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lunedì 29 febbraio 2016

LAVORO A TERMINE E PRECEDENZA: DAL JOBS ACT SPECIFICI VINCOLI DELL'INQUADRAMENTO DEL DIPENDENTE?

Il Jobs Act, come noto, ha messo mano (tra molte polemiche e discussioni) alla riforma dell’inquadramento del personale dipendente ex. art. 2103 Codice Civile (vedi art. 3 D.lgs. 81/2015), ampliando le ipotesi di “demansionamento” del personale dipendente.
A tali principi di “liberalizzazione”, però, non pare ispirata la regolamentazione del caso in cui il Lavoratore a termine eserciti il diritto di precedenza.
L’art. 24.1°comma D.lgs. 81/2015, infatti, a questo proposito, dispone:

Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, il lavoratore che, nell'esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

Secondo l’interpretazione offerta da EUFRANIO MASSI (sia pure incidentalmente al link: http://www.generazionevincente.it/?p=9325), il riferimento alle “mansioni già svolte” non va inteso alla lettera, ma in armonia con le nuove regole scaturenti dall’art. 2103 Codice Civile riformato.
Ecco, il parere dell’Ex-Direttore della DPL Modena:

(…) il riferimento alle mansioni svolte è da intendersi alla luce della previsione contenuta nell’art. 3 che consente la utilizzazione del lavoratore in mansioni riferibili allo stesso livello di inquadramento contrattuale all’interno della categoria legale (operaio, impiegato ed intermedio).

La posizione del dr. MASSI ha, dalla sua parte, il buon senso, ma non si può trascurare che essa sia (almeno in apparenza) contraddetta in un altro punto del D.lgs. 81/15.
Non può non colpire, a questo riguardo, il netto contrasto tra l’ art. 24.1°comma D.lgs. 81/2015 e l’art. 8.6°comma D.lgs. 81/15, che disciplina un analogo “diritto di precedenza” per i lavoratori part time. In questo caso, il diritto di precedenza è disegnato con riguardo alla “trasformazione del rapporto da part time in full time”; in questo caso, per quanto concerne l’inquadramento, la norma di legge precisa:

Il lavoratore il cui rapporto sia trasformato da tempo pieno in tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.

Il contrasto, su questo aspetto, con l’art. 24.1°comma D.lgs. 81 non potrebbe essere più evidente: la norma sul part time recepisce il nuovo “sistema di inquadramento” disegnato dal Jobs Act, non così per il contratto a termine.
Refusi? Errori formali superabili in via di interpretazione?
Le differenze tra gli articoli di legge sembrano troppo nette per essere compatibili con l’ipotesi che vi siano refusi (almeno in modo pacifico!). E’ necessario, pertanto, attendere il parere del Ministero del Lavoro. Fino ad allora, stando così le cose, e come indicazione più prudente in attesa di prese di posizione ministeriali, è consigli attenersi alle indicazioni emergenti dalla Circolare Min. lav. 13/2008: a questo fine, pertanto, per “mansioni già espletate”, ai fini del riconoscimento del diritto di precedenza del lavoro a termine, devono intendersi “mansioni equivalenti”.
Restiamo a disposizione per aggiornamenti

venerdì 26 febbraio 2016

LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI, GLI EFFETTI CIVILISTICI, PRIME NOTE DI COMMENTO

Approvato il cd maxi-emendamento al Senato, la nuova regolamentazione sulle unioni civili è in dirittura d’arrivo: una volta approvata alla Camera, e se non verranno sollevate eccezioni di legittimità costituzionali dal Quirinale, entrerà in vigore.
Al link http://www.senato.it/ultresaula/allegati/File_1/MAXI_EM._1.10000.pdf troverete il testo del maxi-emendamento (fonte ANSA) che, non potendo (verosimilmente) essere ulteriormente emendato dalla Camera, incarnerà i tratti definitivi del provvedimento di legge (link Qui, alcuni brevi cenni delle disposizioni più rimarchevoli: -Per la definizione di unione civile, si rinvia al comma 1: si raccomanda attenzione per i casi di quei Clienti che avessero unioni simili costituite all’estero. In proposito, il provvedimento rimanda ad un Decreto Legislativo del Governo i correttivi e gli adeguamenti al diritto internazionale privato; evidentemente, solo dopo tali provvedimenti legislativi si potrà avere un’idea chiara delle modalità di riconoscimento o meno di “unioni” similari costituite all’estero;
-Le unioni civili sono solo uni-sessuali;
-In caso di morte, al convivente superstite sono riconosciute le stesse indennità di fine rapporto e sostitutive del preavviso già spettanti agli eredi secondo le disposizioni successorie speciali ex. artt. 2118-2120 Codice Civile (comma 17);
-Diritto di abitazione del convivente (commi 42-43): In caso di scioglimento della “convivenza” per morte di uno dei conviventi, il superstite ha “diritto di abitare” nella “casa familiare” (anche se legalmente intestata ad altri!) per un periodo di tempo previsto dalla legge (proporzionale alla convivenza), in attesa di altro alloggio. In caso di locazione, il comma 44 garantisce al Convivente superstite (in caso di morte o recesso dell’altro convivente) il diritto alla “successione automatica” nel contratto, secondo una procedura già riconosciuta dalla Corte Costituzionale con sentenza nr. 404/88;
-I rapporti patrimoniali tra Coniugi sono regolati da un nuovo contratto, denominato “contratto di convivenza” (comma 50); in assenza, ai conviventi si applicherà il regime della cd “comunione legale” (comma 13);
-Il regime della “impresa familiare” ex. art. 230 è esteso al Convivente da unione civile: non è chiaro, però, se la norma potrà spiegare riflessi sul piano fiscale, ossia sulla fiscalità della cd “impresa familiare”;
-In caso di morte di uno dei conviventi per Sinistro, il comma 49 estende i diritti assicurativi di responsabilità civile anche al Convivente more uxorio superstite (disposizione già introdotta in una legge approvata nel febbraio 1992, per risolvere un annoso contenzioso giudiziario tra Conviventi e Assicurazioni, ma poi non promulgata per l’opposizione dell’allora Presidente della Repubblica).
Ci riserviamo note successive per verificare i profili fiscali (es. detrazione dei coniugi a carico) e le ricadute relative alle cd “pensioni di reversibilità”.
A disposizione

mercoledì 24 febbraio 2016

INFORTUNIO INAIL IN ITINERE: L'USO DELLA BICICLETTA E' INCLUSO NELLA TUTELA-UNA NORMA A FORTE RISCHIO DI INCOSTITUZIONALITA'

Il Testo Unico sugli infortuni in itinere INAIL (DPR 1124/65) è stato modificato dall’art. 5.4°-5°commi l. 221/2015. Ad essere modificati sono gli artt. 2.3°comma e 210.5°comma DPR 1124/65.
Come noto, nell’istruttoria dell’infortunio in itinere, per aversi infortunio indennizzato INAIL, occorre provare che:

A) L’infortunio è avvenuto nel “normale percorso” Ufficio-Lavoro (Cass. 24/9/2010 nr. 20221; Cass. 17/6/2014 nr. 13733);
B) Il “normale percorso” non deve subire interruzioni e deviazioni, non “necessarie” (ossia dovuta a “causa di forza maggiore”, “esigenze essenziali e improrogabili”, “adempimento di obblighi penalmente rilevanti”: Cass. 22/1/2013 nr. 1458);
C) L’uso del “mezzo” proprio sia necessitato (per assenza di mezzi pubblici o se i mezzi non consentano la puntuale presenza al lavoro o siano eccessivamente disagevoli: Cass. 6/10/2004 nr. 19940; Cass. 7/3/2008 nr. 6210).

Ora, ad un primo esame, la legge parrebbe introdurre una presunzione legale di “uso necessitato” del velocipede; ricorrendo tale uso, cioè, il velocipede dovrebbe ritenersi “sempre” provato il punto C).
Da tempo, era avvertita a livello sociale e politico l’opportunità che l’INAIL rivedesse le proprie determinazioni sugli infortuni in itinere occorsi ai ciclisti (Circ. 7/11/2011 nr. prot. 60002.07/11/2011.0008476). Determinazioni ritenute troppo restrittive e penalizzanti per i ciclisti, i quali fino ad ora sono stati tutelati dall’INAIL solo per percorrenze in piste ciclabili e strade comunque protette.
In un paese ad alta emergenza ambientale, come l’Italia, si faceva notare l’incongruenza di una tutela infortunistica che veniva in soccorso per lo più all’automobilista, ad un soggetto che si avvaleva di un mezzo altamente inquinante, e non, a parità di infortunio, al ciclista, utilizzatore di un mezzo molto meno inquinante.
La legge 221/2015 cerca di ovviare a questa incongruenza; l’impressione, però, è che abbia determinato un assetto di regole altrettanto incongruente e passibile di eccezioni di illegittimità costituzionale.
La legge, infatti, dichiara l’uso del velocipede “sempre necessitato”, con ciò facilitando l’istruttoria dell’infortunio in itinere. Ma, complice l’avverbio “sempre”, la presunzione così configurata dal legislatore parrebbe “assoluta” e non vincibile da prova contraria. Questa è la fonte delle principali incongruenze e fragilità della norma.
Di questa norma, infatti, potrebbe essere contestata, in un eventuale giudizio incidentale di incostituzionalità quanto segue:
I) L’arbitraria compressione dei diritti di prova ex. art. 24 Cost. dell’INAIL;
II) L’irragionevolezza ex. art. 3 Cost. della presunzione assoluta. L’irragionevolezza pare motivabile in relazione alla circostanza che l’applicazione della presunzione assoluta non dipenderebbe da una ratio intrinseca all’ accertamento dell’evento infortunistico (da una ratio comunque riconducibile all’art. 2 DPR 1124/65), ma, al contrario, da un intento “promozionale” del legislatore (incentivare un uso dei mezzi “ad impatto zero”). Una ratio legis del tutto estranea all’art. 2 DPR 1124. In altre parole, se l’uso della bicicletta non è valutabile come “necessario” in forza dell’art. 2 DPR 1124/65, perchè il ciclista dovrebbe ottenere la tutela INAIL? Magari il percorso casa-lavoro è irrisorio e nulla vietava all’infortunato di recarsi al lavoro a piedi …
Così facendo, tra l’altro, si finisce per distorcere gravemente la tutela INAIL che da tutela anti-infortunistica finisce per operare un “premio”, un “incentivo” per chi usa mezzi di trasporto non inquinanti come la bici. Un modus operandi che appare del tutto estraneo e abnorme alla sua natura e finalità dell’assicurazione INAIL ex DPR 1124/65.
Tutte eccezioni, queste, che l’INAIL (soggetto cui incombe il principale onere di spesa per queste vicende) avrebbe tutto l’interesse a sollevare in giudizio e a far valere, e che ipotecano pesantemente il futuro di questa disposizione.
In ogni modo, questa disposizione, salvo sorprese dell’ultim’ora, è entrata in vigore il 2 febbraio prossimo.
A disposizione per aggiornamenti e approfondimenti

lunedì 22 febbraio 2016

DICHIARAZIONI FALSE O FRAUDOLENTE PER PRESTAZIONI DI MALATTIA O MATERNITA'

Con riguardo alla speciale ipotesi di illecito, citata in oggetto, il D.lgs. dispone la “depenalizzazione”.
Il vecchio art. 1.11°comma DL 663/79 disponeva:

Chiunque compia atti preordinati a procurare a sé o ad altri le prestazioni economiche per malattia e per maternità non spettanti, ovvero per periodi ed in misura superiore a quelli spettanti, è punito con la multa da lire 200.000 a lire 1.000.000 (3), salvo che il fatto costituisce reato più grave, relativamente a ciascun soggetto cui riferisce l'infrazione.

Questa previsione di reato (contravvenzione) era stata esclusa dalla prima tornata di “depenalizzazione” dall’art. 34.1°comma lett. m) l. 689/1981.
La “depenalizzazione” è stata disposta dal D.lgs. 8/2016.
A questo riguardo, l’art. 1.1°comma D.lgs. 8/2016 dispone:

Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda.

La “depenalizzazione” è, al riguardo, controbilanciata da un significativo incremento del carico sanzionatorio: ai sensi dell’art. 1.5°comma lett. a), infatti, dato che l’importo della vecchia multa inferiore a € 5.000, la sanzione amministrativa pecuniaria non può essere inferiore a € 5.000, né superiore a € 50.000.
Nel silenzio della legge, dovrebbero comunque essere applicabili le riduzioni sanzionatorie ex. art. 16 l. 689/81, salva, probabilmente, la diffida (l’illecito, infatti, non pare rientrare tra quelli cd. “diffidabili”, ma ci riserviamo approfondimenti).
Ricordiamo che, in presenza di eventuali procedimenti penali in corso, gli Uffici giudiziari devono trasmettere gli atti alle Autorità competenti all’emanazione delle sanzioni amministrative, l’ INPS, in questo caso (vedi art. 7 D.lgs. 8/2013).

NOTA: La “depenalizzazione”, in questo caso, non pare concepita per ridurre o cancellare il carico sanzionatorio, ma, al contrario, per incrementarlo, in chiave di maggiore deterrenza ed efficacia, lontano dalle pastoie e lungaggini della procedura penale.
Vale la pena ricordare che simili condotte possono essere contigue al reato di “truffa” ex. art. 640 Codice Penale, aggravata dalla circostanza che a essere danneggiata è la Pubblica Amministrazione.
Da questo punto di vista, il “doppio binario” sanzionatorio penale-amministrativo dovrebbe aumentare l’effettuo dissuasivo rispetto alla commissione di questi illeciti.
A disposizione per aggiornamenti e approfondimenti

giovedì 18 febbraio 2016

DIMISSIONI DELLA LAVORATRICE IN COSTANZA DI MATRIMONIO-FLASH

La nuova disciplina delle dimissioni ex. art. 26 D.lgs. 151/2015 incide sul caso di dimissioni della Lavoratrice presentate nel periodo che decorre dalla pubblicazione civile di matrimonio fino ad un anno dopo l’avvenuta celebrazione (art. 35.3°comma D.lgs. 198/2006)?
Stiamo parlando delle dimissioni presentate nel periodo in cui la legge interdice il licenziamento “per causa matrimonio”.
Alle dimissioni è dedicata una norma ad hoc, l’art. 35.4°comma D.lgs. 198/2006, che dispone:
Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.
Per questa ipotesi, già prima della l. 92/2012, era concepita una previsione di “convalida” avanti la DTL (diversamente, le dimissioni sono nulle). E’ questa una disposizione che non rientra tra le norme per le quali l’art. 26.8°comma D.lgs. 151/2015 abbia disposto l’abrogazione. Nell’economia della nuova disciplina delle dimissioni, questa norma è destinata ad integrarsi con le nuove regole: anche se, vista la centralità che, in questo sistema, riveste la “convalida avanti la DPL” (anche per le restrizioni specialissime dettate per queste particolarissime situazioni), non pare consentito al Dipendente ricorrere a procedure diverse (es. invio telematico spontaneo).
Inoltre, per la convalida è previsto un termine ad hoc, 1 mese, decorso il quale le dimissioni perdono efficacia: una disposizione, questa, molto opportuna, che conferisce non poca certezza; come noto, disposizioni similari non sono introdotte nel corpo delle nuove procedure sull’invio telematico delle dimissioni discendenti dal D.lgs. 151/2015.
Non dovrebbe spettare, in questo caso, l'indennità di disoccupazione NASPI. Certamente, non spetta in modo automatico come nel caso delle dimissioni del Lavoratore padre e della Lavoratrice madre (art.55 u.c dlgs 151/2001).
Stando alle indicazioni offerte dall'INPS, con Circolare 94/2015, la NASPI spetta al lavoratore dimissionario al ricorrere di una giusta causa di dimissioni  (mancato pagamento delle retribuzioni etc,), non basta la concomitanza con il periodo tutelato di matrimonio ex. Art. 35 dlgs 198/2006.
Questo, almeno, è lo stato dell'arte, stando agli atti ufficiali disponibili.
A disposizione per approfondimenti

mercoledì 17 febbraio 2016

LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE IRREPERIBILE-PRIME (PROVVISORIE) RIFLESSIONI

Il video che qui di seguito si linka http://www.consulentidellavoro.tv/ (prodotto dalla Fondazione Studi CDL) esemplifica in modo eloquente il disagio dei Consulenti del Lavoro per alcune gravi lacune della nuova procedura di “convalida telematica” delle dimissioni ex. art. 26 D.lgs. 151/2015 ed ex dm 15/12/15.
Dubbi e perplessità molto forti, in particolare, riguardano il caso dei dipendenti che rassegnino le dimissioni, ma che, al momento della convalida o della firma della delega per l’invio telematico delle dimissioni, si rendano irreperibili.
Tale disagio è vieppiù accentuato dalla circostanza che le nuove norme abrogano tutta una serie di previsioni che, nel disegno della l. 92/2012 (pur molto criticato), garantiva un minimo di certezza.
In questo senso, si fa davvero sentire nel nuovo corpo legislativo (e nel dm attuativo del 15/12/15, che nulla, al riguardo, dispone) la mancanza di disposizioni come il vecchio art.4. 22°comma che disponeva:

Qualora, in mancanza della convalida di cui al comma 17 ovvero della sottoscrizione di cui al comma 18, il datore di lavoro non provveda a trasmettere alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l'invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consensuale, le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto.

Allo stesso modo, si fa sentire la mancanza di una disposizione come l’art. 4.21°comma l. 92/2012, che considerava comunque dimissionario il Lavoratore che, intimato a presentarsi avanti la “sede protetta” per la convalida delle dimissioni (DTL, Sindacato…), ometteva di presentarsi, entro sette giorni dalla ricezione della Raccomandata di invito. L’assenza di tali termini procedurali rende molto incerta la posizione del Datore, in caso di inerzia del Dipendente.
Non disponiamo di criteri automatici e univoci per attribuire all’inerzia del Lavoratore significato o di conferma (tacita) delle dimissioni o di revoca (tacita) delle dimissioni.
L’unica esile norma rinvenibile è l’art. 26.2°comma D.lgs. 151/2015 che dispone:

Entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo di cui al comma 1 il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le medesime modalità.

Questa norma conferisce certezza alle dimissioni; ma presuppone che il Lavoratore abbia provveduto all’invio telematico (sua sponte, ovvero tramite intermediari abilitati); evidentemente, tale norma non può essere in nessun modo utilizzata quando il Lavoratore, pure dimissionario, non abbia provveduto all’invio telematico. Invio che, attualmente, risulta privo di termini perentori, cosìcchè il Datore di Lavoro è destinato a dover subìre un non precisato tempo di incertezza. Al momento, per uscire dall’impasse, abbiamo a disposizione un’unica, esile traccia.
Sto parlando dell’art. 26.7°comma D.lgs. 151/2015 che dispone:

I commi da 1 a 4 non sono applicabili al lavoro domestico e nel caso in cui le dimissioni o la risoluzione consensuale intervengono nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003
Per comprendere il significato di tale norma, occorre considerare che questa norma considera una specie di tertium genus tra le dimissioni telematiche emesse dal dipendente (comma 1) e quelle emesse tramite Sindacati, Commissioni di certificazione  (comma 4). In particolare, in parte qua, il legislatore non si riferisce all'ipotesi di trasmissione telematica "assistita" ex. Comma 4.
Queste "dimissioni" o "risoluzioni consensuali" che avvengano "nelle sedi ex. Art. 2113.4 comma c.c. e simili" sono, pertanto, evidentemente sottratte (il che è logico) dai vincoli e dalle formalità "esclusivamente telematiche".
Per queste procedure, ai fini delle modalità di manifestazione della volontà di dimissioni, risorge il "diritto comune".
Ecco che, allora, si profila una possibile via per uscire dall’impasse delle dimissioni del Dipendente irreperibile.
Per uscire dall’impasse, il Datore potrebbe (e sottolineiamo “forse!”) convocare il Dipendente dimissionario “irreperibile” in una procedura di conciliazione avanti Sindacati, DTL, Commissione di certificazione. Con questo, la questione delle dimissioni parrebbe liquidabile, né più, né meno come nei casi di “conciliazione con lavoratore irreperibile”: l’organo di conciliazione (Sindacato, DTL), anche convocato più volte per consentire l’effettiva partecipazione del Dipendente, andate successivamente deserte le convocazioni, può ben “liberare” il Datore da qualsiasi onere e dichiarare contestualmente estinto il rapporto di lavoro (dando, così, per acquisite le dimissioni).
In questo caso, l’effetto liberatorio dovrebbe meglio conseguirsi se, alle successive convocazioni, il Datore provvede a intimare il Dipendente, che la persistente inerzia verrà valutata come “conferma tacita” di dimissioni. Tale intimazione dovrebbe acquisire la forma di una formale “messa in mora”, secondo le forme usuali del diritto comune, secondo le comuni procedure di notifica, all’ultimo indirizzo conosciuto ex. art. 1335.2°comma Codice Civile (il dr. MASSI prefigura, per questi casi, una diffida ex. art. 1454 Codice Civile).
I contorni di tale procedura sono ancora incerti, e ci è consentito di dire poco. Certo, si fatica a comprendere a che titolo una Commissione di Conciliazione (sia Sindacale, sia DTL, sia Commissione di certificazione) potrebbe, in questo caso, opporsi ad una “conciliazione liberatoria” per il Datore: particolarmente, non si capisce quale obiezione possa invocare per la migliore tutela di un Dipendente dimissionario irreperibile, cui, in questo caso, sono state offerte tutte le opportunità di replica e di contro-deduzione! Ribadiamo: quella qui tratteggiata è solo un’ipotesi, che dovrà passare per il vaglio della prassi ministeriale.
Ma una cosa è certa. Oltre ad essere tale interpretazione conforme a canoni elementari di “buona fede contrattuale” (art. 1375 Codice Civile), quella qui descritta è una interpretazione coerente al contenuto del comma 7: escludendo l’applicabilità delle formalità telematiche ex. commi 1, 2, 3, 4, le “dimissioni” che avvengano in “conciliazione” sembrano potersi esprimere in un regime di maggiore libertà formale, in conformità al “diritto comune”. Ed è coerente, pertanto, ritenere che, sia pure a questi limitati fini, le dimissioni possano avvenire anche “per fatti concludenti”.
Naturalmente (lo ribadiamo), qui abbiamo abbozzato solo un’ipotesi per la libera discussione; un’ipotesi interpretativa che il Ministero potrà confermare o smentire.
A disposizione per aggiornamenti

venerdì 12 febbraio 2016

NIENTE PIU' CONVALIDA PER DIMISSIONI IN COCOCO E ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE?

Quesito:
Quando il 12/3 prossimo, entrerà in vigore la nuova procedura di convalida “telematica” delle dimissioni, le dimissioni dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (anche a progetto, in esaurimento al 25/6/15) e dalle associazioni in partecipazioni (in esaurimento anch’esse al 25/6/15), dovranno essere convalidate anch’esse?

Risposta:
Al momento, la risposta pare negativa. Deve, al riguardo, ritenersi che, quando il legislatore si riferisce a “lavoratori dimissionari” e simili intenda riferirsi solo al “lavoratore subordinato” ex. artt. 2094 C.C., e non ad altri rapporti.
Questo era lo stato di cose della vecchia disciplina ex. art. 4.17°comma ss. l. 92/2012: quando si trattò di estendere tale disciplina a rapporti diversi dal lavoro dipendente (come cococo e associati in partecipazione), il legislatore dovette intervenire con una norma ad hoc, di stretta interpretazione (art. 23bis, vedi Circ. Min. Lav. 35/2013).
Ora, contestualmente all’entrata in vigore della nuova disciplina, cesserà di avere applicazione proprio quel comma 23-bis dell’art. 4 l. 92/2012, introdotto dal DL 76/2013, per estendere la “convalida” delle dimissioni anche a collaboratori coordinati e continuativi e associati in partecipazione.
E’ coerente ritenere, pertanto, che, in assenza di una norma speciale (come il vecchio comma 23bis) che disponga l’estensione della convalida a rapporti diversi, l’attuale disciplina sulle “dimissioni telematiche” che entrerà in vigore il prossimo 12/3, riguarderà solo i lavoratori subordinati.
A disposizione per aggiornamenti

giovedì 11 febbraio 2016

DIMISSIONI, RIFLESSI SULLA COMUNICAZIONE DI CESSAZIONE AL CENTRO PER L'IMPIEGO*

*ELABORAZIONE DI CASO AFFRONTATO DA EUFRANIO MASSI, Il modello per la convalida delle dimissioni: semplificazioni o complicazioni in vista? (Generazione Vincente Blog)

Quesito:
Una volta che un Dipendente si è dimesso, quando deve essere effettuata la comunicazione di cessazione al collocamento? Dopo 5 giorni dall’atto (civile) di dimissioni? O dopo 5 gg. dalla convalida? Possono considerarsi valide le disposizioni impartite dal Ministero del Lavoro con Nota Prot. 18273/2012, che aveva fissato la decorrenza dell’obbligo di comunicazione (5 gg.) dall’atto civile di dimissioni e non dalla convalida?

Risposta:
Secondo il dr. MASSI, l’obbligo di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro subordinato (sanzionato in via amministrativa), in caso di dimissioni del Dipendente, deve essere adempiuto nei 5 giorni decorrenti dall’atto di dimissioni (atto civile, negoziale), non dalla convalida telematica, o avanti la DTL.
Questa soluzione, che conferma gli orientamenti già espressi in via amministrativa dal Ministero del Lavoro con Nota Prot. 18273/12, è coerente con il tenore dell’art. 21.1°comma l. 264/49 che fissa la decorrenza della comunicazione dalla “cessazione del rapporto”: la legge parla di “cessazione del rapporto”, non si riferisce alla “convalida”.
Il dies a quo di decorrenza dell’obbligo ex. art. 21.1°comma non può che essere la data di efficacia delle cessazione del rapporto tracciata nell’atto negoziale di dimissioni: a questi fini, pertanto, è sanzionabile l’omissione o il ritardo solo oltre tale termine. Non è possibile concludere diversamente: ammettendo che il dies a quo decorra dalla “convalida” si perverrebbe a far dipendere l’applicazione la sanzione amministrativa da una “analogia in malam partem” non ammessa dai principi generali sull’illecito amministrativo (l. 689/81).
Resta, pertanto, attuale l’esemplificazione a suo tempo offerta dal Ministero del Lavoro:

A titolo esemplificativo, qualora in una lettera di dimissioni presentata il 1° giugno si faccia riferimento alla data del 30 giugno quale ultimo giorno di lavoro, dal 1° luglio decorreranno i 5 giorni per comunicare al Centro per l'impiego la cessazione del rapporto. Resta evidentemente ferma la possibilità di effettuare la comunicazione anche molto tempo prima rispetto alla decorrenza giuridica della risoluzione del rapporto; ciò in funzione della corretta operatività della procedura di convalida che prevede, tra l'altro, la possibilità di ribadire la volontà di risolvere il rapporto tramite una dichiarazione da apporre sulla ricevuta di comunicazione CO. Quanto all'eventuale revoca delle dimissioni o del consenso alla risoluzione consensuale, occorre evidenziare che la stessa non potrà che comportare - in caso di comunicazione già effettuata - l'insorgere di un nuovo obbligo comunicazionale.

Ogni problema potrà evitarsi, evidentemente, tanto più l’atto di dimissioni e la “convalida telematica” siano ravvicinate nel tempo, preferibilmente coincidenti (ove possibile). Anche per questo, la Nota Min. 18273/12 mantiene la sua inalterata attualità.
Evidentemente, restiamo a disposizione per comunicarVi i necessari aggiornamenti ministeriali.

mercoledì 10 febbraio 2016

NIENTE TICKET DI LICENZIAMENTO PER APPRENDISTI-QUALIFICA/DIPLOMA PROFESSIONALE-FLASH

Un brevissimo flash per ricordarVi che il ticket di licenziamento non si applica, fino al 31/12/2016, agli “apprendisti per diploma/qualifica professionale” per effetto di quanto disposto dall’art. 32 D.lgs. 150/2015, nel testo che sotto si riporta:

Art. 32. Incentivi per il contratto di apprendistato per la qualifica, il diploma e il certificato di specializzazione tecnica superiore e di alta formazione e ricerca.
1. A titolo sperimentale, per le assunzioni con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e fino al 31 dicembre 2016, si applicano i seguenti benefici: a) non trova applicazione il contributo di licenziamento di cui all'articolo 2, commi 31 e 32, della legge n. 92 del 2012; (…)

martedì 9 febbraio 2016

JOBS ACT AUTONOMI-AGGIORNAMENTI

Mentre il Ministero del Lavoro ha appena emesso una propria Circolare nr. 3/2016 per dare attuazione al nuovo art. 2 D.lgs. 81/2015 sulle cococo (con disposizioni ancora molto nebulose) e sulla cd “stabilizzazione” dei “collaboratori autonomi”, si coglie l’occasione di ricordare che il quadro delle norme relative al “nuovo” lavoro autonomo non è del tutto completo.
Al Consiglio dei Ministri del 28/1, erano in discussione una serie di disposizioni su Welfare e contrattualistica degli autonomi (comprensiva della riforma del telelavoro, denominata smart working). Tra le disposizioni in discussione, alcune che incidono sulla contrattualistica autonoma:

Il provvedimento-precisa il quotidiano- contiene anche una norma che “salva” le collaborazioni coordinate e continuative considerate “genuine”: «In accordo a quanto previsto dal Jobs act - spiega Maurizio Del Conte, professore di diritto del Lavoro alla Bocconi di Milano e neo presidente dell'Anpal - si riconosce la genuinità delle collaborazioni organizzate dal collaboratore d'accordo con il committente, e a queste si estendono le tutele previste dal Ddl sul lavoro autonomo». (notizia tratta dal link: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-01-28/piu-tutele-professionisti-e-partite-iva--122038.shtml?uuid=ACxPr6IC).

Coordinando tale notizia con altre (coerenti) sempre vertenti sullo stesso provvedimento, il disegno di legge dovrebbe incidere (mitigandola) su quella parte dell’art. 2 D.lgs. 81/2015 che prescrive la trasformazione de plano in lavoro subordinato di tutte le collaborazioni “etero-organizzate”.
In questo senso, dovrebbe escludersi “l’etero-direzione” (e la conseguente trasformazione forzosa in lavoro dipendente della collaborazione) in tutti i casi in cui tempi e luogo della collaborazione riescano definiti “di intesa” tra Committente e Collaboratore.
E’ su questa base, pertanto, che si potrà valutare la “genuinità” della cococo (è il vecchio criterio del “coordinamento”).
Il quadro è ancora decisamente fluido e ciò non potrà che incidere sulle prime esperienze applicative delle “nuove” collaborazioni secondo il Jobs Act.
A disposizione per aggiornamenti

mercoledì 3 febbraio 2016

LAVORO ACCESSORIO PER I LAVORATORI DELLO SPETTACOLO (GIÀ ENPALS): CONTRIBUZIONE ALLA GESTIONE SEPARATA INPS

Con Messaggio nr. 311/2016, l’INPS ha precisato che le disposizioni relative al “lavoro accessorio” (voucher) ex. art. 48.2°comma D.lgs. 81/2015 si applicano, entro i noti limiti economici, anche ai lavoratori del settore dello Spettacolo in Gestione ENPALS.
L’INPS dichiara non dovuto il rilascio del cd “certificato di agibilità” ex D.Lgs. C.P.S. 708/1947, in quanto la procedura “comune” di rilascio dei carnet, propria dei voucher, garantisce già lo stesso grado di “tracciabilità” richiesto dal D.lgs. C.P.S del 1947 citato.
C’è, comunque, un aspetto da chiarire. L’art. 49.5°comma D.lgs. 81/2015 destina la contribuzione previdenziale del voucherista (13% sul “valore del buono”) alla sola “Gestione Separata INPS”, senza menzionare altre Casse.
L’ENPALS, quindi, deve ritenersi escluso dalla contribuzione, per espressa e diversa disposizione di legge. In questo senso, va interpretato il passaggio del Messaggio dove si precisa:

“L’obbligo contributivo, in presenza di lavoro accessorio [nel settore dello Spettacolo], sussiste nei confronti di una gestione diversa da quella del Fondo Pensione lavoratori dello Spettacolo”.

Il punto riveste una evidente importanza dal punto di vista applicativo.

martedì 2 febbraio 2016

SGRAVIO INPS RENZI EDIZIONE 2016: VERSO L'ESCLUSIONE DEL LAVORO INTERMITTENTE-FLASH

L’ art. 1.178°comma l. 208/2015, nel rinnovare (sia pure con alcune riduzioni) lo sgravio INPS per le assunzioni a tempo indeterminato, già previste per l’anno passato, non ha disposto (almeno non ha disposto espressamente) l’esclusione dallo sgravio del “lavoro intermittente”, anche se a tempo indeterminato. Questa specifica non era contenuta nemmeno nell’art. 1.118°comma l. 190/2014 (sgravio Renzi, precedente edizione).
Era stata l’INPS (con Circ. 17/2015) a dedurne la “naturale esclusione”, con le seguenti (accettabili) argomentazioni:

Al riguardo, si osserva come il lavoro intermittente, anche laddove preveda la corresponsione di un compenso continuativo in termini di indennità di disponibilità (la cui misura è peraltro rimessa alla pattuizione fra le parti), costituisca pur sempre una forma contrattuale strutturalmente concepita allo scopo di far fronte ad attività lavorative di natura discontinua ("svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente ... ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno", art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003), tant'è che, sul piano generale, la durata della prestazione lavorativa è soggetta a limitazioni di legge ("con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari", art. 34, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003). Infine, l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, nell'an e nel quantum, è soggetto alla totale discrezionalità delle esigenze produttive del datore di lavoro ("il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa", art. 33, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003). In definitiva, le caratteristiche strutturali del lavoro intermittente, ancorché a tempo indeterminato, risultano decisamente incoerenti con le motivazioni che sorreggono le finalità dell'esonero contributivo di cui ai commi 118 e seguenti, dell'articolo 1, della Legge di stabilità, che si individuano, come più volte ribadito, nell'espansione di forme di occupazione basate sulla stabilità della prestazione lavorativa. Pertanto, è da escludersi la fruizione dell'esonero contributivo in oggetto nel caso di assunzioni con contratto di lavoro a chiamata o intermittente.

Anche se, come detto, le Circolari non possono costituire “fonte di interpretazione autentica”, tale interpretazione è perfettamente logica, anche nell’economia del nuovo “sgravio Renzi”.
Tale indicazione è da ritenersi tuttora valida e operante, pur nell’assenza di Circolari o altri atti interpretativi ufficiali, e salvo sviluppi e novità, attualmente imprevedibili. A disposizione per aggiornamenti