno solare e non deve dar luogo a redditi superiori a €. 5.000 lordi nel "periodo annuale complessivo", quindi, conteggiati tutti i Committenti), inaugura una tecnica definitoria che sarà propria anche del “lavoro accessorio” ex. art. 70 ss D.lgs. 276/2003, tesa cioè a definire un “rapporto di lavoro” per elementi del tutto estrinseci ai connotati tradizionali della fattispecie contrattuale, pensiamo al lavoro subordinato ex. art. 2094 Codice Civile, e al lavoro autonomo ex. art. 2222 Codice Civile, quasi fosse un “contenitore” onnicomprensivo di tutte le fattispecie di lavoro saltuario e marginale, utile per intercettare e regolare queste dinamiche (piccole ma rilevanti) del mercato del lavoro.
            Grazie a questa previsione, unitamente al “lavoro a chiamata”, “accessorio” etc. il legislatore concorre a creare quelle “alternative contrattuali flessibili” alla cococo che, nel vigore della legge Treu, erano mancate, per indirizzare un disegno di “bonifica” della cococo (che, tramite la “modulazione a progetto” viene ricondotta dagli artt. 61 ss. a lavori di “Terziario avanzato” e di Consulenza. In questo senso, la razionalizzazione e la restrizione della cococo può avvenire, ma senza frustrare la legittima domanda di lavoro flessibile delle Imprese e dei Lavoratori, che, in questo modo, viene incanalata in contrattualistiche ritenute più acconce e anche più tutelate.
            Nel disegno della legge Biagi, peraltro, in parte qua, non si ravvisa solo la volontà di riversare nell’alveo del lavoro subordinato (per quanto flessibile) la domanda di lavoro, ma di indirizzare verso i tradizionali canali del lavoro autonomo e dei relativi contratti d’opera civilistici prestazioni che vengono ritenute anch’esse abusivamente ricondotte alle cococo (vedi Circolare Min. lav. 01/2004). E’ questo il caso delle “prestazioni intellettuali di soggetti iscritti ad ordini”: qui, la ratio legislativa è di ordine esclusivamente fiscale, e ovvia alla tendenza di molti Professionisti ordinistici, come gli Avvocati, che, in passato (ma in fondo fino alla recente riforma forense) avevano tentato di utilizzare la cococo per “coprire” volume d’affari rilevante ai fini IVA, ma soprattutto alla rispettiva Cassa Professionale[7]. In parte qua, quindi, la norma ha solo un limitato impatto ai fini giuslavoristici, in quanto qualificazioni giuslavorsitiche e fiscali tendono a “fondersi” confusamente e indistintamente (tecnica giustamente deplorata dalla Fondazione Studi CDL in tempi recenti in occasione della riforma sulle cd “finte Partite IVA”).
            Legata, invece, ad un pregresso assetto di legislazione previdenziale caratterizzato, in alcuni settori, dalla tendenziale incompatibilità lavoro subordinato/autonomo- status di pensionato è la parte del comma 03 che “esonera” dal “progetto” le prestazioni dei “pensionati di vecchiaia”. Una disposizione molto strana e invero incoerente con la ratio legislativa tipicamente anti-abuso della “modulazione” a progetto della collaborazione autonoma: come non pensare anzi che collaborazioni siffatte fossero per eccellenza elusive proprio per lo stretto vincolo derivante dal divieto del lavoro subordinato e dalla decurtazione della pensione? A rigore di termini, sarebbe parso che questa fattispecie avrebbe dovuto essere particolarmente interessata dalla “modulazione a progetto”, non esclusa, per favorire controlli ed emersione di base imponibile! L’esclusione dal “progetto”, in parte qua, invece, pur non precludendo a priori i controlli ispettivi, concorreva a salvare queste collaborazioni dai rigori di “conversione in lavoro subordinato” di cui all’art. 69 D.lgs. 276/2003, con ciò evidenziando una generosa “zona grigia” (né lavoro dipendente, né autonomo) a “favore” dei Pensionati (per i quali era pacifica l’iscrizione alla Gestione Separata INPS), cui veniva di fatto “concessa” la prosecuzione del rapporto sotto forma di “collaborazione”, senza gli obblighi di interruzione previsti da molti ordinamenti pensionistici[8]. Una disposizione che ha cessato la sua pur residuale attualità con l’eliminazione totale del “cumulo” lavoro/pensione operata dalla l. 133/2008, e che oggi, per altro, pone alcuni rilevanti problemi di coordinamento e di adattamento al nuovo assetto della legge 92/2012, specie con riferimento alle disposizioni sulle cd “finte Partite IVA” che, come noto, sono innestate nelle norme sulla modulazione “a progetto” specie come novella all’art. 69-bis D.lgs. 276/2003 (per riflessioni e considerazioni in questo senso vedi il mio link: http://costidellavoro.blogspot.it/2012/09/finte-partite-iva-niente-presunzione.html).
            Conclusa l’esposizione di questa alluvionale e “residuale” casistica, sarà compito della prossima entrare nello specifico della cd “Modulazione a progetto” che è il clou della riforma delle cococo dal 2003 in avanti.

Fine 1a parte-Continua

Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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[1] Per un’esauriente trattazione completa di riferimenti bibliografici e di giurisprudenza si rinvia a http://www.opinioiuris.it/Dott_Civ_Lav_0004.htm e a GHERA, Diritto del Lavoro, Cacucci Editore, 1997.
[2] Per una breve storia dell’evoluzione legislativa vedi il mio link: http://costidellavoro.blogspot.it/2012/09/il-foro-delle-partite-iva-finte.html
[3]A decorrere dal 1° gennaio 1996, sono tenuti all'iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l'INPS, e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell'articolo 49 del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui all'articolo 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426. Sono esclusi dall'obbligo i soggetti assegnatari di borse di studio, limitatamente alla relativa attività”.
[4] Art. 59.16°comma  l. 449/1997: “Per i soggetti che non risultano iscritti ad altre forme obbligatorie, con effetto dal 1° gennaio 1998 il contributo alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è elevato di 1,5 punti percentuali. Lo stesso è ulteriormente elevato con effetto dalla stessa data in ragione di un punto percentuale ogni biennio fino al raggiungimento dell'aliquota di 19 punti percentuali. La relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche è maggiorata rispetto a quella di finanziamento di due punti percentuali nei limiti di una complessiva aliquota di computo di 20 punti percentuali. È dovuta una ulteriore aliquota contributiva pari a 0,5 punti percentuali per il finanziamento dell'onere derivante dall'estensione agli stessi della tutela relativa alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera (12). A tal fine, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, è disciplinata tale estensione nei limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico gettito contributivo (13). Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro della sanità, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, si provvede alla disciplina della tutela per malattia in caso di degenza ospedaliera nei limiti delle risorse derivanti dallo specifico gettito contributivo e in relazione al reddito individuale”. Art. 80.comma 12 l. 388/2000: “La disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si interpreta nel senso che l'estensione ivi prevista della tutela relativa alla maternità e agli assegni al nucleo familiare avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente”. La disciplina contenuta in questo comma ha ricevuto attuazione con il Dm 04/04/2000.
[5] La specifica sulle cococo è stata introdotta dall’art. 34 l. 21 novembre 2000 nr. 323 e successivamente modificata (specie nella numerazione dell’articolo da “49” a “50” dal D.lgs. 12 dicembre 2003 nr. 344.
[6] Per un compendio di giurisprudenza (precedente alla l. 92/2012 e talora al D.lgs. 276/2003) relativo alle cococo si rinvia all’efficace sintesi contenuta in http://assaniv.blogspot.it/2013/01/cocopro_3.html
[7] In questi termini, la norma è stata fatta oggetto di un’interpretazione autentica dall’art. 01.27°comma l. 92/2012: La disposizione concernente le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in albi professionali, di cui al primo periodo del comma 3 dell'articolo 61 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l'esclusione dal campo di applicazione del capo I del titolo VII del medesimo decreto riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l'iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l'esclusione dal campo di applicazione del suddetto capo I del titolo VII”.
[8] Indicazione però già esclusa a monte nel settore Pubblico che, alla l. 724/1994, aveva recisamente vietato la riassunzione di personale in pensione anche sotto forma di incarichi di consulenze di qualsiasi tipo.


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