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martedì 17 aprile 2012

QUANDO AZIENDA E DIPENDENTE SI ACCORDANO SUL ... NETTO!


Gli "accordi sul netto" Datore di Lavoro-Lavoratore sono frequentemente fonte di equivoci, se non di conflitti, tra Lavoratori ed Aziende. Ecco, quindi, che ne urge un congruo inquadramento dei suoi essenziali tratti tecnico-giuridici.
Anzitutto, la questione del "netto in busta paga" si presenta ad un primo livello come un complesso problema di interpretazione del contratto di lavoro, della busta paga e dei documenti contabili. E certo in questa fattispecie, si pone un problema di accertamento dalla non semplice soluzione: come accorgersi cioè che tra Datore di Lavoro e Lavoratore è intervenuto un accordo per un certo risultato netto?
E' evidente che stiamo parlando di una fattispecie di accordo evidentemente "in chiaro" e non di accordi "al nero" (anche se spesso tali accordi sono assunti in una "zona grigia" che lascia traccia nelle anomalie contabili delle Aziende). E già questo costituisce un primo ostacolo pratico non da poco, rendendo molto oneroso e difficoltoso l'orientamento operativo.
La questione di per sè si lascia più apprezzare sul versante del diritto comune dei contratti che dal punto di vista giuslavoristico. La tangenza degli "accordi sul netto" con i vincoli giuslavoristici, infatti, è puramente teorica e di scuola, ossia nel caso in cui il "netto pattuito" fosse inferiore ai minimi sindacali ex. art. 36 Cost. Ipotesi, quest'ultima, puramente di scuola, poichè detti accordi sono nella pratica concepiti per "andare oltre" i minimi retributivi.
Di massima questi possono considerarsi indici tipici:

- Clausola contrattuale di salvaguardia di un certo risultato economico netto: è l'emergenza documentale più chiara, diretta e trasparente;
- Esistenza in busta paga di un "integrativo mobile": anche in assenza di contratto, questa voce retributiva presuppone che Azienda e Lavoratore vogliono ... un certo risultato netto in termini di retribuzione;
- Ad personam: Qui la questione si fa più complessa, anche in relazione alla non sempre coerente e convincente giurisprudenza di Cassazione che si è pronunciata sul significato da dare a questa voce, in assenza di accordo o di qualsiasi altra scrittura o dicitura contabile, in ordine alla sua assorbibilità rispetto a futuri incrementi contrattuali.

E' evidentemente quest'ultima fattispecie a meritare una speciale attenzione e considerazione.
Quindi, per ricostruire il significato reale che riveste una voce ad personam, non diversamente qualificata dalle Parti, è necessario ricorrere ai canoni di interpretazione del contratto codificati ex. art. 1362 ss del Codice Civile, codificati specialmente per quella metodica detta "interpretazione soggettiva": della serie, dove hanno "voluto parare" le parti? Quali intenzioni avevano realmente?
Ora, per comprendere il verosimile risultato netto che le parti si ripromettevano con la fissazione dell'ad personam, occorre rifarsi alla busta paga del primo mese di lavoro, date le vigenti tabelle retributive e aliquote contributive. Soluzione draconiana? Soluzione riduttiva? Assolutamente no, e personalmente siamo a sfidare chiunque intenda trovare un criterio ricostruttivo alternativo. Se, infatti, al momento dell'assunzione vigono le tabelle retributive, le aliquote fiscali, contributive etc., le tipologie di detrazione etc., l'ad personam consente il raggiungimento di un certo risultato netto, Noi dobbiamo presupporre che quel risultato netto costituisce l'obiettivo delle parti. Solo questo può essere un numero accettabile, su cui il Lavoratore (in termini di salario) e l'Azienda (in termini di costi) possono riporre un legittimo affidamento giuridico.
Ma attenzione: in queste convenzioni, non si pone solo un problema di numeri, ma anche un problema di delimitare la reale portata degli accordi, in relazione alla volontà contrattuale che si può ritenere ricostruibile con sufficiente attendibilità.
Ora, l'accordo deve essere inteso come un punto di equilibrio e di integrazione tra l'aspettativa del netto del Dipendente e la programmazione di costo del Datore. In questo senso, la manifestazione di tale volontà pare potersi ragionevolmente  incorporare solo nell'assunzione e nel contesto contabile allora disponibile: solo questo deve cioè considerarsi il contesto adeguato, la "causa efficiente" che ha spinto le parti all'accordo, ossia la base informativa su cui Datore di Lavoro e Dipendente possono aver espresso un accordo.
A riprova della complessità del problema, non può farsi a meno di notare come nei cd "accordi sul netto" venga anche in considerazione il problema di come questi importi si palesino in busta paga: in "mesi di calendario", ovvero su mensilità contrattualizzate (calendario e supplementari). Aspetto molto significativo dal punto di vista pratico, ma che per completezza le parti devono considerare. In particolare, per evitare evidenti abusi, tale importo netto, per essere apprezzato come elemento economico significativo dal punto di vista dell'impegno contrattuale, non può che essere riferito all' "anno", ossia al corrispondente importo di costo che l'Azienda ha accettato come base della contabilizzazione annuale di bilancio: elemento solo che deve essere considerato per verificare quale sia il reale punto di equilibrio e di convergenza tra le parti.
Di qui, in assenza di altre risultanze negoziale, non si può che considerare raggiunto l'accordo sul risultato netto disponibile dalle rilevazioni annuali o infra-annuali relative alla durata del rapporto (così come contabilizzato al lordo in bilancio) e secondo le cadenze di liquidazione di cui al CCNL.Punto e basta.
Soluzioni alternative non ce ne sono, anche per l'evidente assurdità e illogicità di soluzioni differenti.
Una facile obiezione, di solito avanzata dai Dipendenti, è che l'ad personam non solo non sia assorbibile, ma addirittura si aggiunga ad eventuali incrementi di rinnovo CCNL; portando così la retribuzione a crescere non solo degli incrementi di CCNL, ma anche ... dell'ad personam. Soluzione suggestiva all'apparenza, ma assurda in termini sia giuridici, sia contabili.Certo, c'è sempre il Datore che firma contratti-capestro. In assenza di accordo specifico, però, non può mai pervenirsi ad un simile risultato.Assumendo come pacifica cioè l'idea di una simile "anelasticità" dell'ad personam rispetto alla retribuzione, ne deriverebbe che il costo del personale in capo all'Azienda finirebbe per crescere, senza che l'Azienda possa interloquire. Un'interpretazione questa però palesemente contraria a "buona fede contrattuale" (art. 1375 Codice Civile) e che, viceversa, attenti canoni di interpretazione contrattuale portano con sicurezza ad escludere.  In effetti, sarebbe altrimenti troppo comodo "spiazzare" la controparte (datorile in questo caso) imponendole prestazioni non esigibili al momento del contratto, e che, se conosciute, avrebbero certamente mutato la prospettiva e la stessa possibilità di conclusione dell'accordo. Accordi, che, invece, una volta assunti devono essere salvaguardati (art. 1372 del Codice Civile). L'accordo sul netto fissa sì un risultato per il Lavoratore, ma nell'ambito contemporaneamente di un "paletto" di budget che l'Azienda ha provveduto a valutare come congruo e coerente; e di cui l'Azienda è nel pieno diritto di chiedere la tutela e il rispetto da parte del Lavoratore!
 Come comportarsi, quindi, in caso di aumenti della retribuzione?
I canoni di "interpretazione soggettiva" sopra esplicitati ci inducono ad operare le seguenti considerazioni. Lungi da noi l'idea che con gli "accordi sul netto", Aziende e Lavoratori possano identificare nel dettaglio la struttura della busta paga; più semplicemente, si accordano su un obiettivo economico (salario per il Lavoratore, costo aziendale per il Datore). Obiettivo che a questo punto, in assenza di diversi accordi, deve ritenersi confermato anche in caso di incrementi contrattuali! Sia sul versante del Lavoratore, sia sul versante dell'Azienda.
A questo punto, non vi è chi non veda come tale accordo sul "risultato netto" sia per conseguenza logica da intendere nei termini analoghi di un "massimale", che, in caso di incrementi, stabilizza la retribuzione agli importi dati!
In conseguenza, è inevitabile che, in presenza di aumenti, la struttura del prospetto paga debba essere rivista nei termini di un assorbimento dell'ad personam, corollario contabile logico connesso alla ratio di stabilizzazione economica ivi dedotta. E quando parliamo di "massimale", vogliamo dire che l'ad personam è destinato ad assorbirsi del tutto, qualora lo sviluppo delle retribuzioni, frattanto evidenziatosi, eguagli o superi il risultato netto programmato all'inizio dalle parti. A questo punto, non vi è chi non veda come l'accordo debba ritenersi inutile, esaurito e non più vincolante. E' evidente, quindi, che, per ritenere vincolanti disposizioni "sul netto" difformi da quanto fin qui esposto (evidentemente invocati dal Lavoratore) serve un'esplicita base di accordo che in modo chiaro e inequivoco (scritto o non scritto che sia) disponga diversamente: per es. la non assorbibilità dell'ad personam, ovvero la destinazione dell'ad personam a disporre aumenti contrattuali superiori a quelli a breve prevedibili etc. Se questo non risulta, nulla si può pretendere.
Francesco Landi, Consulente del Lavoro in Ferrara
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