Art. 4. Ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro.
1.
Nei casi di eccedenza di personale, accordi tra datori di lavoro che impieghino
mediamente più di quindici dipendenti e le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative a livello aziendale possono prevedere che, al fine
di incentivare l'esodo dei lavoratori più anziani, il datore di lavoro si
impegni a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al
trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, ed a
corrispondere all'INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti
minimi per il pensionamento. La stessa prestazione può essere oggetto di
accordi sindacali nell'ambito di procedure ex articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero nell'ambito di
processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da
associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della
categoria
Commento:
L'attuale
versione dell'art. 04.01°comma l. 92/2012 è frutto dell'interpolazione
legislativa operata dal DL 179/2012 (DL Sviluppo II) all’impianto normativo
originario della riforma Monti-Fornero: in quella fase, l'allora Esecutivo
Monti provvide ad introdurre la "novella" contenuta nell'ultimo
periodo in modo da "combinare" la procedura ex. art. 04.01°comma l.
92/2012 con la più nota procedura ex. artt. 4 e 24 l. 223/1991.
Quale
sia il significato di questa interpolazione non è dato comprendere del tutto,
specie con riguardo al campo di applicazione.
Ma
iniziamo con ordine, proprio prendendo le mosse dalla Circolare 24/2013 del
Ministero del Lavoro, tralasciando per il momento la specifica ipotesi
dell'accordo riguardante il "personale dirigente" che è disposizione
evidentemente specialissima a fronte della particolare qualifica rivestita dai
lavoratori interessati (a questa dedicheremo un post a parte).
Anzitutto,
il Ministero del Lavoro ha ritrovato l'elemento comune le "due
fattispecie" più importanti (quella relativa al personale non dirigente)
nella sussistenza di un accordo sindacale volto alla gestione degli esuberi
tramite prepensionamenti. Da qui, il Ministero medesimo è arrivato a ritenere
elemento discretivo tra la prima e la seconda fattispecie la diversa
operatività dell'efficacia "costitutiva" della disposizione: nel
primo caso, l'accordo diviene efficace solo mediante l'adesione del lavoratore,
nel secondo caso, siamo in presenza di un recesso datorile posto in essere in
corrispondenza dei requisiti che ex. art. 24 l. 223/1991 danno titolo al
licenziamento collettivo e alla messa in mobilità, ma con l'intervento (atipico
rispetto alla procedura di messa in mobilità) di un accordo sindacale
(ricordiamo che nella procedura di licenziamento è richiesta la consultazione,
non l'accordo sindacale, che pure spesso per ragioni di opportunità viene
comunque stipulato!).
In
ogni caso, il comma 04 garantisce all'INPS la facoltà di negare l'accesso alla
prestazione, se difettano i requisiti soggettivi di Datore di Lavoro e
Lavoratore.
Sempre
mantenendo questa astratta prospettiva di coerenza sistematica, va notato (cosa
ovvia, e, forse per questo, non riscontrata nè nei commenti INPS nè del
Ministero) che la "prima fattispecie" altro non è che una comune
"risoluzione consensuale". Tale risoluzione non abbisogna delle
procedure di convalida ex. art. 04.17 commi ss l. 92/2012, in quanto posta in
essere nell'ambito di un accordo sindacale, che, come tale, da disposizioni
ministeriali, vale a far ritenere inutile e superata la stessa procedura di
convalida (ma anche in assenza di dette precisazioni ministeriali, l'assenza di
convalida avanti la DTL si desume chiaramente dal tenore del testo che
presuppone a tutta evidenza l'operatività immediata della risoluzione
medesima).
Ciò
posto in astratto, nè il Ministero, nè l'INPS (nè, a quanto mi risulta, il
recente saggio della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro)
sono entrati nel merito del coordinamento delle disposizioni relative al
"campo di applicazione" dell'art. 04 cit. l. 92: limiti dimensionali
e ricorrenza dell' "eccedenza di personale"; aspetti, invece, dalla
cui esegesi dipende molto della portata applicativa dell'istituto de
quo.
Una
cosa è certa: nel momento in cui il legislatore ha ritenuto di specificare
l'applicabilità dell'accordo di prepensionamento anche alle imprese rientranti
nelle procedure ex. art. 04-24 l. 223/91, ha istituito un binario estremamente
articolato di definizione delle imprese interessati: da un lato, le imprese interessate
si definiscono in base al rinvio (formale) alle disposizioni sulla mobilità e i
licenziamenti collettivi; dall'altro, il campo di applicazione è definito
direttamente dall'art. 04.01°comma l. 92/2012, in chiave residuale, per tutti i
casi (molti, come vedremo!) non riconducibili alla l. 223/91.
Da
questo punto di vista, la portata applicativa dell'istituto è molto ampia,
complice la tecnica definitoria estremamente sintetica adottata dall'art.
04.01°comma l. 92/2012, in base alla quale per rientrare tra i potenziali
beneficiari è sufficiente essere:
a) Datori di
Lavoro (non
necessariamente Imprenditori);
b) Con più di 15
Dipendenti "mediamente": La norma non specifica se la "media"
debba riferirsi (come nel caso della mobilità) all'ultimo semestre, ma a questa
conclusione è rapidamente giunto il Ministero del Lavoro, con la Circolare
24/2013, per evidenti ragioni di simmetria e armonia normativa. La Fondazione
Studi CDL ha avuto modo di precisare opportunamente che "andranno
opportunamente computati nel calcolo i Dipendenti di qualunque qualifica, con
l'esclusione degli apprendisti, dei Lavoratori con contratto di inserimento
lavorativo o con contratto di reinserimento".
La
portata dell'istituto è veramente ingente: da un lato, in tale istituto vengono
inclusi de plano Studi Professionali, Associazioni No Profit etc. usualmente non
beneficiari della l. 223/91; dall'altro, la disposizione si presta a
contemplare Imprese Commerciali etc. che, prive dei requisiti dimensionali per
CIGS e mobilità, sarebbero altrimenti escluse. E la significatività di questa
operazione sul piano della "politica del diritto" degli
"ammortizzatori sociali" si lascia apprezzare, perché determina
un’importante controtendenza ad una legislazione, quella degli “ammortizzatori sociali”,
caratterizzata da una rigida distinzione tra imprese/Datori insider e Imprese/Datori outsider e dalla diffusa tecnica
“derogatoria” con la quale il legislatore ha sempre operato l’inserimento degli
outsider in tutele già previste per gli outsider (per altro in forma
transitoria e eccezionale, strettamente dipendente dalle risorse disponibili,
con evidente precarietà: vedi “piccola mobilità”, non finanziata per il 2013,
causa carenza di fondi). Gli esempi potrebbero moltiplicarsi: ricordiamo l'art.
12 l. 223/91 che estese per un anno le disposizioni ex. l. 223/91 alle
"Imprese Artigianali" comprese in certe tipologie di "indotto
industriale") o la "macroscopica" evidenza degli
"ammortizzatori in deroga specie dal 2008 ad oggi. Da questo punto di vista,
l'accordo di prepensionamento costituisce un coraggioso tentativo di
individuare un "ammortizzatore strutturale" per settori finora
esclusi, senza ricorrere a temporanei provvedimenti di spesa a carico
dell'Erario, ma individuando sistemi di finanziamento suscettibili di andare
"a regime".
Chiarito
questo aspetto, risulta agevole comprendere a cosa il legislatore si sia
riferito quando (a proposito degli accordi de quibus fuori dal
campo di applicazione della l. 223/91) parla di "esuberi di
personale".
Premesso
quanto sopra, vista l'interpretazione ministeriale della "media dei 15
Dipendenti" (risolta in analogia con le disposizioni ex. l. 223/91 come
"media semestrale"), vista la ratio politico-legislativa
della disposizione così come sopra conclamata, risulta abbastanza facile
ritenere che l'espressione "esubero" sia del tutto similare a quella
contemplata dagli stessi criteri enunciati dagli artt. 04-24 l. 223/1991: a
questo fine, per "esuberi" di personale deve intendersi una situazione
in cui il Datore di Lavoro si trovi ad effettuare più di 04 licenziamenti
nell'arco di 20 gg.
Ciò
posto, è d'uopo chiedersi: l'eventuale insussistenza di questo estremo relativo
all'eccedenza di personale quali conseguenze determina? Quali rimedi avrebbe a
disposizione il Lavoratore?
Il
punto appare di estrema difficoltà.
Al
momento, l'art. 04.03°comma l. 92/2012 sembra rimettere all'INPS la verifica
della sussistenza dei requisiti legittimanti l'accordo, subordinandone
l'efficacia (e il conseguente finanziamento delle prestazioni). Quindi, con
riguardo al computo dell' "eccedenza" di personale, sta all'INPS
valutare la sussistenza dei requisiti numerici e temporali (di massima
definibili in armonia con la l. 223/1991). Ovvero in assenza dei requisiti di
“prossimo pensionamento” del Dipendente (che deve essere in condizione al
momento della domanda di raggiungere i “requisiti minimi” di pensionamento,
entro i 04 anni successivi, ma sul punto vedi il prossimo post).
Senonchè
qui si apre una serie rilevantissima di interrogativi.
Innanzitutto,
la laconica previsione di questo controllo INPS è tale da legittimare le prassi
applicative più disparate (stante la complessità degli accertamenti rimessi in
capo all'Ente Previdenziale), determinando così odiose geometrie variabili nella
spettanza di questo pure rilevantissimo "ammortizzatore sociale".
Ma
il vero aspetto problematico della disposizione risiede nel coordinamento tra
la previsione dell'accordo Datore-Lavoratore o licenziamento(comma 01) e la
previsione della possibilità dell'INPS di negare "l'efficacia
dell'accordo" (comma 04).
Al
momento, il comma 04 definisce il diniego della validazione INPS sulla
sussistenza dei requisiti come "condizione di inefficacia
dell'accordo". Ma l' "inefficacia" si riferisce all'accordo
in quanto tale, ossia alla sua "dimensione civilistica"
(invalidandolo alla radice), ovvero alla sola "prestazione economica"
che viene negata, pure a fronte di atti validi di risoluzione o di
licenziamento?
Certo,
tutti si dormirebbe sonni più tranquilli se la "validazione
dell'accordo" potesse comportare l'invalidazione totale dell'accordo
medesimo, sia sul fronte civilistico, sia sul fronte previdenziale.
Ma
le ragioni di dubbio ci sono e sono rilevanti. Perchè la Circolare 24/2013 del
Ministero del Lavoro, ad esempio, parla di "efficacia vincolante"
dell'accordo Datore-Lavoratore e dell’accordo evidentemente sganciandolo dalla
verifica di “validazione dell’INPS”? Perché la Fondazione Studi CDL parla di “efficacia costitutiva”
riferendola agli accordi citati? Forse che essi civilisticamente devono
considerarsi già perfetti, a prescindere dalla successiva erogazione della
prestazione economica? Evidentemente, in quest’ultimo caso, la lesione dei
diritti del Lavoratore sarebbe gravissima e irrimediabile, riproponendosi
(aggravati) quei problemi di invalidazione di risoluzioni consensuali per
“presupposizione” di un dato (obiettivo pensionistico) poi superato in
concreto. Risoluzioni che, tra l’altro, nel caso di specie, non potrebbero
nemmeno beneficiare della “convalida”, certamente esclusa dato il concorso
della procedura di consultazione/accordo sindacale di cui alla norma in esame,
con aggravamento incredibile della posizione del Dipendente e un’evidente
illegittimità costituzionale della norma in esame.
E’ evidente
che le istanze di tutela si fanno sentire di più per le risoluzioni
consensuali, meno per i licenziamenti di cui alla “seconda fattispecie”
Senonchè
sia il Ministero del Lavoro, sia la Fondazione
Studi CDL hanno ritenuto di aderire all’interpretazione non solo più
letterale, ma anche più giusta, quella secondo cui l’accertamento da parte
dell’INPS dell’insussistenza dei requisiti soggettivi di Datore di Lavoro e
Lavoratore determina “l’invalidazione dell’accordo”.
E’
una soluzione, questa che non elimina gli aggravamenti e le distorsioni
procedurali insiste nell’istituto de
quo, ma almeno rimedia alle più manifeste abnormità.
Scorrendo,
poi, la Circolare 24/2013, c’è da ritenere che l’accordo in questa fase debba
intendersi come un accordo non solo evidentemente sub condicione (sospensiva), ma anche come un accordo
che ingloba l’impegno dei Dipendenti ad accettare la prestazione che l’INPS
definirà (in aderenza all’accettazione dei provvedimenti di riscatto etc.).
Con
ciò, si pongono alcuni interrogativi e problematiche relativi alla gestione
degli adempimenti connessi al rapporto di lavoro in questa fase di … pendenza:
a quando far risalire il preavviso di licenziamento? Come considerare
l’eventuale periodo lavorato? A quando la comunicazione di cessazione al Centro
per l’Impiego?
In
questo, paiono applicabili le decorrenze definite dalla Nota Min. Lav.
18273/2012 e fissare le decorrenze degli atti (ai fini del preavviso etc.) alla
data dell’accordo, anche se la “validazione” dell’INPS sia intervenuta poi (sul
punto, vedi il miohttp://costidellavoro.blogspot.it/2012/10/dimissioni-il-ministero-precisa-quando.html).
Vale, per questi casi, l’analogia con altri casi di dimissioni/licenziamentosub condicione introdotti dalla Monti-Fornero
(vedi rispettivamente art. 04.17 ss commi l. 92/2012 e art. 07 l. 604/1966,
come “novellato” dalla l. 92/2012).
In
questo senso, pare proprio potersi applicare l’art. 04.18°comma che valorizza
detto periodo di “sospensione” come preavviso lavorato e dispone la non
retribuibilità del periodo di sospensione dove non sia svolto lavoro.
Quanto
alle tutele in capo al Lavoratore in caso di “inefficacia” dell’accordo, si
deve ritenere che la reviviscenza del rapporto determini la piena riduzione in
pristino del Lavoratore, in capo al quale si deve riconoscere il “diritto
soggettivo” di rientrare in Azienda.
La Fondazione Studi, nel suo commento,
molto acutamente precisa che l’eventuale licenziamento con “prepensionamento”
dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 04 l. 92/2012 può comunque
“convertirsi” in “normale” licenziamento collettivo, con messa in mobilità,
sussistendone i presupposti.
Questo
principio di “conversione” ex. art. 1424 Codice
Civile dell’accordo “inefficace” pone alcuni problemi per il caso di
“risoluzione consensuale”: questa risoluzione, infatti, come già segnalato, nel
caso di specie, potrebbe ritenersi “convalidata” per l’intervenuto accordo
sindacale ai sensi dell’art. 04.17 ss l.
92/2012. E’ opportuno, in questo caso, che il consenso del Lavoratore, ove
manchi la “validazione” INPS sia considerato tanquam non esset, perché, difettando la prospettiva di un’utile
trattamento previdenziale sia pure “interinale”, verrebbe meno un importante
presupposto per la sua espressione. Ricordiamo che gli accordi possono essere
annullati per carenza di “presupposizione” (di un presupposto di fatto ritenuto
essenziale per la stipula e per la manifestazione del consenso): ragioni di
“interpretazione costituzionalmente orientata”, evidenti considerazioni di
“ragionevolezza” ex. art. 03 Cost. impongono di considerare “nullo” il consenso
prestato dal Dipendente, proprio per difetto di “presupposizione”.
Ciò
non toglie, però, che l’atto espulsivo, non più valido come “risoluzione
consensuale” possa ritenersi valido se corrisponde ai dettami del
“licenziamento per giustificato motivo oggettivo” ex. art. 03 l. 604/1966. In
questo caso, per altro, si ricorda che riguardando questa tipologia di
licenziamenti Aziende con più di 15 Dipendenti, occorrerà procedere alle
comunicazioni alla DTL ai sensi dell’art. 07 l. 604/1966 ai fini
dell’instaurazione della procedura di conciliazione.
La
tutela del Lavoratore contro il licenziamento illegittimo seguirà le procedure
del nuovo art. 18, per “inesistenza” del “motivo oggettivo”, ovvero per
“difetto dei requisiti procedurali”.
(Fine
1a parte- Continua)
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
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