Nel
post del 21/07 us. (link: http://costidellavoro.blogspot.it/2013/07/cronaca-di-una-riforma-impossibile-le_21.html), stigmatizzammo le gravi carenze tecniche del DL
Lavoro sul rapporto a termine, specialmente con riguardo alla nuova
previsione del cd "contratto a termine a-causale".
In parte, comunque, il legislatore ha convenuto su alcune osservazioni da Noi modestamente sollevate, in primis quella relativa alla "prorogabilità" del rapporto a termine a-causale. Nel post di
luglio, infatti, evidenziammo la grave incongruenza di un testo di
legge che, per come era allora formulato, non era assolutamente in grado
di consentire la "prorogabilità" del rapporto a termine a-causale, sia
pure nel massimo di 12 mesi. Oggi, quei dubbi interpretativi sono stati
efficacemente superati dall'interpolazione all'art. 01.comma 01bis D.lgs. 368/2001 intervenuta in sede di conversione in legge del DL, che oggi recita:
"primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi
comprensiva di eventuali proroga"
laddove
invece la dizione "primo rapporto" nella prima stesura del DL aveva
lasciato in piedi la possibilità di argomentare la preclusione della
proroga, nonostante l'abrogazione testuale di tale preclusione nella
sede dell'art. 04.02bis D.lgs. 368/2001.
La parte più corposa e significativa delle Ns. critiche ha, però, avuto modo di investire il globale modus operandi del
legislatore che, lungi dall'operare con un disegno coerente di riforma,
ha operato non per la liberalizzazione diretta dei rapporti a termine,
ma per una liberalizzazione indiretta degli stessi, affidata
all'ampliamento massimo e indeterminato della possibilità di ricorrere
ai cd "contratti a termine a-causali" ad opera della contrattazione
collettiva.
Una
riforma poco coerente, perchè tale da configurare più una
destrutturazione (dagli imprevedibili esiti), che una liberalizzazione
della disciplina dei contratti a termine, per i quali viene a
legittimarsi un "doppio livello" regolamentare: da un lato, quello di default della
legge che fissa come generale il principio dell'assunzione "causale" e
limita ad un massimo di 12 mesi l'assunzione a-causale; dall'altro, la
contrattazione collettiva, che può "normare" intorno a questa ipotesi di
assunzione con la massima larghezza possibile (anche oltre il limite
dei 12 mesi, vedi Circ. Min. Lav. 35/2013), legittimando così un canale
normativo "parallelo", opposto e lontano a quello "comune", oltrechè
verosimilmente influenzato da non sempre funzionali e trasparenti
logiche corporative.
Una destrutturazione, di cui però non può sempre registrarsi
positivamente il saldo costi-benefici: se, infatti, al momento, il
settore Alimentari Industria è il settore più "all'avanguardia" nel
raccogliere le sfide del DL Lavoro e nel configurare un organico e
apprezzabile "sistema di regole", tale da poter essere preso a modello
per ulteriori e più consolidate liberalizzazioni (vedi il positivo
commento del dr. Massi nell'articolo http://www. dplmodena.it/massi/Settore% 20alimentare%20-%20le% 20deroghe%20concordate%20sui% 20contratti%20a%20termine%20-% 20Massi.pdf),
è altrettanto vero che la confusa tecnica legislativa complice la quale
si è stratificato un complesso livello di disposizioni opposte e poco
conciliabili (liberalizzanti quelle collettive, restrittive quelle
legislative), espone l'attuale assetto legislativo ad assestamenti in
sede di nomofilachia poco favorevoli alla causa liberalizzante
(ricordiamo che l'art. 01 sul "rapporto a tempo indeterminato come forma
comune di lavoro" non è stato modificato!), con buona pace degli
intenti liberalizzatori, pur apertamente conclamati in sede
pubblicistica dal DL Lavoro.
Tali distorsioni giurisprudenziali da Noi preconizzate non hanno
tardato, del resto, ad attualizzarsi e a manifestarsi in sede di prassi,
anche molto precocemente.
E' di questi giorni, del resto, (vedi nota DARIO FERRARA in Banca Dati Maxima), una prima, sia pure incidentale, enunciazione di diritto della Corte di Cassazione che ha precisato:
"... Dalla direttiva europea 28 giugno 1999 numero 70 e dall’allegato accordo del 18
marzo 1999, e soprattutto dal preambolo, risulta che i contratti a
tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma generale di
rapporto di lavoro anche
se in talune circostanze, ossia eccezionalmente, quelli a termine
possono meglio corrispondere ai bisogni dei datori o dei prestatori di
lavoro".
E' pesante questa affermazione della
Cassazione, che ridimensiona come "eccezionali" le assunzioni a causali;
ma detta affermazione appare ineccepibilmente coerente, se si considera
che nulla ha fatto il legislatore per modificare la normativa
preesistente, difettosa nel non essere riuscita a superare in modo
chiaro e univoco il principio della cd "eccezionalità del rapporto a
termine", che è non a caso tornata ad affacciarsi in giurisprudenza: un
principio equivoco, ufficialmente abbandonato dopo l'abrogazione della
l. 230/1962, ma tralatiziamente riemerso come ius receptum nella
prassi applicativa, complice più o meno fondate e riuscite
"interpretazioni costituzionalmente orientate", ovvero "interpretazioni
conformi alla normativa comunitaria", che finora hanno avuto come solo e
unico effetto la frustrazione di ogni organico processo liberalizzatore
e riformatore dei contratti a termine.
La persistenza di un simile ius receptum, tanto sfavorevole
alla liberalizzazione dei rapporti a termine, chiude il cerchio sulle
problematiche sorti della "liberalizzazione indiretta" perseguita dal DL
Lavoro, poichè contribuisce ad aprire notevoli dubbi e interrogativi
sul potere riconosciuto dal DL Lavoro alla contrattazione collettiva di
regolare le assunzioni a-causali: se detta ipotesi è "eccezionale", come
si giustifica la più ampia de-regoluation commessa dal legislatore alle parti sociali?
Molto più semplicemente, questa circostanza non si giustifica,
almeno secondo logica giuridica lineare: anche ammesso che nella prassi
emerga (extra legem) la più ampia tolleranza rispetto a
regolamentazioni più libere e ampie di assunzioni a-causali, resterà
sempre immanente su questa delega normativa alle parti sociali e su
questa ratio de-regolante la mannaja del giudizio
dell'incostituzionalità, sotto specie di giudizio di "irragionevolezza"
ex. art. 03 Cost. (rafforzato dall'interpretazione restrittiva della
norma UE, nella specie la Direttiva 28/06/1999), con grave e nefasta
ricaduta sulla fluidità applicativa della disposizione.
In conclusione, questa pur parziale, ma significativa "novità"
giurisprudenziale conferma la previsione "a tinte fosche" sulla
strategia (obliqua ed equivoca) del DL Lavoro che persegue una
"liberalizzazione indiretta" della disciplina dei contratti a termine,
tramite la delega (la più ampia) alle parti sociali, ma senza una
chiara, realistica consapevolezza delle questioni di "politica del
diritto" che vi sono implicate.
Tirando le somme, questo si può dire: che la riforma dei contratti a
termine ha bisogno di ben altra "frustata" normativa, e non di
"buffetti" incerti ed equovoci.
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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