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giovedì 28 febbraio 2013

LE CARENZE DEL TUTOR DELL'APPRENDISTA SECONDO LA CIRCOLARE 05/2013 DEL MINISTERO DEL LAVORO


Consideriamo il seguente passaggio della Circolare 05/2013 del Ministero del lavoro dedicato alle carenze del tutor nel contratto di apprendistato (par. 03).
 
3. Presenza del tutor o referente aziendale Appare opportuno chiarire l’ipotesi in cui il datore di lavoro, nonostante espresse previsioni del contratto collettivo, non individui o non disponga l’affiancamento di un tutor o referente aziendale all’apprendista.
Sul punto si premette che l’affiancamento della figura del referente aziendale accanto a quella del tutor rappresenta una “formalizzazione” di terminologie già adoperate dalla contrattazione collettiva (v. ad es. l’accordo fra Confcommercio FILCAMS-CGIL, FISASCATCISL e UILTUCS-UIL del 23 settembre 2009) senza che da ciò possano derivare conseguenze sul piano delle attività rimesse a tali soggetti.
La disciplina in materia è infatti demandata esclusivamente alla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 2, comma 1 lett. d), del D.Lgs. n. 167/2011, ferma restando la possibilità di prevedere analoghe disposizioni da parte delle Regioni in relazione al corretto adempimento degli obblighi formativi di loro competenza (ad es., per l’apprendistato professionalizzante, le 120 triennali di formazione “esterna”).
In linea di principio, pertanto, il tutor o referente aziendale comunque esso venga definito e in ragione della capacità di autodeterminazione delle parti sociali prevista dal Legislatore, deve essere in possesso esclusivamente dei requisiti individuati dalla contrattazione collettiva, essendo sostanzialmente abrogato il D.M. 28 febbraio 2000.
Allo stesso tutor le parti sociali possono inoltre assegnare compiti assolutamente diversificati, che vanno dall’insegnamento delle materie oggetto di formazione interna a quello della semplice “supervisione” circa il corretto svolgimento della formazione. Talvolta il tutor svolge pertanto delle funzioni esclusivamente di “controllo” della corretta effettuazione della formazione e/o di “raccordo” tra apprendista e soggetto formatore.
Ciò premesso non può certamente sostenersi che violazioni della disciplina in materia di “presenza di un tutore o referente aziendale” determinino automaticamente l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 per mancata formazione dell’apprendista.
In tali ipotesi occorre infatti evidenziare:
- in primo luogo se la formazione è stata comunque effettuata secondo “quantità”, contenuti e modalità previste dal contratto collettivo e
- in secondo luogo, quale sia il ruolo assegnato al tutor dallo stesso contratto. Cosicché, qualora il tutor svolga un ruolo esclusivamente di “controllo”, la sua assenza non potrà mai comportare una mancata formazione. In tal caso, pertanto, il personale ispettivo dovrà comunque esplicitare e documentare le carenze formative derivanti dall’assenza del tutor che si riverberano sul mancato raggiungimento degli obiettivi formativi.
Analoghe conclusioni possono aversi nell’ipotesi in cui il tutor individuato dal datore di lavoro sia privo dei requisiti richiesti dalla contrattazione collettiva.
Eventuali violazioni in materia saranno dunque sanzionabili esclusivamente ai sensi dell’art.7, comma 2, del D.Lgs. n. 167/2011, con sanzione amministrativa pecuniaria da € 100 a € 600 diffidabile ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004 (in caso di recidiva la sanzione varia da € 300 a € 1.500).
 
Sul punto, PIERLUIGI RAUSEI, nel pregevole contributo di analisi pubblicato per Diritto e Pratica del Lavoro nr. 08/2013, commenta il passaggio nei seguenti termini:
 
"Se al Tutor/Referente è assegnato solo un ruolo di supervisione e controllo, secondo la Circolare 05/2013, l'assenza del tutor/referente 'non potrà mai comportare una mancata formazione'. Mentre, a fronte di un ruolo più significativo del tutore/referente, gli Ispettori dovranno 'esplicitare e documentare le carenze formative derivanti dall'assenza di un tutor che si riverberano sul mancato raggiungimento degli obiettivi formativi.
Le violazioni in materia potranno essere sanzionabili "esclusivamente" in via amministrativa, con la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 07.02°comma D.lgs. 167/2011, il quale punisce ... anche il mancato rispetto dell'obbligo di garantire all'apprendista la presenza di un tutore o di un referente aziendale idoneo ad affiancarlo nel percorso lavorativo e formativo (art. 02.01°comma lettt. d) D.lgs. 167/2011).
Il Testo Unico riconosce il valore assoluto della individuazione e dell'effettiva presenza di un soggetto appositamente designato ad assistere l'apprendista durante l'intero rapporto di lavoro.
La sanzione scatta, dunque, anche alla luce dei chiarimenti ministeriali, sia nel caso in cui il tutore o il referente aziendale non sia stato individuato, sia quando lo stesso non sia in possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi indicati dal contratto collettivo, sia allorchè il tutore o il referente non abbia svolto effettivamente le funzioni alle quali risulta preposto in base alle previsioni normative del contratto collettivo".
 
Per dovere di cronaca, precisiamo che la sanzione applicabile al caso è quella stabilita all'art. 07.02°comma D.lgs. 167/2011 nella misura da € 100 a € 600, che, ridotta ex. art. 16 l. 689/1981, è pari a 200 (1/3 del massimo). E' applicabile anche la diffida ex. art. 13 D.lgs. 124/2004.
 
Il sopracitato orientamento ministeriale va connesso altresì con la copiosa giurisprudenza (perfettamente consolidatasi in sede di Magistratura di legittimità) secondo cui le carenze nella formazione si lasciano apprezzare vuoi sul versante della nullità per difetto di causa (Cass. 8250/2002), vuoi sul versante dell'illiceità/frode alla legge (Cass. 6787/2002).
Ciò posto, appare realistico concludere che eventuali difetti/carenze nel tutor arricchiscono tutto questo complesso di congegni applicativi nei modi che qui di seguito si enucleeranno.
In primo luogo, par di capire che, nell'economia complessiva del TU apprendistato e della Circolare Min. Lav. 05/2013, la principale risultanza che "fa prova" dell'assenza di causa dell'apprendistato (e, quindi, della sua nullità) è l'assenza della formazione, sicuramente al di sotto delle soglie percentuali minime ivi stabilite, con marginale e solo secondario rilievo alle carenze del tutor. Della serie, se non è indispensabile per la formazione dell'apprendista, che il tutor si renda parte attiva (potendo, ad esempio, la formazione svolgersi "in affiancamento"), eventuali carenze del tutor possono rilevare ai fini delle sanzioni amministrative "formali" ex. art. 07.02° comma TU, ma non per la più grave sanzione ex. art. 07.01°comma e per l'invalidità del rapporto per difetto di causa.
Una chiara indicazione di policy, questa, con la quale il Ministero cerca di valorizzare la sostanza rispetto alla forma, nel chiaro intento di favorire la conservazione e la stabilità dei rapporti di apprendistato.
Detto questo, però, non possiamo fare a meno di notare come la Circolare tenda a prendere un pò "sotto-gamba" la figura del tutor.
D'accordo, egli è un Notaio, una figura burocratica e abbastanza grigia il più delle volte, chiamato, per lo più, a movimentare "scartoffie", ma come negare che la sua firma e la sua attestazione sulla formazione dell'apprendista possieda un'importantissima e insostituibile valenza di convalida della genuinità della formazione e dell'apprendistato? Quindi, se è vero che dal punto di vista dell'astratta contrattualistica formativa, la presenza del tutor è di importanza secondaria, dal punto di vista della "prova" del processo formativo, la sua presenza è di primaria importanza: se vi par poco ...
 
Studio Landi Francesco
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LIBRETTO FORMATIVO APPRENDISTA-INDICAZIONI PER LA COMPILAZIONE (UN'IPOTESI "FAI DA TE")


Al cd "libretto formativo dell'apprendista" noi dedicammo un post molto sintetico, che ora riacquista attualità, in considerazione delle particolari disposizioni fornite dal Ministero del Lavoro con Circolare 05/2013.
La parte della Circolare relativa alla documentazione della formazione dell'apprendista è tra le più complesse e controverse, atteso che la medesima disposizione ministeriale è caduta per così dire "a cavallo" della promulgazione del D.lgs. sulla "formazione" in attuazione di una delle deleghe della l. 92/2012.
Molto problematico è il punto dove la Circolare, a beneficio del personale ispettivo, rinvia alla nozione di "apprendimento formale" ex. art. 04.52°comma l. 92/2012  e del dm 26/06/2012. Senza poter ora entrare nel merito di approfondimenti specifici (per i quali si rimanda ai realistici e efficaci rilievi sollevati da TIRABOSCHI-CARMINATI inGuida al Lavoro nr. 06/2013), è abbastanza certo che questa nozione, in quanto riconducibile ad una fattispecie di "apprendimento intenzionale" (e cosa c'è di più "intenzionale" di un contratto e per di più, di apprendistato?), ossia "effettivo", è utilizzata dal Ministero come canovaccio per le valutazioni del personale ispettivo, come si capisce dai seguenti passaggi della Circolare: "il personale ispettivo deve considerare la quantità, i contenuti e le modalità della formazione formale individuata come tale dalla contrattazione collettiva e declinata nel Piano Formativo Individuale, provvedendo sia a verificare la documentazione che certifica la formazione svolta, sia ad acquisire le dichiarazioni del lavoratore interessato e di altri soggetti in grado di confermare l'effettività della formazione".
In questi termini, l'utilità dell'ipotesi di "libretto formativo" per quanto artigianalmente da Noi indicata acquisce certamente un'utilità e importanza.
La sua redazione, però, comporta alcune specifiche di adattamento delle disposizioni di CCNL riferite alle "competenze" e ai "profili formativi".
Nell'impossibilità di compendiare un discorso completo, e al solo scopo di indicare un metodo e un cannovaccio di lavoro, tratteremo esemplificativamente un caso di "certificazione delle competenze" di un'Addetta di Amministrazione (Contabile, Segretaria d'Ordine di call center, CCNL Telecomunicazioni), limitandoci alle "competenze specifiche", quelle inerenti alla mansione specifica (lasciando stare le "competenze di base", "trasversali" etc. che potranno essere definite anche d'intesa con la Regione e/o con gli Enti Bilaterali).
Ora, il CCNL Telecomunicazioni (Allegato "profili formativi") ricalca il percorso formativo "tarandolo" su un classico percorso di "formazione interna": ciò che interessa al CCNL, cioè, non è l'aderenza del percorso formativo dell'apprendista ad un piano formativo analiticamente e astrattamente definito, quanto indicare alcune linee di sviluppo "di massima" da svilupparsi, però, in rapporto alle mansioni e alle qualifiche concretamente spese in Azienda, in corrispondenza della declaratoria professionale di CCNL.
Ad esempio, l'Area C "Impiego Amministrativo" e il fascio di competenze lì descritte vanno intese come "norme generali" che pongono in capo all'Azienda uno specifico "vincolo di risultato": far conseguire all'apprendista le competenze che il CCNL presuppone in un Impiegato Amministrativo. Sul come, il quando, l'Azienda dispone di un certo margine, purchè l'attività formativa sviluppata sia coerente con il "risultato formativo" richiesto dal CCNL (e compendiato nel PFI come specifico "impegno formativo" dell'Azienda nei confronti dell'apprendista).
Per darVi un'idea del "metodo di lavoro" che il CCNL impone alle Aziende, Vi prospetteremo un commento dettagliato delle singole voci sulle "competenze specifiche dell'apprendista" Area C-Impiegata Amministrativa.
Iniziamo con ordine.
 
"Conoscere e utilizzare gli strumenti informativi e i principali software applicativi, in particolare per le operazioni di calcolo ed Editing".
 
Come ognuno può rendersi agevolmente conto, si tratta di una norma molto ampia, forse troppo. E' chiaro che non è sufficiente che l'Azienda riporti piattamente questa frase e pretendere di aver pienamente assolto gli oneri di documentazione del processo formativo contrattualmente dovuti. In sede di certificazione della formazione svolta, l'Azienda dovrà fare un'operazione di questo tipo: dare conto dei software e degli applicativi concretamente utilizzati in Azienda per le attività di cui al CCNL (prendendo anche a riferimento, se c'è, le attività di personale in Azienda con qualifica corrispondente) e documentare (in forma evidentemente sintetica) che gli stessi software aziendali sono stati messi a disposizione e "imparati" dall'apprendista.
 
"Utilizzare, organizzare, gestire un archivio" ....
 
Dizione quantomai ampia che l'Azienda deve compendiare dando conto di aver adeguato la formazione dell'apprendista all'archiviazione aziendale in atto. Evidentemente, ai fini della documentazione delle competenze, si dovrà dare una descrizione sommaria della prassi di archiviazione in atto presso l'Azienda e attestare che queste (non altri) sistemi di archiviazione sono stati oggetto di istruzione a favore dell'apprendista.
 
"Avere un'adeguata conoscenza delle normative e procedure da applicare in materia di contabilità e/o sistemi di pagamento e/o contrattualistica".
 
Quali procedure di contabilizzazione e quale contrattualistica ha in atto l'Azienda? E' evidente che è d'uopo procedere ad una breve descrizione e specificare che le stesse procedure (usualmente appannaggio di un'Impiegato Amministrativo) sono state apprese dall'apprendista.
 
"Operare in ambito di sistemi cd IN TEMPO REALE e cioè, con apparecchiature operanti in collegamento diretto con l'elaboratore centrale".
 
L'estremo tecnicismo della formula ci mette a disagio, ma è evidente che il CCNL codifica questo aspetto come "normale" per un Impiegato Amministrativo del settore Telecomunicazioni; evidentemente, occorrerà dar conto non solo dei processi aziendali concretamente spesi da Mediatel Srl e sovrapponibili con questa espressione contrattuale, ma anche chiarire che questi stessi processi sono stati fatto oggetto di insegnamento e di apprendimento da parte dell'apprendista.
 
"Acquisire le conoscenze ed operare nell'ambito di sistemi gestionali integrati".
 
La dizione, oltre ad essere ultra-tecnica, è anche molto ampia e implica per l'Azienda un'onere di individuare i processi aziendali riferibili in generale all'attività di un Impiegato Amministrativo e fatti oggetto di insegnamento/apprendimento in capo all'apprendista.

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ENTRO IL 28/02 IL CUD TELEMATICO INPS


Entro il 28/02 l'INPS renderà disponibile il CUD e il Modello ObisM ai pensionati tramite il sito Internet e chi ha una casella di posta elettronica certificata lo riceverà anche via mail.
In questo modo, l'istituto di previdenza assolve a quanto stabilito dal comma 114 dell'art. 01 della legge di stabilità (l. 228/2012) in base al quale, da quest'anno, la certificazione deve essere resa disponibile in modalità telematica.
Tuttavia, come indicato nella Circolare 32/2013, "nell'interesse di quel significativo segmento di utenza che non possiede le dotazioni e le competenze per la piena fruizione dei servizi online, sono state messe a punto delle soluzioni alternative per ottenere il CUD in forma cartacea.
Praticamente alla vigilia della scadenza, fissata per la fine del mese, l'INPS ha fornito le indicazioni attese dai Pensionati.
Per accedere al sito web, oltre ad avere la possibilità di accedere ad un computer connesso a Internet, è necessario avere il Codice di identificazione personale, il PIN, una sequenza di 16 caratteri che, qualora non già in possesso, si può richiedere all'Istituto.
Tuttavia, sempre in base alla legge di stabilità, i cittadini hanno la facoltà di richiedere il CUD in versione cartacea.
Si tratta di una parte non indifferente del bacino di Utenza dell'INPS, dato che solo il 30.4% degli italiani 60-64enni, ha usato Internet l'anno scorso, percentuale che cala drasticamente con l'aumento dell'età.
Le soluzioni alternative indicate dall'Istituto sono sette.
Innanzitutto, la spedizione (classica) per posta tradizionale a seguito di richiesta tramite telefonata al Contact Center"nei casi di dichiarata impossibilità di accedere alla certificazione, direttamente o delegando altro soggetto mediante altre opzioni".
Quindi, per l'INPS questo dovrebbe costituire un canale residuale.
I pensionati, infatti, possono rivolgersi agli sportelli con personale delle agenzie presenti sul territorio, o utilizzare quelli automatici (ma solo se si ha il PIN) situati in tali sedi.
Si potrà anche ottenere la certificazione tramite i Centri di Assistenza Fiscale (CAF).
A disposizione ci sono pure i 5.741 uffici postali aderenti al progetto Reti Amiche, che stamperanno il modello a fronte di un costo per il pensionato di € 3.27 (€ 2.70+IVA). Chi ha oltre ottantacinque anni, ed è titolare di un'indennità di accompagnamento, speciale, o di comunicazione, può contattare il servizio "Sportello mobile".
Infine, chi non ha già attivato una casella di posta elettronica certificata o non ha comunicato il relativo indirizzo all'INPS, può farlo d'ora in poi scrivendo a richiestaCUD@postacert.inps.gov.it, e riceverà il documento per via telematica.
Come sottolinea l'Istituto, la casella di posta elettronica certificata si ottiene gratuitamente tramite il serviziohttps://www.postacertificata.gov.it.
Si può usare la casella di un'altra persona: il CUD, infatti, può essere rilasciato anche a persona diversa dal titolare, purchè in possesso di delega e documento di identità personale. Nel caso di richiesta non telematica, serve anche la fotocopia del documento del pensionato.
Poichè l'INPS ha fornito le indicazioni qualche giorno fa, solo chi è già in possesso del PIN o di una casella di posta elettronica certificata avrà il CUD entro fine mese.
Gli altri, se faranno domanda, dovranno attendere la spedizione; oppure andare all'INPS per ... "fare la coda"

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mercoledì 27 febbraio 2013

DETASSAZIONE E PREMI DI PRODUTTIVITA' PREGRESSI


Quesito:
Buon giorno, mi chiamo PP e sono un bancario con qualifica abbastanza elevata.
Vorrei capire se con il nuovo Decreto posso continuare a fruire della detassazione per i premi di risultato che sono in vigore presso l'Azienda da tempo risalente e applicati in modo consolidato.
Grazie.

Risposta:
Allo stato attuale, e per quanto ci è dato conoscere, la risposta pare affermativa.
L'art. 01 si riferisce, infatti, agli "accordi vigenti" e quindi teoricamente anche a quelli in atto nel settore bancario al momento in cui entrerà in vigore il Dpcm. Inoltre, la strutturazione delle voci basata su indicatori matematici molto rigorosi pare perfettamente sovrapponibile ai requisiti che le nuove "voci di produttività" devono possedere, ai sensi dell'art. 02 del Dpcm, per fruire della detassazione.
Buona giornata

Francesco Landi- Consulente del Lavoro in Ferrara


DETASSAZIONE 2013, COME FUNZIONA


Quesito:
Sono un Consulente del Lavoro, richiesto di un quesito da parte di un'Azienda Cliente, attinente alla gestione della stagione della "detassazione produttività 2013".
La mia Cliente ha, infatti, aveva stipulato un'intesa sindacale secondo i criteri offerti nel 2011, a seguito del DL 78/2010 ed aveva provveduto a far recepire, in quell'intesa, le voci di straordinario, notturno, ferie, ROL, non goduti, chiedendomi se questa intesa dovesse considerarsi decaduta.
In via subordinata, ho prospettato alla Cliente la possibilità che, ai sensi del Dpcm 22/01/2013, in via di pubblicazione, il pregresso accordo possa ritenersi "confermato" previa esibizione dello stesso alla DPL competente (non appena la procedura sarà disponibile), la quale, in questa prospettiva, potrebbe valere come "ratifica" per l'annualità 2013 dell'accordo, anche in riferimento alle mensilità di gennaio-febbraio 2013.
E' un'ipotesi percorribile?

Risposta:
Il Dpcm 22/01/2013 subordina l'applicazione della detassazione del 10% alla duplice circostanza: a) Che in Azienda sia stipulato/vigente un "accordo di secondo livello" (anche con Sindacati territoriali) per la gestione delle voci di produttività; b) Che le voci di produttività dispongano dei requisiti di cui all'art. 02 Dpcm con un calco molto stretto: tali, infatti, possono considerarsi solo quelle contenenti "indicatori quantitativi" di efficienza/qualità etc. Con questo, il Dpcm (è bene chiarirlo) compie un "balzo in avanti" rispetto all'impianto del DL 78/2010: mentre questo si era limitato a richiedere che le voci di produttività fossero contenute in una determinata fonte (l'accordo di "secondo livello"), ma lasciando, però, un margine di totale libertà (al limite dell'arbitrio) circa l'individuazione delle voci "detassabili", il Dpcm, oltre ad arricchire la procedura di formazione degli accordi (es. il deposito presso la DPL, prima non previsto, ma omologo alla previsione ex. l. 244/2007), ritaglia in modo molto dettagliato la tipologia di voci detassabili, riferendole a "indicatori quantitativi" di efficienza etc. o, in alternativa, disciplina flessibile in materia di adattamento tecnologico, disciplina oraria, mansioni, ferie (con almeno 03 delle quattro aree di intervento definite nel Dpcm).
Ora, è evidente che gli accordi già assunti non decadono di per sè: diversamente, infatti, non si spiegherebbe l'art. 01 Dpcm che definisce gli accordi "vigenti"! E questa conclusione è del resto compatibile e coerente con elementari canoni di "conservazione" degli atti giuridici (art. 1367 Codice Civile).
Con ciò, però, il Dpcm è molto pignolo nel richiedere che le disposizioni di produttività siano individuate in un determinato modo.
Venendo al Suo caso, ci pare di poter prevedere che l'accordo aziendale possa "tenere" in relazione a notturno e straordinari (voci quantificabili con indici quantitativi variabili), ma non per le indennità sostitutive di ferie e ROL non goduti, che di per sè sono voci fisse, salvo che il ROL sia inserito in un'eventuale "banca ore", ossia in un sistema di flessibilizzazione dell'orario (ma il punto lo deve verificare Lei, per l'impossibilità dello Scrivente di attingere a questo dettaglio).
A questo riguardo, appare inconferente la circostanza che l'intesa sia depositata presso la DPL, in quanto tale deposito assume un'efficacia meramente notiziale per l'organo ministeriale (funzionale a statistiche-monitoraggio ex. art. 03 dell'intesa) e non pare possibile dedurne alcuna efficacia "costitutiva", neanche a titolo di "ratifica" come da Lei delineato.
Ringraziando per l'attenzione, cordialmente salutiamo.

Francesco Landi- Consulente del Lavoro in Ferrara

martedì 26 febbraio 2013

COME INQUADRARE IL "TUTTOFARE" DI CASA


Quesito:
Ho bisogno di una consulenza: sono un Ex Operaio disoccupato da due anni ed ho lavorato presso una famiglia come voucherista inizialmente con ruolo di colf e successivamente mi è stata fatta la proposta di un’assunzione come "tuttofare": idraulico, giardiniere, muratore, ... a seconda delle esigenze del momento. Secondo Voi quel'è il contratto collettivo applicabile? Quello delle colf o qualche altro? E come sarei inquadrato?

Risposta:
Il contratto collettivo applicabile è quello Domestici in atto del 16 febbraio 2007.
Lei dice che il Collaboratore è tuttofare … Mantenendosi le mansioni nella “genericità”, l’inquadramento più verosimile e prudente appare il Livello B “Collaboratore generico polifunzionale” a € 5.52 l’ora ca. 
Questo se le mansioni esercitate sono effettivamente "semplici", ossia ripetitive ed esecutive e non richiedono spendita di compiti più complessi e specialistici, per cui occorre una valutazione specifica e diversa. In questo caso, sempre restando nell'ambito del Livello B, Lei dovrebbe essere inquadrato come Operaio Qualificato, con connessi adeguamenti INAIL per il maggiore ed oggettivo rischio della mansione
Quanto alla contribuzione INPS, Le evidenzio il seguente prospetto per individuare le aliquote, legato alle ore effettive di lavoro e allo scaglione di retribuzione oraria:

Periodo dal 01 gennaio 2012
Lavoratori domestici

                Retribuz.   Contributo  Contributo  Contributo  Retribuz.
                oraria      orario      orario      orario      oraria
                effettiva   comprensa   esclusa     dipendente  convenz.
                            CUAF        CUAF

Prestazioni     Da     0
fino a 24       a   7,54    1,40        1,41        0,34        6,68
ore
settimanali     Da  7,54
                a   9,19    1,58        1,59        0,38        7,54

                Da  9,19
                a      -    1,93        1,94        0,46        9,19

Prestazioni     Da     -
superiori a     a      -    1,02        1,02        0,24        4,85
24 ore
settimanali



Dr. Giorgio Frabetti 
Collaboratore Studio Francesco Landi di Ferrara, Consulente del Lavoro




LA COCOCO INVISIBILE: STORIA DI UN AVVOCATO (DA "LA NUVOLA DEL LAVORO")

AVVERTENZA: Pubblichiamo la lettera aperta di un Avvocato giuslavorista che sul Blog La Nuvola del Lavoro denuncia la paradossale situazione sua e di tanti altri colleghi che versano nell'ibrido regime della cococo "professionale". Vai al link: http://nuvola.corriere.it/2013/02/17/lettera-alla-nuvola-io-avvocato-invisibile-del-diritto-del-lavoro/


Io sono un apolide, un “invisibile” dell’ordinamento giuslavorista. Sono un collaboratore coordinato e continuativo, un co co co. Per me, non si applica nessuna norma dell’ordinamento giuslavorista perché non esiste nessuna norma. Tenuto conto che mi occupo di diritto del lavoro la cosa è alquanto paradossale.
“Ma come-qualcuno potrà replicarmi- hai tutte le tutele previste dalla riforma Fornero che restringe l’uso di questi contratti prevedendo regole ben precise; violate queste regole, per la riforma Fornero (ma lo diceva anche la legge Biagi) si presume la subordinazione e quindi l’applicazione di tutte le norme del diritto del lavoro,anche dei contratti collettivi.”
Preciso: io sono un co co co iscritto a un albo professionale quindi tutte le regole previste dalla riforma Fornero a me non si applicano. La Riforma esplicitamente mi esclude da tali regole ma non mi dice quali regole debbano applicarsi alle persone come me.
Non certo le regole del rapporto subordinato (sono un lavoratrice che svolge il lavoro in autonomia e non sono sottoposta a direttive o a procedimenti disciplinari) e non quelle del contratto d’opera disciplinato dal vecchio codice civile del 1942 perché la mia non è un’ “opera” ma una prestazione continuativa e coordinata a quella degli altri collaboratori del committente dal quale, ed è questo il punto dolens, si dipende economicamente.
La Riforma Fornero ha ammesso che esistiamo (bè è già qualcosa),ma come si regola il nostro rapporto lavorativo non si sa.  Non essendoci regole, il committente non è tenuto a sottoscrivere con le persone come me un contratto scritto (e di fatti nella stragrande maggioranza dei casi la collaborazione ha forma orale), può sbarazzarsi del collaboratore se vuole e quando vuole.
Conosco colleghi che hanno subìto la fine della collaborazione solo perché si sono sposati o peggio ancora colleghe invitate a starsene a casa nel momento in cui era giunta la notizia della loro gravidanza. O anche colleghi che hanno visto interrompere la collaborazione per il solo “capriccio” del committente.
In barba alle norme che tutelano le donne in gravidanza o puniscono il licenziamento ritorsivo o capriccioso o discriminatorio. Sono norme inapplicabili ai co co co iscritti a un albo professionale. Ho dovuto convincere un ragazzo brillante a non seguire la strada del lavoro autonomo coordinato e continuativo ma ad accettare il rapporto di lavoro di apprendistato che gli veniva offerto spiegandogli l’horror vacui dell’ordinamento a riguardo. L’apprendistato lo tutela, il praticantato no.
Quando ne parlo con il mio committente “illuminato” e dichiaratamente di sinistra, lui mi assicura che quando mi sposerò mi darà il congedo matrimoniale come i dipendenti e tutte le tutele in caso di gravidanza. Lo ringrazio di questo ma non mi basta una assicurazione ad personam di un gentiluomo quando credo nello Stato di diritto.
D’altro canto, il mio committente “illuminato” mi ha chiesto di conoscere le norme che regolano il nostro rapporto lavorativo e io gli ho assicurato che gli avrei mandato un file con le norme di riferimento. Gliel’ho mandato. Vuoto. Spero solo che non pensi che io non sappia cercare le norme….
Trovo assurdo che non vi sia uno straccio di normativa, una minima regola di civiltà per noi che ci paghiamo da soli la nostra pensione, che non abbiamo diritto ad ASPI e CIGS che insomma non siamo un peso per la collettività. Tra le proposte dei partiti in campagna elettorale sul tema del lavoro ovviamente si parla solo dei lavoratori dipendenti. Noi continuiamo a non esistere.
Ovviamente perchè molti candidati si avvalgono della collaborazione di lavoratori come me e quindi sarebbe “tafazziano” pensare di regolamentare questo rapporto lavorativo.  Tiziano Treu si era mostrato attento a questa realtà lavorativa ma ha scelto di uscire dalla politica e nessun altro dimostra di avere la stessa attenzione di Treu sul tema del lavoro autonomo continuativo.
Lo Statuto dei Lavori avrebbe potuto tener conto di questa realtà lavorativa. Era questo il pensiero di Marco Biagi che ho seguito facendolo mio. Nella scorsa campagna elettorale, Maurizio Sacconi lo aveva promesso lo Statuto dei Lavori e ritorna a farlo ancora oggi. Ma forse il tempo è ormai scaduto e la promessa appare poco credibile.
(Dedicato a mia madre Lucia che avrebbe voluto essere una lavoratrice come me).
COMMENTO:
Nella sua originaria formulazione, l'art. 61 D.lgs. 276/2003 era concepito per inglobare nella nuova "collaborazione a progetto" tutte le prestazioni fuori campo IVA e, in questo senso, trova giustificazione la ragione dell'esclusione dei "Professionisti" iscritti ad Albi ed Ordini Professionali. Inoltre, considerazioni previdenziali stavano alla base di questa esclusione: per questi Professionisti, del resto, non si sarebbe posto a rigore un problema di "vuoto" di tutela come per tutti i cococo, avendo ciascuno la propria Cassa di Riferimento. 
Il problema si ripropone oggi non solo a seguito dell'entrata in vigore della l. 92/2012 Monti-Fornero (sulle cd "finte Partite IVA" che mostra la tendenza ad un ampliamento del raggio di interesse della "para-subordinazione" anche al campo IVA, con ciò innovando l'impostazione originaria del D.lgs. 276/2003), ma anche a seguito della l. 247/2012, che ha consentito la formazione di "rapporti di collaborazione coordinata e continuativa" per i Collaboratori Avvocati (confermando così lo sfavore per il lavoro dipendente tra Avvocati, come non consono all'indipendenza della Professione) e che include ai fini dell'iscrizione alla Cassa Forense anche i Collaboratori Avvocati, finora iscritti alla Gestione Separata INPS. Questa situazione, infatti, è stata radicalmente impedita dall'art. 18.08°comma della riforma forense, il quale determina l'automatica iscrizione alla Cassa Forense di tutti gli Avvocati iscritti all'Ordine (quindi anche i cococo), con formale divieto (art. 10.comma 10) di iscrizione ad altra Cassa che non sia su base volontaria e comunque non alternativa alla Cassa Forense. Dall'attuale legge di riforma, parrebbe dedursi la chiara preclusione all'iscrizione alla Gestione Separata INPS, i cui requisiti di iscrizione ex. art. 02.26°comma l. 335/1995 non paiono proprio coincidere con tali connotati.  
Il quadro di tutele per l'Avvocato è allora quello desumibile dalla Pagina web della Cassa Forense, cui si rinvia: http://www.cassaforense.it/Cassafor/Documentazione/GuidaPrevidenziale/guidaprevidenziale_pg.cfm?pag=07

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IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA DELL'APPRENDISTA: MARGINI E CAUTELE


Quesito:
Salve,volevo porre una domanda. In caso di licenziamento di un'apprendista per giusta causa prima del termine,per quanto riguarda il piano formativo, cosa bisogna fare?

Risposta:
Ora, il licenziamento dell'apprendista per giusta causa è consentito, come confermato dalla stessa Corte Costituzionale con sentenza nr. 169/1973. Nessun problema che l'apprendista possa subire la procedura disciplinare ex. art. 07 l. 300/1970 usualmente connessa con questa tipologia formativa. La sanzione va però modulata in base alla caratteristica "proporzionalità", che deve tener conto (come insegna la giurisprudenza Cass. 2013/2012) della circostanza che l'Azienda abbia in qualche modo già richiamato l'apprendista e non abbia tollerato le sue violazioni. In Secondo luogo, la "proporzionalità" ex. art. 07, dopo l'uscita della Circolare 05/2013 del Ministero del Lavoro, impone all'Azienda di valutare se e come l'interruzione dell'apprendistato "sbilanci" il rapporto ore-formazione. Chè come noto, il Ministero ha previsto alcuni scaglioni: sotto una soglia minima, la formazione può dirsi sostanzialmente "inesistente", sotto un'altra soglia, il Ministero può esigerne dall'Azienda l'integrazione a titolo di "disposizione". E' evidente che in caso di licenziamento per giusta causa l'Azienda dovrà essere in grado di dimostrare che i fatti addotti come "giusta causa" sono preclusivi ad un'ipotesi di ragionevole prosecuzione della formazione e dovranno essere motivati nell'atto di licenziamento. La procedura cioè deve essere coerente perchè se l'apprendista crea danni, ma è adibito a macchine etc. senza che l'Azienda lo abbia istruito, lì la colpa non è dell'apprendista, ma dell'Azienda ... Io consiglio (e nello Studio Francesco Landi presso cui lavoro lo abbiamo fatto) di inserire o nel PFI o nel Codice Disciplinare Aziendale una norma specifica nel senso di richiamare l'Azienda ad adeguare l'applicazione della sanzione disciplinare solo in presenza di COLPA GRAVE dell'apprendista e per atti, mansioni di ordine "fiduciario" o inerenti a competenze di base o comunque documentate che possono considerarsi esigibili da parte dell'Azienda vs l'apprendista. Ti quoto anche un mio link dedicato all'argomento: http://costidellavoro.blogspot.it/search?

Dr. Giorgio Frabetti 
Collaboratore Studio Francesco Landi di Ferrara, Consulente del Lavoro

giovedì 21 febbraio 2013

LE COCOPRO NEL SETTORE ASSISTENZIALE DOPO LA CIRCOLARE MIN LAV 07 2013


La Circolare 07/2013 del Ministero del Lavoro torna sulla vexata quaestio delle cocopro nel settore Socio-Assistenziale, esprimendo un orientamento che consolida quanto già detto con l'Interpello 05/2010 che codifica i seguenti criteri (per altro molto restrittivi e di rara verificazione) per validare la legittimità di queste cococo:
- La prestazione assistenziale è resa al domicilio del soggetto assistito, ovvero presso strutture ospedaliere, in assenza di superiori;
- Al collaboratore è riconosciuta ampia autonomia tecnica e metodologica;
- Il Committente si limita ad impartire direttive minime al Collaboratore;
- Al collaboratore è riconosciuta la facoltà di non accettare singoli interventi di assistenza proposti dal Committente nell'ambito del rapporto contrattuale;
-Gli operatori sono agenzie, costituite in forma di Cooperative Sociale, aventi per Statuto la prestazione di assistenza ai bisognosi.
La Circolare per altro indica al personale ispettivo di accertare il regime di determinazione oraria della prestazione: indicazione, per altro, che nella stragrande dei casi può non verificarsi, ove la collaborazione a domicilio sia fornita da una Cooperativa che abbia stipulato con la famiglia una specie di "appalto di servizi" con impegno a distaccare il Collaboratore in certi orari etc.
Evidentemente, per queste complessità, per predisporre la contrattualistica "a progetto" per queste tipologie di mansioni, occorrerà aver acquisito preventivamente il parere favorevole della Commissione di Certificazione costituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro.
Per queste collaborazioni, lo Scrivente indirizzerà i Clienti verso altre contrattualistiche: lavoro domestico subordinato, ove possibile, ovvero lavoro accessorio voucher.

Studio Francesco Landi
Consulente del Lavoro, Ferrara

IL TUTOR NELL'APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE: IL ROMPICAPO DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE

La figura del tutor costituisce tuttora una figura di grande rilievo nella gestione della contrattualistica, specie per i percorsi formativi "in affiancamento" (anche se va detto che, in generale, il tutor è una specie di "sorvegliante", di Notaio rispetto al processo formativo dell'apprendista).
Come gestire le anomalie amministrative eventualmente riscontrate in sede ispettiva con riguardo alla figura del tutor?
Al riguardo, il sistema sanzionatorio appare notevolmente articolato: certamente per consentire al massimo livello la conservazione del rapporto, ma che generano incertezze applicative molto rilevanti. Il punto non risulta chiarito dalla Circolare Min. Lav. 05/2013 e merita, pertanto, specifiche considerazioni.
Di massima, il sistema pare articolato in "infrazioni lievi" e "infrazioni gravi": le prime danno semplicemente luogo all'applicazione di sanzioni amministrative, previa applicazione del cd "potere di disposizione" ex. art. 07.02°comma D.lgs. 167/2011; le seconde danno luogo all'applicazione della più grave sanzione contributiva INPS della differenza contributiva, maggiorata del 100%.
Possono definirsi allo stato "lievi" quelle infrazioni che rientrano in "inadempimenti" sanabili vuoi con l'ordinaria diffida ex. art. 13 D.lgs. 124/2004, vuoi con la "disposizione amministrativa" ex. art. 14. Es. può considerarsi sanabile anche con diffida la situazione del tutor che, pur privo di requisiti, sia sostituibile da altro personale in Azienda dotato dei necessari "titoli".
Più complesso, invece, appare la definizione della "gravità" dell'inadempimento, che, come da disposizione di legge attuale (che ricalca, del resto, quella ex. art. 53.04°comma D.lgs. 276/2003), appare ricalcato su una falsariga di "dolo" o "colpa grave", tale cioè da implicare una più complessa e difficile qualificazione di illiceità della condotta datorile. 
Un primo indizio ce lo offre comunque la Circolare Min. Lav. 05/2013, quando codifica le "soglie percentuali" di ore formative. Sotto una determinata soglia come noto il Personale Ispettivo non può applicare la "disposizione amministrativa"  ma procedere immediatamente al disconoscimento dell'apprendistato. Pochi dubbi sembrano residuare sulla circostanza che, in tali casi, il personale ispettivo sia di fatto obbligato ad applicare la sanzione contributiva ex. art. 07.01°comma, avendo il Ministero codificato un caso abbastanza emblematico e conclamato di "inesistenza" della formazione, sicuramente imputabile al Datore di Lavoro.
Negli altri casi, occorrerà procedere con prudenza e probabilmente "a gradi" e progressivamente.
Ad esempio, può aversi il caso del Datore che non abbia voluto nominare il tutor. Se, in questo caso, l'Ispezione interviene a breve distanza dalla stipula del rapporto, e, previa diffida ispettiva, il Datore abbia proceduto a nominare il tutor e investirlo regolarmente delle sue funzioni, lì non si applicherà alcuna sanzione, solo quella amministrativa "lieve". Viceversa, se il Datore si ostina nella violazione o viene sorpreso reiteratamente nella stessa violazione, allora il Personale Ispettivo può disconoscere l'apprendistato e applicare la sanzione contributiva per "mancata erogazione imputabile della formazione".

Dr. Giorgio Frabetti
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro in Ferrara

LAVORO A CHIAMATA NEI PERIODI PREDETERMINATI


Quesito:
Buona sera, sono un Imprenditore laureato in legge che si diletta nell'approfondimento giuridico dei temi di interesse della propria Azienda e desidero confrontarmi con Lei su un tema abbastanza discusso in dottrina.
Ho letto alcuni articoli di dottrina e di giornale che ammettono la perdurante possibilità di stipula di rapporti di lavoro a chiamata per "periodi predeterimati", a prescindere dalle previsioni dei contratti collettivi e della decretazione ministeriale sostitutiva ex. art. 40 D.lgs. 276/2003. In sostanza, Datore di Lavoro e Lavoratore possono mettersi direttamente d'accordo con il Lavoratore per svolgere questa tipologia di lavori!
Viene a questo riguardo argomentato che: -l'art. 34 D.lgs. 276/2003 nella nuova versione modificata dalla legge Monti-Fornero ha dettato nominato la possibilità di una contrattualistica "a chiamata" per "periodi predeterminati" senza aver fatto riferimento alla necessità dell'intervento della contrattazione collettiva; -è stato abrogato l'art. 37 D.lgs. 276/2003, che rimetteva la disciplina di attuazione alla contrattazione collettiva.
Ciononostante, il mio Consulente del Lavoro mi ha sempre negato questa possibilità, in quanto esclusa espressamente dal Ministero del Lavoro nella Circolare 18/2012. A chi devo dare retta? Grazie
 
Risposta:
Deve dar retta al Suo Consulente, il quale non ha solo il Ministero, ma anche la legge dalla sua parte.
Un compendio delle argomentazioni "possibiliste" da Lei riferite, io l'ho trovato in MARAZZA, Il lavoro intermittente per periodi predeterminati dall'autonomia individuale, RIDL, 2012, I. Pur dando atto della perizia tecnica e dell'ottimo livello di analisi, il lavoro non riesce a "smontare" in modo convincente la posizione ministeriale che impone, per questa tipologia di contratti, la disciplina dell'autonomia collettiva, precludendone così la stipula all'autonomia individuale.
E questo per la stringente e decisiva ragione che la l. 92/2012, quando ha riformulato la disciplina del lavoro a chiamata, ha rimesso all'autonomia collettiva all'art. 40 ha richiamato "l'art. 34.01°comma" con ciò compendiando (stante la "novella" della Monti-Fornero) anche la fattispecie del rapporto per "periodi predeterminati dell'anno".
Non si scappa.
Buona serata

Dr. Giorgio Frabetti
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro-Ferrara
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mercoledì 20 febbraio 2013

L'ODISSEA DELLA COCOCO INFINITA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


Quesito:
Buongiorno, mi chiamo XY e ho scoperto ora il vostro blog. Ne sono entusiasta. Volevo chiedervi un approfondimento post riforma Fornero sulla disciplina delle co.co.co. della pubblica amministrazione. Come cambia la contribuzione e come è definita la fattispecie. Io sono, diciamo , un esempio di questo limbo contrattuale. Mi occupo di paghe e contributi in una Pubblica Amministrazione già da tre anni (co.co.co. n.3) e "naturalmente" le mie attività sono ordinarie e ripetitive, elaboro i cedolini e i cartellini riscontro presenze in forma ordianria. Adesso sono in attesa del quarto contratto di co.co.co. che avrebbe inizio nel 2013 (nel frattempo lavoro gratis) .Dunque ipotizzo un adeguamento alla riforma Fornero rispetto ai miei contratti passati. Vorrei sapere se questa forma contrattuale anche stavolta è stata saltata a piè pari e rimane un ammasso tacito non disciplinato oppure ci saranno novità a tutela dei co.co.co., ad esempio nella contribuzione Inps, nella retribuzione minima?. Nella mia Regione ci sono giovani che sono arrivati al n. di 7 co.co.co. consecutive (tra i vari rinnovi 9 o 10 anni) e svolgono tutti lavoro ordinario. Molti di noi sono giunti alla conclusione che nella la pubblica amministrazione , non configurando la legge la tipologia del "progetto", la tutela dei co.co.co. è NULLA. Vi ringrazio anticipatamente anche solo della lettura di questo messaggio. Vi seguirò con interesse e ancora moltissimi complimenti per questa bellissima pagina. 
XY

Riposta:
Buongiorno e grazie della fiducia accordata.
Considerato il Suo caso, purtroppo frutto di una ben nota tendenza alla precarizzazione del lavoro nella Pubblica Amministrazione, visto anche il contesto web nel quale ci troviamo ad interloquire, Le potremmo fornire solo una breve traccia della normativa di riferimento.
In questo senso, cogliamo subito l’occasione di precisarLe che la disposizione di legge su cui impostare lo scrutinio della legittimità della Sua contrattualistica di collaborazione non può essere la Monti-Fornero (la cui applicazione è rimessa ad una speciale decretazione di recepimento del Dipartimento Funzione Pubblica ex. art. 01.07-08°comma l. 92/2012), non può essere la legge Biagi (rispetto a cui la Nota 38226/2012 ha confermato la vigenza dell’art. 01.02°comma e 86.08°comma  D.lgs. 276/2003, che ne escludeva l’applicazione alla PA), ma l’art. 07.06°comma D.lgs. 165/2001, specie nelle pesanti modifiche che detto articolo ha subìto dal 2006 in avanti, allo scopo di restringere gli abusi sulle cococo.
E’ avendo riferimento tale articolo che si può verificare la legittimità della Delibera di attribuzione dell’incarico di cococo e l’eventuale azione risarcitoria del cococo illegittimamente impiegato.
L’art. 07.06°comma (arricchito per altro da Circolari della Funzione Pubblica, Delibere della Corte dei Conti etc.) dispone:

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. (grassetto e corsivo Ns.) Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 36, comma 3, del presente decreto.
6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.
6-ter. I regolamenti di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al 
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6.
6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all'articolo 1, comma 5, della 
legge 17 maggio 1999, n. 144 .

Per quanto ci riguarda, dalle informazioni che Lei ci ha fornito, la Sua cococo si presta ad essere valutata, in relazione ad una possibile illegittimità, con riferimento al punto c), che esclude la prorogabilità della collaborazione, in relazione all’ultimo comma, dove vengono vietate collaborazioni per attività “ordinaria”.
Questi i punti che, allo stato, ci appaiono i più rimarchevoli e da attenzionare; punti, che naturalmente andranno approfonditi in relazione alla documentazione amministrativa con la quale è stata instaurata la Sua cococo (e di cui noi non disponiamo).
Con riguardo alla circostanza di cui all’ultimo comma dell’art. 07 (ossia il divieto di utilizzo della cococo per attività “ordinarie”), punto giustamente da Lei sollevato, ci permettiamo soltanto di rilevarne l’analogia con le indicazioni di cui alla Circolare Min. Lav. 29/2012 che, consolidando precedenti orientamenti (essenzialmente Circ. 04/2008), ha chiarito (per il settore privato) i termini della preclusione della cococo per le attività “ordinarie”. In questo senso, nel settore privato, si esclude la legittimità della cococo il cui “progetto” coincida con l’oggetto sociale: questo perché, come ben precisato dal Ministero, tali attività verrebbero a configurarsi come ripetitive e meramente esecutive, senza che al Collaboratore sia attribuito alcun margine autonomo di gestione né della prestazione, né del risultato finale. Tipico l’esempio del Cameriere del Bar che, se assunto come cococo, può essere immediatamente disconosciuto dal personale ispettivo, anche senza indugiare ad approfondimenti, in quanto la sua etero-direzione è “immanente” nella prestazione, che, proprio perché aderente all’oggetto sociale, non può essere condotta che in un solo modo.
Allo stesso modo, la Sua attività, se effettivamente meccanica e ripetitiva (stampa e lancio dell’elaborazione di cedolini paga e imputazione dati: paghe e presenze) si presterebbe ad essere valutata come “ripetitiva ed esecutiva”, determinando così l’illegittimità della cococo. Il condizionale in questo senso è d’obbligo, in quanto la prestazione non implichi la spendita di “conoscenze teorico-specialistiche di grado elevato” (cosa non infrequente nell’elaborazione di buste paga, attività tutt’altro che routinaria): in questo caso, da questo punto di vista, non si potrebbe contestare l’illegittimità della cococo per adibizione ad attività “ordinaria”, anche se naturalmente la possibilità di esercizio dell’attività andrebbe valutata ai sensi della l. 12/1979 sulle “riserve” professionali inerenti l’Amministrazione del Personale (Consulenti del lavoro e simili!).
L’eventuale rilevata illegittimità della cococo determina il diritto del collaboratore assunto illegittimamente al risarcimento del danno derivante dalla prestazione in violazione di norme imperative. Il Collaboratore, così, ha diritto a differenze retributive da lavoro subordinato, ma non alla costituzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato (art. 36.05°comma). La violazione delle disposizioni imperative del personale è fonte di responsabilità amministrativa (anche ai fini dell’esecuzione dell’incarico ex. art. 21 TU) in capo al Dirigente preposto, se avvenuto con “dolo” o “colpa grave” (e questo profilo si lascia sia pure sommariamente valutare in casi di conclamata violazione delle norme sulle cococo).
A margine, Le si precisa che, per il 2013, l’aliquota dei cococo, anche impiegati nel Settore Pubblico, è 27% (per cococo non coperti da altra Assicurazione Previdenziale) e 20% (in caso di contemporanea iscrizione ad altra Assicurazione). A tali importi è da aggiungere l’aliquota dello 0,72% per malattia, maternità, assegni familiari: aggiunta applicabile solo ai cococo senza altra iscrizione previdenziale (27%), non agli altri.
Nella speranza di esserLe stato d’aiuto, La salutiamo cordialmente

Studio Francesco Landi,
Consulente del Lavoro in Ferrara