Tema di Ragioneria di un ipotetico esame di Consulente
del Lavoro:
Se un'Azienda intende erogare un premio di € 1.000 lordi al Dipendente, con
aliquota fiscale sostitutiva del 10%, quale costo aziendale dovrà sopportare? E
quanto sarà l'importo di retribuzione netta che il Dipendente percepirà?
Risoluzione:
Posta l'aliquota INPS a carico dell'Azienda a 28,98% e un premio INAIL al 4
per mille, il costo aziendale andrà così rideterminato:
Premio lordo: € 1.000
INPS c/ditta: € 290
INAIL: €
4
TFR-ctr: € 68
IRAP: €
39
TOTALE: € 1.401
Posta l'aliquota contributiva INPS c/dip al 9,19% e l'aliquota sostitutiva
IRPEF al 10% (si da per scontata la sussistenza dei presupposti reddituali di
legge per applicare il beneficio fiscale della detassazione), l'importo netto
che il Dipendente percepirà sarà:
Premio lordo: € 1.000
Ctr c/Dip.: -€ 92
IRPEF: -€ 91
TOTALE: € 817
Questa l'implacabile logica dei numeri!
Proviamo, però, a considerare il caso da un'angolatura diversa e a impostare
diversamente i termini del problema: esiste un sistema tale per cui il
Dipendente acquista il valore pieno di € 1.000 e l'Azienda non è tenuta a
sopportare oneri aggiuntivi?
La risposta è SI, questo è il sistema dei flexible benefits.
Entriamo nella terra ieri abbastanza incognita (oggi meno) di quello che
forse un pò pomposamente, ma certo efficacemente si chiama Welfare
Aziendale.
La risposta delle Aziende alle sfide della crisi non è solo Cassa
Integrazione, licenziamenti e mobilità di massa, ma è stata anche questo. Welfare Aziendale. I
casi Luxottica, Alitalia, TetraPak (Modena),
Banca Intesa San Paolo, Banca Unicredit, Mediaset, SAS
Institute, Vodafone sono già case history.
I benefits così erogati sono i più svariati:
dall'Assistenza Sanitaria gratuita, ai corsi di formazione, all'iscrizione a
circoli ricreativi, alla consulenza legale e fiscale. Il successo di queste
iniziative è presto spiegato: nella generale caduta del reddito reale del
Lavoratore Dipendente (aggravato, per altro, dal cronico problema del
"cuneo fiscale" tra retribuzione al lordo di tasse e oneri sociali e
retribuzione netta) il Dipendente ottiene un netto da spendere in servizi per
un importo decisamente superiore, che per l'Azienda non comporta (a certe
condizioni, lo vedremo!) costi aggiuntivi, ma altresì può essere fonte di
risparmi.
In tempi in cui sempre più insistentemente si parla di "svalutazione
interna" come soluzione consigliata per recuperare competitività specie
agli Stati più "indebitati" come l'Italia (vedi dichiarazione del
Commissario Olli Rehn sulla Spagna in data 06/08 us.), e in tempi in cui
"svalutazione interna" significa "riduzione del costo del
lavoro" (e degli stipendi) è evidente quanto sia importante richiamare
queste "buone prassi" di Welfare aziendale, come
forma di "compensazione" possibile alle perdite reddituali dei
Lavoratori.
Sarebbe, comunque, riduttivo vedere in queste erogazioni solo forme di
ripiego o di risarcimento (evidentemente parziali): dato che la crisi
economica, erode status e prerogative di
"acquisizione" di individui e famiglie, rendendo cioè molto
problematico l'accesso a servizi sanitari, istruzione etc., la possibilità che
il Datore riconosca anche solo alcuni di questi servizi ritenuti essenziali
diventa una non secondaria gratificazione psicologica, con positive ricadute
sulla motivazione al lavoro e al rendimento.
Oneri di gestione amministrativa? Dipende!
L'esperienza al riguardo dimostra che sono svariati i fattori che l'Azienda
deve prendere in considerazione e la variante normativa (specie fiscale e
previdenziale) non è una variante da poco! Manca nel Ns. ordinamento una
legislazione fiscale e previdenziale uniforme e coerente sul Welfare-benefits aziendale,
e così l'Azienda è costretta attualmente ad un vero e proprio slalom tra
franchigie fiscali, esclusioni/esenzioni fiscali e conteggi (delicatissimi)
delle aliquote marginali applicabili al Dipendente (che è il vero arbitro del
"netto"!).
Per quanto riguarda le cd "prestazioni in natura" (ossia tutti i benefits consistenti
in opere o servizi), la gestione in capo all'Azienda resta rilevante, sia che
la medesima opti per la gestione "interna" (con proprie forze) degli
stessi, sia che la medesima (Azienda) opti per una gestione in outsourcing,
ossia in Convenzione, con Società di Servizi esterne (evidentemente con
compenso!).Al riguardo, molti osservatori notano acutamente quanto sia
importante per l'Azienda che i costi sostenuti dei piani di Welfare aziendale,
siano "coperti" da esenzioni fiscali/contributive. Grazie alle quali
esenzioni, l'Azienda, se non otterrà profitti, quantomeno potrà andare in
pareggio! Viceversa, molto più fluida e flessibile si rivela la gestione del benefit-Welfare,
quando esso consiste nell'erogazione da parte del Datore di una somma di denaro
con vincolo di destinazione (p.e. istruzione): in questi casi, gli oneri
amministrativi sono minimi, quasi nulli, limitandosi essi medesimi
all'acquisizione della documentazione prodotta dai Dipendenti e al controllo
della stessa. In tal modo, il Dipendente (nella logica lordo-netto) potrà
effettivamente disporre di un reddito netto decisamente più consistente di
quello di cui all'ordinaria busta paga!
La legge è una variabile molto importante; evidentemente urge una
riconsiderazione della materia in sede legislativa, che corregga le riforme
(minimali e ormai obsolete) a suo tempo introdotte per il Welfareaziendale
con il D.lgs. 314/1997. Che fare?
Stanti gli attuali "vincoli di bilancio" che sconsigliano tagli e
riduzioni fiscali troppo "ottimistiche", sarei però a ritenere
realistico e fattibile un intervento assolutamente sperimentale, che illustrerò
nei termini che seguono.
Noi ben sappiamo quanto l'onda della "svalutazione interna" abbia
contagiato in Italia anche il diritto del lavoro, sia pure in forme
caratteristicamente ambigue. Da un lato, infatti, abbiamo un legislatore che
apparentemente resiste all'onda "svalutativa" che prepotentemente si
affaccia sul mercato del lavoro (le cd "riforme Monti-Fornero all'insegna
della rigidità sono il segno della grande riluttanza del Legislatore a toccare
in tempi di crisi il Sancta Sanctorum del diritto del lavoro!)
Dall'altro però quello stesso legislatore cerca insistentemente di
"scaricare" sulle spalle delle "parti sociali" il lavoro
(ritenuto "sporco") di liberalizzare il diritto del lavoro medesimo,
in nome della religione del laisser faire, laisser passer (vedi
art. 08 DL 138/2011; vedi DL Letta-Giovannini).
Preso atto che quest'ultima sarà la tendenza che andrà vieppiù
consolidandosi a livello di prassi, dato che sarà ben difficile per i
Lavoratori opporsi più efficacemente all'ondata "svalutativa" che
sale dal profondo dell'UE, come non ipotizzare percorsi che accompagnino questi
processi di "ammorbidimento" delle garanzie tradizionali
giuslavoristiche, con adeguate "compensazioni" sul fronte del Welfare Aziendale?
Personalmente, credo opportuno ipotizzare una modifica dello stesso art. 08
DL 138/2011 nel senso di subordinare l'efficacia di questi accordi non tanto
all'onere burocratico (introdotto dal DL Lavoro) di deposito alla Direzione
Territoriale del Lavoro, quanto alla previsione di un organico complesso di
misure di Welfare Aziendale, organicamente esentasse! Si può e
si deve discutere ....
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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