Nel numero 11 del 17/03/2014, L'Esperto Risponde tratta il
seguente caso:
Un Dipendente, con qualifica di Operaio e mansione di
Barista, assunto a tempo pieno, a cui si applica il CCNL (contratto collettivo
nazionale di lavoro) del Turismo e [a cui] si prospetta una trasformazione del
rapporto (con riduzione d'orario), può rivolgersi a un Pubblico Esercizio
concorrente, ubicato a poca distanza, per farsi assumere le restanti ore (quelle
"lasciate libere" a causa della riduzione d'orario operata dal primo Datore)?
C'è lesione del dovere di fedeltà, di non divulgazione di interessi e segreti
aziendali (pur trattandosi di un Bar)?
L'Esperto risponde ravvisa in tale condotta del
Barista la violazione del "dovere di fedeltà" ex. art. 2105 del Codice
Civile consistente nel "divieto di trattare affari, per conto proprio o di
terzi, in concorrenza con l'imprenditore, o di divulgare notizie attinenti
all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o di farne uso in
modo da poter recare pregiudizio". In particolare, secondo l'inserto de Il
Sole 24 Ore, lo svolgimento di un'attività (in proprio o alle dipendenze di
altri) in concorrenza con quella esercitata dal Datore di Lavoro è vietato e può
essere motivo di risoluzione del rapporto.
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Il parere de L'Esperto Risponde non convince
del tutto e va recepito con alcuni distinguo.
Il parere innanzitutto non convince nel metodo.
L'Esperto Risponde ha ragione da vendere, in linea
ipotetica e di diritto: il Lavoratore Dipendente ex. art. 2105 Codice
Civile, è certo tenuto pur sempre a evidenti ed elementari
obblighi di salvaguardia del Datore di Lavoro. Ma il parere non convince nel
momento in cui deduce obblighi tanto rigidi in capo al Dipendente part time
medesimo.
Il parere, in particolare, ignora che le determinazioni tra
Lavoratore e Datore in punto di orario di lavoro sono state interamente
liberalizzate (è l'unico ambito dove l'autonomia negoziale delle parti nel
lavoro subordinato è piena). I "patti" sull'orario di lavoro non possono,
pertanto, non determinare conseguenze sulle possibilità del Dipendente di
prestare lavoro presso terzi. Anzi: in assenza di specifiche determinazioni su
questo punto tra le Parti, siamo a ritenere che proprio la riduzione dell'orario
di lavoro, determini in capo al Lavoratore una ragionevole aspettativa di minor
lavoro, di minor attrattività della propria prestazione in capo al Datore di
Lavoro e, quindi, un'implicita autorizzazione/tolleranza del Datore verso altri
lavori.
Viene in considerazione, nel caso di specie, l'istituto
giurisprudenziale della "presupposizione".
Ma viene in considerazione, in particolare, un elementare
canone di "coerenza" dei comportamenti messi in atto tra le parti, di cui non si
può non tener conto, specie quando si argomenta la stretta dipendenza tra art.
2105 Codice Civile (dovere di fedeltà del Dipendente) e obblighi di
"buona fede e correttezza" contrattuale ex. art. 1375 Codice
Civile.
Se il Datore riduce l'orario al Dipendente, senza assumere
altre iniziative, egli si assume il rischio che egli lavori in esercizi
concorrenti (egli, infatti, "licenzia" parzialmente il Dipendente); ove voglia
ridurre l'orario, ma non voglia perdere la disponibilità del Dipendente, il
Datore dovrà evidentemente assumersi l'onere di attivare specifici accordi
con il Dipendente. Accordi, che, vista la ratio dell'art. 2125 C.C.,
non potranno "vincolare" in eterno il Dipendente, ma dovranno essere equilibrati
e circostanziati.
In questo senso, se il Datore di Lavoro riduce l'orario al
Dipendente, ma non vuole che il Dipendente vada a lavorare
altrove contemporaneamente, non può che ricorrere al "patto di non
concorrenza" ex. art. 2125 Codice Civile, che delimiti nel tempo e
nello spazio l'esercizio di attività concorrente.
Diversamente, è vero che vige, anche nel corso del part
time, l'art. 2105 del Codice Civile, ma è altrettanto vero che il
Datore non potrà esigere, con la stessa fermezza e rigidità, gli stessi obblighi
in capo al Dipendente.
Il divieto ex. art. 2105 C.C. presenta inevitabili "margini
di elasticità".
Certo, tale divieto è "esigibile" in capo al Dipendente come
perentorio ed inequivocabile rispetto ai casi conclamati e più gravi come furto
di dati, divulgazione di notizie riservate etc. (di rilievo anche
penalistico!).
Ma è altrettanto vero che lo stesso divieto può essere
inevitabilmente inteso in modo differenziato nei vari rapporti di lavoro, dato
che ogni rapporto ha una storia a sè, e dato che la concretizzazione di questo
obbligo assume aspetti che si prestano ad essere interpretati e gestiti
diversamente in relazione alle varie caratteristiche del rapporto (di qui, i
margini di "elasticità" di cui parlavo!).
Innanzitutto, l'esigibilità in capo al
Dipendente di tale obbligo può essere diversa (e quindi sentita
legittimamente come più o meno vincolante), in considerazione delle
mansioni esercitate dal Dipendente.
A questo riguardo, infatti, devono considerarsi i pareri
della Cassazione risalenti, ma assolutamente pertinenti , la quale ha fatto
notare essere meno stringente l'obbligo di fedeltà ex. art. 2105 Codice
Civile quando il Dipendente presti sì servizio presso imprese che
svolgono la medesima attività economica, ma esercitando mansioni meramente
esecutive e materiali (magazziniere, lavori di pulizia etc.). Viceversa, tale
obbligo appare con più rigore "esigibile" in relazione all'Impiegato che svolga
attività di concetto, specie se incidenti e concorrenti in attività valutative e
discrezionali molto sensibili per il core businnes aziendale. A questo
riguardo, vengono in rilievo le sentenze di Cass. 01/12/1981 nr. 6381; Cass.
26/10/2001 nr. 131 (giurisprudenza consolidata!).
Evidentemente, queste circostanze devono valutarsi nel caso
del Barista, e va a "demerito" de L'Esperto Risponde, non aver
richiamato l'attenzione dei lettori sulla valutazione, nel caso concreto, di
queste circostanze.
Allo stesso modo, deve valorizzarsi (e veniamo al caso di
specie) la circostanza che il lavoratore eserciti sì attività in esercizio
concorrente, ma a seguito di una riduzione di orario.
La riduzione d'orario in sè stessa può generare nel
Dipendente che la subisce una conseguente valutazione di minor pregio e di
minore rilevanza della propria prestazione nella originaria organizzazione;
quindi, un'implicita autorizzazione del Datore originario al Dipendente ad
offrire (senza danno) i propri servizi ad altri.
Questo è il quanto.
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pr
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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