AVVERTENZA

AVVERTENZA:
QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI"
GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.

NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.

IL PRESENTE BLOG NON OFFRE,
NE' PUO', NE' VUOLE OFFRIRE CONSULENZA ONLINE IN ORDINE AGLI ADEMPIMENTI DI LAVORO DI IMPRESE, O LAVORATORI.

NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.




martedì 31 marzo 2015

CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI - LA REINTEGRA NEL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO



DIRITTO INTERTEMPORALE D.lgs. 23/2015 e art. 18 l. 300/1970 (come modificato dalla legge 300/1970): in che rapporto stanno?
A rigore, si dovrebbe fare applicazione dell’art. 15 Disp.prel. e ritenere l’art. 18 l. 300/70 abrogato perché … “…la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore” E’ evidente e logico, del resto, due sistemi normativi, in relazione alla stessa materia, non possono coesistere. La stessa conclusione, del resto, appare pienamente e logicamente legittimata dall’inciso di cui al primo comma dell’art. 1 D.lgs. 23/2015:
Art. 1 – Campo di applicazione. 1. Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto.
Pertanto, se il D.lgs. 23/2015 non richiama espressamente disposizioni già in vigore nell’art.18 (prec. Edizione), l’art. 18 non può ritenersi in vigore e non può ritenersi riferimento utile per colmare lacune, punti dubbi del D.lgs. 23/2015.
LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO: QUALIFICAZIONE DELLA FATTISPECIE
Art. 2 – Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale. 1. Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. (…)
Questa disposizione viene a sovrapporsi al vecchio comma 1 dell’art. 18 l. 300/70 che regolava (applicando la reintegra) il licenziamento discriminatorio.
Con il D.lgs. 23/2015, pertanto, il licenziamento si potrà qualificare come “discriminatorio”, in forza del rinvio alle seguenti disposizioni di legge:
-Art. 15 l. 300/1970; -Altri casi di nullità del licenziamento previsti dalla legge, ovvero:
a) Art. 3 l. 108/90 (licenziamento discriminatorio)
b) Art. 35 D.lgs. 198/2006 (licenziamento per causa matrimonio);
c) Art. 54 D.lgs. 151/2001 (licenziamento lavoratrice madre).
E’ da rimarcare che il D.lgs. qualifica come “licenziamento nullo” solo il licenziamento la cui nullità sia “espressamente” prevista dalla legge. Un tentativo di restringere il più possibile le ipotesi passibili di reintegra, sia pure nella formulazione residuale del D.lgs. sulle cd “tutele crescenti”. Ma con legge deve intendersi “legge speciale” o anche il “diritto comune”? Secondo l’Avv. TOFFOLETTO (Studio Legale Toffoletto, De Luca, Tamajo Soci, in Licenziamenti Individuali e Collettivi, la nuova disciplina in Guida al Lavoro, nr. 10/2015) non c’è dubbio: trattasi di “nullità speciali”. Ma le cose, ad un attento esame testuale della norma, non sembrano andare in questa direzione … Ora, è vero che la nullità, dal punto di vista della tecnica legislativa, può essere “speciale”, in quanto puntualmente prevista da un singolo disposto di legge (legge speciale, in genere, come la l. 108/90, il D.lgs. 151/2001), ovvero “generale”, in quanto riconducibile alla generale previsione della “nullità” di diritto comune. Ora, l’attuale testo dell’art. 1 D.lgs. 23/2015 non distingue tra nullità del licenziamento per “previsione di nullità speciale” e “previsione di nullità generale” (art. 1418 Codice Civile): pertanto, deve ritenersi che rientrano nella previsione di “licenziamento nullo” passibile di reintegra tutte le ipotesi di licenziamento, qualificabili nulli vuoi ai sensi delle leggi speciali, vuoi ai sensi del diritto comune. Questa conclusione (oggettivamente peggiorativa per le Aziende) è, del resto, suffragata dal confronto con il precedente testo dell’art. 18 edizione 2012! Nel precedente testo, infatti, era possibile ritenere che con “altre ipotesi di nullità del licenziamento previste espressamente dalla legge” dovessero qualificarsi le ipotesi di “nullità speciale” di licenziamento, e non di diritto comune: questo per la semplice ragione, che la legge, molto opportunamente, provvedeva a circoscrivere come passibile di reintegra solo l’ipotesi di nullità ex. art. 1345 Codice Civile, per “motivo illecito determinante”; con ciò escludendo ogni altro tipo di nullità (ad esempio, per difetto di causa). Con il D.lgs. 23/2015, invece, ogni ipotesi di nullità del licenziamento appare virtualmente riconducibile al “sistema” del diritto comune (artt. 1325 Codice Civile; 1418 Codice Civile). E questo evidentemente va a favore del Lavoratore e del mondo giudiziario favorevole alla causa del lavoratore, il quale, così, finisce per disporre di una ampia discrezionalità giudiziaria per qualificare i casi di “licenziamento nulli”, con notevole facoltà di ampliare i casi di ricorso alla residua ipotesi di reintegra. E questo, certo non giova alla certezza delle conseguenze economiche del licenziamento per le imprese … Giudiziosamente, il Decreto estende questa disciplina anche ai casi di licenziamento disposto (privo di giustificazione) a favore del lavoratore disabile o dalla sopraggiunta disabilità ex. art. 4.4°comma e art. 10.3°comma l. 68/99. Nulla dice, però, per il caso dell’eventuale licenziamento disposto in costanza di malattia, in violazione dell’art. 2110 Codice Civile; Nel vigore della precedente versione Monti-Fornero dell’art. 18, si applicava la reintegra a questi casi; ora, difettando una disposizione ad hoc, e non potendosi invocare il testo dell’art. 18, in quanto abrogato, e non espressamente richiamato, occorre ricostruire il sistema di rimedi in forza delle norme di “qualificazione” ex. art. 1 D.lgs. 23/2015. In punto di malattia, infortunio ex. art. 2110 Codice Civile, il Lavoratore è assistito da una norma-precetto che vieta al Datore di licenziare il Dipendente in malattia, prima di un certo periodo (detto, di comporto). Ma questo precetto, da quale sanzione è assistito? Dalla reintegra, o dalla tutela indennitaria? E’ logico presupporre che, in questo caso, si applichi la reintegra, anche perché al Lavoratore è riconosciuto il diritto a mantenere lo stesso trattamento retributivo, come se in malattia lavorasse. In questo caso, del resto, non sarebbe difficile estrapolare, vuoi dalla “legge speciale” (art. 4 l. 108/90), vuoi dal “diritto comune” (art. 1345 Codice Civile) un valido appiglio per ritenere nullo il licenziamento del lavoratore malato.
Dr. GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

venerdì 27 marzo 2015

SE IL DIPENDENTE OFFENDE IL DATORE DI LAVORO SU FACEBOOK (O SUL WEB)

Corte d’Appello Torino 17/7/2014 nr. 588 Pres. Girolami, Rel. Milani

FATTO: Un Dipendente, nella sezione di presentazione nel suo Profilo FB e GooglePlus, descrive la sua professione con queste parole: “Sono Impiegato presso un’Azienda di merda”. In altre occasioni, ha modo di scrivere queste “massime di saggezza”: “Odio le persone false e quel bastardo del mio Capo del Personale”. Viene licenziato per giusta causa. Il licenziamento viene impugnato. Chi ha ragione?

SUNTO: In punta di diritto: Per la legittimità del licenziamento, in questo caso, occorre considerare due norme: l’art. 2119 Codice Civile (norma sostanziale), che descrive la “giusta causa” di licenziamento quale “condizione che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro”; e l’art. 2106 Codice Civile e l’art. 7 l. 300/70 (norme procedurali), che, codificando il licenziamento tra le misure disciplinari, impongono, come per la generalità delle sanzioni disciplinari, il criterio della “proporzionalità” della sanzione-licenziamento rispetto al tipo di infrazione e alle circostanze.

Giurisprudenza consolidata (vedi Cass. 15050/2007; Cass. 10113/1998) La giurisprudenza tende a chiedere al Datore di lasciare al Dipendente, che sbagli, anche sensibilmente, una “seconda chanche”. Questa “seconda chanche”, però, non va intesa come imposizione al Datore di una “Carità Evangelica” superiore alla media dei cittadini. Questa “seconda chanche” si giustifica in virtù del peculiare modo di atteggiarsi delle obbligazioni del lavoratore subordinato e del grado di diligenza esigibile: il Dipendente è a disposizione “in via continuativa” del Datore. Valutando, cioè, il rapporto di lavoro nella prospettiva della continuità produttiva e organizzativa dell’impresa, può darsi che l’infrazione del Lavoratore sia recuperabile; ovvero non recuperabile. In quest’ultimo caso, il licenziamento è pienamente giustificato.

In punta di fatto: Nel caso di specie, il licenziamento è stato ritenuto giustificato per il Tipo di offesa arrecata dal Lavoratore: molto grave, e tale da indurre, per la pubblicità con cui la stessa è stata propalata, un danno “diffuso” alla reputazione dell’Azienda, non compatibile con la volontà del Lavoratore di recuperare il rapporto con l’Azienda. Gli indici di rottura del rapporto fiduciario ci sono tutti e sono sufficienti da soli a giustificare il licenziamento per “giusta causa” ex. art. 2119 Codice Civile ed ex. art. 7 l. 300/70.

PARTICOLARITA’ NELL’ACQUISIZIONE DELLA PROVA INFORMATICA:
-Non rileva che l’Azienda abbia rispettato le norme sui controlli a distanza ex. art. 4 l. 300/70 per attingere i “dati informatici”: l’Azienda sta subendo una diffamazione e deve auto-tutelarsi (controllo difensivo);
-La frase offensiva deve essere “gestita” dai Consulenti Informatici dell’Azienda, affinchè la frase offensiva sia “cristalizzata” e non possa essere strumentalmente cancellata dal Dipendente. Non basta la stampa della Pagina FB o web (Cassazione Sezione Lavoro n. 2912 del 18 febbraio 2004, Pres. Mattone, Rel. Spanò)

Dr. GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

giovedì 26 marzo 2015

ASSEGNI NUCLEO FAMILIARE (ANF)-REDDITI RILEVANTI

Il reddito familiare da considerare ai fini della corresponsione dell’ANF ècostituito dall’ammontare dei redditi complessivi conseguiti dai singolicomponenti il nucleo familiare, nel periodo di riferimento individuatonell’anno solare precedente il 1° luglio di ogni anno, per il quale vienepresentata la domanda.
                Lostesso reddito ha valore per la corresponsione dell’ANF fino al 30 giugnodell’anno successivo.
                ---
                ESEMPIO: ...
                (...)

VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK:https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/assegni-nucleo-familiare-anf-redditi-rilevanti/854907937903449

LAVORO ACCESSORIO: COME RILEVA SU ASSEGNI NUCLEO FAMILIARE (ANF) E DETRAZIONI CONIUGE A CARICO?* (*CON COMMENTO DI UN LETTORE)

Quesito:
Un uomo, sposato e con figli, percepisce una certa quota di assegni familiari in relazione al reddito posseduto. La moglie, nel 2013, ha attivato dei voucher.
Questi redditi da voucher si cumulano ai fini del reddito imponibile per gli assegni familiari?

Risposta:
Vigente la disciplina dei voucher ex. legge 92/2012, il compenso del lavoratore accessorio si considera esentato da imposizione fiscale, e non incide sullo stato di disoccupato e inoccupato (art. 72.03°comma D.lgs. 276/2003). Questo, naturalmente, fino a che eventuali modifiche (in primis, il D.lgs. di semplificazione dei contratti del cd. Jobs Act) non modificheranno questo stato di cose.
Con questo, però, è doveroso interrogarsi sull'influenza di questa speciale disciplina sul reddito rilevante ai fini degli assegni familiari.
Nel silenzio della legge, ai fini del reddito rilevante, si considera il “reddito complessivo” fiscale, con le specifiche previste per gli assegni familiari; pertanto, anche il reddito da voucher pare influenzare il diritto all’assegno familiare se il voucher percepito è annualmente superiore a € 1.032: in questo caso rileva l’intero reddito da voucher, reddito per eccellenza, “esente da imposta”.
Ci pare, comunque, coerente concludere che l’attuale normativa sul voucher possa influire sul reddito IRPEF del “Coniuge a carico”. Se cioè il reddito da voucher è superiore a € 2.840, il coniuge voucherista non dovrebbe considerarsi più “fiscalmente a carico”. Ricordiamo che l’art. 72.03°comma D.lgs. (attuale formulazione) esonera il reddito del voucherista da “imposizione fiscale”, dallo stato di disoccupazione e inoccupazione, ma non ad altri fini. Nel silenzio della norma (essendo evidentemente preclusa l’interpretazione analogica ex. art. 14 Preleggi, data l’eccezionalità delle previsioni di esonero), è coerente ritenere che il reddito del Coniuge voucherista possa rilevare ai fini dell’eventuale esclusione dei “carichi fiscale” e delle relative detrazioni, ove superiore alle quote reddituali a questo fine stabilite dalla legge.
Ci riserviamo, comunque, le doverose istanze di chiarimento in sede di interlocuzione con gli Uffici competenti, ovvero rispetto agli aggiornamenti che dovessero sopravvenire.
Restiamo a disposizione per aggiornamenti.

POST SCRIPTUM:
Avevamo promesso aggiornamenti, e Ve li offriamo.
Ci scrive, Paolo Cirielli:
"Buon giorno, volevo solo segnalare che l'AdE in una risposta ha dichiarato che i voucher non rilevano per la valutazione se un familiare è a carico o no (http://www.fiscooggi.it/.../regime-fiscale-dei-buoni-lavoro): è una risposta ufficiosa ma sempre da fonte autorevole.
Cordiali saluti".

E' evidente che un chiarimento ufficiale deve pervenire dall'Agenzia delle Entrate. Nel dubbio, quella prospettata nel post è l'interpretazione più prudenziale, anche perchè più aderente al dettato letterale della norma e perchè coerente con il canone interpretativo che esclude l'interpretazione "analogica" di norme eccezionali come quella relativa al voucher. Grazie al lettore per la gentile collaborazione.

mercoledì 25 marzo 2015

TRAPASSO DI AGENZIA ASSICURATIVA: IL LICENZIAMENTO DEI DIPENDENTI DEL L'AGENZIA CEDENTE

Quesito: Una piccola Agenzia di Assicurazione sta per essere ceduta ad un altro Titolare. Il Titolare cedente, intanto, licenzia i Dipendenti, in modo da lasciare al Subentrante l’Agenzia “netta”, libera, cioè, da pendenze retributive “di personale”. E’ lecita questa prassi? 

Risposta: In questa sede, possiamo solo procedere ad un breve punto di diritto. Di per sé, il licenziamento in concomitanza temporale con la cessione d’Azienda non è vietato, se sorretto da una ragione produttiva apprezzabile (vedi Cass. 29 gennaio 1998, n. 796), non riconducibile al fatto in sé del trasferimento d’azienda (art. 2112.4°comma Codice Civile). E’ evidente che il licenziamento non deve essere strumentale: in questo senso, la riassunzione di tutti o parte del personale licenziato presso la Subentrante, potrebbe generare problematiche, e coinvolgere, nel pagamento delle spettanze, anche la Cedente, in forza della regola della “solidarietà” Cedente-Cessionario verso le spettanze del Dipendente, valida fino alla prescrizione dei diritti retributivi e contributivi del personale. Nel settore Assicurazioni (CCNL UNAPA-ANAPA), le limitazioni al licenziamento, nel corso di un trasferimento d’Azienda (art. 2112.4°comma Codice Civile), sono oltremodo confermate dall’art. 71 CCNL, molto perentorio nel precisare che “il trapasso di Agenzia non risolve i rapporti di lavoro”. “Trapasso d’Agenzia” ex. art. 71 CCNL Ass. è fattispecie perfettamente sovrapponibile, in punta di fatto e di diritto, alla fattispecie di “trasferimento d’Azienda” ex. art. 2112.4°comma Codice Civile; riteniamo, però, almeno ad una prima lettura, che l’art. 71 in parte qua sia previsione che concorre a regolare in senso ancora più restrittivo (rispetto all’art. 2112.4°comma Codice Civile) la facoltà di licenziamento datorile, in concomitanza con la cessione d’Agenzia assicuratrice. Entrambe le norme (art. 71 CCNL; art. 2113.4°comma Codice Civile) escludono che la cessione/trasferimento/trapasso d’Azienda costituisca “motivo di licenziamento”, ma con una differenza rilevante: l’art. 2113.4° C.C. fa salvo il ricorso delle altre condizioni di legge legittimanti il licenziamento; l’art. 71 su questo tace. E’ vero che l’art. 71 non esclude (almeno astrattamente) l’applicabilità delle norme ex. l. 604/66 sul “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento al caso di specie; è vero, però, che l’art. 71 è suscettibile di essere interpretata e applicata come norma che può concorrere a rendere più difficile, in questi casi, il licenziamento del Dipendente di Agenzia assicurativa, in concomitanza con il “trapasso d’Agenzia”, nel senso di rendere più difficile la prova del “giustificato motivo oggettivo” in capo al Datore (il quale viene, così, gravato di una “inversione dell’onere della prova”).
A disposizione per approfondimenti
Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

LA CESSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO


Quesito: Un’Azienda può cedere ad un’altra Azienda un rapporto di lavoro subordinato, allo stesso modo con cui realizza la cessione di qualsiasi altro contratto d’impresa?

Risposta: La cessione del rapporto di lavoro subordinato è da tempo riconosciuta in giurisprudenza (vedi, tra le altre, Cass. 24/11/1989 nr. 5062) ed è ricondotta alla previsione generale ex. art. 1406 del Codice Civile. La cessione comporta liberazione totale del precedente Datore di Lavoro e assunzione di nuovi obblighi da parte del subentrante, senza che ciò comporti (come nell’ipotesi di “trasferimento d’azienda” ex. art. 2112 del Codice Civile) la responsabilità solidale del Cedente e del Subentrante nelle spettanze economiche pregresse del Lavoratore ceduto. La circostanza, però, che tale contratto si realizzi frequentemente in casi di crisi aziendale e di difficoltà del Datore di Lavoro cedente a pagare regolarmente il Personale ci deve rendere accorti e prudenti, ove la Clientela proponga tale contrattualistica, che può presentare insidie di vario genere: sotto il profilo della simulazione, innanzitutto, ma anche della gestione in caso di fallimento (specie se il contratto preveda, come accade frequentemente, una “partecipazione finanziaria” iniziale dell’Ex- Datore al pagamento delle obbligazioni: in caso di fallimento dell’Ex-Datore la posizione di tali rapporti rispetto alla massa fallimentare è assai problematica). Per quanto riguarda le comunicazioni obbligatorie al Centro per l’Impiego (determinanti per i successivi adempimenti di variazione presso INPS e INAIL), le istruzioni ministeriali che abbiamo potuto compulsare prevedono disposizioni speciali per questi casi di traslazione dei rapporti di lavoro subordinato (come per i trasferimenti ex. art. 2112 Codice Civile): vedi la procedura cd Unificato VARDatori. E’ comunque indispensabile l’accordo tra Aziende-Datrici di Lavoro, ed è indispensabile, per l’efficacia del contratto, il consenso del lavoratore ceduto. L’indispensabilità del consenso del Lavoratore ceduto qui assume un significato tutto particolare e va collegato alla circostanza che il contratto di lavoro subordinato è contratto intuitu personae: si realizza, cioè, la cessione (ovvero traslazione del rapporto di lavoro subordinato) se e solo se la cessione riguarda lo stesso lavoratore, inteso come persona (come “persona-cosa specifica”). Una cessione che, ad esempio, fosse concepita per trasferire un “apicale”, senza individuazione della persona (ma con individuazione ex post ad esempio del cessionario cui fosse riconosciuto il potere di scegliere il lavoratore da cedere, come capita nelle cessioni di “cose generiche”) non integrerebbe i presupposti di una valida cessione, quanto sarebbe qualificabile come costituzione ex novo di nuovo rapporto di lavoro subordinato. In questo caso, ai fini delle Comunicazioni Obbligatorie al Centro per l’Impiego, non si potrà procedere con la procedura VarDatori, ma con la procedura usuale di cessazione-riassunzione ex. l. 264/49. A disposizione per approfondimenti
Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

lunedì 23 marzo 2015

JOBS ACT, ASSOCIAZIONI IN PARTECIPAZIONE FLASH

Un brevissimo flash per informare i Sigg.ri Clienti che, con l’approvazione del D.lgs. “di semplificazione” dei contratti di lavoro, attualmente in fase di esame delle Commissioni parlamentari, non sarà più possibile stipulare ...
(...)
VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/jobs-act-associazioni-in-partecipazione-flash/853454071382169

CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI: LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTO INGESTIBILE CON LE NUOVE NORME

Come si potrà gestire il licenziamento cd “per scarso rendimento” con le nuove norme del “contratto di lavoro a tutele crescenti”?
Recentemente, la Corte di Cassazione (sent. nr. 18678/2014) ha avuto modo di precisare che, a certe condizioni, tale licenziamento può essere ricondotto, per il lavoratore in malattia, allo schema del “licenziamento per giustificato motivo oggettivo”. Tale è il caso delle astensioni per malattia che, ai fini del GMO, rilevano “per le modalità con cui si verificano davano luogo ad una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile, rilevandosi la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale, così da giustificare il provvedimento risolutorio”.
Se il Dipendente volesse contestare questo licenziamento, così motivato, quale delle azioni di tutela previste dal D.lgs. recente potrebbe attivare?
Essenzialmente, il Lavoratore potrebbe contestare:

-          L’assenza del “motivo economico” del licenziamento;
-          La natura disciplinare del licenziamento e la sua infondatezza.

Nelle Aziende sotto i 15 Dipendenti, in qualunque dei due modi qui evidenziati si venga a declinare l’azione di licenziamento, le conseguenze economiche sono le medesime: ossia sono quelle previste dall’art. 03.01°comma D.lgs. e che, ove accolta dal Giudice, comporta la declaratoria giudiziale di risoluzione del rapporto, e il connesso obbligo del Datore di Lavoro condannato ad un’indennità risarcitoria non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.
Rischi maggiori, invece, si presentano nelle Aziende con più di 15 Dipendenti (in quelle cioè riconducibili alle soglie dimensionali ex. art. 18.08°-09°comma l. 300/70). In questo caso, infatti, se il Lavoratore dovesse contestare che, nei suoi confronti, è stato spiccato un licenziamento disciplinare non solo illegittimo nella procedura, ma anche nel merito, e che, in particolare, il “fatto materiale contestato” è “insussistente”, complici le ben note confusioni interpretative della norma (tale e quale ripresa dalla precedente l. 92/2012, con i relativi punti interpretativi irrisolti), l’Azienda correrebbe il serio rischio di applicare la reintegra. Ovvero, cosa più certa, quello di trovarsi incagliata in un contenzioso fastidioso, per di più, diretta conseguenza della particolare tecnica normativa “casistico-a scalare” con il D.lgs. dell’Esecutivo Renzi ha regolato le tutele di licenziamento.
Il danno vero per l’Azienda, in questo caso, è l’imprevedibilità: l’Azienda, infatti, si troverebbe, in questo caso, a licenziare per un motivo, e si troverebbe contestata per un altro; con rischio di gravi conseguenze, in caso, come visto, di Aziende di grosse dimensioni. In una parola, l’Azienda sarebbe alla mercè del Dipendente.
A disposizione per approfondimenti

martedì 17 marzo 2015

AI LETTORI DEL BLOG

Causa problemi personali sopravvenuti, questa settimana il Blog "I costi del lavoro" non verrà aggiornato, o, almeno, non verrà aggiornato regolarmente. L'aggiornamento sarà comunque ripreso al più presto possibile, non appena le circostanze lo consentiranno. Ci scusiamo con i lettori. Grazie dell'attenzione.

venerdì 13 marzo 2015

DIRITTO DI PRECEDENZA E ASSUNZIONI AGEVOLATE: QUASI TRE ANNI DI EQUIVOCI E FRAINTENDIMENTI

Sul “diritto di precedenza”, or sono quasi tre anni, grava una pesante cappa di confusione interpretativa, alimentata da una poco accorta interpretazione delle disposizioni ex. art. 04.12°comma lett. a) l. 92/2012. Recentemente, tale confusione, per quegli effetti di “trascinamento” degli errori (tipici di quanto si fanno le cose, senza riflettere), è rifluita in un Interpello del Ministero del Lavoro, il nr. 3/2015: proprio, il soggetto che, finora, pareva più di tutti immune a attestato su posizioni differenti rispetto all’INPS. Ma iniziamo con ordine. Queste disposizioni, in un’ottica di consolidamento e razionalizzazione della disciplina delle agevolazioni nell’assunzione, aveva prescritto una serie di condizioni generali ostative alla fruizione così riassumibili: 12. Al fine di garantire un'omogenea applicazione degli incentivi all'assunzione, ivi compresi quelli previsti dall'articolo 8, comma 9, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, e dagli articoli 8, commi 2 e 4, e 25, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, per i periodi di vigenza come ridefiniti dalla presente legge, si definiscono i seguenti principi: a) gli incentivi non spettano se l'assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva; gli incentivi sono esclusi anche nel caso in cui il lavoratore avente diritto all'assunzione viene utilizzato mediante contratto di somministrazione; b) gli incentivi non spettano se l'assunzione viola il diritto di precedenza, stabilito dalla legge o dal contratto collettivo, alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine; gli incentivi sono esclusi anche nel caso in cui, prima dell'utilizzo di un lavoratore mediante contratto di somministrazione, l'utilizzatore non abbia preventivamente offerto la riassunzione al lavoratore titolare di un diritto di precedenza per essere stato precedentemente licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine; c) gli incentivi non spettano se il datore di lavoro o l'utilizzatore con contratto di somministrazione abbiano in atto sospensioni dal lavoro connesse ad una crisi o riorganizzazione aziendale, salvi i casi in cui l'assunzione, la trasformazione o la somministrazione siano finalizzate all'acquisizione di professionalità sostanzialmente diverse da quelle dei lavoratori sospesi oppure siano effettuate presso una diversa unità produttiva; d) gli incentivi non spettano con riferimento a quei lavoratori che siano stati licenziati, nei sei mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che, al momento del licenziamento, presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro che assume ovvero risulti con quest'ultimo in rapporto di collegamento o controllo; in caso di somministrazione tale condizione si applica anche all'utilizzatore. Come noto, l’interpretazione INPS (con le Circolari 137/2012 e 131/2013) ha dato luogo a critiche, perché ha accreditato l’interpretazione secondo la quale il rispetto del diritto di precedenza implica la “previa offerta” datorile del posto di Lavoro al lavoratore subordinato cessato, che sia titolare di diritto di precedenza[1]. L’INPS, poi, in una successiva Circolare (la 131/2013), si è spinta più oltre. Commentando un incentivo all’assunzione disposto dal DL 76/2013, e richiamando le disposizioni dell’art. 04.12°comma lett. a)-b) l. 92/2012, relativamente alle condizioni generali ostative alla fruizione del beneficio, l’INPS ritenne di rinvenire una specie di ratio stabilizzante (come vedremo, non autorizzata da nessun riscontro testuale, come messo ben in rilievo dalla Fondazione Studi CDL nel 2013). Della serie: se in Azienda c’è un diritto di precedenza, il Datore, ove intenda fruire dell’agevolazione, oltre a dover offrire l’assunzione al Dipendente cessato, titolare del diritto di precedenze, non avrebbe dovuto riassumere lo stesso Dipendente decorsi sei mesi. Questa circostanza era ritenuta elusiva del “diritto di precedenza”. Ora, come vedremo, l’INPS è andata molto oltre la tradizionale configurazione del “diritto di precedenza”, tracciando l’identikit di un istituto, che, così “creativamente” acconciato, non appare molto dissimile dalla vecchia “reintegra” (senza che nulla autorizzi questa conclusione). E quel che è peggio, è che, non solo l’INPS non si è mai preoccupata di motivare le ragioni tecnico-giuridiche della sua (quantomeno ardita) posizione, ma addirittura che la stessa posizione sia rifluita (ancora una volta, senza alcun approfondimento tecnico) in un Interpello del Ministero del Lavoro (nr. 3/2015). Ministero che finora appariva sostanzialmente refrattario a certe posizioni INPS, avendo assunto nel 2008, all’indomani della l. 247/2007 (cd Protocollo Welfare) una posizione, in punto di diritto di precedenza, molto tradizionale, che certo non lasciava presagire gli sviluppi dell’INPS. Una posizione, del resto, ribadita anche recentemente, all’indomani del cd Decreto Poletti, con la Circolare Min. Lav. 18/2014 (ed è proprio questo immediato precedente a rendere tanto più inopinata e incomprensibile la “virata” ministeriale con l’Interpello nr. 3/2015). Ora, si da il caso che tale orientamento INPS sia stato pesantemente criticato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nella Circolare nr. 15/2013. Questa posizione critica, però, tuttora fondata e da portare avanti, richiede, almeno a mio modesto avviso, un aggiornamento rispetto alla Circolare nr. 15/2013. Nel 2013, la Fondazione CDL tentò di contrastare il punto di vista dell’INPS sul diritto di precedenza, richiamandosi alla Circolare Min. Lav. Nr. 13/2008: ma con l’allineamento del Ministero del Lavoro alle posizioni dell’INPS tali armi sono manifestamente spuntate. Oggi, il punto di vista dell’INPS (e del Ministero) sul diritto di precedenza si può contrastare in un modo diverso, impugnando la paziente arma dell’esegesi testuale, logica e sistematica della norma. Nelle righe che seguono spieghiamo come. Dal ns. modesto punto di vista, siamo, infatti, convinti che, solo ripercorrendo con ordine il percorso esegetico dell’INPS, intrinsecamente viziato ed errato, si possa avere ragione della norma, e, confutati gli errori, si possa pervenire ad un inquadramento più corretto della norma. In particolare, la ns. ferma opinione è che tutti i problemi trovino la loro origine in un equivoco interpretativo: in particolare nella non efficace e puntuale lettura coordinata tra lett. a) e lett. b) dell’art. 4.12°comma l. 92/2012, in particolare, laddove questi, rispettivamente, si riferiscono a “obblighi assunzionali di legge e di CCNL” (lett. a) e a “diritto di precedenza” (lett. b). E qui sta anche la parziale inefficacia della posizione (pur corretta) della Fondazione Studi CDL, che, giustamente, segnala la svista dell’INPS, ma non con la dovuta efficacia critica “chirurgica”. Una critica “chirurgica”, cioè, dovrebbe portarci a capire che la posizione INPS sul “diritto di precedenza” è così involuta, essenzialmente perché l’Istituto, nella Circolare 137/2012, sposa un’interpretazione dell’art. 12.04°comma lett. a)-b) della legge 92/2012 che tende a sovrapporre le due fattispecie (lett. a), lett. b): vediamo come e perché. “Niente agevolazioni assunzionali a chi viola obblighi assunzionali previsti da legge e CCNL”. Scorrendo il testo della Circolare citata (par. 1.1:1), l’INPS comprende tra gli obblighi assunzionali anche gli obblighi che nascono in capo al Datore di Lavoro di assumere il Dipendente, ove questi eserciti il diritto di precedenza. Come noto, il diritto di precedenza è una fattispecie particolare, a formazione progressiva, in ogni previsione di legge sia esso previsto ex. art. 15 l. 264/1949 sia ex. art. 5 D.lgs. 368/2001, sia ex. art. 47.6°comma l. 428/1990, sia ex art. 1 DL 34/2014 (conv. in l. 78/2014). Al verificarsi di una condizione di cessazione del rapporto subordinato (a tempo determinato o indeterminato), la legge riconosce un lasso di tempo al Dipendente (variabile da 3-6 mesi, ma con durata variabile secondo la contrattazione collettiva) per decidere se manifestare o meno “gradimento” per un’assunzione. Nel lasso di tempo, ovviamente, il Lavoratore può esprimere interesse ad una riassunzione, ovvero non fare nulla. Ove il Lavoratore, però, manifesti il gradimento alla riassunzione, il Datore deve provvedere. Come si può ben capire, il “diritto di precedenza” passa per due fasi: una fase di “mera latenza”, al trascorrere del tempo di legge (decorso il quale, il diritto di precedenza cessa); e una fase in cui il “diritto di precedenza” è a tutti gli effetti in atto quale vincolo datorile all’assunzione[2]. Questa linea interpretativa ha dalla sua la logica formale e giuridica, ma lascia aperta un’obiezione di fondo: se, cioè, il legislatore ha già compendiato il “diritto di precedenza” nella lettera a) dell’art. 12.04°comma l. 92/2012, come giustificare che la legge consideri “la violazione del diritto di precedenza” nella lettera b)? A rigore, l’operazione interpretativa dell’INPS, tendendo ad assorbire la previsione di cui alla lettera b) nella previsione di cui alla lettera a), con ciò realizzando una interpetatio abrogans della lettera b). Non mi risulta che nessuno, al momento, abbia obiettato alla posizione INPS sotto questo profilo (nemmeno la Fondazione Studi CDL). Ma c’è più di un motivo per ritenere che sia questo vizio esegetico sia alla base dei successivi “avvitamenti” sul “diritto di precedenza”. L’INPS, più in particolare, con la Circolare nr. 137/2012, arriva a dire (in modo inopinato e attirandosi le ferme critiche della Fondazione Studi CDL) che il Datore di Lavoro, per assumere con agevolazioni, rispettando la lettera b), prima di assumere il Lavoratore da agevolare, deve “offrire” l’assunzione al Lavoratore[3]. Se riflettiamo un poco, questo “avvitamento” nasce da un percorso interpretativo errato, ma, pur nell’errore, lineare e consequenziale. Nel momento in cui assorbe di fatto il rispetto del “diritto di precedenza” (quello esercitato dal Lavoratore, quindi a tutti gli effetti vincolante per il Datore) tra gli “obblighi di assunzione di legge e di CCNL”, l’INPS, non riconoscendo quello che, almeno a giudizio nostro e di altri, costituisce errore esegetico, si trova nella necessità di giustificare in qualche modo il riferimento legislativo al “diritto di precedenza” di cui alla lettera b). Non potendo più riferire la “violazione del diritto di precedenza” alle “precedenze” fatte valere nei termini dai Lavoratori (perché compendiate nella lettera a), l’INPS ritiene di giustificare tale riferimento, presupponendo che il legislatore abbia impedito l’assunzione agevolata non solo quando il diritto di precedenza sia stato fattivamente esercitato, ma in tutti i casi in cui esso sia previsto dalla legge. In tutti questi casi, secondo l’INPS, sarebbe precluso l’accesso all’agevolazione non solo quando contrasta con la volontà di assunzione, manifestata dal Lavoratore che abbia esercitato un diritto di precedenza (posizione come noto della Fondazione Studi CDL), ma in tutti i casi in cui la legge riconosca un diritto di precedenza. Ad esempio, se, in concomitanza con un’assunzione, un Datore di Lavoro abbia realizzato un licenziamento, secondo l’INPS, il Datore non potrebbe assumere con agevolazione nel periodo dei 6 mesi riconosciuti al Lavoratore licenziato (senza giusta causa) per esercitare il proprio diritto di precedenza ex. art. 15 l. 264/1949: a prescindere dalla circostanza che tale diritto sia stato o meno esercitato. Di qui, è logico per l’INPS concludere per la posizione come noto più aspramente criticata: se l’Azienda non vuole aspettare 6 mesi, per liberarsi del vincolo della “precedenza”, deve offrire il posto di lavoro al licenziato (ovvero “farlo rinunciare” a tale diritto, in una “conciliazione assistita” ex. art. 2113 Codice Civile). Ormai ostaggio dell’errore, l’INPS arriva al più totale travisamento nella Circolare 131/2013, quando giunge addirittura ad estrapolare dalla lett. b) dell’art. 4.12°comma l. 92/2012 una preclusione che non ha riscontro nel testo di legge. L’INPS ritiene, cioè, violata la lett. b) anche nel caso in cui il Lavoratore licenziato sia assunto oltre sei mesi, oltre il diritto di precedenza … E’ evidente che la legge non dice questo, e non si vede come, in una norma di “stretta interpretazione” (art. 14 preleggi) come le agevolazioni nell’assunzione, l’INPS, e poi il Ministero, siano potuti pervenire a tanto … Non occorre molto sforzo per comprendere come tali assunti costituiscano una forzatura macroscopica del dettato legislativo: se, infatti, il legislatore avesse davvero inteso in questi termini il diritto di precedenza, secondo una sequenza così atipica rispetto alle previsioni di legge, l’avrebbe dovuta prevedere, cosa che, del resto, ha fatto con il contratto di “somministrazione”. Ma così non è stato, e questa è una ragione sufficiente per ritenere che tale interpretazione INPS sia contra legem. A questo punto, l’unico modo per conciliare significato testuale, logico e sistematico della normativa in oggetto è quello di proporre una contro-esegesi dell’art. 04.12°comma lett. a) e b) l. 92/2012. Quando, cioè, il legislatore esclude le agevolazioni ove non sia rispettato il “diritto di precedenza” occorre concludere che il legislatore (come coerentemente enunciato dalla Fondazione Studi CDL), si riferisca solo ai casi in cui il Lavoratore si sia avvalso del diritto di precedenza per vincolare il Datore all’assunzione; viceversa, con la lettera a), il legislatore ha inteso enunciare, quali condizioni preclusive all’accesso alle “assunzioni agevolate”, tutti i casi in cui il Datore sia “obbligato” (secondo legge o CCNL) all’assunzione di certi lavoratori; senza, però, che tale obbligo abbia come fonte l’esercizio da parte del Lavoratore del “diritto di precedenza”. Nel dubbio sull’esatta interpretazione della legge, dovrebbe essere saggio consiglio attenersi alla massima fedeltà possibile al testo di legge; particolarmente in una materia, come quella delle agevolazioni, di “stretta interpretazione” (art. 14 preleggi) che non ammette “voli pindarici” di interpretazione. Se queste osservazioni possono essere utili, se potranno essere raccolte per la riflessione “in alto” … noi non potremmo essere più felici. Grati per chi vorrà discutere e riprendere queste modeste note.

Dr. GIORGIO FRABETTI
Studio Landi Francesco
P.zza Travaglio 7 44121 Ferrara tel.0532/733616-769844 fax 0532/711495-711488 Potete consultare la ns. pagina facebook al seguente indirizzo : https://www.facebook.com/#!/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912

[1] La Circolare INPS 137/2012, al riguardo, precisa che “L’incentivo [all’assunzione, nota nostra] potrà essere riconosciuto qualora il Datore di Lavoro o l’Utilizzatore abbiano preventivamente offerto l’assunzione al Lavoratore titolare del diritto”. [2] Contra, la posizione della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (Circ. 15/2013): “… Il diritto di precedenza previsto per i lavoratori cessati da un rapporto a termine non sorge automaticamente in capo al Lavoratore per il solo fatto che il rapporto intercorrente con il Datore di Lavoro sia cessato in un arco di tempo di dodici mesi precedenti alla nuova assunzione effettuata. Per poter invocare tale diritto di precedenza rispetto ad altri Lavoratori, lo stesso dovrà dimostrare di aver palesato il proprio interesse nei termini sopra descritti. Non sarà, quindi, il Datore di Lavoro a dover formalizzare l’interesse alla stipula di un nuovo contratto nei confronti del Lavoratore, bensì quest’ultimo a dover attivarsi nei termini sopra descritti. Medesimo discorso può essere effettuato in relazione ai lavoratori assunti per lo svolgimento di attività stagionali”. [3] Vedi Circ. INPS 137/2012: “L’incentivo potrà essere riconosciuto, qualora il Datore di Lavoro o l’Utilizzatore abbiano preventivamente offerto l’assunzione al Lavoratore titolare del diritto”.

giovedì 12 marzo 2015

ROTTAMAZIONE LICENZE ANCHE PER IL 2015 (INDENNIZZO CESSAZIONE ATTIVITA' COMMERCIALE)-FLASH

Un brevissimo flash per ricordare che la legge di stabilità 2015 (l. 190/2014) ha provveduto al rifinanziamento dell’indennizzo INPS di cessazione dell’attività commerciale ex. D.lgs. 207/96 (noto anche come Rottamazione delle licenze) per coloro che ...
(...)
VUOI PROSEGUIRE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/rottamazione-licenze-anche-per-il-2015-indennizzo-cessazione-attivita-commercial/848128508581392

MICROCREDITO PMI E LAVORATORI AUTONOMI, CLICK DAY PREVISTO PER IL 5 APRILE PV-FLASH

Un brevissimo flash per ricordare che, con l’Alto Patronato del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, al 5/4 pv è fissato il cd click day per consentire a Piccole Medie Imprese e Lavoratori autonomi di beneficiare del Fondo di Microcredito ex decreto 176/2014 del Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE).
Al link ...
(...)
VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/microcredito-pmi-e-lavoratori-autonomi-click-day-previsto-per-il-5-aprile-pv-fla/848126991914877

JOBS ACT: CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI, IN VIGORE DAL 7 MARZO 2015

Nella Gazzetta Ufficiale 54 del 6/3/2015 è stato pubblicato il D.lgs. 4 marzo 2014 nr. 23 contenente ...
(...)
VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEL POST? VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/jobs-act-contratto-a-tutele-crescenti-in-vigore-dal-7-marzo-2015/848124731915103 

LE SOMME DI DENARO PERCEPITE DAL PRATICANTE AVVOCATO, PROBLEMI DI QUALIFICAZIONE FISCALE

Quesito:
Sono un Avvocato. Ogni mese passo alla mia praticante una piccola somma di denaro, per compensare l'impegno che mette nella pratica. Posso considerare questa spesa come un costo deducibile? E come posso qualificarla ai fini fiscali? Grazie.

Risposta:
dal tenore della stessa arguiamo che la somma da Lei corrisposta sia versata con continuatività. Questa circostanza concorre a qualificare fiscalmente la pur modesta somma percepita dal praticante quale “sussidio correlato ad addestramento professionale”,
“assimilato” a lavoro dipendente ex. art. 50 lett. c) TUIR.
Una precisazione. L’assimilazione vale solo ai fini fiscali, e non determina automatismi a livello giuslavoristico e previdenziale: questo, per la semplice ragione che l’attività legale, anche a livello di praticantato, per l’attività di studio che comporta e per la spendita di “competenze teoriche di grado elevato”, gode di una “presunzione di lavoro autonomo”, in forza dello status dell’attività legale medesima (attività istituzionalmente indipendente, e, in questo, fortemente garantita nel quadro deontologico: vedi art. 10 Codice Dentologico). Compete, in questo caso, al Praticante l’inversione dell’onere della prova, e dimostrare di essere stato adibito ad attività esecutiva, ripetitiva, che nulla avrebbe a che fare con il lavoro professionale.
Va da se che, con i numeri che ci ha esposto, non dovrebbero determinarsi margini per una effettiva tassazione, in capo al Praticante. L’assimilazione a lavoro dipendente comporta, comunque, ai fini fiscali, l’applicazione delle detrazioni ex. art. 12 e 16 TUIR.
E’ comunque indispensabile per lo Studio (ai fini della documentazione e della deduzione del costo) che il compenso sia gestito con tutte le regole fiscali del caso: in questo caso, infatti, lo Studio rivestirebbe la qualità di Sostituto d’imposta. Anche evitando di compilare ogni mese un “prospetto paga” (ipotesi macchinosa e antieconomica per importi così minimi), competerebbe comunque allo Studio procedere alle necessarie certificazioni dei compensi/ritenute (CU) entro il 28/2 di ogni anno e compilare il Modello 770 (Dichiarazione dei Sostituti d’Imposta).
E’ comunque consigliabile rubricare tali somme quali “rimborsi spese”, anche forfettari.
Per quanto riguarda l’assicurazione INAIL, la Circolare 14/2014 dell’Istituto ha precisato che il praticante non rientra nei soggetti assicurabili. Tale esclusione è stata correlata alla natura naturalmente “gratuita” del rapporto di praticantato. La situazione non cambierebbe, ove il praticante percepisse somme a titolo di rimborso spese.
Per quanto riguarda l’iscrizione alla Cassa Forense, l’iscrizione è facoltativa per i Praticanti Avvocati iscritti nel Registro. Con la riforma forense del 2012, però, per i neo-Avvocati l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense è automatica. Per approfondimenti, comunque, si veda l’allegato approfondimento proveniente dall’Ordine degli Avvocati di Trieste; http://www.ordineavvocati.ts.it/UserFiles//File/Vademecum_in_materia_di_Previdenza_Forense.pdf.  

martedì 10 marzo 2015

TFR IN BUSTA PAGA EX L. 190/2014 E ANTICIPAZIONE TFR: QUALE DIFFERENZA?

Quesito:
Che differenza c'è tra la previsione di anticipazione del TFR ex. Art. 2120 "Codice Civile" e la nuova previsione della legge di stabilità che consente l'erogazione del TFR in busta paga? Grazie. 

Risposta:
Al momento, in relazione alle informazioni disponibili, possiamo dire che la nuova previsione di “corresponsione in busta paga” del TFR è cosa ben diversa dalla “anticipazione” classica, per come siamo abituati a conoscerla (prevista dalla l. 297/1982, dall’art. 2120 del Codice Civile e dai CCNL di settore). Nell’ “anticipazione”, abbiamo questa situazione: -L’Azienda liquida (anche parzialmente) un TFR accantonato per le annualità precedenti; -Il TFR, però, continua ad essere accantonato per le annualità non anticipate e correnti successive all’anticipazione. Il Dipendente riceve un “salario differito” e una somma oggetto di risparmio, in chiave previdenziale (in vista, cioè, del licenziamento): in quest’ottica, si comprende la ratio della “tassazione separata”, su aliquota media delle annualità fiscali di lavoro, concepita per rendere certi gli effetti della tassazione; cosa, invece, non garantita, se il TFR fosse tassato ad aliquota corrente nell’anno di risoluzione del rapporto (in questo caso, la tassazione potrebbe rivelarsi o troppo generosa o troppo penalizzante; un’ imprevedibilità, che il legislatore ha voluto evitare per il TFR, tipica forma di “risparmio previdenziale”, sia pure totalmente a carico delle Aziende). La legge di stabilità 2015 pare, al contrario, configurare una fattispecie ben diversa. Ad essere corrisposto in busta paga non sarebbe, cioè, il TFR accantonato negli anni passati, ma quello maturando. In quest’ottica, il TFR perde la natura di “retribuzione differita/risparmio previdenziale” e diventa componente corrente di retribuzione; appare logica la tassazione ordinaria.

Dr. GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

RETRIBUZIONE ORE DI VIAGGIO, UN ESEMPIO

Caso (estratto da Guida alle Paghe nr. 3/2015): Nel corso del mese di ottobre 2014, un Dipendente di un’Azienda con meno di 15 Dipendenti, assunto al 4° Livello Operaio CCNL Metalmeccanici Industria, ed assegnato presso lo stabilimento di Cinisello Balsamo, con orario a tempo pieno dal lunedì al venerdì dalle ore 9,00 alle ore 13,00 e dalle ore 14,00 alle ore 18.00, è stato comandato a prestare la propria attività nello stabilimento di Torino, il giorno 15, con partenza dalla propria abitazione alle ore 7,00 e rientro alla propria abitazione alle ore 20,00 della stessa abitazione. Come vengono valorizzate, dal punto di vista economico, le ore del viaggio? 

Risoluzione: Si deve applicare l’art.7 CCNL Metalmeccanica Industria che riconosce al Lavoratore comandato in trasferta (oltre all’indennità di trasferta e all’indennità per ciascun pasto e il pernottamento) spetta un compenso per il tempo di viaggio, in base ai mezzi di trasporto autorizzati dall’Azienda per raggiungere la località di destinazione e, viceversa, nelle seguenti misure: - Normale retribuzione per tutto il tempo coincidente con il normale orario giornaliero di lavoro in atto nello stabilimento; - Corresponsione di un importo pari all’85% per le ore eccedenti il normale orario di lavoro di cui al precedente punto, con esclusione di qualsiasi maggiorazione per lavoro straordinario notturno e festivo. Il tempo di viaggio deve essere comunicato all’Azienda per le opportune verifiche agli effetti del compenso. ESEMPIO CALCOLO: Retribuzione lorda: € 1.657, 28 Premio: € 250, 14 TOTALE: € 1.907,424 DIVISORE 173 H Paga oraria: € 1.907,424/173 = € 11, 03 Siccome, nel caso si evidenziano 4 ore eccedenti l’orario normale di lavoro, si applica la percentuale dell’85%: 85%--- Retribuzione oraria = € 9,37174 Per retribuire le ore di viaggio, allora, bisognerà operare la seguente moltiplicazione: € 9,37174*4h = € 37.48* *Importo lordo

Dr. GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA

venerdì 6 marzo 2015

JOBS ACT, IL CONDONO SULLE FINTE COCOCO E SUL FINTO LAVORO AUTONOMO-FLASH

In data 20/2 us., il Consiglio dei Ministri, unitamente al D.lgs. sul cd “contratto di lavoro a tutele crescenti”, ha provveduto ad approvare, in via preliminare, il D.lgs. di riordino delle tipologie contrattuali flessibili che, tra le altre cose, contiene l’attesa norma di “abrogazione/superamento” delle cococo.
Il “superamento” sarà definitivo dal ...
(...)
VUOI CONTINUARE NELLA LETTURA DEI POST? VAI ALLA NS PAGINA FB AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/jobs-act-il-condono-sulle-finte-cococo-e-sul-finto-lavoro-autonomo-flash/845065835554326

ADEMPIMENTI AMMINISTRATIVI INAIL: COSA SUCCEDE SE IL TERMINE SCADE DI SABATO O IN GIORNO FESTIVO

Caso:

Per un adempimento INAIL, in capo ad un'Azienda, è prevista una scadenza in
giorno di sabato. Lo Studio di Consulenza del Lavoro provvede lunedì.
L'Azienda è in sanzione?



Risposta:

Una premessa: non esiste una norma generalmente valida che, come per i
termini di "diritto civile" (art. 1187 Codice Civile), determini
l'automatica proroga delle scadenze al lunedì successivo, se queste cadono
in giorno festivo. Per conoscere le regole vigenti, occorre far riferimento
alle regolazioni dello specifico settore.

Per quanto concerne l'INAIL, è recentissimamente intervenuta la Nota
1550/2015 (2 marzo), che ha ritenuto applicabile, per gli adempimenti che
scadano in giorno festivo, l'art. 52.3°comma D.lgs. 104/2010. In forza del
rinvio a tale norma, la scadenza in giorno festivo, si intende prorogata
fino al lunedì immediatamente successivo.

Lo stesso dicasi se la scadenza cade in giorno di sabato.

In questo caso, pertanto, non si applica alcuna sanzione; eventuali sanzioni
applicate dall'INAIL dovranno essere sgravate.


giovedì 5 marzo 2015

TFR IN BUSTA PAGA, PRIMI APPROFONDIMENTI

AVVARTENZA: In vista dell'imminente pubblicazione del Decreto del Presidente del Consiglio, che darà il via all'attesa e discussa previsione della corresponsione nella busta paga corrente del TFR, propoiamo alcuni iniziali approfondimenti della fattispecie, in relazione allo stato delle informazioni disponibili.
Allo stato attuale delle informazioni, la destinazione a busta paga del TFR (detta QUIR, Quota Integrativa di Retribuzione) pare riguardare le quote di TFR maturande del periodo 2015. Viceversa, il TFR maturato precedentemente, resta accantonato in Azienda e soggetto alle ordinarie procedure di anticipazione.
Su questo specifico punto ci riserviamo ulteriori chiarimenti e approfondimenti.

TFR IN BUSTA PAGA
PRINCIPALI QUESTIONI



1)      Come viene classificata, in busta paga, la voce di TFR disposta secondo le previsioni della legge di stabilità 2015?

Il TFR verrà classificato in busta paga come QUIR (Quota Integrativa di Retribuzione), per un importo pari al TFR che matura ogni mese a favore del Lavoratore, al netto del contributo dello 0.50% (vale a dire l’aliquota contributiva posta a carico del Lavoratore dalla legge 297/1982, versata mensilmente dal Datore all’INPS e versata in rivalsa, al momento dell’accantonamento del TFR).

2)      Chi può chiedere il TFR in busta paga (QUIR)?
Possono chiedere la QUIR i Dipendenti del settore privato che vantino un’anzianità di almeno 6 mesi.

3)      Chi sono i soggetti esclusi dalla possibilità di corresponsione del TFR in busta paga (QUIR)?
Sono esclusi:
-          Lavoratori Agricoli;
-          Colf;
-          Dipendenti da Aziende in procedure concorsuali;
-          Dipendenti da Datori che hanno sottoscritto accordi di ristrutturazione dei debiti;
-          Dipendenti da Aziende in CIGS e/o Cassa in deroga, in prosecuzione della CIGS: divieto operante per la sola unità produttiva interessata all’integrazione salariale;
-          Dipendenti che hanno ricevuto un finanziamento dando in garanzia il TFR.

4)      Quali sono i periodi di paga interessati alla corresponsione della QUIR?
I periodi di paga interessati sono quelli da marzo 2015 a giugno 2018, compresi. N.B.: Si deve ritenere, allo stato attuale delle informazioni, che il TFR maturato precedentemente, resti accantonato in Azienda e soggetto alle ordinarie procedure di anticipazione.

5)      Come deve fare il Lavoratore per farsi corrispondere il TFR in busta paga?
Il Lavoratore deve formulare apposita richiesta al Datore di Lavoro su apposito modello il cui standard verrà elaborato con l’entrata in vigore del Dpcm.

6)      Il Lavoratore può revocare la destinazione in busta paga del TFR?
No. L’opzione rimane ferma fino a giugno 2018.

7)      Quali sono le tempistiche di pagamento della QUIR (TFR in busta paga)?
La QUIR entra nella busta paga del mese seguente a quello della richiesta, oppure 4 mesi dopo, in caso di intervento della Banca finanziatrice del Datore di Lavoro. Per esempio, se il Lavoratore presenta la domanda ad aprile e l’Azienda eroga direttamente, il primo pagamento avverrà a maggio. Se, al contrario, l’Azienda –avendone i requisiti- chiede l’intervento della Banca, la QUIR confluirà per la prima volta nella busta paga di agosto.

8)      Se il TFR, prima della destinazione in busta paga, era destinato al Fondo di Tesoreria INPS, cosa succede?
Per i periodi di paga cui si riferisce il TFR maturando, evidentemente, non si realizzerà il trasferimento del TFR al Fondo di Tesoreria INPS. Al Fondo di Tesoreria INPS resteranno, se non anticipati, le quote di TFR maturate precedentemente all’entrata in vigore di questa previsione della legge di stabilità.

9)      La QUIR è imponibile ai fini di imposte e contributi?
Alla pari del TFR, la QUIR non è imponibile ai fini contributivi. E’ imponibile IRPEF a tassazione ordinaria, e non separata come il TFR.

10)   La QUIR concorre al reddito utile per il godimento del bonus di € 80? E delle altre prestazioni sociali (es. ANF)?
La QUIR non pare concorrere (allo stato attuale delle informazioni disponibili) al reddito utile per la maturazione del bonus degli € 80. Per tutti gli altri istituti, occorrerà coordinare le norme della QUIR (che saranno emanate con il prossimo DPCM) con le disposizioni che regolano l’imponibilità fiscale dei singoli istituti. Al momento, sembra, ad esempio, doversi concludere che la corresponsione della QUIR influisca sul reddito familiare ANF riducendo la portata della relativa prestazione.