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lunedì 8 settembre 2014

JOBS ACT E LIMITI QUANTITATIVI: "VERIFICA PUNTUALE" SI, "VERIFICA PUNTUALE" NO- IL MINISTERO HA DECISO- 1A PARTE

AVVERTENZA: Iniziamo oggi la pubblicazione di un commento "a puntate" della disciplina dei "limiti quantitativi" introdotta, per i contratti a termine, dal Jobs Act, che evidenzi la portata concreta, sul piano applicativo, dei chiarimenti offerti dal Ministero del Lavoro con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014.



Art. 1. Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine.

1. Considerata la perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle more dell'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l'attuale articolazione delle tipologie di contratti di lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) (…) Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.»
(…)
b-septies) all'articolo 5, dopo il comma 4-sexies sono aggiunti i seguenti:
«4-septies. In caso di violazione del limite percentuale di cui all'articolo 1, comma 1, per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:
a) pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
b) pari al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.

Dopo un lungo dibattito interpretativo, finalmente è sceso in campo il Ministero del Lavoro, che con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014, ha espresso il suo autorevole parere intorno alla portata applicativa del DL 34/2014 (Riforma Poletti, altrimenti detto Jobs Act).
Si coglie l’occasione di sottolineare l’opportunità di non sopravvalutare la portata di una Circolare ministeriale come questa: Circolare, che deve ritenersi certamente vincolante per il personale ispettivo che sia chiamato ad applicare le nuove sanzioni amministrative per la violazione dei “limiti quantitativi” dei contratti a termine, ma che non costituisce fonte certa “di diritto oggettivo”. L’interpretazione ministeriale, infatti, è un’interpretazione che oggettivamente non si può ignorare, in quanto investita dell’auctoritas intrinseca del Ministero del Lavoro, ma, ove i Giudici se ne discostino, è evidentemente l’interpretazione della Magistratura l’interpretazione vincolante per i consociati (salvo che il legislatore come noto, scenda egli stesso nell’agone intepretativo con una legge di interpretazione autentica). Questa premessa è d’obbligo, perché la pronuncia ministeriale, che pure ovvia a non pochi inconvenienti applicativi segnalati dalla dottrina (conteggio dei part time etc.) in un’ottica di grande comprensione e liberalità per le Aziende, (molto apprezzabile, per altro, per agevolare le Aziende in un momento di crisi come questo) a tratti forza il dato letterale ed esegetico della norma: di qui, l’invito alla prudenza per le Aziende, che potrebbero subìre interpretazioni più restrittive, particolarmente a causa della concorrenza concomitante del Giudice del Lavoro, che può certo addivenire ad interpretazioni più favorevoli per i Dipendenti.
Ma cominciamo con ordine, seguendo, nel commento della Circolare, un filo squisitamente esegetico.
E’ indispensabile prendere le mosse dall’inciso, che più di tutti, aveva suscitato dubbi e controversie:

(…) Il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione.

Di per sé è abbastanza chiara la proposizione: “il numero dei lavoratori a termine deve essere pari al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in Azienda” (sui punti interpretativi ancora aperti, diremo dopo …). Meno chiaro, e fonte di dubbi, è invece il successivo inciso: che, quando cerca di circoscrivere il numero dei dipendenti ricorre ad una poco chiara “unità di misura”: “20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione”.
Presa alla lettera, come segnalato da molti interpreti, la norma pare disponga questo: “Cari Datori di Lavoro, volete assumere personale a termine? Allora, considerate i lavoratori che avevate in forza al 1/1 dell’anno; e calcolate. La quota che risulta è la quota di assunzioni a termine che voi dovete assumere nell’anno. A prescindere dalla circostanza che poi la proporzione sia di fatto cambiata, per dimissioni, cessazioni di lavoratori a tempo indeterminato …”.
Su questa interpretazione si è assestato il Ministero del Lavoro, nell’ultima Circolare, come documenta il seguente passaggio:

Ciò premesso, a titolo esemplificativo, qualora il datore di lavoro alla data del 1° gennaio abbia in corso 10 rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potrà assumere sino a 2 lavoratori a termine, a prescindere dalla durata dei relativi contratti e ciò anche se, nel corso dell’anno, il numero dei lavoratori “stabili" sia diminuito.

Senonchè, questa conclusione presenta molti inconvenienti: se, infatti, la legge istituisce un limite percentuale, questo limite non può che essere inteso come proporzione tra lavoratori stabili e a termine. Di qui, come non rilevare l’assurdità di dedurre il “congelamento” della proporzione al 1/1 dell’anno di assunzione: così facendo, infatti, il Datore di Lavoro si trova vincolato ad una proporzione che, nei fatti, ben potrebbe essere stata superata (perché nel frattempo l’organico dei tempi indeterminati è mutato: per licenziamento etc.).
Per questi motivi, molti Autori (e Confindustria, in particolare) avevano proposto un’interpretazione “correttiva”, orientata alla sua ratio: se cioè, lo scopo conclamato della norma consiste nello stabilire un rapporto di “diretta proporzionalità” tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato, si argomenta che tale rapporto deve essere calcolato sul rapporto “effettivo” esistente al momento dell’assunzione (cd. verifica puntuale)[1]. Es. se assumo a termine il 2 gennaio con 10 lavoratori a tempo indeterminato, potrò assumere fino a 2 lavoratori a termine. Se, però, il 21 marzo, il numero dei lavoratori a tempo indeterminato è aumentato a 20, il numero dei Dipendenti a termine che potrò assumere sarà pari a 4 e così via.
Ma il Ministero ha scelto diversamente … A ns parere, il Ministero ha scelto l’interpretazione più prudente, tenendo conto dell’elevato rischio di contenzioso (e di ineffettività conseguente della norma) che sarebbe disceso dalla diversa interpretazione (orientata alla cd “verifica puntuale”).
La nuova disciplina dei “limiti quantitativi” , infatti, è opponibile in due possibili sedi: in sede di ispezioni ministeriali, ai fini, cioè, dell’applicazione delle relative sanzioni amministrative su detti “limiti” e ai fini civilistici. Il superamento dei “limiti quantitativi” determina la trasformazione ope legis dei rapporti di lavoro eccedentari in rapporti a tempo indeterminato. Come lo stesso Ministero ha sottolineato, l’interpretazione ministeriale non può determinare alcuna certezza giuridica intorno a quest’ultima evenienza, competendo solo al Giudice dire … l’ultima parola! Né, al momento, abbiamo elementi sicuri per ritenere davvero “sterilizzate” ai fini civilistici le conseguenze del mancato rispetto dei “limiti quantitativi” ex DL 34: è vero, è stato approvato un Ordine del Giorno con ambizioni interpretative su questo argomento, ma, data la specialità conclamata della disciplina, si hanno forti elementi per concordare con il dr. EUFRANIO MASSI[2] che ritiene la totale irrilevanza, ai fini civilistici, di tale Ordine del Giorno, difettandone un recepimento puntuale in sede di normativa di legge.
E’ evidente, pertanto, che, in sede giudiziale, in sede, cioè, di contenzioso Lavoratore-Azienda circa la portata degli effetti “civilistici” del superamento dei “limiti quantitativi” che possono risorgere i problemi interpretativi di tale norma, e riprendere vigore interpretazioni più restrittive e oggettivamente sfavorevoli per le Aziende: con buona pace della Circolare ministeriale …
Riteniamo, però, che, se il Ministero non ha optato, come desiderato da molti interpreti e associazioni di categoria datorili, per l’interpretazione più morbida della “verifica puntuale”, lo abbia fatto, a ragion veduta, almeno dal punto di vista esegetico (sul piano politico, si può pensarla diversamente).
I sostenitori della tesi della cd “verifica puntuale”, mentre risolvevano un problema “pratico”, ne aprivano uno (insolubile) a livello esegetico, non riuscendo, cioè, a chiarire la ragione d’essere dell’inciso “lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1/1 dell’anno cui si riferisce l’assunzione”: problema esegetico assolutamente eluso dalla Circolare Min. Lav. 18/2014. Inciso chiaro e inaggirabile, a meno di non sobbarcarsi l’onere di una interpretatio abrogans, altamente rischiosa in sede giudiziale.
“Verifica puntuale” o no, resta la cirocostanza che detto riferimento valga anche quale “riferimento negativo”: in altre parole, la norma segnala che il computo può effettuarsi solo per eventi compresi tra il 1/1 e il 31/12 dello stesso anno cui si riferisce l’assunzione, senza che abbiano alcuna rilevanza eventi verificatisi in anni precedenti e successivi, che, non possono, a questi fini, “fare media” (e questo apre rilevanti problemi per settori caratterizzati da alto turn over di appalti,  ove difetti una disciplina ad hoc di CCNL).
Con questo, però, la “scelta di campo” operata dal Ministero contro l’auspicata interpretazione favorevole alla “verifica puntuale” dei limiti quantitativi per i contratti a termine, apre una serie di dubbi irrisolti, in relazione a talune particolari casistiche, che qui di seguito si segnalano succintamente.
Che ne è ad esempio dei rapporti a tempo indeterminato, che al 1/1 dell’assunzione (e al momento “puntuale” dell’assunzione a termine) siano sospesi per aspettativa, in vista di una cessazione che è stata comunque pattuita nell’anno? Rientrano questi rapporti nei “limiti quantitativi”? Qui, la disputa è di fatto aperta: aderendo ad un’interpretazione dell’espressione “in forza al 1/1”, e sposandone l’accezione più comune nell’universo delle paghe e della gestione del personale, si dovrebbe ritenere che detto personale va certamente conteggiato nel “limite quantitativo”. Ma, se si segue il filo di un’interpretazione meno “schiacciata” sul dato letterale, più legata al dato applicativo e pratico, allora le cose possono cambiare: se cioè, con l’espressione “rapporti in forza”, si intende “rapporti materialmente attivi” (e non solo “formalmente attivi”), ecco che tale rapporto sarebbe escluso dal computo dei “limiti quantitativi”.
Nessuno, mi pare, si è ancora posto questo problema, né risulta che il Ministero abbia lasciato intendere qualcosa.
A favore, però, di questa ricostruzione, potrebbe, però, trovarsi un appiglio nella stessa interpretazione ministeriale delle disposizioni relative al calcolo delle sanzioni amministrative (calcolo tarato sui “15 giorni”) … Ma il punto, al momento, non è stato ancora sufficientemente approfondito.
Un altro aspetto, non toccato dalla Circolare. Può darsi che, al momento dell’assunzione a termine, sia passata in giudicato una sentenza che ha riconosciuto come a tempo indeterminato un rapporto stipulato a termine in passato presso l’Azienda. Questa sentenza, che incidenza riveste ai fini del calcolo del “limite quantitativo”? A essere rigorosi, si dovrebbe riconoscerne l’irrilevanza ai fini della determinazione della quota assunzionale di lavoratori a termine. Questo perché il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato spiega efficacia (nel caso specifico) per un’annualità estranea a quella di assunzione, il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato non implica “riassunzione” (ma solo oneri risarcitori). Il lavoratore riconosciuto giudizialmente “a tempo indeterminato”, pertanto, non può considerarsi “in forza” nell’anno di assunzione e, quindi, deve ritenersi irrilevante, ai fini del computo del “limite quantitativo” (e ai fini delle relative sanzioni amministrative).
Allo stesso modo, supponiamo nel 2015 di poter effettuare il calcolo dei lavoratori a termine su un dato “limite dimensionale”. Nel 2016, viene rilevato in sede ispettiva che uno dei lavoratori a termine assunto aveva già superato i 36 mesi, e, pertanto, doveva considerarsi a tempo indeterminato. Deve procedersi al “riconteggio” della “base occupazionale” e procedere alla verifica del rispetto della percentuale dei rapporti a termine? Veramente, pare proprio potersi escludere questa eventualità, dato che la norma cristallizza i contratti a tempo indeterminato come “base occupazionale” al 1/1 dell’anno di assunzione e non dovrebbe (per logica) considerare eventi sopravvenuti. In ogni modo, questa conclusione potrebbe essere argomentata in forza dell’art. 01 l. 689/1981 (principio di legalità), dobbiamo ritenere tipizzato l’illecito amministrativo relativo al superamento dei “limiti quantitativi” allo stato della contrattualistica a tempo indeterminato effettivamente vigente nell’ “anno in cui si riferisce l’assunzione”, quindi a rapporti correnti, non a ricostruzioni giudiziarie … a posteriori! Questa l’interpretazione che, allo stato, appare la più coerente.
Questo per dare un piccolo saggio degli aspetti interpretativi e applicativi che rimangono aperti, anche dopo la Circolare. E’ evidente che è auspicabile non un’altra Circolare, non un Interpello, ma una nuova norma, che perfezioni e corregga questa parte della norma attualmente troppo indeterminata e confusa, chiarendo se la tipologia dei “lavoratori in forza” contempli lavoratori il cui rapporto sia “vivo” sulla carta, ma sostanzialmente morto (il caso dell’aspettativa lunga, in vista del licenziamento), ovvero solo rapporti “materialmente vivi”: in questo caso, però, avendo cura di precisare i casi dei lavoratori in part time verticale, in assenza con diritto alla conservazione del posto etc.
Da ultimo, il Ministero ha chiarito che, una volta fissato in una certa quota il numero di lavoratori a termine da assumere nell’anno, in caso di cessazione per scadenza del termine, l’Azienda ne può assumere un altro:

“Va ulteriormente chiarito- chiarisce il Ministero- che “il numero complessivo dei contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro" non costituisce un limite ''fisso’’ annuale. Esso rappresenta invece una proporzione, come si è detto, tra lavoratori “stabili” e a termine, di modo che allo scadere di un contratto sarà possibile stipularne un altro sempreché si rispetti la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato pari al 20%. Del resto di tale orientamento è conferma anche la disposizione transitoria contenuta nell’art. 2 bis del D.L. n. 34/2014 che richiede, ai datori di lavoro che alla data di entrata in vigore del Decreto occupavano un numero troppo alto di lavoratori a tempo determinato, di rientrare progressivamente, entro il 31 dicembre p.v., nei limiti di legge (v. infra)”.
 
(Fine 1a parte- Continua)





[1] Su questa interpretazione, insiste anche il dr. Così il dr. EUFRANIO MASSI nell’articolo Le sanzioni sui contratti a termine: questioni risolte e problemi interpretativi, post del 29/08/2014 pubblicato in Generazione Vincente-Blog:
[2] Così il dr. EUFRANIO MASSI nell’articolo Le sanzioni sui contratti a termine: questioni risolte e problemi interpretativi, post del 29/08/2014 pubblicato in Generazione Vincente-Blog: “E’ indubbio che la volontà espressa al Senato (v. anche o.d.g. G/1464/22/11) fosse quella di considerare la sanzione amministrativa introdotta, quale sostitutiva della conversione del rapporto in applicazione dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010, ma ciò non è detto in nessun punto della legge n. 78/2014 che la introduce. Probabilmente (se questa è la “vera” intenzione del Legislatore) ci sarà bisogno di una norma di interpretazione autentica ma, al momento (e la circolare n. 18 ha completamente “sorvolato” l’argomento, non spendendo alcuna parola in un senso o nell’altro), si ritiene che l’indirizzo giurisprudenziale formatosi sul superamento della percentuale contrattuale resti pienamente in vigore (conversione del rapporto ed indennità risarcitoria compresa tra 2,5 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto)”.
 

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