Lavoro, lavoro, quanto mi costi! Punto di condivisione (piccolo "salotto") aperto alla comunità dei Giuslavoristi e Professionisti ex. l. 12/1979 in relazione ai problemi di contrattualistica e di legislazione del lavoro subordinato e autonomo. La presente pagina non costituisce consulenza professionale. A Cura del Dr. Giorgio Frabetti, Professionista ex l. 4/2013 (Collaboratore Studio CDL Landi, Ferrara).
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QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI" GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.
NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.
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NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.
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giovedì 31 ottobre 2013
COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI 2013
In occasione della ricorrenza del 02 novembre prossimo (Commemorazione dei Defunti), osserviamo un minuto di silenzio e raccoglimento per pensare ai nostri cari che non ci sono più.
CONCILIAZIONE DTL EX ART. 07 L 604/1966: IL "RUOLO ATTIVO" DELLA COMMISSIONE DI CONCILIAZIONE
Quesito:
Che cosa intendono le disposizioni del Ministero del Lavoro che
parlano di "ruolo attivo" della Commissione DTL di conciliazione per le
procedure ex. art. 07 l. 604/1966?
Risposta:
E' da escludersi che tale "ruolo attivo" possa implicare la
potestà della Commissione di attribuire torti o ragioni ufficiali (prerogativa
tipica del potere giudiziario).
Con tale espressione, più realisticamente e puntualmente, si
allude ad una generale ruolo di facilitare
soluzioni conciliative delle posizioni di Datore di Lavoro e
Lavoratore. In nome di questa funzione facilitatoria, la Commissione è
autorizzata a sottoporre al Datore di Lavoro che intende licenziare soluzioni
alternative come la riduzione a tempo parziale, il distacco, il demansionamento
temporaneo etc. E' escluso che la Commissione possa attuare una "conciliazione
aggiudicativa", ossia proponendo formalmente e d'autorità una proposta di
accordo per risolvere la controversia. Tale responsabilità ultima resta alle
Parti.
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
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mercoledì 30 ottobre 2013
INDENNITA DI MATERNITA PER ARTIGIANE E COMMERCIANTI
Le artigiane e le commercianti beneficiano della tutela
previdenziale per la maternità e per altri eventi assimilati non
riconducibili alla nascita di un figlio, come l'adozione, l'affidamento o
l'interruzione della gravidanza.
La tutela consiste nel ...(...)
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martedì 29 ottobre 2013
LA COCOPRO DELLA TRUCCATRICE
Quesito:
Si può fare la collaborazione a progetto per una
truccatrice?
Risposta:
La cocopro va impostata seguendo i binari degli artt. 61 ss.
D.lgs. 276/2003, così come modificati dalla l. 92/2012 (Monti-Fornero) e della
Circolare Min. Lav. 29/2012.
E' preclusa la riconduzione nel "progetto" di attività
meramente esecutiva/ripetitiva.
Viceversa, è assolutamente compatibile dedurre attività
"speciali" come truccare attori e figuranti a fini di ricostruzione
storica, con piena competenza e responsabilità della Collaboratrice-truccatrice,
o per altri eventi specifici, o per altra attività similare, comunque orientata in termini di "spendita di professionalità elevata", ovvero a produrre un "risultato specifico".
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
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AUTOTRASPORTO: TEMPI BREVI PER IMPUGNARE STRAORDINARIO FORFETTIZZATO E TRASFERTE
Quesito:
Sono un Autotrasportatore. Mi sono rivolto ad un
Professionista per far valere quelle che ritengo essere le mie spettanze in
ordine a trasferte e straordinario forfettizzato degli ultimi cinque anni. Il
Professionista ha constatato carenze nei conteggi, ma mi ha detto che può agire
solo per "rivendicare" l'ultimo anno (2012), essendo le altre annualità già
prescritte. Cosa ne pensa Lei?
Risposta:
Quello che Le posso dire (poco e in punta di diritto) è che,
relativamente alle rivendicazioni economiche pregresse, aventi per
oggetto trasferte e straordinario forfettizzato, questa è la disciplina di
cui all'art. 11.09°comma CCNL 2008:
Per l'efficacia di tali accordi
[relativi a trasferte e forfettizzazione degli straordinari,
NdR], si applica agli stessi la seguente
clausola di decadenza: "il lavoratore è tenuto, a pena di decadenza, a chiedere
il pagamento delle differenze di indennità di trasferta e di compenso per lavoro
straordinario che ritenga dovute, derivanti dal presente accordo, nel termine
perentorio di sei mesi dalla data in cui riceve i compensi ai titoli
suddetti".
La disposizione pone una vera e propria "clausola
di decadenza" (la cui legittimità è molto discussa in dottrina). Se recepita
negli accordi aziendali a Voi applicabili, parrebbe applicarsi non solo
alle rivendicazioni pregresse, ma anche a quelle attuali, che venissero via via
ad evidenziarsi e a maturare. Pertanto, se appare scontata la preclusione ai
Lavoratori di rivendicare i riconteggi per l'annualità 2001 (ad es.), allo stato attuale della
documentazione dobbiamo dare per scontata la preclusione al conteggio del 2012,
non disponendo noi di atto, scritto da cui risulti la tempestiva impugnazione
dei Lavoratori.
Cogliamo l'occasione di ricordare che è onere
dei Lavoratori far presente questa carenza documentale.
Di più,
non possiamo dirLe.
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lunedì 28 ottobre 2013
RAPPORTI A TERMINE: QUADRO D'INSIEME DOPO IL DL LAVORO
Queste le principali innovazioni
introdotte dal DL 76/2013 relativamente ai rapporti a termine:
(....).
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NOI L'AVEVAMO DETTO! LE INCONGRUENZE DEL DL LAVORO SUL CONTRATTO A TERMINE A-CAUSALE STANNO VENENDO AL PETTINE!
Nel
post del 21/07 us. (link: http://costidellavoro.blogspot.it/2013/07/cronaca-di-una-riforma-impossibile-le_21.html), stigmatizzammo le gravi carenze tecniche del DL
Lavoro sul rapporto a termine, specialmente con riguardo alla nuova
previsione del cd "contratto a termine a-causale".
In parte, comunque, il legislatore ha convenuto su alcune osservazioni da Noi modestamente sollevate, in primis quella relativa alla "prorogabilità" del rapporto a termine a-causale. Nel post di
luglio, infatti, evidenziammo la grave incongruenza di un testo di
legge che, per come era allora formulato, non era assolutamente in grado
di consentire la "prorogabilità" del rapporto a termine a-causale, sia
pure nel massimo di 12 mesi. Oggi, quei dubbi interpretativi sono stati
efficacemente superati dall'interpolazione all'art. 01.comma 01bis D.lgs. 368/2001 intervenuta in sede di conversione in legge del DL, che oggi recita:
"primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi
comprensiva di eventuali proroga"
laddove
invece la dizione "primo rapporto" nella prima stesura del DL aveva
lasciato in piedi la possibilità di argomentare la preclusione della
proroga, nonostante l'abrogazione testuale di tale preclusione nella
sede dell'art. 04.02bis D.lgs. 368/2001.
La parte più corposa e significativa delle Ns. critiche ha, però, avuto modo di investire il globale modus operandi del
legislatore che, lungi dall'operare con un disegno coerente di riforma,
ha operato non per la liberalizzazione diretta dei rapporti a termine,
ma per una liberalizzazione indiretta degli stessi, affidata
all'ampliamento massimo e indeterminato della possibilità di ricorrere
ai cd "contratti a termine a-causali" ad opera della contrattazione
collettiva.
Una
riforma poco coerente, perchè tale da configurare più una
destrutturazione (dagli imprevedibili esiti), che una liberalizzazione
della disciplina dei contratti a termine, per i quali viene a
legittimarsi un "doppio livello" regolamentare: da un lato, quello di default della
legge che fissa come generale il principio dell'assunzione "causale" e
limita ad un massimo di 12 mesi l'assunzione a-causale; dall'altro, la
contrattazione collettiva, che può "normare" intorno a questa ipotesi di
assunzione con la massima larghezza possibile (anche oltre il limite
dei 12 mesi, vedi Circ. Min. Lav. 35/2013), legittimando così un canale
normativo "parallelo", opposto e lontano a quello "comune", oltrechè
verosimilmente influenzato da non sempre funzionali e trasparenti
logiche corporative.
Una destrutturazione, di cui però non può sempre registrarsi
positivamente il saldo costi-benefici: se, infatti, al momento, il
settore Alimentari Industria è il settore più "all'avanguardia" nel
raccogliere le sfide del DL Lavoro e nel configurare un organico e
apprezzabile "sistema di regole", tale da poter essere preso a modello
per ulteriori e più consolidate liberalizzazioni (vedi il positivo
commento del dr. Massi nell'articolo http://www. dplmodena.it/massi/Settore% 20alimentare%20-%20le% 20deroghe%20concordate%20sui% 20contratti%20a%20termine%20-% 20Massi.pdf),
è altrettanto vero che la confusa tecnica legislativa complice la quale
si è stratificato un complesso livello di disposizioni opposte e poco
conciliabili (liberalizzanti quelle collettive, restrittive quelle
legislative), espone l'attuale assetto legislativo ad assestamenti in
sede di nomofilachia poco favorevoli alla causa liberalizzante
(ricordiamo che l'art. 01 sul "rapporto a tempo indeterminato come forma
comune di lavoro" non è stato modificato!), con buona pace degli
intenti liberalizzatori, pur apertamente conclamati in sede
pubblicistica dal DL Lavoro.
Tali distorsioni giurisprudenziali da Noi preconizzate non hanno
tardato, del resto, ad attualizzarsi e a manifestarsi in sede di prassi,
anche molto precocemente.
E' di questi giorni, del resto, (vedi nota DARIO FERRARA in Banca Dati Maxima), una prima, sia pure incidentale, enunciazione di diritto della Corte di Cassazione che ha precisato:
"... Dalla direttiva europea 28 giugno 1999 numero 70 e dall’allegato accordo del 18
marzo 1999, e soprattutto dal preambolo, risulta che i contratti a
tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma generale di
rapporto di lavoro anche
se in talune circostanze, ossia eccezionalmente, quelli a termine
possono meglio corrispondere ai bisogni dei datori o dei prestatori di
lavoro".
E' pesante questa affermazione della
Cassazione, che ridimensiona come "eccezionali" le assunzioni a causali;
ma detta affermazione appare ineccepibilmente coerente, se si considera
che nulla ha fatto il legislatore per modificare la normativa
preesistente, difettosa nel non essere riuscita a superare in modo
chiaro e univoco il principio della cd "eccezionalità del rapporto a
termine", che è non a caso tornata ad affacciarsi in giurisprudenza: un
principio equivoco, ufficialmente abbandonato dopo l'abrogazione della
l. 230/1962, ma tralatiziamente riemerso come ius receptum nella
prassi applicativa, complice più o meno fondate e riuscite
"interpretazioni costituzionalmente orientate", ovvero "interpretazioni
conformi alla normativa comunitaria", che finora hanno avuto come solo e
unico effetto la frustrazione di ogni organico processo liberalizzatore
e riformatore dei contratti a termine.
La persistenza di un simile ius receptum, tanto sfavorevole
alla liberalizzazione dei rapporti a termine, chiude il cerchio sulle
problematiche sorti della "liberalizzazione indiretta" perseguita dal DL
Lavoro, poichè contribuisce ad aprire notevoli dubbi e interrogativi
sul potere riconosciuto dal DL Lavoro alla contrattazione collettiva di
regolare le assunzioni a-causali: se detta ipotesi è "eccezionale", come
si giustifica la più ampia de-regoluation commessa dal legislatore alle parti sociali?
Molto più semplicemente, questa circostanza non si giustifica,
almeno secondo logica giuridica lineare: anche ammesso che nella prassi
emerga (extra legem) la più ampia tolleranza rispetto a
regolamentazioni più libere e ampie di assunzioni a-causali, resterà
sempre immanente su questa delega normativa alle parti sociali e su
questa ratio de-regolante la mannaja del giudizio
dell'incostituzionalità, sotto specie di giudizio di "irragionevolezza"
ex. art. 03 Cost. (rafforzato dall'interpretazione restrittiva della
norma UE, nella specie la Direttiva 28/06/1999), con grave e nefasta
ricaduta sulla fluidità applicativa della disposizione.
In conclusione, questa pur parziale, ma significativa "novità"
giurisprudenziale conferma la previsione "a tinte fosche" sulla
strategia (obliqua ed equivoca) del DL Lavoro che persegue una
"liberalizzazione indiretta" della disciplina dei contratti a termine,
tramite la delega (la più ampia) alle parti sociali, ma senza una
chiara, realistica consapevolezza delle questioni di "politica del
diritto" che vi sono implicate.
Tirando le somme, questo si può dire: che la riforma dei contratti a
termine ha bisogno di ben altra "frustata" normativa, e non di
"buffetti" incerti ed equovoci.
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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venerdì 25 ottobre 2013
BASE IMPONIBILE TFR-NORMATIVA DI RIFERIMENTO
La retribuzione utile, ai fini dell'art. 2120 del Codice Civile,
comprende tutte le somme e l'equivalente in denaro delle prestazioni in
natura corrisposte al Lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro,
purchè...
(...)
VUOI PROSEGUIRE NELLA LETTURA DEL POST?
VAI ALLA PAGINA FB DELLO STUDIO LANDI AL LINK: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/base-imponibile-tfr-normativa-di-riferimento/593328900728022
(...)
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L' INDENNITA' FERIE NON GODUTE E SOLIDARIETA' NEGLI APPALTI EX. ART. 29 D.LGS. 276/2003
Quesito:
Dipendente da Società di Pulizie, per
riscuotere gli arretrati di stipendio che non mi erano stati versati, mi
sono avvalsa della "solidarietà" negli appalti. La Committente del mio
Datore, che era praticamente la sola appaltante alla mia Azienda nel
periodo in cui ho lavorato, mi ha rifuso quasi tutto, ma ha ritenuto di
non pagarmi l'indennità per ferie non godute, ritenendolo "trattamento
retributivo" non contemplato dalle garanzie "solidali". Posso contestare
questa posizione? Grazie.
Risposta:
La posizione da Lei criticamente citata è stata fatta propria anche da Tribunale Milano 09/03/2012 nr. 1228.
Personalmente,
non condivido questa impostazione, dato che, ormai, in materia di
identificazione dei componenti retributivi, il riferimento dominante è
il d.lgs. 314/97 che detta "criteri uniformi" per l'individuazioni degli
imponibili previdenziali, fiscali, assicurativi, evidentissimamente
rilevanti per la qualificazione anche civile dei componenti retributivi.
In questo senso, l'indennità per ferie non godute, rientrando
pacificamente tra gli imponibili contributivi, fiscali ed assicurativi,
può qualificarsi come componente retributivo a tutti gli effetti, quindi
dovuto ai sensi dell'art. 29 D.lgs. 276/2003.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&trk=tab_pro
ACCORDI PREPENSIONAMENTO ART. 04.01°COMMA LEGGE 92/2012: ESEGESI DEL COMMA 01- I PRESUPPOSTI DELL'ACCORDO E LE TUTELE DEL LAVORATORE
Art. 4. Ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro.
1.
Nei casi di eccedenza di personale, accordi tra datori di lavoro che impieghino
mediamente più di quindici dipendenti e le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative a livello aziendale possono prevedere che, al fine
di incentivare l'esodo dei lavoratori più anziani, il datore di lavoro si
impegni a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al
trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, ed a
corrispondere all'INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti
minimi per il pensionamento. La stessa prestazione può essere oggetto di
accordi sindacali nell'ambito di procedure ex articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero nell'ambito di
processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da
associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della
categoria
Commento:
L'attuale
versione dell'art. 04.01°comma l. 92/2012 è frutto dell'interpolazione
legislativa operata dal DL 179/2012 (DL Sviluppo II) all’impianto normativo
originario della riforma Monti-Fornero: in quella fase, l'allora Esecutivo
Monti provvide ad introdurre la "novella" contenuta nell'ultimo
periodo in modo da "combinare" la procedura ex. art. 04.01°comma l.
92/2012 con la più nota procedura ex. artt. 4 e 24 l. 223/1991.
Quale
sia il significato di questa interpolazione non è dato comprendere del tutto,
specie con riguardo al campo di applicazione.
Ma
iniziamo con ordine, proprio prendendo le mosse dalla Circolare 24/2013 del
Ministero del Lavoro, tralasciando per il momento la specifica ipotesi
dell'accordo riguardante il "personale dirigente" che è disposizione
evidentemente specialissima a fronte della particolare qualifica rivestita dai
lavoratori interessati (a questa dedicheremo un post a parte).
Anzitutto,
il Ministero del Lavoro ha ritrovato l'elemento comune le "due
fattispecie" più importanti (quella relativa al personale non dirigente)
nella sussistenza di un accordo sindacale volto alla gestione degli esuberi
tramite prepensionamenti. Da qui, il Ministero medesimo è arrivato a ritenere
elemento discretivo tra la prima e la seconda fattispecie la diversa
operatività dell'efficacia "costitutiva" della disposizione: nel
primo caso, l'accordo diviene efficace solo mediante l'adesione del lavoratore,
nel secondo caso, siamo in presenza di un recesso datorile posto in essere in
corrispondenza dei requisiti che ex. art. 24 l. 223/1991 danno titolo al
licenziamento collettivo e alla messa in mobilità, ma con l'intervento (atipico
rispetto alla procedura di messa in mobilità) di un accordo sindacale
(ricordiamo che nella procedura di licenziamento è richiesta la consultazione,
non l'accordo sindacale, che pure spesso per ragioni di opportunità viene
comunque stipulato!).
In
ogni caso, il comma 04 garantisce all'INPS la facoltà di negare l'accesso alla
prestazione, se difettano i requisiti soggettivi di Datore di Lavoro e
Lavoratore.
Sempre
mantenendo questa astratta prospettiva di coerenza sistematica, va notato (cosa
ovvia, e, forse per questo, non riscontrata nè nei commenti INPS nè del
Ministero) che la "prima fattispecie" altro non è che una comune
"risoluzione consensuale". Tale risoluzione non abbisogna delle
procedure di convalida ex. art. 04.17 commi ss l. 92/2012, in quanto posta in
essere nell'ambito di un accordo sindacale, che, come tale, da disposizioni
ministeriali, vale a far ritenere inutile e superata la stessa procedura di
convalida (ma anche in assenza di dette precisazioni ministeriali, l'assenza di
convalida avanti la DTL si desume chiaramente dal tenore del testo che
presuppone a tutta evidenza l'operatività immediata della risoluzione
medesima).
Ciò
posto in astratto, nè il Ministero, nè l'INPS (nè, a quanto mi risulta, il
recente saggio della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro)
sono entrati nel merito del coordinamento delle disposizioni relative al
"campo di applicazione" dell'art. 04 cit. l. 92: limiti dimensionali
e ricorrenza dell' "eccedenza di personale"; aspetti, invece, dalla
cui esegesi dipende molto della portata applicativa dell'istituto de
quo.
Una
cosa è certa: nel momento in cui il legislatore ha ritenuto di specificare
l'applicabilità dell'accordo di prepensionamento anche alle imprese rientranti
nelle procedure ex. art. 04-24 l. 223/91, ha istituito un binario estremamente
articolato di definizione delle imprese interessati: da un lato, le imprese interessate
si definiscono in base al rinvio (formale) alle disposizioni sulla mobilità e i
licenziamenti collettivi; dall'altro, il campo di applicazione è definito
direttamente dall'art. 04.01°comma l. 92/2012, in chiave residuale, per tutti i
casi (molti, come vedremo!) non riconducibili alla l. 223/91.
Da
questo punto di vista, la portata applicativa dell'istituto è molto ampia,
complice la tecnica definitoria estremamente sintetica adottata dall'art.
04.01°comma l. 92/2012, in base alla quale per rientrare tra i potenziali
beneficiari è sufficiente essere:
a) Datori di
Lavoro (non
necessariamente Imprenditori);
b) Con più di 15
Dipendenti "mediamente": La norma non specifica se la "media"
debba riferirsi (come nel caso della mobilità) all'ultimo semestre, ma a questa
conclusione è rapidamente giunto il Ministero del Lavoro, con la Circolare
24/2013, per evidenti ragioni di simmetria e armonia normativa. La Fondazione
Studi CDL ha avuto modo di precisare opportunamente che "andranno
opportunamente computati nel calcolo i Dipendenti di qualunque qualifica, con
l'esclusione degli apprendisti, dei Lavoratori con contratto di inserimento
lavorativo o con contratto di reinserimento".
La
portata dell'istituto è veramente ingente: da un lato, in tale istituto vengono
inclusi de plano Studi Professionali, Associazioni No Profit etc. usualmente non
beneficiari della l. 223/91; dall'altro, la disposizione si presta a
contemplare Imprese Commerciali etc. che, prive dei requisiti dimensionali per
CIGS e mobilità, sarebbero altrimenti escluse. E la significatività di questa
operazione sul piano della "politica del diritto" degli
"ammortizzatori sociali" si lascia apprezzare, perché determina
un’importante controtendenza ad una legislazione, quella degli “ammortizzatori sociali”,
caratterizzata da una rigida distinzione tra imprese/Datori insider e Imprese/Datori outsider e dalla diffusa tecnica
“derogatoria” con la quale il legislatore ha sempre operato l’inserimento degli
outsider in tutele già previste per gli outsider (per altro in forma
transitoria e eccezionale, strettamente dipendente dalle risorse disponibili,
con evidente precarietà: vedi “piccola mobilità”, non finanziata per il 2013,
causa carenza di fondi). Gli esempi potrebbero moltiplicarsi: ricordiamo l'art.
12 l. 223/91 che estese per un anno le disposizioni ex. l. 223/91 alle
"Imprese Artigianali" comprese in certe tipologie di "indotto
industriale") o la "macroscopica" evidenza degli
"ammortizzatori in deroga specie dal 2008 ad oggi. Da questo punto di vista,
l'accordo di prepensionamento costituisce un coraggioso tentativo di
individuare un "ammortizzatore strutturale" per settori finora
esclusi, senza ricorrere a temporanei provvedimenti di spesa a carico
dell'Erario, ma individuando sistemi di finanziamento suscettibili di andare
"a regime".
Chiarito
questo aspetto, risulta agevole comprendere a cosa il legislatore si sia
riferito quando (a proposito degli accordi de quibus fuori dal
campo di applicazione della l. 223/91) parla di "esuberi di
personale".
Premesso
quanto sopra, vista l'interpretazione ministeriale della "media dei 15
Dipendenti" (risolta in analogia con le disposizioni ex. l. 223/91 come
"media semestrale"), vista la ratio politico-legislativa
della disposizione così come sopra conclamata, risulta abbastanza facile
ritenere che l'espressione "esubero" sia del tutto similare a quella
contemplata dagli stessi criteri enunciati dagli artt. 04-24 l. 223/1991: a
questo fine, per "esuberi" di personale deve intendersi una situazione
in cui il Datore di Lavoro si trovi ad effettuare più di 04 licenziamenti
nell'arco di 20 gg.
Ciò
posto, è d'uopo chiedersi: l'eventuale insussistenza di questo estremo relativo
all'eccedenza di personale quali conseguenze determina? Quali rimedi avrebbe a
disposizione il Lavoratore?
Il
punto appare di estrema difficoltà.
Al
momento, l'art. 04.03°comma l. 92/2012 sembra rimettere all'INPS la verifica
della sussistenza dei requisiti legittimanti l'accordo, subordinandone
l'efficacia (e il conseguente finanziamento delle prestazioni). Quindi, con
riguardo al computo dell' "eccedenza" di personale, sta all'INPS
valutare la sussistenza dei requisiti numerici e temporali (di massima
definibili in armonia con la l. 223/1991). Ovvero in assenza dei requisiti di
“prossimo pensionamento” del Dipendente (che deve essere in condizione al
momento della domanda di raggiungere i “requisiti minimi” di pensionamento,
entro i 04 anni successivi, ma sul punto vedi il prossimo post).
Senonchè
qui si apre una serie rilevantissima di interrogativi.
Innanzitutto,
la laconica previsione di questo controllo INPS è tale da legittimare le prassi
applicative più disparate (stante la complessità degli accertamenti rimessi in
capo all'Ente Previdenziale), determinando così odiose geometrie variabili nella
spettanza di questo pure rilevantissimo "ammortizzatore sociale".
Ma
il vero aspetto problematico della disposizione risiede nel coordinamento tra
la previsione dell'accordo Datore-Lavoratore o licenziamento(comma 01) e la
previsione della possibilità dell'INPS di negare "l'efficacia
dell'accordo" (comma 04).
Al
momento, il comma 04 definisce il diniego della validazione INPS sulla
sussistenza dei requisiti come "condizione di inefficacia
dell'accordo". Ma l' "inefficacia" si riferisce all'accordo
in quanto tale, ossia alla sua "dimensione civilistica"
(invalidandolo alla radice), ovvero alla sola "prestazione economica"
che viene negata, pure a fronte di atti validi di risoluzione o di
licenziamento?
Certo,
tutti si dormirebbe sonni più tranquilli se la "validazione
dell'accordo" potesse comportare l'invalidazione totale dell'accordo
medesimo, sia sul fronte civilistico, sia sul fronte previdenziale.
Ma
le ragioni di dubbio ci sono e sono rilevanti. Perchè la Circolare 24/2013 del
Ministero del Lavoro, ad esempio, parla di "efficacia vincolante"
dell'accordo Datore-Lavoratore e dell’accordo evidentemente sganciandolo dalla
verifica di “validazione dell’INPS”? Perché la Fondazione Studi CDL parla di “efficacia costitutiva”
riferendola agli accordi citati? Forse che essi civilisticamente devono
considerarsi già perfetti, a prescindere dalla successiva erogazione della
prestazione economica? Evidentemente, in quest’ultimo caso, la lesione dei
diritti del Lavoratore sarebbe gravissima e irrimediabile, riproponendosi
(aggravati) quei problemi di invalidazione di risoluzioni consensuali per
“presupposizione” di un dato (obiettivo pensionistico) poi superato in
concreto. Risoluzioni che, tra l’altro, nel caso di specie, non potrebbero
nemmeno beneficiare della “convalida”, certamente esclusa dato il concorso
della procedura di consultazione/accordo sindacale di cui alla norma in esame,
con aggravamento incredibile della posizione del Dipendente e un’evidente
illegittimità costituzionale della norma in esame.
E’ evidente
che le istanze di tutela si fanno sentire di più per le risoluzioni
consensuali, meno per i licenziamenti di cui alla “seconda fattispecie”
Senonchè
sia il Ministero del Lavoro, sia la Fondazione
Studi CDL hanno ritenuto di aderire all’interpretazione non solo più
letterale, ma anche più giusta, quella secondo cui l’accertamento da parte
dell’INPS dell’insussistenza dei requisiti soggettivi di Datore di Lavoro e
Lavoratore determina “l’invalidazione dell’accordo”.
E’
una soluzione, questa che non elimina gli aggravamenti e le distorsioni
procedurali insiste nell’istituto de
quo, ma almeno rimedia alle più manifeste abnormità.
Scorrendo,
poi, la Circolare 24/2013, c’è da ritenere che l’accordo in questa fase debba
intendersi come un accordo non solo evidentemente sub condicione (sospensiva), ma anche come un accordo
che ingloba l’impegno dei Dipendenti ad accettare la prestazione che l’INPS
definirà (in aderenza all’accettazione dei provvedimenti di riscatto etc.).
Con
ciò, si pongono alcuni interrogativi e problematiche relativi alla gestione
degli adempimenti connessi al rapporto di lavoro in questa fase di … pendenza:
a quando far risalire il preavviso di licenziamento? Come considerare
l’eventuale periodo lavorato? A quando la comunicazione di cessazione al Centro
per l’Impiego?
In
questo, paiono applicabili le decorrenze definite dalla Nota Min. Lav.
18273/2012 e fissare le decorrenze degli atti (ai fini del preavviso etc.) alla
data dell’accordo, anche se la “validazione” dell’INPS sia intervenuta poi (sul
punto, vedi il miohttp://costidellavoro.blogspot.it/2012/10/dimissioni-il-ministero-precisa-quando.html).
Vale, per questi casi, l’analogia con altri casi di dimissioni/licenziamentosub condicione introdotti dalla Monti-Fornero
(vedi rispettivamente art. 04.17 ss commi l. 92/2012 e art. 07 l. 604/1966,
come “novellato” dalla l. 92/2012).
In
questo senso, pare proprio potersi applicare l’art. 04.18°comma che valorizza
detto periodo di “sospensione” come preavviso lavorato e dispone la non
retribuibilità del periodo di sospensione dove non sia svolto lavoro.
Quanto
alle tutele in capo al Lavoratore in caso di “inefficacia” dell’accordo, si
deve ritenere che la reviviscenza del rapporto determini la piena riduzione in
pristino del Lavoratore, in capo al quale si deve riconoscere il “diritto
soggettivo” di rientrare in Azienda.
La Fondazione Studi, nel suo commento,
molto acutamente precisa che l’eventuale licenziamento con “prepensionamento”
dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 04 l. 92/2012 può comunque
“convertirsi” in “normale” licenziamento collettivo, con messa in mobilità,
sussistendone i presupposti.
Questo
principio di “conversione” ex. art. 1424 Codice
Civile dell’accordo “inefficace” pone alcuni problemi per il caso di
“risoluzione consensuale”: questa risoluzione, infatti, come già segnalato, nel
caso di specie, potrebbe ritenersi “convalidata” per l’intervenuto accordo
sindacale ai sensi dell’art. 04.17 ss l.
92/2012. E’ opportuno, in questo caso, che il consenso del Lavoratore, ove
manchi la “validazione” INPS sia considerato tanquam non esset, perché, difettando la prospettiva di un’utile
trattamento previdenziale sia pure “interinale”, verrebbe meno un importante
presupposto per la sua espressione. Ricordiamo che gli accordi possono essere
annullati per carenza di “presupposizione” (di un presupposto di fatto ritenuto
essenziale per la stipula e per la manifestazione del consenso): ragioni di
“interpretazione costituzionalmente orientata”, evidenti considerazioni di
“ragionevolezza” ex. art. 03 Cost. impongono di considerare “nullo” il consenso
prestato dal Dipendente, proprio per difetto di “presupposizione”.
Ciò
non toglie, però, che l’atto espulsivo, non più valido come “risoluzione
consensuale” possa ritenersi valido se corrisponde ai dettami del
“licenziamento per giustificato motivo oggettivo” ex. art. 03 l. 604/1966. In
questo caso, per altro, si ricorda che riguardando questa tipologia di
licenziamenti Aziende con più di 15 Dipendenti, occorrerà procedere alle
comunicazioni alla DTL ai sensi dell’art. 07 l. 604/1966 ai fini
dell’instaurazione della procedura di conciliazione.
La
tutela del Lavoratore contro il licenziamento illegittimo seguirà le procedure
del nuovo art. 18, per “inesistenza” del “motivo oggettivo”, ovvero per
“difetto dei requisiti procedurali”.
(Fine
1a parte- Continua)
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&trk=tab_pro
giovedì 24 ottobre 2013
INTERRUZIONE TRA UN RAPPORTO A TERMINE E L'ALTRO: PUO' LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA INTRODURRE LIMITI TEMPORALI MAGGIORI?
Quesito:
Il recente DL 76/2013 ha ripristinato i
termini di interruzione "brevi" tra un rapporto a termine e l'altro
rispettivamente di 10 gg (rapporti fino a 06 mesi) e 20 gg. (rapporti
oltre i 06 mesi). Mi chiedo se la contrattazione collettiva possa
ripristinare termini di interruzione più lunghi, ripristinando, ad
esempio, i termini di 20 e 30 gg di cui alla legge Monti-Fornero. Cosa
ne pensa al riguardo?
Risposta:
La problematica da
Lei sollevata è stata recentemente posta all'attenzione del Ministero
del Lavoro il quale, con Nota prot. 5426/2013 ha negato che intese di
questo genere possano produrre effetti reali, ma solo vincolare le parti
sul piano "obbligatorio", ossia delle relazioni sindacali. A questa
conclusione, in effetti, si perviene considerando il meccanismo
derogatorio della normativa del contratto a termine, previsto dalla
legge, che, nel disegno del DL Lavoro, è ammesso solo in riduzione dei
termini di riduzione, non in aumento. Si spera naturalmente che non
avvengano interpretazioni "stravaganti" della giurisprudenza.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
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RAPPORTI A TERMINE SENZA INTERRUZIONE
Quesito:
Cosa succede attualmente se tra un contratto a termine e l'altro lascio uno stacco di soli 5 giorni? Grazie.
Risposta:
Ai
sensi dell'art. 05.04°comma D.lgs. 368/2001, anche dopo le "novelle"
intervenute con il DL Lavoro, l'assenza di soluzione di continuità tra
un rapporto a termine e l'altro, ovvero la riassunzione in termini
inferiori ai gg. 10 (rapporti fino a 6 mesi) e 20 gg. (rapporti oltre 06
mesi) determina tuttora la trasformazione a tempo indeterminato dei
rapporti, ad eccezione dei rapporti stagionali ex DPR 07/10/1963 nr.
1523, ovvero definiti tali da accordi collettivi nazionali stipulati
dalle organizzazioni comparativamente più rappresentativi sul piano
nazionale o da avvisi comuni.
Questa è la principale eccezione introdotta dal DL Lavoro.
Il DL Lavoro ha altresì consentito alla stessa contrattazione collettiva di ridurre i termini di interruzione.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
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ACCESSO AL FONDO DI GARANZIA INPS DEL TFR: IL CASO DELL'APPALTO
Quesito:
Dal 2005 al 2012 ho lavorato alle dipendenze
di una Società Multiservizi come addetta alle pulizie presso varie
imprese e Studi Professionali. Cessata nel maggio 2012, per percepire il
mio TFR ho dovuto prima chiedere (inutilmente) alla mia Azienda, poi ho
chiesto all'Azienda ultima Committente, la quale, però, mi ha liquidato
una parte di TFR relativa al periodo agosto 2011-maggio 2012, relativa
al periodo dell'appalto. Sono in condizione, secondo Lei, di ricorrere
al Fondo di Garanzia INPS per ottenere il resto che non mi è stato
pagato? Grazie.
Risposta:
Per quello che mi è dato sapere da quanto Lei mi scrive, i tempi non sono ancora maturi per rivolgersi all'INPS.
Le
ricordo che l'art. 02 l. 297/1982 subordina l'accesso al Fondo di
Garanzia INPS per il TFR all'esaurimento di tutti i rimedi di esecuzione
individuali, al di fuori delle ipotesi di fallimento e concordato
preventivo. Nel caso di specie, ciò significa che, se persiste
l'inadempimento del Suo Datore, Lei potrà escutere dalle Società
Appaltanti (i Committenti del Suo Datore) solo le quote di TFR
corrispondenti ai periodi in cui Lei ha prestato effettivamente servizio
in funzione dei contratti di appalto, secondo il meccanismo della
"solidarietà" come uscito dagli assestamenti di cui al DL 05/2012 e alla
Circolare 02/2012 del Ministero del Lavoro.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
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mercoledì 23 ottobre 2013
LA VENDITA A DOMICILIO, QUANDO E' OCCASIONALE
Quesito:
Per arrotondare il magro stipendio da Segretaria part time, ho ricevuto da una mia amica un incarico per promuovere la vendita di prodotti di bellezza presso parenti e amici con pagamento di percentuale. Devo aprire Partita IVA? O non vale più il limite degli € 5.000 per gli "occasionali"? Grazie.
Risposta:
Il limite degli € 5.000 annui (quale reddito annuo lordo ritratto anche da più Committenti) è da ritenersi vincolante ai fini della prova dell'occasionalità della vendita, perchè fissato nell'art. 03 l. 173/2005. Norma dal chiaro sapore definitorio e qualificatorio, anche perchè richiamata dal Ministero del Lavoro in Circolare 07/2013 come discrimine per gli Ispettori per valutare l'occasionalità "genuina" della vendita a domicilio, in relazione alle disposizioni di "controllo" sul commercio compendiate nella l. 173/2005, anche in relazione al D.lgs. 114/1998 (vedi obbligo di esibire tesserini di riconoscimento etc.).
Devono pertanto ritenersi superate o quantomeno ridimensionate le indicazioni di cui alla Circolare INPS 09/2004, che riconnettevano al requisito reddituale citato (compendiato dall'art. 44 DL 269/2003) una valenza limitata all'obbligo dell'iscrizione alla Gestione Separata INPS rimettendo l'accertamento dell'occasionalità del lavoro autonomo ai principi generali ex. art. 2222 Codice Civile. Tale indicazione è da ritenersi superata perchè la legge 173/2005 costituisce lex posterior come tale idonea a prevalere sia sulle indicazioni della Circolare INPS 09/2004.
In questo senso, oltre i € 5.000 non esiste modo di provare l'occasionalità dell'incaricato di vendita a domicilio. Questo è il Ns. parere.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
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PIGNORAMENTO DEL QUINTO DELLA PENSIONE INPS, LO STATO DELL'ARTE
Quesito:
Equitalia mi ha pignorato il conto corrente dove affluiva la mia pensione, soddisfacendosi integralmente sul mio credito. Ho chiesto all'Avvocato di fare opposizione per far valere il "quinto", ma lui mi ha detto che non posso farci niente. Cosa posso fare?
Risposta:
Prima di iniziare un'avvertenza: Il quesito è stato assunto da Noi come pretesto per illustrare in linee generali la problematica che esso solleva di grande rilevanza sociale. Atteso il valore "esemplare" e "tipico" (come in tutti i quesiti da Noi trattati), raccomandiamo mai come in questo momento ai lettori di non interpretare quanto diremmo come "consulenza", essendo Ns. intento lasciare alcune "suggestioni" che speriamo siano di aiuto ad Avvocati e Consulenti.
Ora, relativamente alla pignorabilità del "quinto" delle pensioni, questione molto complessa, in questa sede si darà un rapido resoconto dei profili più problematici, dando atto che la complessità della materia (ancora controversa presso le Corti) impedisce risposte certe e definitive.
E' tuttora pacifica la pignorabilità "alla fonte" in capo all'INPS delle pensioni entro il quinto, ai sensi dell'art. 545 CPC. Tale equiparazione è stata ottenuta a seguito della sentenza 506/2002 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 128 RDL 1827/1935, che disponeva l'impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici a carico dell'INPS.
Contestata e controversa appare, invece, la pignorabilità delle somme che siano affluite nel conto corrente bancario/postale a titolo di trattamento pensionistico.
Questo, a causa dell'influenza di una risalente giurisprudenza (Cass. 3318/1985).
In questa sentenza, si trattava del caso di un Dipendente che aveva da esigere un credito da retribuzione arretrata dal proprio Datore, gravato a sua volta da una pretesa da parte del creditore del Lavoratore. In quel caso, il creditore del Lavoratore aveva pignorato il libretto di risparmio sul quale il Datore aveva trasferito le somme retributive arretrate, senza curarsi del vincolo del "quinto". In sede di opposizione all'esecuzione, il Lavoratore aveva opposto il vincolo del "quinto", ma i Tribunali ne avevano respinto l'eccezione, argomentando che questo non era opponibile al diverso rapporto di credito tra Banca e Lavoratore, non contemplato dalla legge ai fini delle disposizioni sul "quinto".
In tempi recenti, atteso l'obbligo dei pensionati di riscuotere la pensione tramite conto corrente (bancario/postale), questa tesi è stata rispolverata da
Equitalia e dai suoi legali, che hanno argomentato l'impossibilità di applicare il vincolo del "quinto" al conto corrente, argomentando la "confusione" delle somme. Argomento ben difficilmente superabile, nell'attuale assetto legislativo, dato che il complesso delle disposizioni riferite all'impignorabilità di retribuzioni e pensioni presuppone l'attualità di dette obbligazioni, ossia la pendenza del credito da retribuzione da pensione, cosìcchè il vincolo ben può valere prima o contestualmente alla riscossione; non dopo, quando esso costituisce "massa patrimoniale" e quando effettivamente la "massa di denaro" viene detenuta ad altro titolo, risparmio o deposito. Per giungere a bloccare la riscossione, occorrerebbe tecnicamente fissasse l'impignorabilità di una quota di denaro definibile come "minimo vitale" comunque in patrimonio del Pensionato; tale non appare proprio la formulazione dell'art. 545 CPC che non riferisce il vincolo a "somme di denaro" genericamente definite, ma a "crediti" (retribuzione, pensione etc.).
Come noto, è aperto il dibattito circa la possibilità di pervenire ad un'interpretazione evolutiva dell'art. 545 CPC reinterpretata (magari in nome di vincoli costituzionali o internazionali) in nome del principio del "minimo vitale"; ma la strada è ancora lunga e tortuosa...
Qualcosa però si è recentemente aperto sul fronte di Equitalia, che ha stabilito (ma unilateralmente) una franchigia di € 5.000 per le somme affluite in conto corrente in capo al pensionato: per approfondimenti, vedere il link:
http://www. cessionequintostipendio.eu/ pignoramento-quinto-stipendio. html.
In questi casi, comunque, è buona norma consigliare ai Clienti pensionati che si trovassero in queste condizioni l'istituzione di un "conto corrente" dedicato in cui far affluire solo le pensioni, per agevolare lo sgravio in conformità alle disposizioni Equitalia.
E' evidente che soluzioni più consolidate possono venire non da
Equitalia, ma da incisive riforme legislative.
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Quesito:
Equitalia mi ha pignorato il conto corrente dove affluiva la mia pensione, soddisfacendosi integralmente sul mio credito. Ho chiesto all'Avvocato di fare opposizione per far valere il "quinto", ma lui mi ha detto che non posso farci niente. Cosa posso fare?
Risposta:
Prima di iniziare un'avvertenza: Il quesito è stato assunto da Noi come pretesto per illustrare in linee generali la problematica che esso solleva di grande rilevanza sociale. Atteso il valore "esemplare" e "tipico" (come in tutti i quesiti da Noi trattati), raccomandiamo mai come in questo momento ai lettori di non interpretare quanto diremmo come "consulenza", essendo Ns. intento lasciare alcune "suggestioni" che speriamo siano di aiuto ad Avvocati e Consulenti.
Ora, relativamente alla pignorabilità del "quinto" delle pensioni, questione molto complessa, in questa sede si darà un rapido resoconto dei profili più problematici, dando atto che la complessità della materia (ancora controversa presso le Corti) impedisce risposte certe e definitive.
E' tuttora pacifica la pignorabilità "alla fonte" in capo all'INPS delle pensioni entro il quinto, ai sensi dell'art. 545 CPC. Tale equiparazione è stata ottenuta a seguito della sentenza 506/2002 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 128 RDL 1827/1935, che disponeva l'impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici a carico dell'INPS.
Contestata e controversa appare, invece, la pignorabilità delle somme che siano affluite nel conto corrente bancario/postale a titolo di trattamento pensionistico.
Questo, a causa dell'influenza di una risalente giurisprudenza (Cass. 3318/1985).
In questa sentenza, si trattava del caso di un Dipendente che aveva da esigere un credito da retribuzione arretrata dal proprio Datore, gravato a sua volta da una pretesa da parte del creditore del Lavoratore. In quel caso, il creditore del Lavoratore aveva pignorato il libretto di risparmio sul quale il Datore aveva trasferito le somme retributive arretrate, senza curarsi del vincolo del "quinto". In sede di opposizione all'esecuzione, il Lavoratore aveva opposto il vincolo del "quinto", ma i Tribunali ne avevano respinto l'eccezione, argomentando che questo non era opponibile al diverso rapporto di credito tra Banca e Lavoratore, non contemplato dalla legge ai fini delle disposizioni sul "quinto".
In tempi recenti, atteso l'obbligo dei pensionati di riscuotere la pensione tramite conto corrente (bancario/postale), questa tesi è stata rispolverata da
Equitalia e dai suoi legali, che hanno argomentato l'impossibilità di applicare il vincolo del "quinto" al conto corrente, argomentando la "confusione" delle somme. Argomento ben difficilmente superabile, nell'attuale assetto legislativo, dato che il complesso delle disposizioni riferite all'impignorabilità di retribuzioni e pensioni presuppone l'attualità di dette obbligazioni, ossia la pendenza del credito da retribuzione da pensione, cosìcchè il vincolo ben può valere prima o contestualmente alla riscossione; non dopo, quando esso costituisce "massa patrimoniale" e quando effettivamente la "massa di denaro" viene detenuta ad altro titolo, risparmio o deposito. Per giungere a bloccare la riscossione, occorrerebbe tecnicamente fissasse l'impignorabilità di una quota di denaro definibile come "minimo vitale" comunque in patrimonio del Pensionato; tale non appare proprio la formulazione dell'art. 545 CPC che non riferisce il vincolo a "somme di denaro" genericamente definite, ma a "crediti" (retribuzione, pensione etc.).
Come noto, è aperto il dibattito circa la possibilità di pervenire ad un'interpretazione evolutiva dell'art. 545 CPC reinterpretata (magari in nome di vincoli costituzionali o internazionali) in nome del principio del "minimo vitale"; ma la strada è ancora lunga e tortuosa...
Qualcosa però si è recentemente aperto sul fronte di Equitalia, che ha stabilito (ma unilateralmente) una franchigia di € 5.000 per le somme affluite in conto corrente in capo al pensionato: per approfondimenti, vedere il link:
http://www.
In questi casi, comunque, è buona norma consigliare ai Clienti pensionati che si trovassero in queste condizioni l'istituzione di un "conto corrente" dedicato in cui far affluire solo le pensioni, per agevolare lo sgravio in conformità alle disposizioni Equitalia.
E' evidente che soluzioni più consolidate possono venire non da
Equitalia, ma da incisive riforme legislative.
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martedì 22 ottobre 2013
MEDICO CONVENZIONATO SSN: CON LA SEGRETARIA PART TIME SI PAGA L'IRAP?
Quesito:
Un Medico di Medicina Generale Convenzionato con il SSN che dispone di una Segretaria può chiedere il rimborso dell'IRAP versata negli anni precedenti?
Risposta:
La materia è in evoluzione giurisprudenziale, essendo in via di pubblicazione un'importante sentenza di Cassazione (Relatore Mario Cicala) anticipata dal Sole 24 Ore.
Noi, in questa sede, non possiamo fare consulenza sulle istanze, ma possiamo esprimere alcune utili piste di riflessione.
Innanzitutto, ci si attenga massima attenzione e prudenza nell'elaborazione e motivazione di un'istanza in sè stessa molto delicata, che va opportunamente argomentata nel modo più lineare possibile partendo dai "fondamentali" normativi (art. 08 D.lgs. 446/97), evitando la facile trappola di fare il "copia-incolla" delle sentenze, che, anche se di Cassazione, devono sempre andare contestualizzate e calate nel caso concreto (ricordiamo che una sentenza risente del caso e del processo cui si riferisce; i suoi assunti, pertanto, non possono essere meccanicamente sussunti in altro contesto.
Per i Medici di Medicina Generale può essere di aiuto, per facilitare l'istanza di rimborso IRAP, la Circolare Ag. Entrate 28/2010, che concorre a qualificare la spesa della Segretaria part time funzionale a garantire l'organizzazione minima compendiata dalla Convenzione SSN, senza che a tale attività possa riconoscersi un "valore aggiunto" in termini economici.
Di più, non possiamo dire.
Non ci sono, infatti, automatismi che rendono scontata l'accoglienza positiva dell'istanza da parte dell'Agenzia delle Entrate. Consideriamo che è comunque difficile prevedere quel quid che si nasconde nella testa dei Funzionari (e Magistrati!) quando nelle loro "secrete stanze" decidono ...
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