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lunedì 28 ottobre 2013

NOI L'AVEVAMO DETTO! LE INCONGRUENZE DEL DL LAVORO SUL CONTRATTO A TERMINE A-CAUSALE STANNO VENENDO AL PETTINE!

Nel post del 21/07 us. (link: http://costidellavoro.blogspot.it/2013/07/cronaca-di-una-riforma-impossibile-le_21.html), stigmatizzammo le gravi carenze tecniche del DL Lavoro sul rapporto a termine, specialmente con riguardo alla nuova previsione del cd "contratto a termine a-causale".
In parte, comunque, il legislatore ha convenuto su alcune osservazioni da Noi modestamente sollevate, in primis quella relativa alla "prorogabilità" del rapporto a termine a-causale. Nel post di luglio, infatti, evidenziammo la grave incongruenza di un testo di legge che, per come era allora formulato, non era assolutamente in grado di consentire la "prorogabilità" del rapporto a termine a-causale, sia pure nel massimo di 12 mesi. Oggi, quei dubbi interpretativi sono stati efficacemente superati dall'interpolazione all'art. 01.comma 01bis D.lgs. 368/2001 intervenuta in sede di conversione in legge del DL, che oggi recita:

"primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi 
comprensiva di eventuali proroga"

laddove invece la dizione "primo rapporto" nella prima stesura del DL aveva lasciato in piedi la possibilità di argomentare la preclusione della proroga, nonostante l'abrogazione testuale di tale preclusione nella sede dell'art. 04.02bis D.lgs. 368/2001.
La parte più corposa e significativa delle Ns. critiche ha, però, avuto modo di investire il globale modus operandi del legislatore che, lungi dall'operare con un disegno coerente di riforma, ha operato non per la liberalizzazione diretta dei rapporti a termine, ma per una liberalizzazione indiretta degli stessi, affidata all'ampliamento massimo e indeterminato della possibilità di ricorrere ai cd "contratti a termine a-causali" ad opera della contrattazione collettiva.
Una riforma poco coerente, perchè tale da configurare più una destrutturazione (dagli imprevedibili esiti), che una liberalizzazione della disciplina dei contratti a termine, per i quali viene a legittimarsi un "doppio livello" regolamentare: da un lato, quello di default della legge che fissa come generale il principio dell'assunzione "causale" e limita ad un massimo di 12 mesi l'assunzione a-causale; dall'altro, la contrattazione collettiva, che può "normare" intorno a questa ipotesi di assunzione con la massima larghezza possibile (anche oltre il limite dei 12 mesi, vedi Circ. Min. Lav. 35/2013), legittimando così un canale normativo "parallelo", opposto e lontano a quello "comune", oltrechè verosimilmente influenzato da non sempre funzionali e trasparenti logiche corporative. 
Una destrutturazione, di cui però non può sempre registrarsi positivamente il saldo costi-benefici: se, infatti, al momento, il settore Alimentari Industria è il settore più "all'avanguardia" nel raccogliere le sfide del DL Lavoro e nel configurare un organico e apprezzabile "sistema di regole", tale da poter essere preso a modello per ulteriori e più consolidate liberalizzazioni (vedi il positivo commento del dr. Massi nell'articolo http://www.dplmodena.it/massi/Settore%20alimentare%20-%20le%20deroghe%20concordate%20sui%20contratti%20a%20termine%20-%20Massi.pdf), è altrettanto vero che la confusa tecnica legislativa complice la quale si è stratificato un complesso livello di disposizioni opposte e poco conciliabili (liberalizzanti quelle collettive, restrittive quelle legislative), espone l'attuale assetto legislativo ad assestamenti in sede di nomofilachia poco favorevoli alla causa liberalizzante (ricordiamo che l'art. 01 sul "rapporto a tempo indeterminato come forma comune di lavoro" non è stato modificato!), con buona pace degli intenti liberalizzatori, pur apertamente conclamati in sede pubblicistica dal DL Lavoro.
Tali distorsioni giurisprudenziali da Noi preconizzate non hanno tardato, del resto, ad attualizzarsi e a manifestarsi in sede di prassi, anche molto precocemente.
E' di questi giorni, del resto, (vedi nota DARIO FERRARA in Banca Dati Maxima), una prima, sia pure incidentale, enunciazione di diritto della Corte di Cassazione che ha precisato:

"... Dalla direttiva europea 28 giugno 1999 numero 70 e dall’allegato accordo del 18 marzo 1999, e soprattutto dal preambolo, risulta che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma generale di rapporto di lavoro anche se in talune circostanze, ossia eccezionalmente, quelli a termine possono meglio corrispondere ai bisogni dei datori o dei prestatori di lavoro".

E' pesante questa affermazione della Cassazione, che ridimensiona come "eccezionali" le assunzioni a causali; ma detta affermazione appare ineccepibilmente coerente, se si considera che nulla ha fatto il legislatore per modificare la normativa preesistente, difettosa nel non essere riuscita a superare in modo chiaro e univoco il principio della cd "eccezionalità del rapporto a termine", che è non a caso tornata ad affacciarsi in giurisprudenza: un principio equivoco, ufficialmente abbandonato dopo l'abrogazione della l. 230/1962, ma tralatiziamente riemerso come ius receptum nella prassi applicativa, complice più o meno fondate e riuscite "interpretazioni costituzionalmente orientate", ovvero "interpretazioni conformi alla normativa comunitaria", che finora hanno avuto come solo e unico effetto la frustrazione di ogni organico processo liberalizzatore e riformatore dei contratti a termine.
La persistenza di un simile ius receptum, tanto sfavorevole alla liberalizzazione dei rapporti a termine, chiude il cerchio sulle problematiche sorti della "liberalizzazione indiretta" perseguita dal DL Lavoro, poichè contribuisce ad aprire notevoli dubbi e interrogativi sul potere riconosciuto dal DL Lavoro alla contrattazione collettiva di regolare le assunzioni a-causali: se detta ipotesi è "eccezionale", come si giustifica la più ampia de-regoluation commessa dal legislatore alle parti sociali?
Molto più semplicemente, questa circostanza non si giustifica, almeno secondo logica giuridica lineare: anche ammesso che nella prassi emerga (extra legem) la più ampia tolleranza rispetto a regolamentazioni più libere e ampie di assunzioni a-causali, resterà sempre immanente su questa delega normativa alle parti sociali e su questa ratio de-regolante la mannaja del giudizio dell'incostituzionalità, sotto specie di giudizio di "irragionevolezza" ex. art. 03 Cost. (rafforzato dall'interpretazione restrittiva della norma UE, nella specie la Direttiva 28/06/1999), con grave e nefasta ricaduta sulla fluidità applicativa della disposizione.
In conclusione, questa pur parziale, ma significativa "novità" giurisprudenziale conferma la previsione "a tinte fosche" sulla strategia (obliqua ed equivoca) del DL Lavoro che persegue una "liberalizzazione indiretta" della disciplina dei contratti a termine, tramite la delega (la più ampia) alle parti sociali, ma senza una chiara, realistica consapevolezza delle questioni di "politica del diritto" che vi sono implicate.
Tirando le somme, questo si può dire: che la riforma dei contratti a termine ha bisogno di ben altra "frustata" normativa, e non di "buffetti" incerti ed equovoci.
 

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