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giovedì 31 luglio 2014

LAVORO A CHIAMATA: LA CONTROVERSIA GIUDIZIARIA SUI LIMITI DI ETA'

Come noto, con la riforma introdotta al "lavoro a chiamata" ex. artt. 33 ss D.lgs. 276/03, sono stati confermati e sostanzialmente rimodulati le condizioni, per cui è possibile un'assunzione "a chiamata" in considerazione dei requisiti anagrafici (fino a 25 anni di età e oltre i 55).
Questa normativa ha dato luogo ad una singolare vicenda giudiziaria che ha, a sua volta, dato luogo ad ...
(...)
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IL LAVORO NOTTURNO ... A CHIAMATA

Anche i "lavoratori a chiamata" sono classificabili come "lavoratori notturni" e soggetti ai relativi controlli e vincoli (es. genitori di neonati, disabili etc.).
Con Nota nr. 37/0013330 del 22/07/2014, il Ministero del Lavoro ha dichiarato applicabili, nei confronti dei "lavoratori a chiamata" ex. artt. 33 ss D.lgs. 276/03, le disposizioni sul lavoro notturno disposte dall'art. 01.01°comma punto 02) D.lgs. 66/2003.
In questo senso, gli obblighi di tutela in caso di prestazioni di lavoro notturno (art. 14 D.lgs. 66/2003) nei confronti dei lavoratori intermittenti, dovranno essere assolti -precisa il Ministero- nelle ipotesi in cui i Lavoratori interessati siano impiegati per un minimo di 80 giorni l'anno; pertanto, anche i controlli preventivi dovranno essere effettuati prima dell'effettuazione della ottantesima giornata di prestazione notturna.
A disposizione per aggiornamenti
 
A cura di
Studio Francesco Landi

mercoledì 30 luglio 2014

QUANDO IL "VOUCHER" PUO' ESSERE TRASFORMATO/DISCONOSCIUTO IN LAVORO DIPENDENTE ...

Quesito:
Sono un Consulente del Lavoro e mi sovviene un dubbio.
L'Ispettore, davanti ad un voucher formalmente regolare, è tenuto ad astenersi dall'Ispezione? Anche quando il Lavoratore contesta l'impiego come lavoratore subordinato (es. sottoposizione ad azione disciplinare)? Grazie.
 
Risposta:
Un pregevole articolo del sito DPL Modena (Dr. PELA, Criticità del lavoro accessorio) affronta un tema di sicura rilevanza per le Aziende Clienti: può essere disconosciuto il rapporto di lavoro accessorio/voucher dal Lavoratore medesimo, anche se formalmente il rapporto è stato attivato con tutti i crismi di legge? Anche se il rapporto rispetta i limiti economici di legge e non si verifica alcuna condizione di trasformazione automatica (ope legis) in lavoro subordinato a tempo indeterminato?
Senza volere e potere in questa sede riepilogare i punti dell'articolo, occorrerà chiarire quanto segue.
Come noto, la Circolare Min. Lav. 04/2013 prevede alcuni casi di trasformazione automatica del rapporto di lavoro accessorio in lavoro subordinato a tempo indeterminato (come nei casi di superamento dei limiti reddituali), limitando chiaramente l'accertamento ispettivo del lavoro subordinato.
Tali limitazioni, evidentemente, non riguardano il Lavoratore che, ex. art. 24 Cost. (Corte Cost. 115/94), mantiene pieno il diritto di prova del lavoro subordinato, così in sede ispettiva, così in sede giurisdizionale (es. caso di parte di compensi prestati "in nero").
Evidentemente, il voucher non determina un'esenzione ispettiva tout court in capo all'Azienda/Committente; semplicemente, a favore del Committente, si determina una non sfavorevole "inversione dell'onere della prova".
 

CONTRATTO A TERMINE E PATTO DI PROVA

E' senza dubbio possibile apporre al contratto a termine il patto di prova ex. art. 2096 Codice Civile.
A questo fine, è indispensabile che il patto di prova risulti in forma scritta ed espressa nel contratto di lavoro subordinato a termine, con preventiva (o almeno contestuale) sottoscrizione del Dipendente rispetto all'inizio del rapporto.
La compatibilità del patto di prova con il rapporto a termine è stata confermata da...
(...)
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giovedì 24 luglio 2014

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE PUBBLICO DIPENDENTE E DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Quesito:
Un dipendente di un ente pubblico (A) scrive una lettera al dirigente criticando l'operato del dipendente B e mettendo in discussione la sua professionalità.
Il dipendente B ha diritto di avere una copia della lettera che lo riguarda?
Se l'amministrazione dovesse non volerla consegnare sostenendo che il controinteressato A si è opposto, cosa può adurre B?
Grazie!
 (da http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=19912.0)

Risposta:
In sede di procedimento disciplinare, anche per il Pubblico Impiego, si applica la garanzia massima di assistenza sindacale nel contraddittorio, secondo il comma 03 dell’art. 07 della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) che precisa:

“Il Lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato”.

E’ importante notare la larghezza e onnicomprensività della norma che non riferisce l’assistenza sindacale a questa o quella fase della procedura disciplinare, ma a tutta la procedura, specie quando è in gioco il “diritto al contraddittorio” del Dipendente (art. 07.02°comma). 
Ogni norma interna, anche di Codice Disciplinare, che contraddicesse questo assunto, sarebbe evidentemente nulla.
Tale norma è recepita nel corpus del Testo Unico del Pubblico Impiego dall'art. 02 D.lgs. 165/2001 che dispone l'integrale recepimento delle disposizioni relative all'impiego privato.

mercoledì 23 luglio 2014

MUSEI E BENI CULTURALI ASSUMONO GIOVANI

Il DL 31 maggio 2014 nr. 83 (in attesa di conversione in legge) ha introdotto alcune specifiche agevolazioni per l'assunzione di giovani under 29 anni da parte degli Istituti e dei luoghi di cultura di appartenenza pubblica.
L'art. 08 del DL, infatti, prevede l'istituzione di elenchi nominativi di giovani di età non superiore a 29 anni, laureati in storia dell'arte o altre discipline inerenti i beni culturali di riferimento, o alle attività culturali svolte, mediante "contratti flessibili" per far fronte a esigenze temporanee di rafforzamento dei servizi di accoglienza e di assistenza al pubblico, al fine del miglioramento del servizio pubblico di valorizzazione del bene culturale in gestione.
Quali ricadute pratiche? Quali contrattualistiche l'Ente potrà mettere in atto?
La norma pare ammette indiscriminatamente qualunque "contratto flessibile", senza distinguere se di natura subordinata o autonoma.
Di fatto, la norma pare porsi in funzione "speciale" rispetto all'art. 07 (cococo e incarichi "libero professionali") e 36 D.lgs. 165/2001 (che regola i "contratti flessibili" nel Pubblico Impiego), svolgendo verso essi una funzione "flessibilizzante/autorizzatoria", ove ricorrano le esigenze organizzative e gestionali di cui alla norma citata.
La norma, comunque, è evidentissimamente imperfetta e incompleta, perchè incide sulle "causali gestionali" della nuova e più ampia contrattazione di lavoro nei Beni Culturali, ma non delinea l'impatto sulle procedure (es. servono i concorsi o procedure comparative, resi obbligatori ex. artt. 7-36 D.lgs. 165/2011), nè fissa chiaramente la "copertura finanziaria" di queste deroghe al blocco del turn over nella PA (le "assunzioni flessibili" possono finanziarsi con l'incasso derivante dal prevedibile- sic!-incremento delle visite?).
Questo stato di cose non può che avere un impatto sulla programmazione delle risorse (lasciando spazi di discrezionalità ai Dirigenti), e sulla certezza della contrattualistica.
Ma attendiamo disposizioni applicative in merito, specie della Funzione Pubblica.

martedì 22 luglio 2014

RIFIUTO PROROGA TEMPO DETERMINATO E DIRITTO ALL'ASPI

Quesito:
Buongiorno,
ho un dubbio se qualcuno gentilmente può aiutarmi: se un dipendente a tempo determinato al termine del contratto rifiuta di accettare la proroga del contratto proposta dal datore di lavoro, ha diritto all'ASPI?
Mi verrebbe da dire di si in quanto la proroga presuppone un nuovo accordo tra le parti ed al centro per l'impiego sono a conoscenza solamente che il contratto è terminato....quindi "perdita di lavoro involontaria" ( anche se in questo caso non sarebbe proprio cosi...) ma non vorrei mi sfuggisse qualche comunicazione che si può/deve fare al centro per l'impiego in caso il dipendente rifiuti la proroga...
Rringrazio in anticipo …

Risposta:
In punto di diritto, si deve dire che  l'ASPI edizione Monti-Fornero è subordinata al requisito della "disoccupazione involontaria". Il mancato accordo circa la proroga di rapporto a termine pare essere riconducibile (vedere Circ. INPS 142/2012). Salvo, però, che non ci sia una "giusta causa". La Circolare, infatti, dice:

"... Continuano a dare diritto alla prestazione le dimissioni qualora avvengano:

durante il periodo tutelato di maternità (da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del figlio);
per giusta causa secondo quanto indicato, a titolo esemplificativo, dalla circolare n. 163 del 20 ottobre 2003 qualora motivate:

dal mancato pagamento della retribuzione;
dall'aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
dal c.d. mobbing;
dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda;
dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 codice civile;
dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente".
In punto di fatto, occorre verificare se il rifiuto risulta documentato o no: è evidente, però, che qui si pone un problema di prova.
Se il rifiuto non risulta documentato, la parola del Lavoratore è contro ... l'INPS! Il Lavoratore potrà opporre la scadenza del termine e chiedere l'ASPI. Se, invece, risulta che ha espressamente rifiutato e detto rifiuto è documentabile, allora l'INPS (salvi i casi di "giusta causa") può opporsi al rilascio dell'ASPI.


 

IL TEMPO-TUTA: COME REGOLARSI IN PRATICA


Il tempo di "vestizione" del Lavoratore può essere o meno conteggiato nell'orario di lavoro (e, quindi, retribuito, e oggetto dell'obbligo assicurativo INAIL), se dalla modalità in cui la vestizione si svolge si possa arguire che essa si svolge o meno in regime di "controllo pieno" (eterodirezione) da parte del Datore di Lavoro.
Quanto all'inquadramento giuridico della fattispecie e alle elaborazioni giurisprudenziali, si rinvia al post di questo Blog:  http://costidellavoro.blogspot.it/2014/06/il-tempo-tuta-orario-di-lavoro-o-fuori.html
Qui di seguito, rifacendoci ad un pregevole articolo della dr.ssa RUSSO (DTL Modena), siamo a dar conto di alcuni "indici" dai quali, in sede ispettiva (specie INAIL), si può arguire la riconduzione del "tempo tuta/vestizione" all'orario di lavoro:
 
a) Il Lavoratore timbra il badge prima di recarsi ad indossare la tuta (questo è l'indice evidentemente più ... macroscopico!);
b) Il Lavoratore si reca presso a vestirsi presso spogliatoi appositamente attrezzati, ma con le specifiche definite a suo tempo dal Ministero del Lavoro con Interpello nr. 13/2010.
 
In quest'ultimo senso, per far rientrare il "tempo tuta" nell'orario di lavoro (e, quindi, nella base di calcolo dlel'imponibile INAIL) non basta che il Datore abbia predisposto materialmente gli spogliatoi (es. quelli mobili, come in edilizia), ma occorre che la "vestizione" negli "spogliatoi" sia obbligata in forza di specifiche consegne obbligatorie derivanti o dal Datore di Lavoro (in vista dell'organizzazione del lavoro) o dalla legge (es. Sicurezza sul Lavoro). In quest'ultimo caso, potrebbero rientrare i vecchi obblighi di pulizia del personale dei laboratori da zuccherificio e simili (per eliminazione scorie etc.), questi sicuramente obbligatori e rientranti nell'orario di lavoro (es. un incidente in doccia, in questo senso, determina le conseguenti connessioni assicurative INAIL ...).
Può essere diverso il caso dell'Edilizia, quando, pur in presenza di spogliatoi mobili, non sussista alcun vincolo, nè datoriale, nè normativo, a che la preparazione del Lavoratore avvenga in un determinato luogo (spogliatoio) rispetto ad un altro.
 

AGRICOLTURA: I NUOVI INCENTIVI ALL'ASSUNZIONE DI GIOVANI LAVORATORI AGRICOLI

*LE NOTE QUI RIFERITE PRESUPPONGONO IL DECRETO-LEGGE VIGENTE. IL TESTO E' SUSCETTIBILE DI ASSESTAMENTI IN SEDE DI CONVERSIONE IN LEGGE E NE DAREMO CONTO.

Per le assunzioni (a tempo determinato o indeterminato) di lavoratori dipendenti agricoli di età compresa tra i 18 e i 35 anni, il DL 91/2014 (5 cc 1-12°commi) ha introdotto una specifica ipotesi di assunzione agevolata per gli Imprenditori Agricoli (dotati dei requisiti ex. art. 2135 Codice Civile).
Qui di seguto, i presupposti oggettivi e soggettivi dell'agevolazione.
 Le assunzioni a tempo determinato, effettuate tra il 01/07/2014 e il 30/06/2015, devono:
a) Avere durata almeno triennale;
b) Garantire al Lavoratore un periodo di occupazione minima di 102 giornate all'anno;
c) Essere redatte in forma scritta.
Quanto a presupposti soggettivi, le assuzioni devono riguardare:
a) Giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni;
b) Giovani di impiego regolarmente retribuito da almeno 06 mesi;
c) Giovani privi di diploma di istruzione secondaria di secondo grado.
Le assunzioni, nel citato periodo, devono comportare un incremento occupazionale netto calcolato sulla base della differenza tra il numero di giornate lavorate nei singoli anni successivi all'assunzione, e il numero di giornate lavorate nell'anno precedente l'assunzione.
L'incremento della base occupazionale deve essere considerato al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi in Società controllate, ai sensi dell'art. 2359 Codice Civile, o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto.
I Lavoratori Dipendenti part time sono computati in base al rapporto tra le ore pattuite e l'orario normale di lavoro dei lavoratori a tempo pieno.
Quantum dell'incentivo:
L'incentivo è pari ad 1/3 della retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali, per un periodo complessivo di 18 mesi, riconosciuto al Datore di Lavoro, unicamente mediante compensazione dei contributi dovuti e con le seguenti modalità:
a) Assunzioni a tempo determinato:
    - 06 mensilità, a decorrere dal completamento del 01° anno di assunzione;
    - 06 mensilità, a decorrere dal completamento del 02° anno di assunzione;
    - 06 mensilità, a decorrere dal completamento del 03° anno di assunzione.
b) Assunzioni a tempo indeterminato:
    - 18 mensilità, a decorrere dal completamento del 01° anno di assunzione.

lunedì 21 luglio 2014

LA PARTICOLARE "RESISTENZA PASSIVA" DELLE COCOPRO DEI PENSIONATI DI VECCHIAIA ...

Quesito:
Una Ex-Dipendente pensionata di 66 anni è stata assunta cinque anni "a progetto". L'Ispettorato del Lavoro contesta la collaborazione sulla base della mancanza di specificità del progetto, coincidente con l'oggetto sociale e pretende l'applicazione delle norme di lavoro dipendente. Come possiamo difenderci?
 
Risposta:
L'art. 61 D.lgs. 276/03, come riformato dalla legge 92/2012, ha implementato la disciplina del rapporto di collaborazione "a progetto", ancorando il "progetto" a specifici canoni di "obbligazione di risultato", di "specificità", confermando l'esigenza che il "progetto" non coincida con l'oggetto sociale.
Per i "progetti" difformi da questi parametri, si applica l'art. 69 D.lgs. 276/2003 con conversione immediata del rapporto "a progetto" in lavoro subordinato.
Va anche detto, però, che se la pensionata è di vecchiaia, l'Azienda in questo caso può opporsi alla conversione, invocando l'esclusione della "pensionata" dai vincoli del "lavoro a progetto" ex. art. 61 D.lgs. 276/03. In questo caso, non applicandosi l'art. 61, non si applicherebbe nemmeno il meccanismo "sanzionatorio" ex. art. 69 e si avrebbe una legittima collaborazione coordinata e continuativa, senza progetto (come tale rilevante per i riflessi fiscali e previdenziali).
Con il pensionato di vecchiaia, quindi, la cococo (anche se non legittima, quanto a "progetto") diviene particolarmente "resistente" ... Salvi i casi, naturalmente, che l'Ispettorato provi che il rapporto si sia sviluppato con tutti i crismi del lavoro subordinato (eterodirezione dell'Azienda, subordinazione al potere disciplinare etc.).
 
 

L'AZIENDA PUO' CHIEDERE (E IMPORRE) DI NON ESSERE MENZIONATA NEL PROFILO LINKEDIN DEL DIPENDENTE?

Quesito:
Viene ordinato ad un Dipendente di cancellare dal suo Profilo Linkedin ogni riferimento all'Azienda in cui attualmente lavora, invocando una policy interna che a questo cospira, in nome di "principi di riservatezza". E' legittimo questo richiamo aziendale?

Risposta:
Da quanto postato, ci viene da dire quanto segue.
La "riservatezza" può discendere da due norme fondamentali: l'art. 2105 Codice Civile (dovere di fedeltà), l'art. 2125 Codice Civile (patto di non concorrenza).
Ex. art. 2105 Codice Civile, il dovere di "riservatezza" riguarda i procedimenti, le metodiche di lavoro etc. sviluppate. Queste eventualmente, se citate sul web, possono essere oggetto di "riservatezza" (come "consegna" discendente direttamente dalle obbligazioni di lavoro subordinato). Non la menzione sul link dell'Azienda, chè questo fa parte del diritto del lavoratore di referenziarsi sul mercato del lavoro.
IN QUESTO SENSO, ANCHE L'INGIUNZIONE DELL'AZIENDA ALLA "NON MENZIONE SU WEB" DEVE CONSIDERARSI ILLEGITTIMA, PERCHE' LESIVA DEL DIRITTO AL LAVORO.
Per comprimere questa ulteriore facoltà del Dipendente, occorra uno specifico "patto di non concorrenza" ex. art. 2125 Codice Civile, o comunque una specifica clausola contrattuale, debitamente indennizzata.



LA COCOPRO ILLEGITTIMA (E SCADUTA) SI TRASFORMA IN RAPPORTO A TERMINE LEGITTIMO (E SCADUTO)

Quesito:
A seguito della cessazione di un rapporto di collaborazione a progetto, l'ex-Collaboratore ha chiesto in sede ispettiva la trasformazione del rapporto in lavoro subordinato.
Ha, altresì, contestato la comunicazione con la quale l'Azienda gli comunicava la cessazione del rapporto per scadenza del termine, assumendo l'invalidità del licenziamento e la prosecuzione di fatto del rapporto con le retribuzioni dovute.
Ma il rapporto era scaduto ...
Come ci si può difendere in queste condizioni?
 
Risposta:
La trasformazione della collaborazione "nulla" in valido rapporto di lavoro subordinato (in forza dei principi civilistici di "conversione" del contratto nullo ex. art. 1424 Codice Civile), determina l'immediata applicazione in capo al rapporto che già fu cocopro di ogni disposizione inerente il regolamento contrattuale del rapporto di lavoro subordinato, compresa la disciplina limitativa dei licenziamenti.
In forza di detto principio, il licenziamento deve considerarsi "invalido", se non sorretto da "giusta causa" o da "giustificato motivo" (art. 01 l. 604/66).
Per "giustificato motivo" si intendono quel complesso di "ragioni  inerenti l'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa".
L'apposizione di un termine alla collaborazione, però, rivolta in capo al Collaboratore l'onere della prova dell'illegittimità del licenziamento: la fissazione di un termine, infatti, anche attualmente che vige la regola della "acausalità" di cui al DL 34/2014, individuando una "fascia temporale" in cui il Lavoratore è a disposizione di un'Azienda o altro Datore/Committente, ingloba una specifica "programmazione negoziale" in sè stessa lecita e vincolante (comunque si assume l'apposizione del termine, sia in senso "di preventiva causale organizzativa di avvio/chiusura del rapporto" ex D.lgs. 368 ante DL 34, ovvero in senso "acausale" post DL 34/2014).
Per contestare detta clausola, il Collaboratore/Dipendente dovrà dimostrare concretamente che è stata estorta; ovvero che la scadenza del rapporto di collaborazione è avvenuta contraddicendo la programmazione temporale del rapporto contrattualmente programmata.
Solo in questo caso, potrà fruire dell'indennità spettante ai lavoratori a termine "trasformati" di diritto: l'indennità risarcitoria tra 2.5 e 12 mensilità.
 

sabato 19 luglio 2014

FISIOTERAPISTI FUORI DALLA DISCIPLINA RESTRITTIVA SULLE FINTE PARTITE IVA


Il Ministero del Lavoro, con Interpello nr. 16/2014, ha precisato che, nel sistema di "presunzioni" codificato dalla legge 92/2012 (Monti-Fornero) per le cd "finte Partite IVA", il Fisioterapista gode della "presunzione" più favorevole per il lavoratore autonomo, quella, cioè, codificata dal comma 03 dell'art. 69bis D.lgs. 276/03 (introdotto dalla legge cit.) per le "Professioni ordinistiche".Il Ministero del Lavoro, infatti, ha riconosciuto che il "fisioterapista" in Partita IVA ...
(...)
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giovedì 17 luglio 2014

LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO PREVIDENZIALE DEL COCOPRO IN TRANSAZIONE PRECLUDE ALL'INPS L'ISPEZIONE CONTRIBUTIVA?

Quesito:
Un collaboratore "a progetto" ha impugnato il contratto e richiesto le spettanze retributive. Per quanto riguarda le spettanze contributive, l'Azienda intende pervenire ad uno "stralcio": riconoscimento parziale del danno previdenziale, con rinuncia dell'ìex cocopro ad esigere la differenza (rinuncia ovviamente formalizzata in sede di DTL). Questa "rinuncia" in materia contributiva può precludere ulteriori eventuali accessi ispettivi INPS?
 
Risposta:
Occorre distinguere il "danno previdenziale" (che è materia di ambito civilistico, rilevante ex. art. 2043 Codice Civile e "negoziabile" come ogni spettanza rilevante a questo titolo) e l'inadempimento da obbligazioni contributive INPS, discendenti ex lege, in forza di un rapporto contributivo, indisponibili e, quindi, non passibili di "rinunce/transazioni" in sede privata.
Virtualmente, quindi, la "rinuncia" del Lavoratore non vale a "tombare" il problema dell'effettiva base imponibile INPS, e, quindi, a precludere, in capo all'INPS eventuali accertamenti.
Certo, la "rinuncia" sortisce il rilevante effetto di accorciare la prescrizione entro la quale l'INPS può fare valere la propria pretesa contributiva.
La "rinuncia" del Lavoratore, nell'atto in esame, può lecitamente interpretarsi, infatti, come rinuncia del Dipendente a "denunciare" il Datore di Lavoro: tale atto, come noto, se compiuto nel quinquennio di prescrizione della contribuzione INPS vale ad allungare fino a 10 anni complessivi massimi la prescrizione. Rinunciando alla denuncia, invece, resta fissa la prescrizione a 05 anni; ma è evidente che in tali 05 anni, l'INPS potrà agire, per chiedere il differenziale di contributi, sanzioni civili e interessi, senza che sia opponibile all'INPS l'eventuale (anche se parziale) riconoscimento della contribuzione mancata al Lavoratore (vedi art.2116 Codice Civile).
 

LA COCOPRO TRASFORMATA: COME IMPUTARE 13MA, 14MA ED ALTRE ...

Quesito:
Ad un'Azienda viene disposta, in sede ispettiva, la trasformazione della collaborazione "a progetto" in rapporto di lavoro subordinato. L'Ex-Collaboratore ora intende agire per ottenere le spettanze retributive.
Ora, si da il caso che il compenso lordo del cocopro sia sensibilmente superiore al minimo di CCNL che sarebbe spettato al lavoratore dipendente. Spettano comunque al collaboratore per intero 13ma, 14ma, scatti di anzianità etc. o no? E comunque, questo conteggio, si deve effettuare sul lordo o sul netto?
 
Risposta:
E' opinione corrente che il maggior compenso percepito dal collaboratore assorba qualsiasi trattamento indiretto ed ulteriore rispetto ai minimi retributivi di CCNL: stiamo parlando di 13ma, 14ma, scatti di anzianità, indennità per ferie non godute, permessi non goduti etc., salvo il TFR, che è regolato da criteri di maturazione e spettanza diversi da quelli correnti in busta paga.
A questa conclusione, si giunge in forza dei principi civilistici discendenti, da un lato, dall'art. 1424 del Codice Civile (sulla conversione del contratto nullo: in questo caso, la cocopro), in forza del quale la cocopro è da ritenersi automaticamente "novata" in rapporto di lavoro subordinato, con diretta applicazione delle disposizioni contrattuali inerenti la corrente gestione del rapporto; dall'altro, dell'art. 2099 del Codice Civile, che codifica la spettanza in capo al lavoratore dipendente della "retribuzione".
Per quanto riguarda la questione se l'imputazione delle voci di retribuzione indiretta debba effettuarsi al netto o al lordo, è opportuno rifarsi a elementari canoni di interpretazione del contratto "secondo buona fede" che, in mancanza di accordi "nettizzanti" tra Datore e Dipendente, assumono le voci retributive al lordo; quindi, 13ma, etc., comunque spettanti, in quanto spettanze correnti, devono considerarsi conglobate nelle quote differenziale di compenso del cocopro.



mercoledì 16 luglio 2014

PERMESSI 104: L'ASSISTENZA AL DISABILE DEL PARENTE (O AFFINE) ENTRO IL TERZO GRADO

Con l'Interpello nr. 19/2014, il Ministero del Lavoro è tornato sull'interpretazione dell'art. 33 l. 104/1992, oggetto di alcune significative restrizioni ad opera della l. 183/2010 (Collegato Lavoro).
L'Interpello chiarisce un dubbio interpretativo emerso, verosimilmente in sede INPS, e concorre a meglio definire la portata della principale innovazione (oggettivamente "restrittiva") definita dalla l. 183/2010 alla l. 104.
Dopo la "novella" della l. 183/10, l'art. 33 prevede che ...
(...)
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LAVORO NOTTURNO, QUALI LIMITAZIONI

Riepiloghiamo le linee fondamentali della disciplina relativa alle limitazioni del lavoro notturno.
Ai sensi dell'art. 11.02°comma D.lgs. 66/2003, è in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle 24 alle 06, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.
Non sono, inoltre, obbligati, a prestare lavoro notturno (cioè in base alla definizione ex. art. 01 D.lgs. "lavoro svolto in un periodo di almeno sette ore consecutive, comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino"):
 
a) La Lavoratrice madre di un figlio di età inferiore ai 03 anni o, in alternativa, il Lavoratore padre convivente con la stessa;
b) La Lavoratrice o il Lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12;
c) La Lavoratrice o il Lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile, ai sensi della l. 104/92.
 
La violazione di tali precetti e l'adibizione al lavoro notturno, nonostante il dissenso espresso in forma scritta e comunicato al Datore di Lavoro entro 24 ore anteriori al previsto inizio della prestazione, integra reato di natura contravvenzionale punito con la pena alternativa dell'arresto da due a quattro mesi o dell'ammenda da € 516 a € 2582 (art. 18-bis.01°comma D.lgs. 66/2003).
Detta sanzione è ammessa al procedimento di definizione agevolata della "prescrizione obbligatoria" ex. art. 15 D.lgs. 124/2004: in questo senso, l'illecito è definibile con il pagamento di una somma pari ad 1/4 dell'importo massimo di ammenda, a condizione che il Datore abbia "riparato" l'illecito.
Con Interpello nr. 18/2014, il Ministero del Lavoro ha chiarito che tra le figure di "genitore unico affidatario" ammissibili ex. art. 11.02°comma D.lgs. 66/2003 all'esonero/limitazione del lavoro notturno, rientra anche il genitore vedovo convivente con figlio minore di età inferiore a 12 anni.
Per beneficiare dell'esonero, il genitore interessato dovrà far pervenire, in questo caso, richiesta scritta di esonero entro adeguato preavviso: la legge parla di 24 ore anteriori al previsto inizio della prestazione lavorativa, ma ciò è rilevante ai fini dell'applicazione o meno delle sanzioni penali/amministrative. Nulla vieta che il Datore, ai fini contrattuali e di organizzazione interna del lavoro, determini diversamente il regime del (dovuto) preavviso.
 
 
 

venerdì 11 luglio 2014

IL PERIODO DI PROVA DEI LAVORATORI SUBORDINATI

GENERALITA':
Il periodo di prova, all'assunzione del prestatore di lavoro subordinato, deve risultare da atto scritto, che deve essere contestuale o anteriore alla data di instaurazione del rapporto di lavoro (art. 2096 Codice Civile).
Se il patto di prova è stipulato successivamente, o con forma non scritta, si considera nullo e conseguentemente il rapporto di lavoro acquista immediatamente carattere definitivo (Cass. 19 aprile 2001 nr. 5591).
Il patto di prova non solo deve risultare da atto scritto, ma deve anche contenere ...
(...)
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SE IL LAVORATORE RIFIUTA LO STRAORDINARIO IN GIORNO FESTIVO: UN COMMENTO DALLO STUDIO LEGALE SILVA

Può il Lavoratore Dipendente rifiutare il Lavoro Straordinario in giorno festivo, adducendo, ad esempio, la volontà di stare con la sua famiglia, di avvalersi del diritto costituzionale al riposo settimanale?
Vediamo come affronta il tema lo Studio Silva (sito www.studiolegalesilva.it) con il commento che qui si riproduce (link: http://www.studiolegalesilva.it/blog/le-ore-di-straordinario-se-un-lavoratore-non-le-vuole-fare-cosa-succede).
Sarà ns. cura annotare successivamente queste considerazioni con un Ns commento.

STUDIO LEGALE SILVA:
"L'esecuzione delle ore di straordinario sono da sempre un tema molto sentito: da parte dei lavoratori perché possono incidere, anche significativamente, sulla propria parte economica e da parte datoriale perché possono essere determinanti sulla organizzazione e sulla produttività aziendale.
Ma trascurando, almeno per questa volta, le implicazioni economiche, come sono regolati i rispettivi diritti e doveri in merito?
Per questo, oltre alla legge (Codice Civile -articoli da 2107 a 2109-, la L. n°133 del 2008, la quale ha modificato il D.Lgs.n°66 del 2003 e L.n°183 del 2010 "Collegato lavoro") devono essere considerati attentamente i CCNL vigenti.
Nella totalità dei casi, infatti, i CCNL prevedono l'esecuzione del lavoro straordinario nei giorni festivi, disponendo, di caso in caso, limiti e confini.
Se, quindi, nel rispetto nelle norme e degli accordi, un'azienda decide che debbano essere fatte tot ore di lavoro straordinario, cosa possono fare i lavoratori? Possono dire di no? Debbono accettare la disposizione aziendale o debbono semplicemente eseguirla?
La risposta è che debbono semplicemente eseguirla. Infatti, in gergo, le ore di straordinario vengono "comandate" dal datore ai lavoratori.
Lo ha confermato anche la sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza 16248/12: Nei casi in cui il CCNL prevede il lavoro straordinario nei giorni festivi, il lavoratore che rifiuti di lavorare il sabato è licenziato legittimamente, se non prova l’esistenza di giustificato motivo.
Il caso. Un lavoratore, operaio addetto all’installazione di impianti, veniva licenziato per essersi rifiutato di lavorare il sabato, giorno di riposo. L’uomo impugnava il licenziamento chiedendone la declaratoria di illegittimità, negata sia in primo grado sia in sede di appello. Il lavoratore ricorre allora per cassazione.
Nel caso di specie la valutazione ad opera della Corte territoriale riguardo alla prova del fatto controverso, fornita oralmente, risulta inappuntabile e da confermare.
Altrettanto corretta è la decisione in ordine a quanto stabilito dal CCNL di categoria: esso prevede espressamente che i lavoratori che vi appartengono non possano rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario (notturno e festivo). Ne consegue che, poiché nel giudizio di merito non è stato provato il giustificato motivo, il licenziamento deve essere considerato come una sanzione proporzionata al grave atto di insubordinazione compiuto dal lavoratore, consistito nell’opporre rifiuto al turno di sabato.
Quindi, il rifiuto ingiustificato di eseguire ore di straordinario può portare sino al licenziamento, anche se, si spera, non si arrivi mai a tanto".

Ns. COMMENTO:
Che le ore di straordinario siano oggetto di un "comando datorile" è circostanza a noi già nota in forza della Circolare 08/2005 con la quale il Ministero del Lavoro aveva specificato:

"...A fronte della richiesta del datore, il lavoratore è tenuto alla prestazione del lavoro straordinario, salvo sussistano ragioni che consentano al lavoratore di rifiutarne l'esecuzione".
Ineccepibile, il principio giuridico che il rifiuto del lavoro straordinario vada giustificato.
Alcune precisazione sulle norme di riferimento per addivenire a tale giustificazione, particolarmente in sede di procedura disciplinare.
Lo Studio Silva ben rileva che occorre far riferimento ai contratti collettivi.
In ogni caso, non si possono nutrire dubbi di sorta che la pretesa datorile di lavoro straordinario va valutata sotto il profilo della legittimità, anche sotto il profilo del rispetto degli obblighi di "buona fede e correttezza" ex. art. 1375 Codice Civile (vedi ex multis, Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 marzo – 7 luglio 2014, n. 1543). In questo senso, come elemento "integrativo" di tale dovere generale non può non venire alla luce la regola enunciata per il lavoro straordinario ex. art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 66/2003, secondo la quale il lavoro straordinario deve essere "contenuto", ovvero comunque calato in un contesto organizzativo credibile: es. se in un certo periodo sia ragionevolmente prevedibile "punta di lavoro" per Dichiarazione dei Redditi per un CAF o Studio Commercialista. Questa prova, come puntualizzato dallo Studio Silva, è certamente facilitata dove è il CCNL a dettagliare tempistiche e causali organizzative del lavoro straordinario. In altri casi, la stessa norma ex. art. 03 D.lgs. 66/2003 può concorrere alla prova di "abuso del diritto" del Datore: prova non semplice non sotto il profilo tecnico, ma anche per i pesanti "costi" che può avere nella serenità dell'ambiente produttivo.
A margine ricordiamo che il "riposo domenicale" non è diritto oggetto di tutela costituzionale.
La Costituzione (art. 36.04°comma) tutela il "riposo settimanale", il riposo cioè colto nella sua "periodicità" infrasettimanale, che può anche non cadere di domenica, se lo esige la turnazione del lavoro di una determinata Azienda.