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martedì 14 febbraio 2017

CONTRATTI A TERMINE E "PROSECUZIONE DI FATTO", QUANDO IL LAVORATORE DECADE DALL'IMPUGNAZIONE-UNA SOSPETTA ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE?

Il contratto a termine può essere impugnato, a pena di decadenza, entro 120 gg dalla cessazione dalla cessazione del rapporto, ovvero dalla scadenza del termine: non è rilevante che l’Azienda abbia comunicato con lettera la cessazione del rapporto, in quanto la scadenza si considera “automatica” con lo scadere del termine fissato nel contratto di lavoro.
La Corte di Cassazione (sia pure decidendo un caso occorso, vigente la precedente normativa) ha precisato che il termine di impugnazione decorre al “maturare” del termine (Cass. 22933/16).
Questa regola, introdotta dalla legge 183/2010 (cd. Collegato Lavoro) è stata successivamente confermata dall’art. 28 D.lgs. 81/2015 (TU contratti di lavoro).
Non è chiaro, però, come si conteggino i termini di impugnazione ex. art. 28 D.lgs. 81 nel caso in cui il lavoro sia svolto dal Dipendente “sforando” il termine di contratto e si versi nel caso trattato dall’art. 22.2°comma D.lgs. 81/2015: come noto, se il rapporto “sfori” fino a 30 gg. (contratto di durata inferiore a sei mesi), ovvero fino al 50 giorno (contratti di durata superiore a sei mesi).
Logica e buon senso (oltrechè un’interpretazione costituzionalmente orientata) dovrebbe portarci a ritenere che, in questo caso, il termine di impugnazione, in caso di “prosecuzione di fatto” ex. art. 22 D.lgs. 81/15, inizi a decorrere dal giorno di “cessazione effettiva” del rapporto, non dalla cessazione “contrattuale” (cessazione puramente “nominale”, nel caso ex. art. 22 cit.).
Ma il testo dell’art. 28 fissa la decorrenza dell’impugnazione a partire dalla “cessazione del singolo contratto”: la legge sembra far decorrere i termini di impugnazione della cessazione del termine contrattuale, indipendentemente da una prosecuzione di fatto. Una soluzione che ci pare di dubbia costituzionalità, almeno ci pare non salvaguardare il “diritto di difesa” (art. 24 Cost.) del Lavoratore Dipendente.
Di qui, le ns domande: è questa l’unica interpretazione possibile? E se sì, è la norma costituzionalmente legittima?
Noi lasciamo la domanda aperta, aspettando che altri, più qualificati di Noi, possano fornire risposte soddisfacienti.

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