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mercoledì 29 giugno 2016

TRASFERTE RAPPRESENTATE IN MODO "INFEDELE" NEL LUL: LE SANZIONI APPLICABILI SECONDO I CHIARIMENTI MINISTERIALI-FLASH

Negli ultimissimi giorni, sono sopravvenuti due importanti chiarimenti amministrativi, da un lato, la Nota Min. Lav. nr. 11885/2016, dall’altro il Msg INPS nr. 2682/2016 che hanno introdotto alcune puntualizzazione in merito all’applicazione delle sanzioni amministrative per “infedeli rappresentazioni LUL” (art. 39.7°comma DL 112/2008) per le trasferte. Secondo il combinato disposto dei citati chiarimenti, il regime sanzionatorio per “infedele registrazione” trova applicazione nei casi in cui la registrazione non risulti veritiera:

a) Relativamente al dato quantitativo, qualora la retribuzione di fatto erogata sia differente o siano differenti l’orario di lavoro o i riposi effettivamente goduti o, ancora, quando la trasferta non sia proprio stata effettuata e l’indennità occulti emolumenti dovuti ad altro titolo; 
b) Relativamente al dato qualitativo, qualora la scritturazione sul LUL di una causale o titolo fondante l’erogazione economica non trovi riscontro nella concreta esecuzione della prestazione (ad esempio nel caso in cui sia riconosciuto il trattamento di trasferta al lavoratore che, in realtà, sia trasfertista).

martedì 28 giugno 2016

VOUCHER, QUANDO SI APPLICA LA "MAXI SANZIONE" PER "LAVORO NERO"-FLASH*

*RIASSUNTO SINTETICO DI UN COMMENTO AL “CORRETTIVO JOBS ACT” DI MASSI IN GENERAZIONEVINCENTEBLOG.

In caso di utilizzazione di “lavoro accessorio” (voucher) si applica la maxisanzione (e sanzioni correlate) per “lavoro nero” solo nel caso in cui il Committente non abbia provveduto alla comunicazione preventiva all’INPS nei termini di legge.
Questo, il contenuto della Nota Min. Lav. 12695/2013 che ha ricordato che la maxisanzione (e sanzioni correlate) per “lavoro nero” si applica solo laddove la mancata comunicazione renda il Lavoratore del tutto sconosciuto all’Amministrazione Pubblica.
Ricordiamo che è in corso di approvazione un “Decreto Correttivo” al Jobs Act che sostituirà tale comunicazione preventiva all’INPS, con una comunicazione preventiva all’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
La nota Min. Lav. 12695/13 dovrà, pertanto, interpretarsi nel senso che, solo in caso di omessa comunicazione all’Ispettorato e all'INPS  scatteranno le correlate sanzioni per “lavoro nero”.
Questo ha, da ultimo, precisato la Circolare 1/2016 dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro (AGGIORNAMENTO 18/10/2016).
A disposizione per aggiornamenti

venerdì 24 giugno 2016

WHISTELBLOWING, TUTELATO L'ANONIMATO DEL DIPENDENTE PUBBLICO CHE DENUNCI REATI DEI SUPERIORI-FLASH


Si discute molto sul web, nei talk show, finanche in Parlamento dell’opportunità di introdurre il cd whistelblowing, ossia quella speciale tutela del Dipendente che segnali, in via anonima, condotte costituenti reato (o integranti notizie di reato) alla Magistratura.
E’ opportuno ricordare che, nel Pubblico Impiego, il whistelblowing è una realtà dalla fine del 2012, quando cioè la l. 190/2012 (la cd. Legge anticorruzione), in adempimento di specifiche Convenzioni Internazionali, ha introdotto questa forma di segnalazione anonima, garantendo il Dipendente denunciante da azioni disciplinari, licenziamenti e ritorsioni varie.
Per l’introduzione di questo istituto nel settore privato, siamo fermi alla Proposta di legge 3365 (Onn.li Businarolo, Agostinelli, Ferraresi, Sarti), approvata alla Camera il 21 gennaio 2016. Qualche dubbio può porsi per quei Lavoratori che operino, per così dire, nella “terra di mezzo”, ossia in quegli ambiti a metà tra il Pubblico e il Privato, tipicamente nell’ambito di contratti di appalto con la PA.
E’ da rilevare che l’art. 54bis D.lgs. 165/01 prevede la speciale tutela del whistelblowing solo a favore del “Pubblico Dipendente”.
Ora, nell’economia del TU Pubblico Impiego, si considera tale solo il dipendente al servizio delle Amministrazioni individuate dal DPCM 17/12/1993; ciò, evidentemente, esclude il Dipendente di Azienda privata che operi pure a beneficio (in appalto) per un Ente Pubblico.
A riprova di questa conclusione, si nota che è il DDL citato, invece, ad operare questa estensione, laddove dispone:

La disciplina di cui al presente articolo si applica […] anche ai lavoratori e ai collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni e servizi e che realizzano opere a favore dell’Amministrazione Pubblica.

Evidentemente, fino a che tale assimilazione non sarà approvata in un valido testo di legge dal Parlamento, privati che operino in appalti della PA non sono tutelati dal whistelblowing.
Qualche dubbio solleva la norma per l’estensione della tutela a cococo e consulenti, che, come tali, non sono Pubblici Dipendenti.
La lettera dell’art. 54bis li escluderebbe, anche se questa conclusione solleva non pochi rilievi di legittimità costituzionale per patente irragionevolezza, per patente violazione del principio di eguaglianza, rispetto alla conclamata ratio della legge anticorruzione.
Il DDL, se sarà approvato, rimediera' comunque a questa lacuna.

martedì 21 giugno 2016

MEDICI DI BASE CHE ASSUMONO DIPENDENTI: PAGANO L'IRAP?

Il Medico di base, convenzionato con il SSN, che si avvalga di un Dipendente part time paga l’IRAP?
L’art. 1.125°comma l. 208/15, con un proprio intervento di “interpretazione autentica”, lo esclude recisamente. Così, nel testo di legge:

Non sussiste autonoma organizzazione ai fini dell'imposta nel caso di medici che abbiano sottoscritto specifiche convenzioni con le strutture ospedaliere per lo svolgimento della professione all'interno di tali strutture, laddove gli stessi percepiscano per l'attività svolta presso le medesime strutture più del 75 per cento del proprio reddito complessivo. Sono in ogni caso irrilevanti, ai fini della sussistenza dell'autonoma organizzazione, l'ammontare del reddito realizzato e le spese direttamente connesse all'attività svolta. L'esistenza dell'autonoma organizzazione è comunque configurabile in presenza di elementi che superano lo standard e i parametri previsti dalla convenzione con il Servizio sanitario nazionale.

In altre parole, la dotazione organizzativa minima del Medico di base MMG, derivante da Convenzione, consente di escludere quello specifico elemento “lucrativo”, proprio della cd “autonoma organizzazione” ex. D.lgs. 446/97, rilevante ai fini IRAP.
La norma pare articolata in due step. Il Medico di MMG, cioè, è esente IRAP:

1)      Se il Professionista ricava dal SSN più del 75% del reddito professionale: in questo caso, la legge esclude la sussistenza della cd “autonoma organizzazione” e l’imponibilità IRAP. A questo fine, la legge dichiara irrilevanti l’ammontare del reddito realizzato (dal 2008, l’esclusione era parametrata sui cd “contribuenti minimi” edizione 2007 e sulla loro soglia reddituale di almeno 30.000 lordi; tale somma viene definitivamente definita irrilevante).
2)      Se il Professionista possiede un’organizzazione rientrante negli standard minimi organizzativi prescritti dal SSN: in ogni caso, non si configura autonoma organizzazione e imponibilità IRAP. Nel caso di specie, l’esonero IRAP avrebbe potuto essere declinato, in presenza di impiegato part time, in quanto l’assunzione del dipendente fosse funzionale alla gestione delle chiamate e del rapporto col Pubblico. Questa ipotesi era già stata contemplata

La legge, come si può agevolmente constatare, per determinare la non imponibilità del Medico MMG ai fini IRAP, ricalca lo schema della Circolare A.E. 28/2010, focalizzandosi sulla circostanza che se l’organizzazione dello Studio non rileva ai fini IRAP, se non ecceda gli standard definiti con Convenzione.
A questo riguardo, si riepiloga il passaggio della Convenzione Tipo SSN che l’Amministrazione Fiscale ha ritenuto determinante a questo scopo:

“Lo Studio del Medico Convenzionato deve essere dotato degli arredi e delle attrezzature indispensabili per l’esercizio della Medicina Generale, di sala d’attesa adeguatamente arredata, di servizi igienici, di illuminazione e aerazione idonea, ivi compresi idonei strumenti di ricezione delle chiamate”.

In questo senso, deve ritenersi certa l’esclusione di un addetto alla Segreteria che curi la gestione degli appuntamenti, l’accoglienza del pubblico e simili.
In ogni caso, crediamo, devono essere valutate le mansioni del Dipendente assunto: ad esempio, se un Odontoiatra, Convenzionato con il SSN, assume un Assistente alla Poltrona, questa attività, in quanto meramente ausiliaria/esecutiva all’attività Odontoiatrica, dovrebbe ritenersi conforme al “minimo organizzativo” di convenzione e non pare assumere alcuna rilevanza ai fini IRAP. Radicalmente diverso, invece, pare il caso dell’Odontoiatra che assuma un Odontotecnico: in questo caso, il Dipendente spende un’attività professionale che obiettivamente accresce la capacità produttiva, nonché la stessa competitività dello Studio.

LAVORO INTERMITTENTE OLTRE LE 400 GIORNATE: COME SI CALCOLANO LE ORE DI LAVORO*


*ELABORAZIONE CONTENUTI ARTICOLO DR.MASSI IL LAVORO A CHIAMATA AL RENDICONTO DEI TRE ANNI E NUOVE QUESTIONI OPERATIVE (GenerazionevincenteBlog)

Caso:
Tizio, a partire dal 28/6/13, è stato, in qualità di Magazziniere, alle Dipendenze di Caio, Titolare di una Ditta Individuale di facchinaggio. Tizio non ha quasi mai svolto un orario pieno alle dipendenze di Caio, arrivando a svolgere al massimo 4 ore di lavoro, in caso di chiamata. Come si conteggia il raggiungimento delle 400 giornate? O meglio, come si deve valorizzare la giornata ai fini di questo conteggio? La giornata, cioè, deve essere ragguagliata a “giornata di lavoro in orario normale” (8 h, come parrebbe suggerire l’art. 18 D.lgs. 81/2015), oppure la giornata rileva come mero “giorno di chiamata”, indipendentemente dalle ore svolte (come parrebbe suggerire l’art. 13.1°comma D.lgs. 81 riferendosi alle “giornate di lavoro effettivo”)?

Risposta:
Nel lavoro intermittente, la valorizzazione dei Dipendenti a chiamata, ai fini degli istituti di origine legale e contrattuale, è rimessa alla regola contenuta nell’art. 18 D.lgs. 81/2015, che dispone:

1. Ai fini dell'applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, il lavoratore intermittente è computato nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre.

Ai fini del calcolo delle “400 giornate”, però, la regola di riferimento pare affatto diversa, così come la base e la metodica di calcolo.
Così, nel testo dell’art. 13.3°comma D.lgs. 81/2015:

In ogni caso, con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Questo assetto di norme è identico a quello esistente prima del D.lgs. 81/2015. “400 giornate di lavoro effettivo in un triennio solare”.
Si tratta di una indicazione assolutamente speciale e derogatoria dall’art. 18 sopra citato.
La Circolare Min. Lav. 35/2013, sul punto, aveva precisato:

Verificata la legittima instaurazione del rapporto, il ricorso a prestazioni di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un massimo di quattrocento giornate di effettivo lavoro "nell'arco di tre anni solari". Ne consegue che il conteggio delle prestazioni dovrà essere effettuato, a partire dal giorno in cui si chiede la prestazione, a ritroso di tre anni; tale conteggio tuttavia, secondo quanto previsto dal D.L. n. 76/2013, dovrà tenere conto solo delle giornate di effettivo lavoro "prestate successivamente all'entrata in vigore della presente disposizione" e quindi prestate successivamente al 28 giugno 2013.

Come nota MASSI, dal confronto tra l’art. 13.1 e l’art. 18 D.lgs. 81/2015 (anche alla luce della Circolare 35 citata), la valorizzazione delle “giornate di lavoro effettivo” comporta che, ai fini del “limite delle 400 giornate” contano i giorni di lavoro svolto “a chiamata”, ossia i giorni di chiamata, indipendentemente dalle ore svolte.
Quindi, 1 h di chiamata svolta in 1 giorno, vale 1 giorno di lavoro ai fini del conteggio in esame. Ovviamente, non vanno calcolate le giornate di chiamata successivamente annullate nei termini di legge.

mercoledì 15 giugno 2016

IMPIANTO DI VIDEOSORVEGLIANZA SENZA AUTORIZZAZIONE: SANZIONE PENALE ANCHE SE LA VIDEOCAMERA NON E' ATTIVATA-FLASH

Videocamere non attivate, videocamere attivate solo saltuariamente (in relazione a specifici locali aziendali aperti solo in alcune e rare circostanze), videocamere note ai Lavoratori (avendo il Datore di Lavoro impartito il necessario preavviso): sono tutte casistiche, queste, in cui si applica comunque la sanzione penale connessa alla violazione dell’art. 4 St. Lav., pure nell’edizione aggiornata dal Jobs Act (art. 23.1°comma D.lgs. 151/2016).
Lo ha chiarito, senza possibilità di equivoci, il Ministero del Lavoro, con Nota 11241/2016 (1/6), che ha ribadito, sulla scia della consolidata giurisprudenza, che la “condotta tipica” per il reato contravvenzionale de quo è costituita dalla “mera installazione” (anche senza attivazione) non autorizzata delle videocamere/impianti di videosorveglianza in ambienti di lavoro (Cass. 4331/2014).
La sanzione penale applicabile al caso di specie è confermata nell’ammenda da € 154 a € 1.549 o nell’arresto da 15 gg. ad 1 anno.
E’ applicabile, in questo caso, quale modalità estintiva del reato, la cd “prescrizione obbligatoria” ex. artt. 20-21 D.lgs. 758/1994. Ove, cioè, l’Ispettore riscontri l’installazione dell’impianto di videosorveglianza senza autorizzazione, dovrà intimare al Datore di Lavoro di rimuovere gli impianti di videosorveglianza, entro un termine congruo. Adempiuto questo step, l’Ispettore potrà ammettere il trasgressore al pagamento di una sanzione amministrativa pari al ¼ del massimo dell’ammenda (in questo caso, € 387,25 ca.).
Ove, in corso di ispezione, all’organo di vigilanza risulti un’installazione non autorizzata di videocamere, successivamente rimossa, l’organo di vigilanza ammetterà il Datore alla definizione amministrativa nella stessa modalità della prescrizione obbligatoria (artt. 20-21 D.lgs. 758/94) con pagamento del quarto del massimo di ammenda (cd “prescrizione ora per allora”).

lunedì 13 giugno 2016

LICENZIAMENTI DISCIPLINARI ILLEGITTIMI NEL PUBBLICO IMPIEGO, SI APPLICA IL VECCHIO ART. 18 ST. LAV.-BREVE COMMENTO

L’applicabilità dell’art. 18 l. 300/70 riformato (prima nel 2012 dalla l. 92/2012, poi nel 2015 dal D.lgs. 22/2015) è un tema lungamente dibattuto e che ha lasciato sulla sua strada aperti molti dubbi e controversie. Per un bilancio di queste controversie, si veda il lucido bilancio pubblicato dall’ARAN nel proprio sito web istituzionale al link: https://www.aranagenzia.it/araninforma/index.php/aprile-2013/166-attualita/608-attualita1).
Con sentenza 11868/2016, la Corte di Cassazione ha adottato una discussa decisione che dichiara applicabile, per la tutela del Pubblico Dipendente da licenziamenti (disciplinari) illegittimi, si applica la disposizione dell’art. 18 l. 300/70, nella versione antecedente alla riforma della l. 92/2012 (Monti-Fornero).
L’argomento della Cassazione nasce dalla constatazione che, pur essendo il TU del Pubblico Impiego, una norma adeguata al “lavoro privato” (in questo senso, si riporta l’importante esemplificazione dell’art. 51.2°comma D.lgs. 165/2001 che stabilisce: La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti), la mancata abrogazione dell’art. 18 “vecchia maniera” discendeva dal fatto che per il lavoro pubblico non era stato posto in essere il procedimento di adeguamento previsto dalla l. 92/2012 all’art. 1.7-8 comma:

7. Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo.

8. Al fine dell'applicazione del comma 7 il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

Questa conclusione vale senz’altro per i licenziamenti disposti nel settore Pubblico nel periodo di vigenza della legge 92/2012, ovvero nel periodo compreso tra il 18/7/2012 e il 6/3/2015.
La Cassazione, però, non chiarisce quale sia lo “stato dell’arte” nel periodo successivo al 7/3/2015, ovvero nel periodo successivo all’entrata in vigore del D.lgs. 23/2015 (contratti a tutele crescenti).
Per quest’ultimo caso, il problema sorge in considerazione del fatto che l’art. 1 D.lgs. 23/2015, nel definire il “campo di applicazione” del Decreto (Decreto come noto di riforma ulteriore dell’art. 18 St. Lav.) non opera alcuna discriminazione tra settore pubblico e settore privato. In questo caso, del resto, mancava una previsione di adeguamento al Pubblico Impiego quale era quella prevista all’art. 1.7°-8° comma l. 92/2012, né qualunque riferimento speciale al Pubblico Impiego. Si determinavano così problemi di adattamento e coordinamento normativo, tutt’altro che chiariti, destinati ad incrementare notevolmente la confusione e il contenzioso nel Pubblico Impiego.
Al momento, però, non si può escludere che alla conferma della “reintegra” per il Pubblico Impiego si possa arrivare, facendo leva sulla cd “tipicità” e “inderogabilità” della disciplina sul Pubblico Impiego: ogniqualvolta, cioè, il licenziamento disciplinare sia disposto in violazione delle formalità ex. art. 55bis D.lgs. 165/2001, il licenziamento si considera affetto da “nullità” per “violazione di norme imperative” ex. art. 1418.1°comma del Codice Civile, sicuramente passibile di reintegra piena, anche nel vigore delle nuove regole. La reintegra, in questo caso, si applica senz’altro, anche presupponendo il pieno vigore per il Pubblico Impiego del D.lgs. 23/2015, in quanto l’art. 2.1 D.lgs. cit. collega la reintegra piena ai “casi di nullità espressamente previsti dalla legge”: tra i quali rientra la stragrande maggioranza dei casi di invalidità del licenziamento nel Pubblico Impiego (in continuità con questo ragionamento, si veda parzialmente Cass. 24157/2015).
Ciò dovrebbe, comunque, rendere molto limitato e marginale l’impatto della riforma dei licenziamenti ex D.lgs. 23/2015 sul lavoro pubblico.

venerdì 10 giugno 2016

L'INSUBORDINAZIONE DEL LAVORATORE DIPENDENTE-CHE COS'E'?

E’ molto frequente trovare, nelle norme disciplinari dei CCNL, l’espressione “insubordinazione”, usualmente indicata come condotta suscettibile di licenziamento disciplinare.
Nella sentenza nr. 9635/2016, la Corte di Cassazione offre una definizione “classica” di “insubordinazione”, considerandola alla stregua della più grave violazione, da parte del Dipendente, ai doveri inerenti al proprio status di lavoratore dipendente, quale status caratterizzato da soggezione (gerarchica, funzionale). In concreto, l’ “insubordinazione” costituisce l’esatto contrario della citata “soggezione gerarchica”, ovvero il più grave sovvertimento dei doveri del lavoro dipendente.
Per rendercene conto, lasciamo parlare il testo della sentenza:
[L’insubordinazione] non può essere limitata al rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori, ma si estende a qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicarne l’esecuzione nel quadro dell'organizzazione aziendale (giurisprudenza consolidata fin da Cass. n. 5804 del 1987), deve rilevarsi che la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall'obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana di cui all'art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all'organizzazione aziendale, dal momento che l'efficienza di quest'ultima riposa in ultima analisi sull'autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi e tale autorevolezza non può non risentire un pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli.

Una autorevole ed esaustiva definizione che si offre ai Consulenti e Professionisti ex. l. 12/79, che potranno trarne spunto per implementare la prassi disciplinare a favore dei loro Clienti.

mercoledì 8 giugno 2016

LAVORO A CHIAMATA OLTRE LE 400 GIORNATE: CONTRATTI A RISCHIO DOPO IL 28/6/16-FLASH

Dal 28/6/13, è in vigore la regola (contenuta inizialmente nell’art. 34.2bis D.lgs. 276/03, poi confermata dal Jobs Act nell’art. 13 D.lgs. 81/2015) secondo cui il lavoro intermittente (anche detto “a chiamata”), nei casi ammessi dalla legge, non può essere esercitato oltre 400 giornate di lavoro effettivo entro il triennio solare.
Secondo quanto a suo tempo precisato dal Ministero del Lavoro, con Circolare 35/2013, il “triennio solare” di riferimento può essere calcolato (a ritroso) proprio a partire dal 28/6/13, data di entrata in vigore della disposizione; la prima “scadenza” utile è proprio il prossimo 28/6/16.
A partire da quella data, sui contratti di lavoro intermittente, dovrà essere condotto un attento monitoraggio, per verificare se, nel “triennio solare” 28/6/13-28/6/16, sono state superate le 400 giornate. Per Aziende e Consulenti, si profila un periodo di riflessione e di verifiche molto attente.

martedì 7 giugno 2016

CONTRIBUTO ASSISTENZA CONTRATTUALE IRRILEVANTE AI FINI DURC*

*ELABORAZIONE DEI CONTENUTI DELL’INTERPELLO MIN. LAV. 18/2016
Un’Azienda applica un CCNL (es. Commercio), ma, non essendo iscritta al Sindacato Datorile stipulante, non versa il cd “contributo di assistenza contrattuale” previsto nel medesimo CCNL (art. 40 CCNL Commercio).
Questa omissione non determina riflessi negativi ai fini del DURC: lo ha chiarito definitivamente il Ministero del Lavoro, con Interpello nr. 18/2016. Il Ministero del Lavoro ha chiarito che l’art. 1.1175°comma l. 296/2006 subordina sì il riconoscimento del DURC alle imprese che siano rispettose di “accordi collettivi nazionale e di secondo livello”, ma solo con riguardo “alla parte normativa ed economica”, non alla cd “parte obbligatoria” (ovvero alle norme prettamente sindacali).
E nella cd “parte obbligatoria” va certamente annoverato il cd “contributo di assistenza contrattuale” ex. art. 40 CCNL Commercio, richiesto “per assicurare l’efficienza delle Strutture sindacali e dei Datori di Lavoro”.
Il mancato versamento di tale contributo, pertanto, non ha alcuna rilevanza ai fini della non regolarità contributiva (DURC).
Pertanto, la fruizione dei benefici normativi e contributivi previsti dalle disposizioni di legge non può essere negata all’impresa non iscritta all’Associazione firmataria del CCNL che intende applicare, qualora la stessa non abbia provveduto al versamento del contributo di assistenza contrattuale.