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venerdì 24 febbraio 2017

LICENZIAMENTO PER MANCATO SUPERAMENTO DEL PERIODO DI PROVA: DATORE DI LAVORO NON E' OBBLIGATO A MOTIVARE IL LICENZIAMENTO

Quando un Datore di Lavoro licenzia un Dipendente per mancato superamento del “patto di prova”, non sussiste alcun obbligo di motivazione: questo è ciò che differenzia lo “speciale licenziamento per prova” dalla generale casistica di licenziamento; questo stato di cose è stato confermato dalla sentenza nr. 189/1980, con la quale la Corte Costituzionale ha confermato il carattere “discrezionale” del licenziamento per mancato superamento del periodo di prova.

La giurisprudenza, però, nel tempo ha enormemente ristretto i casi di “recesso libero” durante il periodo di prova.

Ad esempio, se il licenziamento è stato spiccato a fronte di un “patto di prova” nullo, in questo caso si applicano le ordinarie tutele contro il licenziamento (“tutele crescenti”).

E’ questo, ad esempio, il caso del patto di prova successivo all’assunzione, non contestuale o anteriore, ovvero il patto di prova che non individui le mansioni rispetto a cui “si mette alla prova” il Dipendente (Cass. 5404/2013).

In questo caso, il Lavoratore è enormemente facilitato, perché il Datore, difficilmente in questi casi, riesce ad accampare giuste cause di licenziamento.

Non si applica al Dipendente la tutela ordinaria contro i licenziamenti, se il patto di prova è regolare, ma è viziato il licenziamento.

In questo caso, a differenza che nei giudizi “normali” di licenziamento, compete al Lavoratore provare che il licenziamento datorile è illecito.

Sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, che ha ritenuto “discrezionale” il licenziamento datorile nel corso del periodo di prova, la giurisprudenza è ferma nel ritenere impugnabile il licenziamento che sia stato spiccato per un “motivo estraneo” alla sperimentazione delle attitudini del Lavoratore.

Ma sulla qualificazione del “motivo estraneo”, la giurisprudenza accusa fatiche e difficoltà.

1)      Una prima scuola di pensiero, in analogia con il sindacato di illegittimità degli atti amministrativi (il cd “sviamento di potere”), aveva ritenuto censurabili tutti i motivi di licenziamento istituzionalmente estranei al patto di prova. Ad esempio, si è ritenuto precluso al Datore accampare, in questa fase, una “riduzione del personale” o una “riorganizzazione” per licenziare il personale in prova (si noti, che di un caso simile discute la sentenza allegata, Cass. 1180/2017). Ma nel 1998 (sentenza nr. 402/98), la Cassazione respinse questa impostazione, ritenendola contraddittoria alla natura giuridica del patto di prova, per eccellenza flessibile e adattabile a molte circostanze (anche esterne, come “motivi organizzativi”) comunque tali da influire negativamente sull’esperimento. Diversamente, non essendo possibile far valere motivi organizzativi, questa l’obiezione della Cassazione nel 1998, il “patto di prova” sarebbe incomprensibilmente più rigido e stabile del lavoro “non in prova”!
2)      A seguito della Cassazione 402/98, ha prevalso una seconda scuola di pensiero. Secondo questa seconda “scuola di pensiero”, il “motivo estraneo” alla prova, suscettibile di determinare l’invalidità del licenziamento per mancato superamento della prova, può essere qualificato solo come “motivo illecito” ex. art. 1345 Codice Civile. E’ questo, ad esempio, il licenziamento intimato per motivi discriminatori, sotto la copertura “lecita” del mancato superamento del periodo di prova.

Questi contenuti, più che consolidati, si ritrovano anche nella sentenza nr. 1180/2017 della Corte di Cassazione, che potete consultare al LINK: http://www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?settings=VlZTTDhXaVNJaWxXSHhQWGJFbmFOeXprL3NlV2hqOVFNd3h0dE9zMmFXbEZkSkExYXB6ZVRnZkZxbnMzU3d1bDJBd1hBT3pDaklSOEtDYjF0b1FGRWFBeHUzSENFNGZOdmhNYVNYaDg4MXpTN0VnUEpDM0hyMm1SbFVVZWFXcjdkMkFaTVpLK1BKd0VWNkxjOWdtMzV3PT0=

mercoledì 22 febbraio 2017

PUBBLICO IMPIEGO, LE NORME CONTRO I CD "FURBETTI DEL CARTELLINO"-FLASH

Una brevissima, certamente provvisoria, ma utile illustrazione del Testo Unico del Pubblico Impiego, che contiene le disposizioni della Riforma Madia contro i “furbetti del cartellino”, le disposizioni, cioè, concepite per facilitare il licenziamento dei Dipendenti che attestino falsamente la loro presenza in servizio.
La Riforma, a titolo di “interpretazione autentica” precisa (comma 1bis):

Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.

E’ importante precisare che la Riforma responsabilizza il Dirigente (o il Dipendente) competente all’adozione delle relative misure disciplinari: l’art. 55quater. 3quinquies D.lgs. 165/2001 rende passibili di procedura disciplinare i Dirigenti che, pur informati dei fatti, non abbiano disposto le necessarie sanzioni.
Ricordiamo che la Riforma Madia ha altresì introdotto una speciale previsione di reato (delitto) per i cd “furbetti del cartellino” (art. 55quinquies.1°comma D.lgs. 165/2001):

1. Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.
Qui di seguito, un breve estratto delle nuove norme di legge, con l’avvertenza che, nel frattempo, esse potrebbero essere state ritoccate (specie per il risarcimento dei cd “danni all’immagine” della PA, in discussione in questi giorni). Di massima, però, il quadro delle norme appare piuttosto chiaro e consolidato.

Art. 55 - quater.
Licenziamento disciplinare (1)

 1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;
d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta. (2)
2. Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54.
3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento è senza preavviso.
3-bis. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l'immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all'assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall'ufficio di cui all'articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione di tale termine non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile. (3)
3-ter. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell'addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all'Ufficio di cui all'articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell'audizione, il dipendente convocato può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente può essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L'Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell'addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all'articolo 55-bis, comma 4. (3)
3-quater. Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L'ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia. (3)
3-quinquies. Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l'omessa attivazione del procedimento disciplinare e l'omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell'ufficio competente per il procedimento disciplinare, all'Autorità giudiziaria ai fini dell'accertamento della sussistenza di eventuali reati. (3)

(1) Articolo aggiunto dall’art. 69, co. 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150
(2) Comma inserito dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116; per l’applicabilità di tale disposizione vedi l’art. 3, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 116/2016.
(3) Comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116; per l’applicabilità di tale disposizione vedi l’art. 3, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 116/2016.

 Art. 55-quinquies.
False attestazioni o certificazioni (1)

1. Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.
2. Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
3. La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresì, se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati ne' oggettivamente documentati.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 69, co. 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150


Art.55-sexies.
Responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l’amministrazione e limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinare (1)



1. La condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54, comporta l'applicazione nei suoi confronti, ove già non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all'entità del risarcimento.
2. Fuori dei casi previsti nel comma 1, il lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall'amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, è collocato in disponibilità, all'esito del procedimento disciplinare che accerta tale responsabilità, e si applicano nei suoi confronti le disposizioni di cui all'articolo 33, comma 8, e all'articolo 34, commi 1, 2, 3 e 4. Il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare stabilisce le mansioni e la qualifica per le quali può avvenire l'eventuale ricollocamento. Durante il periodo nel quale è collocato in disponibilità, il lavoratore non ha diritto di percepire aumenti retributivi sopravvenuti.
3. Il mancato esercizio o la decadenza dell'azione disciplinare, dovuti all'omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell'infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresì la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo.
4. La responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione a profili di illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare è limitata, in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 69, co. 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150

martedì 14 febbraio 2017

CONTRATTI A TERMINE E "PROSECUZIONE DI FATTO", QUANDO IL LAVORATORE DECADE DALL'IMPUGNAZIONE-UNA SOSPETTA ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE?

Il contratto a termine può essere impugnato, a pena di decadenza, entro 120 gg dalla cessazione dalla cessazione del rapporto, ovvero dalla scadenza del termine: non è rilevante che l’Azienda abbia comunicato con lettera la cessazione del rapporto, in quanto la scadenza si considera “automatica” con lo scadere del termine fissato nel contratto di lavoro.
La Corte di Cassazione (sia pure decidendo un caso occorso, vigente la precedente normativa) ha precisato che il termine di impugnazione decorre al “maturare” del termine (Cass. 22933/16).
Questa regola, introdotta dalla legge 183/2010 (cd. Collegato Lavoro) è stata successivamente confermata dall’art. 28 D.lgs. 81/2015 (TU contratti di lavoro).
Non è chiaro, però, come si conteggino i termini di impugnazione ex. art. 28 D.lgs. 81 nel caso in cui il lavoro sia svolto dal Dipendente “sforando” il termine di contratto e si versi nel caso trattato dall’art. 22.2°comma D.lgs. 81/2015: come noto, se il rapporto “sfori” fino a 30 gg. (contratto di durata inferiore a sei mesi), ovvero fino al 50 giorno (contratti di durata superiore a sei mesi).
Logica e buon senso (oltrechè un’interpretazione costituzionalmente orientata) dovrebbe portarci a ritenere che, in questo caso, il termine di impugnazione, in caso di “prosecuzione di fatto” ex. art. 22 D.lgs. 81/15, inizi a decorrere dal giorno di “cessazione effettiva” del rapporto, non dalla cessazione “contrattuale” (cessazione puramente “nominale”, nel caso ex. art. 22 cit.).
Ma il testo dell’art. 28 fissa la decorrenza dell’impugnazione a partire dalla “cessazione del singolo contratto”: la legge sembra far decorrere i termini di impugnazione della cessazione del termine contrattuale, indipendentemente da una prosecuzione di fatto. Una soluzione che ci pare di dubbia costituzionalità, almeno ci pare non salvaguardare il “diritto di difesa” (art. 24 Cost.) del Lavoratore Dipendente.
Di qui, le ns domande: è questa l’unica interpretazione possibile? E se sì, è la norma costituzionalmente legittima?
Noi lasciamo la domanda aperta, aspettando che altri, più qualificati di Noi, possano fornire risposte soddisfacienti.

venerdì 10 febbraio 2017

TICKET LICENZIAMENTO: PER CAMBIO APPALTO ESENZIONE CONFERMATA A TEMPO INDETERMINATO

NIENTE “TICKET DI LICENZIAMENTO” PER IL “CAMBIO APPALTI”: L’ESONERO NON E’ PIU’ A TEMPO DETERMINATO (SOGGETTO A PROROGHE), MA E’ A TEMPO INDETERMINATO.
COSI’ DISPONE L’ ART. 1.164 COMMA L. 232/2016 (LEGGE DI STABILITA’ 2017):

164. All'articolo 2, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92, le parole: «Per il periodo 2013-2016» sono sostituite dalle seguenti: «A decorrere dal 1º gennaio 2013».

lunedì 6 febbraio 2017

PARTITE IVA INATTIVE: CHIUSURA D'UFFICIO IN ATTESA DEI PROVVEDIMENTI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE

Per le “Partite IVA inattive”, chiusura d’ufficio da parte dell’Agenzia delle Entrate: a stabilirlo il cd “Decreto Fiscale 2016” (DL 193/2016 conv. in l. 225/2016) che ha modificato la precedente procedura, grazie all’introduzione del nuovo art. 35.15quinquies DPR 633/72.
Un Provvedimento del direttore dell’Agenzia individuerà le specifiche procedure di cancellazione (il Provvedimento, in particolare, dovrà individuare i casi che danno luogo a cancellazione, attualmente non definiti nel DL): fino ad allora, pertanto, la nuova normativa non sarà in vigore.
Una cosa è certa: il Contribuente “inattivo” che abbia omesso di dichiarare all’Agenzia la cessazione della propria attività non è più soggetto a sanzioni amministrative (da € 500 a € 2.000).
Tali sanzioni devono intendersi abrogate; questo assunto risulta confermato dall’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione nr. 7/2017 (il Codice Tributo “8120” è stato, conseguentemente, disattivato).
Si attende, comunque, l’entrata in vigore del Provvedimento attuativo dell’Agenzia delle Entrate.

TESTO ARTICOLO 35.15quinuies DPR 633/72:
In vigore dal 03/12/2016
Modificato da: Decreto-legge del 22/10/2016 n. 193 Articolo 7 quater (…) 15-quinquies.

L'Agenzia delle entrate procede d'ufficio alla chiusura delle partite IVA dei soggetti che, sulla base dei dati e degli elementi in suo possesso, risultano non aver esercitato nelle tre annualita' precedenti attivita' di impresa ovvero attivita' artistiche o professionali. Sono fatti salvi i poteri di controllo e accertamento dell'amministrazione finanziaria. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabiliti i criteri e le modalita' di applicazione del presente comma, prevedendo forme di comunicazione preventiva al contribuente.

venerdì 3 febbraio 2017

IL DIPENDENTE CHE ASSISTE UN DISABILE PUÒ RIFIUTARE IL TRASFERIMENTO? LA PAROLA DELLA CASSAZIONE

Come fare se un Dipendente rifiuta il trasferimento ad altra unità produttiva, invocando la legge 104/92 e invocando che deve assistere un Disabile?
L’art. 33.5°comma della legge 104/92, al riguardo, dispone:

Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

La Cassazione (sentenza nr. 25379/16, che si allega) ha interpretato così questa previsione:

"La disposizione dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati - alla luce dell'art. 3, secondo comma, Cost., dell'art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009 - in funzione della tutela della persona disabile. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte" (Cass. n. 9201/2012)”.

Tradotto in pratica: il Dipendente può rifiutare il trasferimento a fronte delle necessità assistenziali di un familiare disabile, anche se non grave, salvo che il Datore dimostri l’inevitabilità e/o l’urgenza del trasferimento, a fronte di esigenze organizzative altrimenti non fronteggiabili. Per i Professionisti interessati alla problematica, si rinvia al link: http://www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?settings=VE5kVGhma3FmWENVQUFvM3RxWTNzMVpCZXVEUlQrL1FBWU4vOWprV0g2UHhObG4zSTVuSnBDZmZ6dmxZcGg3RjAwKzJOYVhtRGdkclhIRGtvbGVjb3czVkpBclEySU40ZGJ1d1cwYWlpVktYTXFWOWZIR0o5NXc4UWp1U3E3c2x5ZURWaHEzWEVXcHBlb2RxZE9jNGdBPT0=