DECRETO LEGISLATIVO 6 settembre 2001, n. 368
[ 3.1 ] Divieti
1.
L'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato
non è ammessa:
a) per la sostituzione
di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa
disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si
sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi
degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano
riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il
contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso
per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti, ovvero sia concluso ai
sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero
abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
c) presso unità
produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una
riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale,
che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto
a termine (1);
d) da parte delle
imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi
dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive
modificazioni.
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(1) Ai sensi dell’art.
3-bis, D.L. 11 giugno 2002, n. 108, conv. dalla legge 31 luglio 2002, n. 172,
la disposizione di cui alla presente lettera, deve intendersi nel senso che il
divieto ivi previsto di procedere ad assunzioni con contratti a termine presso
unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una
riduzione dell'orario con diritto al trattamento di integrazione salariale, che
interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a
termine, non si applica nell'ipotesi di cui all'articolo 5, comma 5, del
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla
legge 19 luglio 1993, n. 236.
Questo
articolo è uno degli articoli del D.lgs. 368/2001, che, pur non oggetto di
modifiche dirette da parte della riforma Poletti del mercato del lavoro (DL
34/2014), è quello tra i più manifestamente incisi.
Nel
sistema legislativo precedente, a tale norma, che individuava i casi di
“divieto” di assunzione a termine in determinati casi, si affiancava, come
norma di sanzione (e, quindi, di controllo effettivo) la disposizione di cui
all’art. 01 D.lgs. 368/01, che obbligava il Datore a specificare i “motivi”
organizzativi, sostitutivi etc. dell’assunzione. Questo sistema era, a tutta
evidenza, particolarmente stringente: all’enunciazione “platonica” del divieto di
assunzione a termine in caso di sciopero etc. faceva riscontro un sistema molto
severo di controllo effettivo delle causali, a cui nessuno avrebbe potuto
sfuggire.
In un sistema
(solo in apparenza liberalizzato) come quello del 2001, dove la legittimità
dell’assunzione a termine passava per un vaglio e della causale
(generale-astratta: la fissazione del termine) e dei motivi concreti
dell’assunzione, il Datore doveva per forza passare attraverso il controllo
delle circostanze (motivi) produttivi etc. dell’assunzione a termine, pena la
trasformazione del rapporto ope legis
in rapporto “fisso”. Un controllo, per altro, reso molto stringente dalla
giurisprudenza, che aveva avuto modo di precisare come il vaglio delle
“causali” del contratto a termine non dovesse essere generico, limitato alla
mera enunciazione, ma esaustivo, comprensivo di tutte le circostanze utili a
specificare una autentica “ragione transitoria” di assunzione.
Non serve più
di tanto dire come questo sistema facilitasse di molto il controllo di
fattispecie più manifestamente “a rischio di abusi” come le sostituzioni di
lavoratori in sciopero, per CIG etc.: l’art. 03, che enunciava il divieto di
assunzione a termine di lavoratori in sciopero etc. trovava così una chiara e
limpida sanzione. E ora?
Non possiamo
nasconderci che il “sistema” dopo la riforma Poletti è molto cambiato.
L’eliminazione
delle “causali” ha indotto un importante contraccolpo nel “sistema” complessivo
della contrattualistica a termine: l’eliminazione delle “causali”, infatti, e
dell’incisivo complesso di controlli che ne discendevano, ha determinato
l’irrilevanza dei “motivi” (organizzativi etc.) dal contratto a termine. In
queste condizioni, è sufficiente, ai fini della legittimità dell’assunzione a
termine, la mera … fissazione del termine (indipendentemente dalla
specificazione dei motivi)! Il salto non è di poco conto: mentre prima, non era
sufficiente ai fini della legittimità (o della presunzione di legittimità)
dell’assunzione a termine, la presenza di un termine finale (ma era necessaria
la specificazione dei motivi), ora, ai fini della legittimità (o della
presunzione di legittimità) del contratto a termine è sufficiente la mera
fissazione dei termini. Detto in altre parole, se prima la mera fissazione del
termine non avrebbe potuto liberare il Datore di Lavoro dall’onere di provare
la legittimità dell’assunzione, oggi, la mera fissazione del termine basta a
consentire al Datore l’assolvimento della prova della legittimità del termine,
e a invertire sul Lavoratore la prova dell’eventuale illegittimità
dell’assunzione.
E in che modo
il Lavoratore potrà contestare l’assunzione a termine? Il “sistema” viene ad
assomigliare terribilmente al diritto comune: vediamo di capire perché.
La posizione
del Lavoratore che, dopo il Jobs Act,
voglia contestare l’illegittimità dell’apposizione del termine è assimilabile,
in tutto e per tutto, a quella del contraente “comune” che intenda impugnare
un’apposizione di termine contrattuale (elemento accidentale del contratto) che
assuma contra legem. A questi fini,
si dovrà fare primariamente riferimento alle ipotesi di tutela previste dagli
art. 1354 Codice Civile, ma anche ad
altri istituti come la simulazione del contratto (art. 1414 Codice Civile), il contratto “in frode
alla legge” (art. 1344 Codice Civile),
il contratto “a causa illecita” (art. 1343 Codice
Civile), il contratto stipulato con “Motivo illecito comune” (art. 1345 Codice Civile). Inutile sottolineare
come queste ipotesi siano molto prossime a condotte di “sfruttamento” del
lavoratore, passibili altresì di tutela penale, almeno ricorrendo gli estremi
dell’estorsione ex. art. 627 Codice
Penale, ravvisata dalla giurisprudenza nelle ipotesi di conclamato “abuso”
del Datore di Lavoro. Se questa è semplificazione … ma lasciamo stare.
De jure condito, ciò che rileva è che la
caduta dello “speciale” sistema di controllo delle causali, costringe il
Lavoratore a ricorrere alle (farraginose) tutele “anti-abuso” offerte dal
diritto comune. Questo non può che incidere, indebolendo sensibilmente, la
forza di “storiche” normative anti-abuso come quella apprestata dall’art. 03
D.lgs. 368/01 contro l’uso di “assunzioni sostitutive” per sciopero, per CIG
etc.
Veniamo ad una
prima e sommaria esemplificazione.
L’ipotesi più
di tutti problematica è l’ipotesi di assunzione sostitutiva di lavoratori in
sciopero. In questa circostanza, ritenuta tradizionalmente “causa illecita” di
assunzione a termine (e, quindi fonte di nullità del contratto), la tutela del
singolo Dipendente non può che passare attraverso un “provvedimento” ex. art.
28 l. 300/70, che dimostri l’assunzione a termine posta in essere in violazione
di norme sindacali; “provvedimento” di cui avvalersi, poi, per provare la
nullità del contratto a termine. Precedentemente, avrebbe potuto bastare una
disamina incidenter tantum sulle
“ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire
all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Un po’ meno
problematica la prova dell’illegittimità di assunzione a termine per sostituzione
di lavoratori in CIG, senonchè la tutela del Dipendente cassintegrato qui è
strettamente dipendente dall’iniziativa in sede ispettiva dell’INPS; e solo
andata a buon fine questa, il Dipendente potrà procedere (di riflesso) ad
invalidare l’assunzione a termine. Precedentemente, avrebbe potuto bastare una
disamina incidenter tantum sulle
“ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire
all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Anche la
tutela del lavoratore, assunto illegittimamente a termine per contemporanea
presenza di licenziamenti collettivi conosce un andamento tortuoso. Essendo
tale norma corollario della garanzia in ordine al corretto uso della
“consultazione sindacale” ex. l. 223/91, e venendo in evidenza l’uso della contrattualistica
a termine in questa circostanza come prova della “non genuinità” della “natura
collettivo-sindacale” dei licenziamenti, è giocoforza che l’illegittimità delle
assunzioni a termine poste in essere in violazione rilevi di riflesso
attraverso l’impugnazione della procedura di licenziamento collettivo
(versomilmente una declaratoria di licenziamento illegittimo ex. art. 18 l.
300/70). Precedentemente, avrebbe potuto bastare una disamina incidenter tantum sulle “ragioni
produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire all’invalidazione del
rapporto a termine. Ora no!
Di minimo
rilievo è, invece, l’ipotesi di cui alla lettera d) dell’art. 03 D.lgs. 368/01,
che concerne il divieto di assunzioni a termine in difetto di “valutazione dei
rischi” (per questa fattispecie, dovrà farsi una valutazione a parte).
Vero è che, in
questi casi, sussumibili per lo più in ipotesi di nullità rilevabili ex officio, il Dipendente potrà contare
sull’iniziativa istruttoria officiosa del Giudice codificata dall’art. 421 Codice Procedura Civile, particolarmente
utile per casi come questi dove viene in gioco un “riequilibrio” di tutele a
favore del Lavoratore.
Ma la
sensazione che si ricava da questa esegesi del D.lgs. 368/01 è una sensazione
di incompiutezza e di deficienza. Ne risulta fortemente ridimensionata,
pertanto, la portata dell’art. 03 D.lgs. 368/01, norma che mantiene un alto
profilo descrittivo delle condotte più tipiche e odiose di “abuso” della
contrattualistica a termine (e sicuramente a “causa illecita”); norma che
mantiene un forte “indirizzo di tutela antiabuso” in connessione con la
normativa europea sui contratti a termine (Direttiva CE 70/99), ma di cui viene
ad essere fortemente indebolita la procedura di controllo e di verifica (ovvero
di “sanzione”); norma che deve diventare l’occasione di una riflessione più
ampia, che metta a fuoco gli squilibri e i contraccolpi di una tecnica
legislativa affrettata, che taglia con l’accetta, e non con compasso e livella,
come dovrebbe. Evidentemente, a poco serve gloriarsi di aver eliminato la
“farragine” della causale, se poi, a valle, si è determinata una “farragine” e
una complicazione di tutela molto rilevante, con conseguenze imprevedibili da
non sottovalutare neanche dal Datore di Lavoro.
Semplificare
va bene, specie se si creano adeguate alternative e canali di tutela anti-abuso
del Dipendente. E non dimentichiamo: l’Europa ci guarda!
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pr
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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