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mercoledì 29 luglio 2015

NIENTE COCOCO PER IL PIZZAIOLO, PAROLA DI CASSAZIONE - LE RICADUTE SULLA RIFORMA DELLE COCOCO EX DLGS 81/2015

Si coglie l’occasione di segnalare un utile contributo web dedicato all’illustrazione di una sentenza (n. 7024/2015) con la quale la Corte di Cassazione si è soffermata sulle condizioni che possono legittimare, nell’organo ispettivo, la qualificazione in termini di “lavoro subordinato” del lavoro del pizzaiolo. Qui di seguito, il link: http://studiocassone.it/news/pizzaiolo-contratto-lavoro-subordinato
Applicando le previgenti regole, non ancora aggiornate al D.lgs. 81/2015, la Cassazione aveva chiarito (confermato) che, ricorrendo la predeterminazione oraria della prestazione (tipicamente di una Pizzeria, Tavola Calda, Bar) e la concreta estraneità del Pizzaiolo dal rischio di impresa, la prestazione del Pizzaiolo, anche se nominalmente definita “cococo”, deve intendersi “lavoro subordinato”. E, data la prassi del settore, bisogna ritenere che tale accertamento sia sostanzialmente automatico. Questa sentenza, pur emessa nell’ambito delle regole precedenti la riforma dei contratti del Jobs Act, può essere presa come campione, o meglio, prototipo per misurare i termini di applicabilità delle nuove regole sulle cd “collaborazioni autonome” codificate dall’art. 2 D.lgs. 81/2015. Come abbiamo già avuto modo di dire in precedenti interventi, abolito il “progetto” e confermata l’applicabilità dell’art. 409 cpc, la prova del “falso lavoro autonomo” passa attraverso la prova che la prestazione, nominalmente “autonoma”, sia in realtà svolta in regime di “etero-organizzazione”, tipicamente, in regime di assoluta “predeterminazione dei tempi e dei luoghi” (come nella citata sentenza dedicata al lavoro del Pizzaiolo).
AVVERTENZA: Tanta rigidità applicativa va comunque monitorata attentamente. Che ne è, ad esempio, della Pizzeria gestita in Snc da più Pizzaioli tutti artigiani? E’ chiaro che, anche in questo caso, ricorre la predeterminazione oraria del lavoro, chè le pizze devono essere consegnate nei termini richiesti dalla Clientela, e senza deroghe. Ma basta questo elemento per configurare come “subordinato” un tale lavoro? Si dovrebbe rispondere di no: il lavoro, infatti, svolto in regime di “impresa artigiana collettiva” e con conseguente “accollo del rischio di impresa”, non parrebbe proprio svolgersi in quel regime di “etero-organizzazione”, che, ex. art. 2 D.lgs. 81/2015, caratterizza il “falso lavoro autonomo”.
A disposizione per aggiornamenti

sabato 18 luglio 2015

CI VEDIAMO DOPO IL 27 LUGLIO!!!

... ADESSO E' VENUTO IL MOMENTO PER UNA PAUSA.
TORNEREMO AD AGGIORNARVI SULLE NOVITA' GIUSLAVORISTICHE (CHE FERVONO, CON IL JOBS ACT) DOPO IL 27 LUGLIO.
A PRESTO!!!!

venerdì 17 luglio 2015

IL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO DOPO IL D.LGS. 81/2015-PANORAMICA-


La nuova disciplina del lavoro a termine è compendiata tra l’art. 19 e l’art. 29 D.lgs. 81/2015: è in vigore dal 25/06/2015 (art. 57);
Apposizione del termine senza causale: Datore di Lavoro e Lavoratore possono apporre un termine finale al rapporto di lavoro senza obbligo di motivare la causale tecnico-produttiva e organizzativa (si conferma la regola del DL 34/2014), obbligatoriamente per iscritto (salvo che per rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 gg.)
*N.B: La causale va indicata solo se richiesta ai fini della fruizione di determinati benefici di legge (ad esempio, le “assunzioni stagionali” per l’esonero dalla contribuzione addizionale ASpI 1.40%, ovvero sgravi per lavoratori assunti in sostituzione di lavoratrici in maternità ex D.lgs. 151/2001).
Limite dei 36 mesi: Il rapporto di lavoro a tempo determinato non può avere durata complessiva (anche in un unico rapporto) superiore a 36 mesi (salvo specifiche previsioni dei CCNL, e salvo autorizzazione, che può essere concessa una sola volta e fino a 12 mesi dalla DTL competente). Questa regola non si applica per i “lavori stagionali” (definiti, in via transitoria, e fino a nuovo decreto dal DPR 1525/63);
Successione di contratti a termine: Nel computo dei 36 mesi complessivi, in caso di rapporti a termine non continuativi, e soggetti a proroghe e rinnovi, si conteggiano, indipendentemente dalle interruzioni, i rapporti aventi per oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, nonché periodi di missione, di pari livello e categoria, svolti tra i medesimi soggetti nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato;
Divieto di assunzione a termine:
a) Sostituzione lavoratori in sciopero;
b) Presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ex. artt. 4 e 24 l. 223/91 di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisca l’assunzione a termine (fanno eccezione: le assunzioni sostitutive, in liste di mobilità e per rapporti di durata iniziale non superiore a 3 mesi*);
c) Presso Unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario, in regime di CIG (anche straordinaria, anche “in deroga”), che interessi lavoratori adibiti a mansioni cui si riferisca il contratto a termine*;
d) In caso di mancata valutazione dei rischi.
*Trattasi di casistica di molto complessa definizione, che abbisogna di specifici chiarimenti e approfondimenti successivi. In ogni caso, la violazione di tali divieti comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro.
Proroga*: Ai sensi dell’art. 21.1°comma D.lgs. 81/2015, la proroga:
a) Richiede il consenso scritto del Lavoratore;
b) E’ ammessa solo quando la durata iniziale del contratto a termine sia inferiore a 36 mesi;
c) Può realizzarsi in un massimo di 5 volte nell’arco dei 36 mesi, a prescindere dal numero dei contratti;
d) Qualora il numero delle proroghe sia superiore a 5, il contratto si considera a tempo indeterminato a partire dalla sesta proroga. *Un’opportuna operazione di “bonifica normativa” ha portato alla cancellazione dell’equivoca espressione “alla stessa attività produttiva” dal corpo dell’art. 4.1°comma D.lgs. 81/2015, relativo alla proroga. Probabilmente un refuso della disciplina originaria del D.lgs. 368/01, già abrogato implicitamente, comunque, dal DL 34/2014.
Rinnovi. Ai sensi dell’art. 21.2°comma D.lgs. 81/2015, la riassunzione a termine dello stesso lavoratore può avvenire:
a) Entro 10 gg. dalla data di scadenza di un contratto dalla durata fino a 6 mesi;
b) Entro 20 gg. dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a 6 mesi.
Tale disciplina non si applica:
I) Alle “attività stagionali”;
II) Alle start-up innovative per il periodo di quattro anni dalla costituzione delle società, oppure per il più breve periodo ex. art. 25.3°comma l. 221/2012;
III) Per altre ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva, anche aziendale.
Continuazione rapporto oltre la scadenza del termine: Fermi i limiti di durata massima, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il Datore di Lavoro è tenuto a corrispondere al Lavoratore una maggiorazione della retribuzione, per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al 10° giorno successivo, e al 40% per ogni giorno ulteriore. Qualora il rapporto continui oltre il 30° giorno in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre il 50° giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Limiti quantitativi-Disciplina*: In assenza di diversa disposizione dei CCNL, possono essere assunti lavoratori a termine nelle seguenti percentuali: a) 20% sui lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1/1 dell’anno di assunzione, con arrotondamento al decimale dell’unità superiore, qualora il decimale stesso sia uguale o superiore a 0.5; b) Alla diversa percentuale prevista dai CCNL (abilitati a definire una percentuale superiore); c) In caso di inizio dell’attività in corso dell’anno, il limite percentuale del 20% si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione del lavoratore a termine; d) Per Datori di Lavoro che occupano fino a 5 Dipendenti, è possibile stipulare un solo contratto a tempo determinato.
*Tale limite percentuale non trova applicazione per contratti a termine “stagionali”, per i lavoratori dello spettacolo, le start up di CCNL o le “start up innovative” di legge, per le assunzioni tra Università Pubbliche o private, Istituti pubblici di ricerca, ovvero Enti Privati di Ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa, o di coordinamento/direzione della stessa.
Limite quantitativo-Sanzioni: L’assunzione a termine in violazione dei limiti quantitativi di cui sopra, comporta l’applicazione di sanzioni amministrative (non diffidabile, né soggetta a pagamento in misura ridotta ex. art. 16 l. 689/81) di importo pari:
a) Al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti in violazione del limite non è superiore a 1;
b) Al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 gg. di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore ad uno.
N.B: Dopo le incertezze della Circ. Min. Lav. 18/2014, la nuova normativa (art. 23.4°comma D.lgs. 81/2015) chiarisce che la violazione dei limiti quantitativi non determina, sul piano civilistico, la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.
Diritto di precedenza-Nuova disciplina: L’art. 24 del D.lgs. non innova quanto alle previsioni ex. art. 5.4-quater D.lgs. 368/01 (Riassunzione “stagionale”, assunzione a tempo indeterminato, lavoratrici in maternità), ma fissa i seguenti principi:
a) Il diritto di precedenza deve essere contemplato espressamente nel testo contrattuale di assunzione a termine a favore del Lavoratore che svolga almeno sei mesi di lavoro a termine (o 3 mesi, se stagionale);
b) Il Lavoratore potrà manifestare la volontà di esercitare il diritto di precedenza in forma scritta e nel termine di 6 mesi (per assunzioni a tempo indeterminato), 3 mesi (per assunzioni stagionali);
c) Manifestata l’intenzione di esercitare il diritto di precedenza, il diritto di precedenza si estingue decorso un anno dalla data di cessazione del rapporto.
Computabilità rapporti a termine-Disciplina: I lavoratori a tempo determinato (compresi, i Dirigenti) sono computabili in modo generalizzato, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale, lasciando la possibilità che eventuali norme speciali o contrattuali dispongano diversamente.
Ai fini del computo, si dovrà tenere conto di:
a) Numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti impiegati negli ultimi due anni;
b) Effettiva durata dei rapporti di lavoro.
Esclusioni e discipline specifiche: Sono escluse (art. 29) dalla predetta disciplina dei rapporti a termine: a) Le assunzioni a termine di lavoratori iscritti alle liste di mobilità (art. 8.2°comma l. 223/91); b) Rapporti di lavoro tra i Datori di Lavoro dell’Agricoltura e gli Operai a tempo determinato (art. 12.2°comma D.lgs. 375/93); c) Richiami in servizio del personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco; d) Rapporto a termine con i Dirigenti (che non possono avere durata superiore a 5 anni, salvo il diritto del Dirigente di recedere ex. art. 2118 Codice Civile, una volta trascorso il triennio); e) Rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a 3 gg., nel settore del Turismo e dei Pubblici Esercizi, nei casi individuati dai CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; f) Assunzioni a termine con personale docente e ATA, per conferimento di supplenze; g) Assunzioni a termine del personale sanitario; h) Assunzioni a termine del personale accademico, artistico, tecnico delle Fondazioni di produzione musicale: a questi specifici lavoratori, non si applicano i limiti di durata massima dei rapporti a termine (36 mesi), nonché le disposizioni in tema di proroghe e rinnovi.

IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE CHE LAVORA DURANTE LA MALATTIA-FLASH

Un brevissimo flash (Fonte, Generazione Vincente Blog) per notificare il contenuto di una recente sentenza (nr. 13955/2015) con la quale la Corte di Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento del lavoratore in malattia che, in tale periodo, svolga lavori manuali pesanti.
In questo caso, la Cassazione ha ritenuto certamente sussistente la “giusta causa” di licenziamento ex. art. 2119 Codice Civile, prevalente sulla previsione di conservazione del posto di lavoro disposta ex. art. 2110 Codice Civile: il Lavoratore, in questo specifico caso, infatti, ha violato la consegna obbligatoria del riposo, necessaria e utile, nel periodo di malattia, per il pronto e pieno recupero psico-fisico. Al contrario, un lavoro manuale e pesante mette evidentemente in pericolo detto recupero e viola in modo patente e incontrovertibile i basilari obblighi di “correttezza/buona fede” (art. 1375 Codice Civile) che presiedono l’esecuzione del rapporto di lavoro subordinato.

FESTIVITA' COINCIDENTE CON LA DOMENICA, NIENTE COMPENSO AGGIUNTIVO PER DIPENDENTI PUBBLICI-FLASH

Se la festività (religiosa o civile) coincide con la domenica non spetta alcuna maggiorazione retributiva (giornaliera) al Lavoratore dipendente pubblico: al Pubblico Impiego, in altre parole, non si applica l’art. 5.3°comma l. 260/49.
E’ quanto disposto dalla Corte Costituzionale, con sentenza nr. 150/2015, che ha confermato quanto, sul punto, disposto, in via di “interpretazione autentica”, dalla “legge finanziaria per il 2006” (Art. 1.224°comma l. 266/05).
La Corte ha ritenuto coerente la disposizione contenuta nella l. 266/2005, e l’ha intesa come operazione “meramente ricognitiva” del diritto vigente, stante la mancata recezione dell’art. 5 cit. l. 260/49 da parte della contrattazione collettiva del Pubblico Impiego successiva alla prima privatizzazione (1994-97). Mancata ricezione che, ex. art. 69.1°comma D.lgs. 165/2001, ha determinato la disapplicazione in parte qua della l. 260/49. Questa regola, pertanto, si consolida ai fini della prassi contrattuale e retributiva del Pubblico Impiego.

mercoledì 15 luglio 2015

REDDITI DI PARTECIPAZIONE NON SOGGETTI A CONTRIBUZIONE INPS

Nel sito ufficiale dei Consulenti del Lavoro, si può trovare la notizia di due sentenze (definite “gemelle”) della Corte d’Appello de L’Aquila (nr. 752, nr. 774), con cui è stata dichiarata illegittima la prassi INPS di assoggettare a contribuzione previdenziale (Gestione Commercianti-Artigiani) anche i redditi di partecipazione da Società di Capitali. Oggetto della sentenza l’interpretazione del disposto di cui all’art. 3bis DL 384/92 conv. in legge 438/92, dove si dispone:

1. A decorrere dall'anno 1993, l'ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all'art. 1, L. 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono.

Non potendosi ricondursi alla categoria fiscale dei “redditi di impresa”, ma esclusivamente a quelli di “capitale” (art. 6 DPR 917/86), la Corte d’Appello de L’Aquila (con ragionamento formalmente ineccepibile) esclude che le partecipazioni in Società di Capitali possano ritenersi imponibili INPS.
Questa sentenza viene salutata trionfalisticamente dai Consulenti del Lavoro (vedi link: http://www.consulentidellavoro.it/index.php/home/storico-articoli/item/3646-redditi-da-srl-nessuna-rivendicazione-dall-inps).
Raccomandiamo, comunque, molta prudenza. Tanta chiarezza in punta di diritto, non vale ad eliminare le ancora estese “zone d’ombra” che la casistica presenta. Particolarmente, l’attenzione va posta sulle organizzazioni societarie formalmente “di capitali”, ma concretamente ibride: ad esempio Srl “unipersonali”. In questi casi, il fattore “umano” (e “lavoro”) rende più difficile qualificare le partecipazioni di capitali come non inerenti al lavoro prestato, e, quindi, non suscettibili di imponibilità INPS.

LE SANZIONI AMMINISTRATIVE PER MANCATA O INSUFFICIENTE FORMAZIONE. NON RILEVA LA MANCATA COLLABORAZIONE DATORILE CON GLI ORGANISMI PARITETICI

Caso (rielaborazione sintetica di Punto Sicuro nr. 3571/2015): Un’Azienda Edile viene sanzionata dalla DTL per “mancata/insufficiente formazione” del personale per non aver “collaborato” per la formazione con “organismi paritetici” dotati dei requisiti di rappresentatività prescritti dalla legge (art. 37.12°comma). Può l’Azienda Edile contestare la sanzione?

Risposta: Il caso è stato chiarito dal Ministero del Lavoro con Nota Prot. Nr. 37/0009483/MA007/A001 del 8/6/15. Mentre ha puntualizzato i requisiti di rappresentatività prescritti dalla legge ex. art. 37 cit. per gli “organismi paritetici” (devono rappresentare Sindacati e Associazioni datorili “comparativamente rappresentative”, firmatarie del CCNL etc.), al fine di colpire fenomeni di possibile “abusivismo” sindacale e professionale, in questa nota, il Ministero ha, altresì, avuto modo di puntualizzare che l’ottemperanza del Datore agli obblighi formativi prescritti dalla legge non va valutata in rapporto agli “organismi paritetici”, verso i quali il Datore ha un generico obbligo (non sanzionabile) di “collaborazione”, “informazione” per gli adempimenti formativi, non di attuare la formazione necessariamente in sinergia con questi. Viceversa, l’adempimento della formazione professionale per la Sicurezza in capo al Datore di Lavoro (ai fini dell’applicazione delle relative sanzioni amministrative) va valutato in rapporto ad altre fonti: essenzialmente, l’Accordo Stato-Regioni 21/12/2011, che fissa le ore di formazione minima e obbligatorie per la Sicurezza del Lavoro.

IRAP 2015, COME SI CONSIDERA IL LAVORO A TERMINE

Quesito: E' possibile considerare, ai fini dell'applicazione dell'articolo 11, comma 4-octies), del decreto legislativo n. 446 del 1997 , anche i rapporti di lavoro a "termine" in ragione del tipo di attività svolta [lavorazioni stagionali] o di preclusioni legali/regolamentari [es. calciatori con contratto di durata massima quinquennale]?

Risposta:
Stante la ratio della norma, finalizzata ad incentivare gli impieghi a tempo indeterminato, si ritiene di dover escludere che rapporti di lavoro regolati a tempo determinato in funzione del tipo di attività svolta ovvero della normativa di settore diano diritto all'applicazione della nuova misura concernente la deducibilità integrale delle spese per il personale impiegato a tempo indeterminato. Si segnala, in proposito, che il comma 4-octies) dell'articolo 11 del decreto IRAP, nella formulazione originaria, prevedeva l'estensione della deducibilità integrale del costo del lavoro anche per ogni lavoratore agricolo impiegato a tempo determinato con almeno 150 giornate lavorative e con un contratto di durata triennale.
La previsione - subordinata alla preventiva autorizzazione della Commissione europea - è stata tuttavia successivamente abrogata dall'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito dalla legge 24 marzo 2015, n. 34*.

*Il contenuto riportato è la riproduzione esatta e senza manipolazioni di quanto scritto dall’Agenzia delle Entrate nella Circ. 22/2015

lunedì 13 luglio 2015

IRAP 2015, IL NUOVO CREDITO DI IMPOSTA IN ASSENZA DI PERSONALE

Quesito: La legge di Stabilità 2015 attribuisce ai contribuenti che "non si avvalgono di lavoratori dipendenti" un credito di imposta pari al 10% dell'IRAP lorda indicata in dichiarazione. Per usufruire del credito d'imposta, è necessario che l'impresa o il professionista non abbiano dipendenti in ogni giorno del periodo di imposta, oppure, in presenza di lavoratori subordinati solo per una parte dell'anno, il credito spetta in misura ragguagliata ai giorni di assenza di personale dipendente?

Risposta: L'articolo 1, comma 21, della legge di Stabilità 2015 subordina il riconoscimento del credito d'imposta - stabilito in misura pari al 10% dell'IRAP lorda - alla circostanza che i contribuenti non dispongano di lavoratori dipendenti. Stante il tenore letterale della norma, si è del parere che il beneficio in esame possa essere riconosciuto solo in favore dei soggetti che non si avvalgano - in alcun modo - di personale dipendente, a prescindere dalla tipologia contrattuale adottata [tempo determinato/indeterminato]. Si ritiene inoltre che, per effetto della condizione posta dalla norma, non debba essere operato alcun ragguaglio nel caso in cui il contribuente abbia avuto nel corso dell'anno - anche per un periodo di tempo limitato - lavoratori alle proprie dipendenze*.

*Il contenuto riportato è la riproduzione esatta e senza manipolazioni di quanto scritto dall’Agenzia delle Entrate nella Circ. 22/2015

venerdì 10 luglio 2015

IRAP EDIZIONE 2015- I QUESITI RISOLTI DALL'AGENZIA DELLE ENTRATE: L'ACCANTONAMENTO DEL TFR

Quesito (riprodotto dalla Circolare Ag. Entr. Nr. 22/2015): Quali sono le modalità applicative della disciplina, di cui al comma 4-octies) dell'articolo 11 del decreto IRAP, in presenza di: - quote maturate di TFR a partire dal 2015 e rivalutazioni di quelle accantonate negli esercizi precedenti (fino al 2014); - accantonamenti (i.e. fondi) per oneri futuri relativi al personale dipendente, costituiti a partire dal 2015?

Risposta: Le quote di TFR maturate a partire dall'esercizio 2015 [primo periodo di applicazione della norma per i c.d. "solari"] - compresa la rivalutazione di quelle accantonate fino a tutto il 2014 - rientrano a pieno titolo nella determinazione delle spese per il personale dipendente deducibili ai sensi della norma in esame, trattandosi di costi sostenuti a fronte di debiti certi a carico del datore di lavoro. Per quanto concerne gli accantonamenti effettuati a partire dal 2015 per eventuali oneri futuri connessi al rapporto di lavoro, si è del parere che gli stessi, costituendo poste di natura estimativa indeducibili dall'IRAP, non rientrino nel calcolo del costo del lavoro ammesso in deduzione. Come chiarito nella circolare n. 12/E del 19 febbraio 2008 infatti, tali oneri assumeranno rilevanza al verificarsi dell'evento che ha costituito il presupposto del relativo stanziamento in bilancio in quanto afferenti a costi del lavoro deducibili dalla base imponibile IRAP a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Si precisa infine che, stante il nuovo quadro normativo di riferimento, i suddetti accantonamenti non concorrono alla determinazione dell'IRAP deducibile dalle imposte sui redditi*. *Il contenuto riportato è la riproduzione esatta e senza manipolazioni di quanto scritto dall’Agenzia delle Entrate nella Circ. 22/2015.

giovedì 9 luglio 2015

LAVORO NEI SOTTERRANEI: QUALE ORARIO DI LAVORO?

Il D.lgs. 81/2008, all’ art. 65, disciplina il lavoro nei locali sotterranei o semi-sotterranei. Qui di seguito, si riporta il testo di legge.

Art. 65
1. E’ vietato destinare al lavoro locali chiusi sotterranei o semi-sotterranei.
2. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, possono essere destinati al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei, quando ricorrano particolari esigenze tecniche. In tali casi il datore di lavoro provvede ad assicurare idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e di microclima.
3. L'organo di vigilanza può consentire l'uso dei locali chiusi sotterranei o semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche, quando dette lavorazioni non diano luogo ad emissioni di agenti nocivi, sempre che siano rispettate le norme del presente decreto legislativo e si sia provveduto ad assicurare le condizioni di cui al comma 2.

La norma è stata oggetto, recentemente, di un Interpello alla Commissione Sicurezza e Igiene costituita presso il Ministero del Lavoro (interpello nr. 5/2015).
Alla Commissione è stato sottoposto il seguente

Caso: Un’Azienda opera in un sotterraneo (es. una rivendita di abbigliamento opera in un sottopassaggio di città).
Non ha una necessità particolare di lavorare in questa zona, semplicemente ha ritenuto opportuna e utile tale possibilità. Non opera con emissione di agenti nocivi e con condizioni di areazione, illuminazione e microclima validate come buone.
L’organo di vigilanza (ASL) si oppone alla richiesta datorile che i Lavoratori possano lavorare a tempo pieno in questa struttura. Il Datore si oppone. Chi ha ragione, stando alla lettura più corretta dell’art. 65 TU Sicurezza?

Risposta (del Ministero): L’ASL è chiamata, in questo caso, ad autorizzare il lavoro in queste strutture, altrimenti vietato; l’intervento autorizzatorio dell’organo di vigilanza, in questo caso, è un atto che rimuove l’ostacolo posto dall’ordinamento giuridico alla possibilità di lavorare nei sotterranei. Ostacolo che può/deve essere rimosso ricorrendo le condizioni ex. art. 65.2-3°comma D.lgs. 81/2008. Il caso in esame (trattato dall’Interpello) rientra nel caso contemplato dal comma 3 (lavoro in sotterraneo in assenza di necessità tecniche ed organizzative): in questo caso, l’ASL potrà/dovrà autorizzare il lavoro nel sotterraneo, a prescindere, come detto, da necessità tecniche, vagliando le condizioni di areazione, di microclima, illuminazione. L’eventuale prescrizione ASL che limiti l’orario di lavoro, di permanenza in questa struttura, dei Dipendenti deve essere motivata e vagliata sotto questo aspetto. Difettando tale motivazione, la limitazione ASL deve considerarsi illegittima e impugnabile. A disposizione per chiarimenti e aggiornamenti

mercoledì 8 luglio 2015

LAVORATORI SUBORDINATI CROATI: DAL 1/7 MAI PIU' NULLA OSTA

Dal 1/7 us., devono intendersi cessate le restrizioni previste, in via transitoria, dallo Stato italiano per l’assunzione di lavoratori subordinati di nazionalità croata.
Lo Stato italiano, infatti, non ha prorogato le norme transitorie che conferivano a questi soggetti lo status di “cittadini neo-comunitari” che determinava la soggezione di detti cittadini a specifiche autorizzazioni per l’assunzione di determinati impieghi. Precedentemente, erano escluse restrizioni solo per contratti di lavoro autonomo e, inoltre, per lavoratori dipendenti rientranti tra cittadini croati e Datori di lavoro italiani nelle seguenti categorie:

- Lavoratori domestici (colf, badanti, babysitter ecc.)
- Lavoratori stagionali
- Infermieri professionali, dirigenti, sportivi professionisti, circensi, marittimi, artisti, ballerini, musicisti o altri lavoratori elencati nell’articolo 27 comma 1 del d.lgsl. 289/1998 (testo unico sull’Immigrazione), ESCLUSE le lettere g) e i) .
- Ricercatori -
Lavoratori altamente qualificati
Ogni altro impiego doveva essere autorizzato tramite “nulla osta” dello Sportello Unico per l’Immigrazione.
Ora, tale nulla osta non deve più essere richiesto. Sul punto, si vede la Circolare congiunta Min. Lav./Min. Int. Prot. 3233/2015 al link: http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2015/07/MLcirCroati.pdf

martedì 7 luglio 2015

BONUS E.80, A QUALI PRESTAZIONI INPS SI APPLICA

Un flash, sulla scia del Msg INPS 2946/2015 e Circ. INPS 67/2014, per elencare le tipologie di prestazioni previdenziali e assistenziali INPS che beneficiano e che non beneficiano del bonus Renzi degli “€ 80” (stabilizzato per il 2015 dalla l. 190/2015).

PRESTAZIONI A SOSTEGNO DEL REDDITO:
- Indennità di disoccupazione (NASPI, vedi Msg INPS 2946/2015); - Indennità di mobilità ordinaria ex. art. 7 l. 223/91;
- Trattamenti di disoccupazione speciali per l’edilizia ex. art. 11 l. 223/91 ed ex. art. 3.3°comma DL 299/1994 conv. in l. 451/1994;
- Sussidi per lavoratori socialmente utili, sussidi straordinari e speciali, sussidi erogati in attivazione di programmi di Welfare to work;
- Crediti di lavoro ex. artt. 1 e 2 D.lgs. 80/1992, ultime tre mensilità pagate a carico del Fondo di Garanzia INPS;
- Indennità di maternità per congedo obbligatorio ex. artt. 16, 17 e 26 D.lgs. 151/2001; - Congedo obbligatorio del Padre ex. art. 4.24°comma lett. a) l. 92/2012.

N.B.: Quelle di cui sopra sono prestazioni per le quali il bonus sarà determinato utilizzando il calcolo del ‘reddito previsionale’. Nell’erogazione del bonus, relativamente a tali tipologie di prestazione, si terrà conto della durata teorica della prestazione spettante all’Assicurato non oltre il 31/12/2015, ovvero entro data di scadenza anteriore.

- CIG ordinaria a pagamento diretto;
- CIG straordinaria a pagamento diretto;
- CIG in deroga a pagamento diretto;
- Indennità di malattia;
- Indennità di congedo parentale;
- Congedo facoltativo del Padre;
- Indennità antitubercolari TBC;
- Permessi ex. l. 104/92;
- Prestazioni di congedo straordinario;
- Disoccupazione agricola.

N.B.: Trattasi di prestazioni per le quali il credito verrà determinato in base ai dati disponibili e nel momento in cui si verifichi il requisito di accesso alla soglia minima del reddito complessivo per il quale l’imposta lorda sia di ammontare superiore alle detrazioni di lavoro dipendente come previsto dall’art. 13 TUIR.

Caratteristiche tecniche e operative:
· Nell’erogazione del bonus, relativamente a tali tipologie di prestazione, si terrà conto della circostanza che, per queste, è impossibile conoscere a priori e in via previsionale la durata della prestazione e l’effettiva fruizione da parte del singolo lavoratore.
· Per tali prestazioni, sono previsti provvedimenti di autorizzazione INPS concessi all’Azienda, non al singolo lavoratore.
· Per queste prestazioni, non sarà possibile determinare, per il singolo lavoratore, i periodi di sospensione dell’attività lavorativa e, quindi, il relativo reddito previsionale. Il riconoscimento del bonus, in questo caso, sarà effettuato in base ai singoli pagamenti mensilmente effettuati.

ALTRE PRESTAZIONI INPS CHE DANNO TITOLO AL “BONUS € 80”: PRESTAZIONI DI ACCOMPAGNAMENTO ALLA PENSIONE*:
1. Assegni straordinari di accompagnamento alla pensione ex. 2.28°comma l. 662/1996 (modificato dall’art. 3 l. 92/2012): Sono ammesse al “bonus € 80”, in quanto somme destinate a reintegrare il Dipendente dalla perdita di retribuzione determinata dall’uscita anticipata e costituiscono, fiscalmente, redditi della stessa specie di quelli sostituiti (art. 6.2°comma TUIR) e in quanto non assoggettati a tassazione separata.
*Non danno titolo al “bonus € 80”, gli assegni straordinari di accompagnamento alla pensione erogati dai Fondi Bancari e dal Fondo Poste Italiane, perché soggetti a tassazione separata.
2. Prestazioni di esodo ex. art. 4, commi da 1 a 7-ter, l. 92/2012 per lavoratori prossimi alla pensione;
3. Prestazioni pensionistiche complementari ex D.lgs. 21/4/1993 nr. 124;
4. Pensioni integrative qualificate come fondi di previdenza complementare a seguito della sentenza della Cassazione, sez. tributaria nr. 13095/2006, recepita dalla Circ. Ag. Entr. 25/2006.

PRESTAZIONI A SOSTEGNO DEL REDDITO ESCLUSE:
5. Prestazioni a sostegno del reddito soggette a tassazione separata ex. art. 17 TUIR:
· TFR Fondo di Garanzia ex. art. 2 l. 297/1982;
· TFR esattoriali ex. l. 377/1958; · Una tantum co.co.pro. ex. art. 2. 51 ss. l. 92/2012 (in via di abrogazione per effetto del D.lgs. 22/2015);
· Pagamenti arretrati di qualunque prestazione a sostegno del reddito, se rientranti nel regime fiscale ex. art. 17 TUIR;
· Anticipazione NASPI per avvio lavoro autonomo;
· Anticipazione indennità di mobilità, per avvio lavoro autonomo (art. 7.5°comma l. 233/91);
· Anticipazione del compenso/Sussidio in favore dei LSU, per avviarli all’auto-impiego (D.I. 28/5/1998);
· Anticipazione del sussidio concesso in attuazione di programmi di Welfare to Work e di sussidi straordinari o speciali concessi dalle Regioni, per finanziare l’autoimpiego dei beneficiari degli stessi.

6. Prestazioni comunque fiscalmente esenti:
· Trattamenti di famiglia (esenti IRPEF ex. art. 12 TUIR);
· Assegno di maternità e per il nucleo familiare concessi dai Comuni (art. 2.6°comma dpcm 452/2000);
· Assegno di maternità dello Stato concesso dall’INPS (art. 2.6°comma Dpcm 452/2000)

OFFERTA DI CONCILIAZIONE EX ART.6 DLGS 23/2015, LA PROCEDURA - PRIME NOTE

Non è stata ancora emanata una Circolare applicativa dell’inedita “conciliazione agevolata” ex. art. 6 D.lgs. 23/2015; si auspica che sia emanata presto, possibilmente in forma congiunta tra Ministero del Lavoro e Agenzia delle Entrate (come per la Circolare sulla “detassazione produttività” edizione 2008), per le rilevanti ricadute fiscali della fattispecie, come noto, non di stretta competenza tecnica del Ministero del Lavoro.
La certezza su questo punto (certezza che può derivare dall’emissione di indicazioni e chiarimenti interpretativi dai Dicasteri competenti) è determinante per il decollo dell’istituto: un istituto in sé non poco generoso, per l’esenzione fiscale e contributiva, ma i cui contorni di tale esonero devono essere definiti con sufficiente chiarezza, affinchè imprese e lavoratori si possano rivolgere a tale istituto con la sicurezza di non incappare in accertamenti o sanzioni.
Ad ogni modo, dopo aver disaminato a lungo il testo della normativa, pur in assenza di Circolari esplicative, crediamo che un punto possa considerarsi assodato.
E’ sufficientemente chiaro (dal tenore del testo della norma, e dalle prime interpretazioni, tutte convergenti) che l’esenzione IRPEF e INPS scatta, in presenza di una conciliazione con queste caratteristiche:

1) La conciliazione non deve mutare il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro: in altre parole, il licenziamento deve restare tale, e la conciliazione non può trasformare (ovvero “novare” ex. artt. 1230 ss. del Codice Civile) l’atto di licenziamento in atto di “risoluzione consensuale” (diversamente, come precisato anche dall’Interpello nr. 13/2015 del Ministero del Lavoro, il lavoratore perderebbe il diritto alla NASPI);
2) La conciliazione è “agevolata” (ovvero determina l’esenzione IRPEF e INPS) solo se le somme che vi sono gestite sono disposte a titolo di indennità di licenziamento; le somme disposte “ad altro titolo” (“ulteriori somme pattuite … a chiusura di ogni altra pendenza” come recita il periodo finale dell’art. 6.1°comma) non sono esenti IRPEF e INPS;
3) Le somme devono essere consegnate al Lavoratore sotto forma di assegno circolare; l’accettazione dell’assegno perfeziona la conciliazione. C’è da ritenere, data la specialità della previsione, che il legislatore abbia introdotto un requisito di forma vincolante, cosìcchè il perfezionamento/pagamento della conciliazione in altra forma non dovrebbe far scattare le agevolazioni de quo.
N.B.: Fino a diversa interpretazione ministeriale, evidentemente, per evitare rischi e spiacevoli sorprese, sarà prudente presupporre un simile assetto di regole;

4) Tali “agevolazioni” operano solo per i licenziamenti di rapporti di lavoro “a tutele crescenti” rientranti cioè nel campo di applicazione dell’art. 1 D.lgs. 23/2015 (rapporti costituiti ex novo dopo il 7/3/2015, oppure trasformati dopo quella data, oppure Aziende che abbiano superato i 15 Dipendenti con assunzioni successive a quella data). Questo è il quanto che possiamo dire; prima di più consolidate indicazioni e chiarimenti operativi da parte degli organi competenti.

giovedì 2 luglio 2015

CODICE DEI CONTRATTI E LIMITE DEI 36 MESI PER RAPPORTI A TERMINE: QUALE DISCIPLINA TRANSITORIA?

Il Codice dei Contratti è in vigore dal 25/6/2015 (art. 57).
Come si devono gestire, a partire dal 25/6/2015, i contratti a termine (già in essere) ai fini del calcolo dei “36 mesi”?
A differenza che con la l. 247/2007 (Protocollo Welfare Prodi-Damiano), non è stata prevista, in questa tornata legislativa, alcuna disciplina transitoria: le nuove regole sul “conteggio” entrano in vigore (sulla carta) subito.
Le novità non sono irrilevanti.
Da un lato, si introduce il criterio che nel “contatore” dei 36 mesi possono rientrare anche i periodi di “mansioni non equivalenti” svolte dal Lavoratore presso lo stesso Datore di Lavoro, purchè le mansioni rientrino nella stessa Categoria o Livello (lo stesso, nelle missioni di “somministrazione”); dall’altro, si conferma (come nel DL Poletti) l’impossibilità di stipulare un unico contratto a tempo determinato superiore a 36 mesi (come nella vigenza del Protocollo Welfare).
Ma il problema applicativo più rilevante è comprendere come debbano essere gestiti, dal 25/6/2015, quei rapporti di lavoro a termine, che si sono sviluppati in sequenza tra lo stesso Lavoratore e Datore, ma senza avere per oggetto “mansioni equivalenti” (il caso potrebbe essere frequente nel settore Pubblici Servizi, ma non solo). Teoricamente, dal 25/6/2015, se questi rapporti hanno determinato il superamento dei 36 mesi, dovrebbe trasformarsi a tempo indeterminato (senza contare che come tempo indeterminato dovrebbero essere “contati” ai fini dei cd “limiti quantitativi” per i rapporti a termine, con totale sbilanciamento della gestione contrattuale). Urge evidentemente una risposta dal Ministero: si auspica che il Ministero applichi i nuovi limiti non retroattivamente, come fatto in passato (dal 1/4/2009). Crediamo, infatti, che qui si debba tener conto con particolare attenzione del “legittimo affidamento” dei Datori di Lavoro, vista la “virata a 360° gradi” impressa dal Jobs Act sulla disciplina delle mansioni.
Restiamo a disposizione per aggiornamenti

MANSIONI NON EQUIVALENTI E CONTEGGIO DEI 36 MESI DEL LAVORO A TERMINE: (CODICE DEI CONTRATTI): PRECISAZIONE E RETTIFICA

Una rettifica parziale ad un precedente post.
Si conferma che, nel calcolo dei 36 mesi, non rilevano più le cd “mansioni equivalenti” svolte dal Dipendente presso lo stesso Datore di Lavoro.
Nel calcolo, pero', non possono rientrare mansioni di qualunque tipo svolte, sia impiegatizie, sia operaie (come sostenuto nel precedente post). Ciò è impedito dalla formulazione dell’art. 19.2° comma D.lgs. 81/2015 che ammette il computo comunque tra mansioni (anche inferiori, anche non equivalenti) comunque entro la stessa categoria o livello legale.
Qui sotto, comunque, a scanso di qualunque equivoco, si riporta il testo di legge in vigore dal 25/06/2015.

Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l'eccezione delle attività stagionali di cui all'articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, non può superare i trentasei mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell'ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.

Quanto detto, però, non risolve tutti i problemi.
E' chiaro, infatti, che tale regola è in stretta interdipendenza con le nuove regole sulle mansioni disegnate dal medesimo D.lgs. 81/2015 (art. 3): e soprattutto, occorrerà capire come influenza il conteggio dei 36 mesi l’eventuale circostanza che Datore di Lavoro e Lavoratore si siano avvalse delle più ampie facoltà di demansionamento (anche sotto la Categoria e il livello di inquadramento) previste dalla legge, sia pure con speciali procedure di “deroga”.
Ogni post scritto in precedenza sull'argomento deve intendersi superato dal presente.
Restiamo a disposizione per aggiornamenti

mercoledì 1 luglio 2015

NASPI, I CONTRIBUTI IN VIGORE

Confermando le previsioni della vigilia, l’INPS, con Messaggio 4441/2015, conferma che la contribuzione NASPI (contribuzione base, addizionale, contributo per licenziamento) continua ad essere regolata dalla normativa in vigore (per l’ASPI) al 30/4/2015. La posizione INPS non merita molti commenti, essendo pienamente coerente con un assetto normativo, quello disegnato dal D.lgs. 22/2015, istitutivo della NASPI, che non aveva disposto nulla di preciso sulla contribuzione NASPI. In considerazione di tale vuoto regolativo, opera il rinvio contenuto nell’art. 14: per quanto non diversamente regolato dal D.lgs. 22, resta in vigore, per la NASPI, ogni precedente disposizione (principalmente, la l. 92/2012, ma non solo). Questo lo stato dell’arte.

1) CONTRIBUZIONE ORDINARIA NASPI: 1.61% (1.31%+0.30% ex. art. 25 l. 845/1978). Sul contributo base del 1,31% trovano applicazione eventuali riduzioni del costo del lavoro (art. 120 l. 388/2000; art.1.361 l. 266/2005), nonché le misure compensative ex. art. 8 DL 203/2005, convertito con modificazioni nella l. 248/2005, in relazione ai maggiori oneri finanziari sostenuti dai Datori di Lavoro per il versamento di quote di TFR alle forme pensionistiche complementari, al Fondo di Tesoreria, ovvero nelle ipotesi di liquidazione mensile di Qu.I.R. senza accesso al finanziamento assistito da garanzia. Permane, inoltre, in favore di alcune categorie di lavoratori (es. soci lavoratori delle Coop ex DPR 30/4/1970 nr. 602; personale artistico con rapporto di lavoro subordinato) e a determinate condizioni, l’allineamento graduale dell’aliquota contributiva (ex ASPI).

2) CONTRIBUTO ADDIZIONALE: 1.40%, dovuto in relazione a rapporti di lavoro “non a tempo indeterminato”, con esclusione di: -Lavoratori a termine in sostituzione di lavoratori assenti; -Lavoratori dipendenti a termine della PA ex D.lgs. 165/2001; -Apprendisti; -Assunzioni a tempo determinato per mobilità ex. l. 223/91; -Lavoratori assunti a termine per lo svolgimento di attività stagionali ex DPR 1525/1963* Va ricordato che il D.lgs. 81/2015 ha introdotto nuove norme per l’individuazione delle attività stagionali. Il Ministero del Lavoro o l’INPS dovranno chiarire se il rinvio contenuto nella l. 92/2012 al DPR 1525 possa riferirsi ai nuovi decreti ministeriali che saranno emanati ex D.lgs. 81/2015 per individuare le attività stagionali.

STAGIONALITA’-SPECIFICHE: Per i periodi contributivi maturati tra il 1/1/2013 e il 31/12/2015, sono esclusi da contribuzione addizionale i lavoratori assunti a termine per lo svolgimento di attività stagionali definite tali dagli avvisi comuni e dai CCNL stipulati entro il 31/12/2011 dalle organizzazioni dei Lavoratori e dei Datori di Lavoro comparativamente più rappresentative.

SGRAVIO PER STABILIZZAZIONI E RAPPORTI CON LE AGEVOLAZIONI EX. ART. 1.118°COMMA L. 190/2014: Per le trasformazioni/stabilizzazioni intervenute nel corso del corrente anno, è mantenuta la restituzione del contributo addizionale, come in vigore al 30/4/2015. Contrariamente a quanto lasciava intendere il testo dell’art. 1.118°comma l. 190/2014 e alla sua interpretazione ad opera della Circolare 17/2015, l’INPS ha dichiarato tale sgravio “cumulabile” con l’esonero contributivo INPS*. Occorrerà capire se detto “sgravio” potrà eventualmente sforare la soglia di € 8.060 ex. art. 1.118 cit.

3) CONTRIBUTO SULLE INTERRUZIONI DEI RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO. Resta in vigore negli stessi termini previsti il “contributo per licenziamento”. La somma limite, per le interruzioni avvenute da maggio 2015 in poi, è fissata in € 1.1195, 00. Conseguentemente, la soglia annuale di contributo corrisponde a € 489.95 e l’importo massimo –riferito a rapporti di lavoro dalla durata pari o superiori a 36 mesi- è di € 1.1469,85.
Tale obbligo contributivo non sussiste in caso di:
-Licenziamento effettuati a seguito di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri Datori di Lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dal CCNL;
-Interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.

DL 76 2013
Il Msg INPS precisa che continua a trovare applicazione l’art. 7, c. 5, lettera b) del DL n. 76/2013, in favore dei datori di lavoro che assumono/trasformano, con contratto a tempo pieno e indeterminato, lavoratori in godimento dell’indennità NASpI (ex ASpI). Una previsione di scarsissima applicazione pratica, ma che esigenze di completezza impongono di menzionare.