E' inutile che ce lo nascondiamo: il
recente Dpcm 22/01/2013 relativo alla detassazione
non può leggersi solo come la riedizione di un istituto
ormai noto da un lustro; viceversa, il Decreto segna per la
prima volta un significativo "trampolino di lancio" per consolidare o
sperimentare importanti innovazioni gestionali nel rapporto di lavoro, anche in
settori sensibili come l'orario di lavoro e le mansioni, coperte, dalle vigenti
disposizioni di legge, da pesanti condizioni di inderogabilità.
Ma procediamo con ordine, cominciando
dalla parte più "conservativa" del Dpcm.
Come abbiamo accennato nella precedente
mail, i limiti reddituali etc. sono poco incisi, cosìcchè sul versante della
gestione "stipendiale" poco cambia.
Qualche rettifica e non piccola viene
alle "voci retributive" detassabili, che, almeno a Ns. modesto
parere, non sono sovrapponibili con quelle riconosciute detassabili in passato.
Il comma 01 dell'art. 02 Dpcm,
infatti, pare introdurre specifiche abbastanza stringenti per la
qualificazione delle suddette voci, configurandole come "voci di
produttività/efficienza organizzativa etc.", ma contenenti
"indicatori quantitativi di incremento di produttività etc.".
Il punto è di quelli che merita
specifiche in sede interpretativa, nell'emananda Circolare dell'Agenzia delle
Entrate, ma al momento pare legittimo dedurre la volontà del Dpcm di segnare
uno "stacco" con la tendenza invalsa fin dall'ottobre 2008 di
comprendere indifferenziatamente nel "mucchio" delle voci detassabili
ROL non goduti etc. Parrebbe congruo ritenere che, nell'annualità 2013, la
detassazione è subordinata a voci di quantificazione molto più rigorosa: es.
percentuale X sul volume d'affari Y e così via.
Il punto merita chiarimenti. E'
evidente, però, che, già solo a questo livello, come nota Confindustria,
sembrano destinate ad essere inutilizzabili le intese per
"produttività" sin qui in essere, che non appaiono più in linea con
la contrattualistica "di produttività" descritta nel Dpcm.
Ma è nella seconda parte dell'art.
02.01°comma che si coglie la portata rivoluzionaria del Dpcm.
Sono detassabili, infatti, ai sensi del
suddetto decreto anche le voci retributive erogate in esecuzione di contratti
aziendali o territoriali "che prevedano l'attivazione di almeno una misura
in almeno tre delle seguenti aree di intervento:
a) Ridefinizione dei sistemi di orari e
della loro distribuzione con modelli flessibili, anche in rapporto agli
investimenti, all'innovazione tecnologica e alla fluttuazione dei mercati,
finalizzati ad un più efficiente utilizzo delle strutture produttive idoneo a
raggiungere gli obiettivi di produttività convenuti mediante una programmazione
mensile della quantità e della collocazione oraria della prestazione;
b) Introduzione di una distribuzione
flessibile delle ferie, mediante una programmazione aziendale anche non
continuativa delle giornate di ferie, eccedenti le due settimane;
c) Adozione di misure volte a rendere
compatibile l'impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti
fondamentali dei Lavoratori, per facilitare l'attivazione di strumenti
informatici, indispensabili per lo svolgimento di attività lavorative;
d) Attivazione di interventi in materia
di fungibilità delle mansioni e di integrazione delle competenze, anche
funzionali a processi di innovazione tecnologica".
Il congegno come si può agevolmente
constatare è ancora oscuro e macchinoso (cosa vuol dire "almeno una misura
in almeno tre aree di intervento"? L'Agenzia delle Entrate e il Ministero
del Lavoro dovranno chiarire!), ma è evidente che la detassazione, così come
configurata dal Dpcm, intende operare come "trampolino di
lancio" per la negletta "contrattazione di prossimità"
confezionata dall'art. 08 DL 138/2011 e arenatasi nelle controversie sindacali
(che sono addirittura sfociate in una richiesta di referendum abrogativo
da celebrarsi, probabilmente, l'anno venturo) e raccomandata da vari analisti
(e dalla stessa Commissione UE) per rilanciare la produttività del lavoro dalle
pastoie normative che lo bloccano.
Ci vuol poco a capire che le
"intese destinate a regolare la fungibilità delle mansioni", le
"innovazioni tecnologiche" etc. afferiscono ad aree coperte dalla
facoltà di "deroga in pejus" riconosciuta alla
contrattazione "di secondo livello" (territoriale ed aziendale).
Si tratta di interventi che possono essere
decisivi e strutturali in momenti di crisi e la cui importanza per le singole
Aziende si coglie da sè. Interventi finora bloccati in nome della logica
della "salvaguardia dei diritti", ma che, ove trovano (come pare con
il Dpcm) una specie di "corrispettivo" in denaro, hanno maggiori
probabilità di successo (semprechè per qualche machiavello non intervenga un
Giudice ad invalidare il tutto su iniziativa della CGIL, ad esempio!). Per di
più, la detassazione costituisce un ottimo incentivo a deroghe "virtuose"
su settori nevralgici del diritto del lavoro come l'orario di lavoro e le
mansioni, finora irrigidite da una normazione collettiva tetragona!
La "scommessa" in
termini politico-sindacale è comunque molto alta.
Restiamo a disposizione per aggiornamenti,
tanto più vitali e nevralgici in questa delicatissima e agguerrita frontiera.
Studio Francesco Landi,
Consulente del Lavoro, Ferrara
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