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lunedì 29 settembre 2014

USA "FACEBOOK" SUL LUOGO DI LAVORO: LICENZIATO! TRIBUNALE DI MILANO CONFERMA ...

Quesito:
Qual'è la sua opinione in merito alla sentenza con la quale il Tribunale di Milano ha confermato il licenziamento di un Lavoratore, per l'uso eccessivo di Facebook sul posto di lavoro? La sentenza la trova a questo link: http://www.quotidianogiuridico.it/Civile/usa_facebook_in_azienda_secondo_il_tribunale_di_milano_e_legittimo_il_licenziamento_id1163021_art.aspx

Risposta:
Non mi pare ci siano molti commenti da fare: il Dipendente aveva propalato via FB (nel suo profilo pubblico) insulti e ingiurie contro l'Azienda e ciò creava una situazione di obiettiva e insuperabile incompatibilità con l'Azienda.
La gravità intrinseca della condotta (integrante anche estremi di reato) e la violazione di un "minimo etico" di correttezza (vedi Cass. 12735/2009) sono alla base del licenziamento per giusta causa, e non vedo come, su questo specifico punto, si possa sostenere il contrario.
Importante: tali infrazioni sono sanzionabili con il licenziamento, anche a prescindere da un loro previsione nel Codice Disciplinare.
Mi pare che questa fattispecie di "ingiurie" al Datore assorba le altre contestazioni relative all'apprensione di materiale pornografico tramite sito web aziendale: aldilà della tecnicalità della materia, chè usualmente l'informatica da la stura a perizie e controperizie, utili per "perdere il tempo" e creare confusione, anche questa condotta infrange il "minimo etico" di correttezza. Ricordo, però, che, ove emergesse una diffusa tolleranza aziendale ... la vicenda processuale si sarebbe fatta più complessa. Tale potenziale profilo problematico, però, mi pare disinnescato dalla assorbente rilevanza degli insulti che motivazione, senza possibili esitazioni, il licenziamento disciplinare.
Ricordo che la sentenza non può essere assunta come sentenza-cornice per i casi di uso di Internet in Azienda, in quanto regola casi di evidente ed estrema patologia, non incidenti, cioè, sulla "fisiologia", sulla "normalità" di prassi. Se l'Azienda intende procedere a forgiare regole più incisive, deve conformarsi alle indicazioni del Garante della Privacy che ha dettato "Linee-Guida" per l'uso di Internet e della posta elettronica in Azienda (link: http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1387522).

giovedì 25 settembre 2014

CONGEDO DISABILI PER IL GENITORE, ANCHE SE C'E' IL CONVIVENTE

Con Interpello nr. 23/2014, il Ministero del Lavoro, confermando la natura "tassativa" delle disposizioni che ex. art. 42.05°comma D.lgs. 151/2001 individuano i soggetti chiamati ad accedere al "congedo" per handicapp, ha precisato che il convivente non coniugato della persona disabile, in quanto non contemplata tra i beneficiari, non può accedere al "congedo" di cui si tratta.
Concorrendo altri parenti legittimati dalla legge (es. il genitore, anche se non convivente), compete a questi il godimento del congedo.
La presa di posizione ministeriale farà senz'altro discutere.
 
Studio Francesco Landi, Ferrara

IL JOBS ACT SI APPLICA AL LAVORO MARITTIMO? NO ...PER ORA! LA PAROLA DEL MINISTERO DEL LAVORO

Cogliamo l'occasione per segnalare  una rilevante lacuna del Jobs Act, che non ha provveduto a chiarire se i "limiti quantitativi" alle assunzioni del personale a termine sia applicabile al personale marittimo.
Il personale marittimo, infatti, non è espressamente contemplato dall'art. 10.07°comma D.lgs. 368/2001 tra il personale esonerato dai "limiti quantitativi"; ma non è nemmeno contemplato tra le tipologie di personale espressamente escluso dall'applicazione del D.lgs. 368/01, in forza dell'art. 07.01°comma D.lgs cit.
Per tradizione, l'esclusione era sottintesa, data la pacifica opinione che il rapporto di lavoro marittimo (anche a tempo determinato) dovesse annoversarsi tra i "rapporti di lavoro speciali" (come il Pubblico Impiego etc.).
Ora, una sentenza della Corte di Giustizia Europea pare cambiare le carte in tavola, perchè riconosce al "lavoro marittimo" le stesse tutele dell'Accordo-Quadro 70/1999, da cui il legislatore italiano ha preso le mosse per elaborare la disciplina del D.lgs. 368/2001.
Questa sentenza apre la possibilità che il Giudice Nazionale, pur nell'indubbio "regime speciale" del lavoro a termine, estenda, sia pure in via residuale, previsioni "di diritto comune" ex. D.lgs. 368/2001, tra cui i "limiti quantitativi".
Per il momento, tale possibilità è stata esclusa dal Ministero del Lavoro, che ha escluso la rilevanza della disciplina dei "limiti quantitativi" ex DL 34/2014 per quanto concerne il "lavoro marittimo".
Questa posizione ministeriale va recepita per le Aziende del settore marittimo cum grano salis.
Se, infatti, da una parte, questa presa di posizione ministeriale garantisce tali Aziende rispetto all'eventualità di sanzioni amministrative per mancato rispetto dei "limiti quantitativi" (sanzioni che il Ministero chiaramente esclude), nulla garantisce che il rispetto dei "limiti quantitativi" possa sbucare improvvisamente dal "cilindro" di qualche Giudice, in una qualche sentenza.
Questo stato di cose deve indurre ad una notevole prudenza, e confidare in una rapida risoluzione, in via legislativa, dell'aporia normativa.
 

CAMBIO APPALTO E QUOTA DI RISERVA A FAVORE DEI DISABILI- L'INTERPELLO 22/2014

Quesito:
Un' Azienda di Pulizia-Multiservizi realizza un cambio di appalto. L'Azienda applica l'art. 04 CCNL Multiservizi-Pulizia che obbliga l'Azienda subentrante all'assunzione del personale già in forza. Tra i Dipendenti già in forze c'è un un soggetto orfano, non riconosciuto ai fini del collocamento obbligatorio ex l. 68/1999. Supponendo, nel caso di specie, l'attivazione degli obblighi di assunzione di personale disabile, ci si chiede se la presenza di lavoratore orfano per causa di lavoro possa essere imputata, ai fini della copertura dell'obbligo di riserva.
 
Risposta:
Il Ministero del Lavoro, con Interpello nr. 22/2014, ha risposto positivamente, ravvisando in detta circostanza la sussistenza della ratio legis che, ex. art. 04.04°comma l. 68/1999 ed ex. artt. 03.02-04 DPR  333/2000, consente di ritenere utile, ai fini della copertura dell'obbligo di riserva, l'eventuale sopravvenuta invalidità del lavoratore già in forza, superando, per il caso di specie, il passaggio tramite il collocamento obbligatorio disabili.
Questa regola viene estesa relativamente alle assunzioni obbligatorie conseguenti (come nel caso di specie) a mutamenti della "base occupazionale" per cambio appalti, consentendo all'Azienda subentrante di imputare l'acquisizione del "lavoratore avente diritto" (già in forza presso l'Azienda cedente) agli obblighi di riserva.
 

martedì 23 settembre 2014

FORMAZIONE PER LA SICUREZZA SUL LAVORO: IL CONTRIBUTO DEL CONSULENTE DEL LAVORO

Quale il contributo di un Consulente del Lavoro nei riguardi della normativa di Sicurezza? Certo, un Consulente del Lavoro può proporsi, in questi casi, non come un Consulente della Sicurezza tout court (gliene mancano le competenze), ma come un Consulente in grado di formalizzare le "buone prassi" dell'Azienda.
Ricordiamo che il fulcro dell'osservanza della normativa sulla Sicurezza non sta nel compilare questa o quella modulistica, nell'adottare questa o quest'altra attrezzatura, ma nel creare "buone prassi".
E' in questo senso che si deve apprezzare il significato concreto e operativo dell'art. 15.01°comma lett. b) D.lgs. 81/2008 laddove ingiunge al Datore di Lavoro di "programmare la prevenzione dei rischi lavorativi" in relazione alle "condizioni produttive dell'Azienda", nonchè all' "influenza dei fattori dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro".
Ossia creare "consuetudini aziendali" consolidate in punto di gestione della Sicurezza di Azienda (principalmente, nelle cd "procedure di emergenza") che mettano l'Azienda in grado di assolvere il difficile stadio della cd "prova liberatoria" in caso di infortuni e simili. La probabilità del Datore di uscire indenne da processi e imputazioni di questo tipo è tanto maggiore, quanto più riesce a dimostrare di aver creato una adeguata "catena di comando" per la gestione "delle crisi". Più questa "catena di comando" resterà indeterminata, maggiore sarà il pericolo di responsabilità (anche penali) del Datore.
Uno degli step fondamentali nella creazione di "buone prassi" aziendali (certo, non il solo!) è certamente la formazione, che, specie per le Aziende particolarmente a rischio, deve essere dettagliata e procedimentalizzata con particolare attenzione, come fase nel quale il Datore "trasmette" al Personale Dipendente le cognizioni e le abilità necessarie per gestire situazioni a rischio.
Queste le principali disposizioni di cui tenere conto per una "buona prassi" nell'ambito della formazione nella Sicurezza sul lavoro.
La formazione (riguardante i rischi comuni di lavoro, il pronto soccorso, le procedure di emergenza) ex. art. 18.01°comma lett. l) D.lgs. 81/2008 non è solo teorica, ma anche pratica: i corsi, pertanto, quale indicazione di "buona prassi" (e di legge) devono essere calibrati con prove finali che diano conto dell'effettività dell'apprendimento.
 
Inoltre, la formazione sulla Sicurezza ex. art. 37.04°comma D.lgs. 81/2008 deve essere sviluppata:
 
- In concomitanza alla costituzione del rapporto di lavoro o dell'inizio dell'utilizzazione, qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
- In concomitanza con il trasferimento o cambiamento di mansioni;
- In concomitanza con l'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.
 
Come specificato dall'art. 27.06°comma D.lgs. 81/2008, la formazione deve essere "periodicamente ripetuta, in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi", eventualmente frutto dell'aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi.
L'art. 37.12°comma D.lgs. 81/2008 raccomanda la formazione presso Enti Bilaterali o Organismi paritetici. Il punto è ripreso dall'atto della Conferenza Stato-Regioni del 25/07/2012, contenente disposizioni interpretative degli Accordi sulla Sicurezza del 21/12/
2011, che non determina obblighi specifici di ricorso agli organismi paritetici: teoricamente, infatti, il Datore può fare a meno di questi per la formazione e provvedere lui stesso. E' evidente, però, che la partecipazione di soggetti terzi al processo formativo è particolarmente utile e vantaggiosa, per precostituirsi un'utile prova in caso di infortuni, ove siano tirate in ballo supposte carenze del Datore. La presenza degli "organismi paritetici" è un elemento che da credibilità al processo formativo, che, come sappiamo ex D.lgs. 81/2008, non deve essere solo teorico, ma anche pratico. In questo senso, la presenza di detti organismi può provare l'effettività della formazione della Sicurezza, con ben maggiore probabilità di conferma processuale di sparuti e improvvisati "verbali" sottoscritti tra Datore e Lavoratore.
Queste sono le linee entro cui l'Azienda può sviluppare con profitto uno dei passaggi-chiave della costruzione della "catena del comando" in materia di Sicurezza: la formazione.
Siamo a disposizione per aiutare le Aziende (evidentemente quelle più a rischio) a compendiare questi contenuti in disposizioni scritte, non solo informative, ma anche vincolanti per i Lavoratori, da integrare eventualmente al Codice Disciplinare: anche in questo modo, si contribuisce ad arricchire quella "catena del comando", preziosa e strategica per mettere il Datore in grado di uscire "bene" da contestazioni conseguenti a infortuni o eventi violenti in Azienda.
Alla fine, le "buone prassi" in materia di Sicurezza sono la migliore assicurazione per l'Azienda.
Per le tecnalità specifiche, siamo evidentemente a disposizione per interfacciarci con i Consulenti della Sicurezza delle rispettive Aziende.

Studio Francesco Landi- Ferrara
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lunedì 22 settembre 2014

CARTELLE DI PAGAMENTO NOTIFICATE VIA PEC

Equitalia, attraverso un Comunicato Stampa del 26/08/2014 ha annunciato che le cartelle di pagamento saranno notificate via PEC anche alle ditte individuali, oltre che, come già previgente, per le società di capitali e di persone.
E’ già da tempo che ...
(...)
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venerdì 19 settembre 2014

EXPO 2015: LE SPECIALI DISPOSIZIONI DEL MERCATO DEL LAVORO

In occasione dell'evento Expo 2015, sono state sottoscritte in data 25/07 us. due intese sindacali di II Livello, che approntano disposizioni "in deroga" alla normativa vigente per flessibilizzare oltre modo il mercato del lavoro in occasione dell'evento.
 
La prima intesa riguarda i soggetti coinvolti in una delle fasi di costruzione, allestimento, smantellamento dei Padiglioni del Sito espositivo Expo 2015:
 
-Riserva speciale di posti per lavoratori svantaggiati: I soggetti che aderiranno all'accordo-quadro dovranno riservare, nella misura del 10% delle assunzioni previste, quote di personale in CIG, mobilità, disoccupato a seguito di procedure di licenziamento, inoccupato;
- Sicurezza: Sono previsti specifici obblighi informativi alle Organizzazioni Sindacali dei subappalti e l'obbligo per i contraenti di appalti-subappalti di recedere in presenza di violazioni delle disposizioni previdenziali e retributive;
 
La seconda intesa ha come destinatari:
a) Lavoratori assunti dai "partecipanti ufficiali" all'esposizione, ossia Stati e organizzazioni che hanno ricevuto ed accettato l'invito ufficiale da parte del Governo italiano a partecipare all'Expo 2015 di Milano;
b) Lavoratori assunti da "partecipanti non ufficiali" all'esposizione, ossia tutti i soggetti, entità giuridiche diverse da quelle di cui al punto a), autorizzate dal Commissario Generale a partecipare all'evento.
c) Il personale di Expo 2015 Spa.
 
Per questi soggetti, l'intesa individua nel CCNL Commercio-Terziario la contrattualistica di riferimento, con alcune specifiche qui di seguito elencate per sommi capi:
 
- Le assunzioni di personale a termine e in somministrazione non sono in nessun caso soggette a "limiti quantitativi" (quindi, trattasi di "assunzioni in deroga" al Jobs Act). N.B. L'esenzione vale per i contratti a tempo determinato stipulati dal 01/06/2014 che si concluderanno entro il 31/05/2016;
- E' previsto l'obbligo di ricorrere in somministrazione per l'assunzione di quei partecipanti che non siano in possesso, in Italia, di posizione contributiva e assicurativa INPS e INAIL (nella prospettiva di "semplificare" i rapporti di lavoro con l'estero);
- La disciplina dell'apprendistato, solo per Expo 2015, si arricchisce di qualifiche quali: operatore grandi eventi, tecnico sistemi di gestione grandi eventi, specialista gestione grandi eventi.
 
Ulteriori disposizioni "speciali" riguardano la flessibilità dell'orario di lavoro, che viene arricchita per consentire la creazione di regimi orari consoni all'evento e una ulteriore disciplina di raccordo tra le qualifiche professionali "speciali" dell'Expo 2015 e le classificazioni ordinarie di CCNL.
 
In prossime comunicazioni, forniremo indicazioni più dettagliate, ma fin da ora restiamo a disposizioni per quesiti e chiarimenti.
 
Studio Francesco Landi

LA NUOVA GIURISPRUDENZA DI CASSAZIONE SULLE "MALATTIE TATTICHE"

E' degli inizi di settembre la notizia di una sentenza con la quale la Cassazione ha ammesso la licenziabilità per "scarso rendimento" del lavoratore che ponga in essere "assenze tattiche di malattia". Si tratta delle reiterate assenze per malattia di 1-2 giorni, a ridosso di ferie, week end e simili.
La sentenza ha suscitato molto scalpore, anche aldilà dei confini dei "pratici giuslavoristici", e in effetti rappresenta una svolta importante e anche coraggiosa.
Epicentro della piccola rivoluzione la nozione di "scarso rendimento": connotata tradizionalmente come condotta "colpevole", suscettibile di licenziamento solo in forza della procedura di cui all'art. 07 l. 300/1970, questa nozione è stata rivisitata in chiave "oggettiva" dalla Cassazione, come condizione di "obiettiva impossibilità" di prosecuzione utile del rapporto di lavoro, tale da giustificare il licenziamento per "giustificato motivo oggettivo" del lavoratore, anche se malato, anche se non ha ancora superato il periodo di comporto.
La sentenza (che, a quanto risulta, non è stata sottoposta alle Sezioni Unite della Cassazione, la sola sede che può accreditare come "consolidato" un orientamento giurisprudenziale) determinerebbe semplificazioni molto rilevanti in capo al Datore di Lavoro, che, per licenziare, allegherebbe solo il fatto (usualmente auto-evidente) della "nulla utilità" organizzativa del lavoratore malato, senza dover passare attraverso la prova diabolica di dover provare la frode del lavoratore, con il ricorso a visite INPS di fatto impraticabili per assenze brevi.
Si raccomanda, però, cautela: non solo perchè, per ritenersi consolidata davvero, tale giurisprudenza deve passare il vaglio delle Sezioni Unite della Cassazione, ma anche per le prevedibili ripercussioni processuali. Giuridicamente, infatti, resta aperto il problema di come giustificare il licenziamento di un soggetto, il malato, che di fatto ha diritto alla conservazione del posto di lavoro ex. art. 2110 Codice Civile: verosimilmente, se non interverrà la contrattazione collettiva, la materia sarà sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale. Quindi, la consegna è: calma e attenzione!
Nei prossimi giorni, pubblicheremo analisi e commenti approfonditi alla sentenza: SEGUITECI SU QUESTO BLOG!

Studio Francesco Landi
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ADDETTI AI VIDEOTERMINALI-DISPOSIZIONI DI SICUREZZA

Ai sensi del D.lgs. 81/2008, per "lavoratore addetto ai videoterminali" si intende il soggetto che utilizza un'attrezzatura mirata di videoterminale in modo sistematico e abituale, per 20 ore settimanali, dedotte le interruzioni.
I soggetti interessati devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria, in particolare: ...
(...)
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martedì 16 settembre 2014

SENTENZA 153/2014 SULL'ORARIO DI LAVORO: I RIFLESSI SULLE SANZIONI AMMINISTRATIVE RELATIVE ALLE FERIE DEL PERSONALE DIPENDENTE

Quesito:
Una vertenza giudiziaria tra un'Azienda e DTL, avente per oggetto un Verbale ispettivo per violazione della disciplina ex. art. 10 D.lgs. 66/2003 sulle ferie di un periodo compreso tra il giugno 2005 e il dicembre 2008, viene interessata dalla sentenza con la quale la Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale della disciplina sanzionatoria in materia di orario di lavoro. Che ne è delle sanzioni sulle ferie?
 
Risposta:
La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 18bis D.lgs. 66/2003, nel segmento temporale che va dal 01/09/2004 al 25/06/2008, in quanto norma priva di necessaria delegazione legislativa. L'art. 18bis, in quanto confermato e "sanato" dal DL 112/2008, prende vigore dal 25/06/2008.
Per le ferie, si pongono problemi peculiari.
La disciplina sulle ferie è il portato veramente innovativo del D.lgs. 66/2003, che in parte qua, e sulla scia della normativa comunitaria, aveva introdotto una disciplina ad hoc, prima di allora inesistente. Questo significa che non è dato trovare, nel corpo dell'art. 09 RDL 692/1932 ed ex. D.lgs. 758/1994, una sanzione amministrativa dedicata alle ferie: in parte qua, pertanto, la declaratoria di illegittimità costituzionale si risolve nell'abrogazione retroattiva della sanzione (in quanto, naturalmente, non riferita a periodi "esauriti": sentenza passata in giudicato, prescrizione etc.).
Non è del tutto chiaro, però, se l'Ispettorato del Lavoro possa applicare altra sanzione amministrativa utile, esempio l'art. 08 l. 741/1959 (come prefigurato dalla dr.ssa SCHIAVONE, della DTL di Ravenna in Guida al Diritto, nr. 35/2014).
Da un punto di vista "sostanziale", l'art. 08 si riferisce a violazioni inerenti una speciale casistica dei contratti collettivi, che ormai deve ritenersi esaurita. Trattasi cioè dei CCNL residuavano dal "periodo corporativo" e che erano stati estesi (eccezionalmente) erga omnes dalla legge, fino a diversa disciplina contrattuale. Ma oggi, la materia delle ferie è stata ampiamente "riformulata" dai CCNL di settore, e ben difficilmente può sostenersene una parentela con i "contratti corporativi" residuali del 1959: la sanzione prefigurata dalla dr.ssa SCHIAVONE è inattuale (come, del resto, prefigurato per un caso giuridicamente sovrapponibile dal Ministero del Lavoro con Lettera Circolare nr. 8489/2007).
Senza contare che qui abbiamo a che fare con casistiche risalenti, per le quali, il più delle volte, deve darsi per realizzata la prescrizione.
 

LA RIDETERMINAZIONE DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE DOPO LA SENTENZA 153/2014 DELLA CORTE COSTITUZIONALE: UN CASO

Quesito:
Mentre era in corso un processo tra un'Azienda e la DTL locale per un Verbale ispettivo relativo ad applicazione di sanzioni amministrative in materia di riposo giornaliero, veniva emessa la sentenza nr. 153/2014, con la quale la Consulta annullava la disciplina relativa alle sanzioni amministrative sull'orario di lavoro. Coprendo il Verbale, oggetto del ricorso giudiziario, un periodo da giugno 2005 a dicembre 2008, come ovranno essere rideterminate le sanzioni?
 
Risposta:
Data l'intricata materia, una premessa di diritto intertemporale e di diritto costituzionale appare indispensabile.
Con sentenza 153/2014, la Corte Costituzionale ha rilevato l'illegittimità non della disciplina sanzionatoria dell'orario di lavoro in quanto tale, ma solo di un segmento temporale, quello vigente dal 01/09/2004 al 25/06/2008. Questo segmento corrisponde alla norma del D.lgs. 213/2004 (che ha introdotto l'art. 18bis D.lgs. 66/2003), prodotta in costanza di una procedura legislativa viziata: il D.lgs., infatti, secondo la Corte, ha introdotto sanzioni amministrative, violando la consegna della legge delega (art. 39 l. 39/2002), che aveva imposto il mantenimento delle previgenti sanzioni amministrative.
Questo vizio perdura fino al 25/06/2008: successivamente, infatti, le sanzioni sono riviste con un Decreto Legge (DL 112/2008), in perfetta ortodossia con le regole costituzionali di produzione legislativa (art. 77 Cost.). E' solo da questa data, pertanto, che si deve ritenere perfettamente operativa e vigente la disciplina sanzionatoria sull'orario di lavoro ex. art. 18bis D.lgs. 66/2003, perchè, da questa data, il legislatore ne ha "sanato" i vizi formali di base.
Per il periodo interessato dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, non si può evidentemente applicare l'art. 18bis pro tempore vigente, ma si dovrà applicare la disciplina sanzionatoria previgente, quella ex. art. 09 RDL 692/1923, come modificata dal D.lgs. 758/1994.
Si coglie, comunque, l'occasione di ricordare come, a partire dal 01/01/2007, sia in vigore il disposto dell'art. 01.1177°comma l. 296/2006, che ha previsto la "quintuplicazione" delle sanzioni amministrative: detta disposizione sarà certamente applicabile alla disciplina "residuale" dell'orario di lavoro post sentenza nr. 153/2014.
Di qui, approssimativamente, si può, per sommi capi, individuare la disciplina sanzionatoria applicabile al caso di specie, secondo i comuni criteri di "diritto intertemporale":
 
- 2005-31/12/2006: Si applica la disciplina sanzionatoria ex. art. 09 RDL 692/1923 (come modificata ex. D.lgs. 758/1994). Per riposo giornaliero e orario di lavoro settimanale, la sanzione sarà da € 154 ad € 1.032;
- 01/01/2007-25/06/2008: Si applica la disciplina sanzionatoria ex. art. 09 RDL 692/1923 (come modificata ex. D.lgs. 758/1994), quintuplicata come da art. 01.1177°comma l. 296/2006. Per riposo giornaliero e orario di lavoro settimanale, la sanzione sarà da € 770 ad € 5.160;
-25/06/2008-31/12/2008: Si applica la disciplina sanzionatoria ex. art. 18bis D.lgs. 66/2003 ex DL 112/2008. Per riposo giornaliero, la sanzione sarà da € 1.250 a € 5.000.
 
Gli importi vanno graduati a seconda della frequenza degli illeciti.
 

CERTIFICAZIONE ANTIPEDOFILIA NEI PUBBLICI ESERCIZI-IL PARERE DEL MINISTERO DEL LAVORO


Con l'Interpello nr. 25/2014, sollecitato da FederAlberghi, il Ministero ha enunciato un criterio interpretativo, che vale sì, per l'immediato, per il personale alberghiero, ma che appare agevolmente applicabile ai Pubblici Esercizi in generale.
Per essere soggette a "certificazione antipedofilia", le attività del Pubblico Esercizio devono essere specificamente destinate a minori come miniclub e baby sitting (la norma parla di "contatti diretti e immediati con i moniri"), e non le attività "comuni" del Pubblico Esercizio, destinate ad una platea indeterminata di Clientela e non necessariamente di minori.
Questo Interpello, pertanto, enuncia un chiarimento normativo dalla portata applicativa molto importante per Gelaterie, pasticcerie, pizzerie etc. che ricevano gruppi di minori per compleanni etc., senza la predisposizione di "attività dedicate ai minori" (animazione etc.).
 
Studio Francesco Landi

venerdì 12 settembre 2014

IL COMPUTO DEI LAVORATORI A TERMINE NELL'ORGANICO AZIENDALE

La presente coglie l'occasione di riepilogare schematicamente quanto rilevante ai fini del computo di cui all'oggetto:
 
A) SICUREZZA DEL LAVORO (ART. 04 D.LGS. 81/2008): Il personale in forza si computa ...
 (...)

giovedì 11 settembre 2014

START UP INNOVATIVE: LE SEMPLIFICAZIONI DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Per mantenere i benefici fiscali, giuslavoristici, creditizi previsti dal DL 179/2012, le cd. start up innovative sono sottoposte a specifici obblighi di comunicazione periodica alla Camera di Commercio: se non ottemperano, perdono i benefici. Con lo scopo di venire incontro alle Aziende (sic!), questa materia è stata fatta oggetto di alcuni interventi del Ministero dello Sviluppo Economico che "dovrebbero" (il condizionale, si sa, è d'obbligo in queste materie) semplificare gli adempimenti amministrativi, già piuttosto farraginosi.
Il comma 14 dell'art. 25 del DL 179/2012 prescrive che l'impresa (sia essa start up, o "incubatore d'impresa innovativa"), per mantenere i requisiti di sturt up necessari al fine del mantenimento delle agevolazioni creditizie, giuslavoristiche e simili, debba aggiornare, con cadenza non superiore a sei mesi, le informazioni relative al mantenimento/perdita dei requisiti di start up innovativa.
Dopo iniziali incertezze e dubbi interpretativi, la Circolare 3672/2014 del MISE (Ministero Sviluppo Economico) ha precisato che la scadenza semestrale si considera "allineata" rispettivamente al 30/06 e al 31/12 di ciascun anno, eccezion fatta per il primo semestre di attività (la scadenza, in questo caso, segue la scadenza "naturale": es. inizio start up al 25/04, scadenza del semestre al 24/10).
Il termine è perentorio, nel senso che, se, alla scadenza, l'impresa non provvede con le necessarie informazioni, si ha la perdita automatica delle agevolazioni e dello status (beneficiato) di start up innovativa.
Queste scadenze, però, hanno posto problemi, a fronte di un altro adempimento di comunicazione (sostanzialmente sovrapposto), quello disposto ex. art. 25.15°comma DL 179/2012: in forza di tale norma, infatti, il Legale Rappresentante era chiamato a emettere una "auto-certificazione" entro 30 gg., ovvero 06 mesi dall'approvazione del bilancio circa il mantenimento o la perdita dei requisiti di start up innovativa. L'omissione di detto onere determina la cancellazione dello status di start up innovativa e la perdita dei relativi requisiti.
Problemi e dubbi nascevano dalla circostanza che dette comuniazioni "speciali" del Legale Rappresentante avrebbero benissimo potuto coincidere come scadenze con gli obblighi semestrali, generando incertezze (incertezze, tanto più rilevanti, viste le pesanti sanzioni comunque connesse all'omissione di tali oneri di comunicazione).
A questi fini, la Circolare segue una "politica" di semplificazione e di "conglobamento", ove possibile, degli atti in un unico atto, secondo logiche di efficienza ed economia procedurale.
Ma è opportuno procedere con esempi, tratti testualmente dalla Circolare medesima:

CASO 1: Esercizio sociale coincidente con l'anno solare con termine al 31/12; Bilancio approvato al 30/04/2015. In questo caso, la Società depositerà l' "auto-certificazione" (Attestazione) di mantenimento dei requisiti entro 30 gg. (31/05/2015), conglobando in questo atto anche le altre informazioni necessarie ai fini degli obblighi "semestrali" in scadenza al 30/06/2015.

CASO 2: Esercizio sociale non coincidente con l'anno solare con scadenza al 30/04. Al 28/05/2015 approva il bilancio. Al 30/09 potrà "conglobare" nell'auto-certificazione/attestazione ex. art. 25.15°comma DL 179/2012, anche le necessarie informazioni semestrali.

Come al solito, c'è da prendere con il necessario "grano di sale" le semplificazioni previste dal legislatore, o peggio, dal Ministero.
In ogni caso, occorre un contatto costante con la locale Camera di Commercio, non solo al fine delle necessarie conferme interpretative (che si rendono necessario a fronte di rilevanti complessità, non del tutto fugate dalle Circolari applicative), ma anche per mandare massimamente ad effetto oneri, dal cui adempimento dipende il mantenimento o la perdita dei benefici propri delle start up innovative.
A disposizione per aggiornamenti.

LAVORO ACCESSORIO: SE IL COMMITTENTE SI STANCA DEL VOUCHERISTA

In relazione ad un accurato e ampio inserto uscito ne Il Sole 24 Ore dello scorso 08/09/2014, dedicato al lavoro accessorio, si coglie l'occasione di chiarire e integrare alcuni aspetti, con riguardo alla gestione pratica della cessazione del rapporto di lavoro con il voucherista.
C'è una modalità di interruzione ovvia e che non abbisogna di commenti: il Committente, dopo aver utilizzato per più mesi/anni il voucherista, si stanca: la modalità più semplice per il Committente è lasciare esaurire il rapporto, e non attivare altri voucher.
Ma se, attivato il voucher, il Committente valuta opportuno non avvalersi dei servizi del voucherista (perchè, ad esempio, è stato sorpreso a rubare), che si fa?
Il Sole 24 Ore non specifica, ma, alla luce della prassi di Studio, possiamo dire che il voucher può essere o rimborsato, ovvero mantenuto ma per un diverso lavoratore, secondo le procedure telematiche messe a disposizione dall'INPS.
 
Studio Francesco Landi

mercoledì 10 settembre 2014

DIRITTI DI PRECEDENZA VECCHI E NUOVI: IL POSSIBILE CONFLITTO DOPO IL JOBS ACT


Quesito:

A luglio 2014, vigente già il Jobs Act, in un'Azienda, esercitano contemporaneamente e nei termini, diritto di precedenza due lavoratori a termine (di durata superiore a 6 mesi): una Lavoratrice madre e un Lavoratore; la prima, per "prelazionare" una riassunzione a termine, esercita tale diritto al 3 luglio 2014; il secondo, cessato tre mesi prima, aveva esercitato il proprio diritto di precedenza al 19 marzo 2014. L'Azienda assume a tempo indeterminato il Lavoratore, lasciando a casa la Lavoratrice. Il Sindacato "pianta" una vertenza, minacciando di sfociare in un'azione anti-discriminatoria che imponga la "riassunzione" della Lavoratrice madre. Chi ha ragione?
 
Risposta:
Intorno a questa tipologia di "conflitti" tra "diritti di precedenza", il Ministero del Lavoro era già intervenuto con Circolare 13/2008 a ritenere che la risoluzione di dette antinomie e conflitti compete "naturalmente" alla contrattazione collettiva.
Se (come devesi arguire nel caso di specie) tale norma "speciale" manca, deve, altresì, precisarsi che nulla, allo stato attuale, nella formulazione del DL 34/2014 autorizza a dedurre, nel conflitto, la "preminenza" della Lavoratrice madre: norme di questo tipo, incidendo su una facoltà essenzialmente libera del Datore, devono essere espresse, in quanto eccezionali (art. 14 preleggi) e limitative del principio generale di "libertà negoziale" datorile.
Sicuramente, esiste una priorità temporale a favore del Lavoratore che, per primo, si è prenotato.
Questo dato dovrebbe risolvere la vertenza a favore del Lavoratore, anche alla luce della successione delle norme antecedenti e successive al Jobs Act.
Compete evidentemente alla Lavoratrice provare la valenza discriminatoria dell'azione datorile; comunque, siamo a dubitare che, allo stadio attuale della normativa, la Lavoratrice possa ottenere la riassunzione, dato che le sanzioni usualmente riconosciute dall'ordinamento per violazione dei diritti di precedenza dei lavoratori a termine sono di natura prettamente risarcitoria. 

DIRITTO DI PRECEDENZA DEL LAVORATORE A TERMINE, SINTESI

Si parla molto del cd "diritto di precedenza" a favore del lavoratore a termine, recentemente rivitalizzato dal DL 34/2014 (Jobs Act).
Il diritto di precedenza è riconosciuto nei seguenti casi.
 
A) Lavoratori non stagionali: 
Il lavoratore a termine (non stagionale) che abbia già lavorato, ...
(...)

martedì 9 settembre 2014

IL RIPOSO SETTIMANALE DOMENICALE DELLA COLF

Quesito:
La Badante di mia mamma aveva firmato, presso il Patronato, una Scrittura dove chiedeva lo spostamento del riposo settimanale da domenica a venerdì. Successivamente, però, cambiava le carte in tavola e impugnava la richiesta, rifiutandosi di lavorare di domenica, invocando il contratto collettivo. Come mi devo comportare? Ha ragione o ha torto?

Risposta:
L'art. 14 CCNL (a differenza degli altri settori) definisce "irrinunciabile" non il "riposo settimanale" (come nella generalità delle ipotesi e come da art. 36 Cost.), quanto "il riposo settimanale domenicale".
"Irrinunciabile" significa che la fissazione di riposo settimanale in giorno diverso dalla domenica deve essere convenuta o nelle forme consentite per le "rinunce" ai diritti del Lavoratore ex. art. 2113 Codice Civile (Sindacato, DTL), ovvero nei casi previsti, in deroga, dal CCNL che contempla, a questo riguardo, deroghe per "esigenze imprevedibili", ovvero ove "non si possa provvedere diversamente" (es. se l'assistito è solo, perchè non supportato da familiari in giorno di domenica, la Colf deve restare al lavoro ...). Da questo punto di vista, appare conclamata l'insufficienza della scrittura di deroga al "riposo domenicale", offerta dal Patronato, che, per essere pienamente conforme al contratto, dovrebbe specificare che la previsione di riposo in giorno diverso dalla domenica è previsto per esigenze assistenziali, e non per generiche "esigenze personali" del Lavoratore. Ricordiamo che le ore domenicale sono particolarmente "costose" (sono maggiorate del 60% della retribuzione globale di fatto!).
Deve precisarsi che queste previsioni valgono al solo fine "civilistico": al fine delle eventuali (sia pure rare) ispezioni DTL, non rileva che il riposo sia in giorno di domenica, ma che il riposo rispetti la regola della "periodicità" (6 gg. di lavoro+1 di riposo, anche se non in domenica): su questo, infatti, è tarata la previsione sanzionatoria amministrativa per violazione del D.lgs. 66/2003 sul riposo settimanale.

 Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pr 

lunedì 8 settembre 2014

JOBS ACT E LIMITI QUANTITATIVI: "VERIFICA PUNTUALE" SI, "VERIFICA PUNTUALE" NO- IL MINISTERO HA DECISO- 1A PARTE

AVVERTENZA: Iniziamo oggi la pubblicazione di un commento "a puntate" della disciplina dei "limiti quantitativi" introdotta, per i contratti a termine, dal Jobs Act, che evidenzi la portata concreta, sul piano applicativo, dei chiarimenti offerti dal Ministero del Lavoro con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014.



Art. 1. Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine.

1. Considerata la perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle more dell'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l'attuale articolazione delle tipologie di contratti di lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) (…) Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.»
(…)
b-septies) all'articolo 5, dopo il comma 4-sexies sono aggiunti i seguenti:
«4-septies. In caso di violazione del limite percentuale di cui all'articolo 1, comma 1, per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:
a) pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
b) pari al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.

Dopo un lungo dibattito interpretativo, finalmente è sceso in campo il Ministero del Lavoro, che con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014, ha espresso il suo autorevole parere intorno alla portata applicativa del DL 34/2014 (Riforma Poletti, altrimenti detto Jobs Act).
Si coglie l’occasione di sottolineare l’opportunità di non sopravvalutare la portata di una Circolare ministeriale come questa: Circolare, che deve ritenersi certamente vincolante per il personale ispettivo che sia chiamato ad applicare le nuove sanzioni amministrative per la violazione dei “limiti quantitativi” dei contratti a termine, ma che non costituisce fonte certa “di diritto oggettivo”. L’interpretazione ministeriale, infatti, è un’interpretazione che oggettivamente non si può ignorare, in quanto investita dell’auctoritas intrinseca del Ministero del Lavoro, ma, ove i Giudici se ne discostino, è evidentemente l’interpretazione della Magistratura l’interpretazione vincolante per i consociati (salvo che il legislatore come noto, scenda egli stesso nell’agone intepretativo con una legge di interpretazione autentica). Questa premessa è d’obbligo, perché la pronuncia ministeriale, che pure ovvia a non pochi inconvenienti applicativi segnalati dalla dottrina (conteggio dei part time etc.) in un’ottica di grande comprensione e liberalità per le Aziende, (molto apprezzabile, per altro, per agevolare le Aziende in un momento di crisi come questo) a tratti forza il dato letterale ed esegetico della norma: di qui, l’invito alla prudenza per le Aziende, che potrebbero subìre interpretazioni più restrittive, particolarmente a causa della concorrenza concomitante del Giudice del Lavoro, che può certo addivenire ad interpretazioni più favorevoli per i Dipendenti.
Ma cominciamo con ordine, seguendo, nel commento della Circolare, un filo squisitamente esegetico.
E’ indispensabile prendere le mosse dall’inciso, che più di tutti, aveva suscitato dubbi e controversie:

(…) Il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione.

Di per sé è abbastanza chiara la proposizione: “il numero dei lavoratori a termine deve essere pari al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in Azienda” (sui punti interpretativi ancora aperti, diremo dopo …). Meno chiaro, e fonte di dubbi, è invece il successivo inciso: che, quando cerca di circoscrivere il numero dei dipendenti ricorre ad una poco chiara “unità di misura”: “20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione”.
Presa alla lettera, come segnalato da molti interpreti, la norma pare disponga questo: “Cari Datori di Lavoro, volete assumere personale a termine? Allora, considerate i lavoratori che avevate in forza al 1/1 dell’anno; e calcolate. La quota che risulta è la quota di assunzioni a termine che voi dovete assumere nell’anno. A prescindere dalla circostanza che poi la proporzione sia di fatto cambiata, per dimissioni, cessazioni di lavoratori a tempo indeterminato …”.
Su questa interpretazione si è assestato il Ministero del Lavoro, nell’ultima Circolare, come documenta il seguente passaggio:

Ciò premesso, a titolo esemplificativo, qualora il datore di lavoro alla data del 1° gennaio abbia in corso 10 rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potrà assumere sino a 2 lavoratori a termine, a prescindere dalla durata dei relativi contratti e ciò anche se, nel corso dell’anno, il numero dei lavoratori “stabili" sia diminuito.

Senonchè, questa conclusione presenta molti inconvenienti: se, infatti, la legge istituisce un limite percentuale, questo limite non può che essere inteso come proporzione tra lavoratori stabili e a termine. Di qui, come non rilevare l’assurdità di dedurre il “congelamento” della proporzione al 1/1 dell’anno di assunzione: così facendo, infatti, il Datore di Lavoro si trova vincolato ad una proporzione che, nei fatti, ben potrebbe essere stata superata (perché nel frattempo l’organico dei tempi indeterminati è mutato: per licenziamento etc.).
Per questi motivi, molti Autori (e Confindustria, in particolare) avevano proposto un’interpretazione “correttiva”, orientata alla sua ratio: se cioè, lo scopo conclamato della norma consiste nello stabilire un rapporto di “diretta proporzionalità” tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato, si argomenta che tale rapporto deve essere calcolato sul rapporto “effettivo” esistente al momento dell’assunzione (cd. verifica puntuale)[1]. Es. se assumo a termine il 2 gennaio con 10 lavoratori a tempo indeterminato, potrò assumere fino a 2 lavoratori a termine. Se, però, il 21 marzo, il numero dei lavoratori a tempo indeterminato è aumentato a 20, il numero dei Dipendenti a termine che potrò assumere sarà pari a 4 e così via.
Ma il Ministero ha scelto diversamente … A ns parere, il Ministero ha scelto l’interpretazione più prudente, tenendo conto dell’elevato rischio di contenzioso (e di ineffettività conseguente della norma) che sarebbe disceso dalla diversa interpretazione (orientata alla cd “verifica puntuale”).
La nuova disciplina dei “limiti quantitativi” , infatti, è opponibile in due possibili sedi: in sede di ispezioni ministeriali, ai fini, cioè, dell’applicazione delle relative sanzioni amministrative su detti “limiti” e ai fini civilistici. Il superamento dei “limiti quantitativi” determina la trasformazione ope legis dei rapporti di lavoro eccedentari in rapporti a tempo indeterminato. Come lo stesso Ministero ha sottolineato, l’interpretazione ministeriale non può determinare alcuna certezza giuridica intorno a quest’ultima evenienza, competendo solo al Giudice dire … l’ultima parola! Né, al momento, abbiamo elementi sicuri per ritenere davvero “sterilizzate” ai fini civilistici le conseguenze del mancato rispetto dei “limiti quantitativi” ex DL 34: è vero, è stato approvato un Ordine del Giorno con ambizioni interpretative su questo argomento, ma, data la specialità conclamata della disciplina, si hanno forti elementi per concordare con il dr. EUFRANIO MASSI[2] che ritiene la totale irrilevanza, ai fini civilistici, di tale Ordine del Giorno, difettandone un recepimento puntuale in sede di normativa di legge.
E’ evidente, pertanto, che, in sede giudiziale, in sede, cioè, di contenzioso Lavoratore-Azienda circa la portata degli effetti “civilistici” del superamento dei “limiti quantitativi” che possono risorgere i problemi interpretativi di tale norma, e riprendere vigore interpretazioni più restrittive e oggettivamente sfavorevoli per le Aziende: con buona pace della Circolare ministeriale …
Riteniamo, però, che, se il Ministero non ha optato, come desiderato da molti interpreti e associazioni di categoria datorili, per l’interpretazione più morbida della “verifica puntuale”, lo abbia fatto, a ragion veduta, almeno dal punto di vista esegetico (sul piano politico, si può pensarla diversamente).
I sostenitori della tesi della cd “verifica puntuale”, mentre risolvevano un problema “pratico”, ne aprivano uno (insolubile) a livello esegetico, non riuscendo, cioè, a chiarire la ragione d’essere dell’inciso “lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1/1 dell’anno cui si riferisce l’assunzione”: problema esegetico assolutamente eluso dalla Circolare Min. Lav. 18/2014. Inciso chiaro e inaggirabile, a meno di non sobbarcarsi l’onere di una interpretatio abrogans, altamente rischiosa in sede giudiziale.
“Verifica puntuale” o no, resta la cirocostanza che detto riferimento valga anche quale “riferimento negativo”: in altre parole, la norma segnala che il computo può effettuarsi solo per eventi compresi tra il 1/1 e il 31/12 dello stesso anno cui si riferisce l’assunzione, senza che abbiano alcuna rilevanza eventi verificatisi in anni precedenti e successivi, che, non possono, a questi fini, “fare media” (e questo apre rilevanti problemi per settori caratterizzati da alto turn over di appalti,  ove difetti una disciplina ad hoc di CCNL).
Con questo, però, la “scelta di campo” operata dal Ministero contro l’auspicata interpretazione favorevole alla “verifica puntuale” dei limiti quantitativi per i contratti a termine, apre una serie di dubbi irrisolti, in relazione a talune particolari casistiche, che qui di seguito si segnalano succintamente.
Che ne è ad esempio dei rapporti a tempo indeterminato, che al 1/1 dell’assunzione (e al momento “puntuale” dell’assunzione a termine) siano sospesi per aspettativa, in vista di una cessazione che è stata comunque pattuita nell’anno? Rientrano questi rapporti nei “limiti quantitativi”? Qui, la disputa è di fatto aperta: aderendo ad un’interpretazione dell’espressione “in forza al 1/1”, e sposandone l’accezione più comune nell’universo delle paghe e della gestione del personale, si dovrebbe ritenere che detto personale va certamente conteggiato nel “limite quantitativo”. Ma, se si segue il filo di un’interpretazione meno “schiacciata” sul dato letterale, più legata al dato applicativo e pratico, allora le cose possono cambiare: se cioè, con l’espressione “rapporti in forza”, si intende “rapporti materialmente attivi” (e non solo “formalmente attivi”), ecco che tale rapporto sarebbe escluso dal computo dei “limiti quantitativi”.
Nessuno, mi pare, si è ancora posto questo problema, né risulta che il Ministero abbia lasciato intendere qualcosa.
A favore, però, di questa ricostruzione, potrebbe, però, trovarsi un appiglio nella stessa interpretazione ministeriale delle disposizioni relative al calcolo delle sanzioni amministrative (calcolo tarato sui “15 giorni”) … Ma il punto, al momento, non è stato ancora sufficientemente approfondito.
Un altro aspetto, non toccato dalla Circolare. Può darsi che, al momento dell’assunzione a termine, sia passata in giudicato una sentenza che ha riconosciuto come a tempo indeterminato un rapporto stipulato a termine in passato presso l’Azienda. Questa sentenza, che incidenza riveste ai fini del calcolo del “limite quantitativo”? A essere rigorosi, si dovrebbe riconoscerne l’irrilevanza ai fini della determinazione della quota assunzionale di lavoratori a termine. Questo perché il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato spiega efficacia (nel caso specifico) per un’annualità estranea a quella di assunzione, il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato non implica “riassunzione” (ma solo oneri risarcitori). Il lavoratore riconosciuto giudizialmente “a tempo indeterminato”, pertanto, non può considerarsi “in forza” nell’anno di assunzione e, quindi, deve ritenersi irrilevante, ai fini del computo del “limite quantitativo” (e ai fini delle relative sanzioni amministrative).
Allo stesso modo, supponiamo nel 2015 di poter effettuare il calcolo dei lavoratori a termine su un dato “limite dimensionale”. Nel 2016, viene rilevato in sede ispettiva che uno dei lavoratori a termine assunto aveva già superato i 36 mesi, e, pertanto, doveva considerarsi a tempo indeterminato. Deve procedersi al “riconteggio” della “base occupazionale” e procedere alla verifica del rispetto della percentuale dei rapporti a termine? Veramente, pare proprio potersi escludere questa eventualità, dato che la norma cristallizza i contratti a tempo indeterminato come “base occupazionale” al 1/1 dell’anno di assunzione e non dovrebbe (per logica) considerare eventi sopravvenuti. In ogni modo, questa conclusione potrebbe essere argomentata in forza dell’art. 01 l. 689/1981 (principio di legalità), dobbiamo ritenere tipizzato l’illecito amministrativo relativo al superamento dei “limiti quantitativi” allo stato della contrattualistica a tempo indeterminato effettivamente vigente nell’ “anno in cui si riferisce l’assunzione”, quindi a rapporti correnti, non a ricostruzioni giudiziarie … a posteriori! Questa l’interpretazione che, allo stato, appare la più coerente.
Questo per dare un piccolo saggio degli aspetti interpretativi e applicativi che rimangono aperti, anche dopo la Circolare. E’ evidente che è auspicabile non un’altra Circolare, non un Interpello, ma una nuova norma, che perfezioni e corregga questa parte della norma attualmente troppo indeterminata e confusa, chiarendo se la tipologia dei “lavoratori in forza” contempli lavoratori il cui rapporto sia “vivo” sulla carta, ma sostanzialmente morto (il caso dell’aspettativa lunga, in vista del licenziamento), ovvero solo rapporti “materialmente vivi”: in questo caso, però, avendo cura di precisare i casi dei lavoratori in part time verticale, in assenza con diritto alla conservazione del posto etc.
Da ultimo, il Ministero ha chiarito che, una volta fissato in una certa quota il numero di lavoratori a termine da assumere nell’anno, in caso di cessazione per scadenza del termine, l’Azienda ne può assumere un altro:

“Va ulteriormente chiarito- chiarisce il Ministero- che “il numero complessivo dei contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro" non costituisce un limite ''fisso’’ annuale. Esso rappresenta invece una proporzione, come si è detto, tra lavoratori “stabili” e a termine, di modo che allo scadere di un contratto sarà possibile stipularne un altro sempreché si rispetti la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato pari al 20%. Del resto di tale orientamento è conferma anche la disposizione transitoria contenuta nell’art. 2 bis del D.L. n. 34/2014 che richiede, ai datori di lavoro che alla data di entrata in vigore del Decreto occupavano un numero troppo alto di lavoratori a tempo determinato, di rientrare progressivamente, entro il 31 dicembre p.v., nei limiti di legge (v. infra)”.
 
(Fine 1a parte- Continua)





[1] Su questa interpretazione, insiste anche il dr. Così il dr. EUFRANIO MASSI nell’articolo Le sanzioni sui contratti a termine: questioni risolte e problemi interpretativi, post del 29/08/2014 pubblicato in Generazione Vincente-Blog:
[2] Così il dr. EUFRANIO MASSI nell’articolo Le sanzioni sui contratti a termine: questioni risolte e problemi interpretativi, post del 29/08/2014 pubblicato in Generazione Vincente-Blog: “E’ indubbio che la volontà espressa al Senato (v. anche o.d.g. G/1464/22/11) fosse quella di considerare la sanzione amministrativa introdotta, quale sostitutiva della conversione del rapporto in applicazione dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010, ma ciò non è detto in nessun punto della legge n. 78/2014 che la introduce. Probabilmente (se questa è la “vera” intenzione del Legislatore) ci sarà bisogno di una norma di interpretazione autentica ma, al momento (e la circolare n. 18 ha completamente “sorvolato” l’argomento, non spendendo alcuna parola in un senso o nell’altro), si ritiene che l’indirizzo giurisprudenziale formatosi sul superamento della percentuale contrattuale resti pienamente in vigore (conversione del rapporto ed indennità risarcitoria compresa tra 2,5 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto)”.