Con il DL lavoro vengono pienamente
ripristinati i termini di interruzione tra un rapporto a termine e l'altro
previgenti alla Monti-Fornero.
Dal 28/06/2013, cioè, i rapporti a
termine, per evitare l'automatica conversione a tempo indeterminato, dovranno
sottostare a periodi di interruzione pari a 10 gg. (rapporti con meno di 06
mesi) e 20 gg. (rapporti più di 06 mesi).
La riforma, però, non è esente da dubbi
e oscurità tali da rendere la normativa, in difetto di istruzioni ministeriali,
di difficile decifrazione e da rendere oltremodo problematico per l'operatore
adottare interpretazioni coerenti e pacifiche.
Allo stato, infatti, appare quantomai
problematica (quanto ad effetti pratici) la previsione della norma (art.
07.01 lett. c) num. 03 DL Lavoro) dove si dice:
"Le disposizioni di cui al presente
comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle
attività stagionali di cui al comma 04-ter [art. 05 D.lgs. 368/2001, Nota
nostra]".
Presa alla lettera, parrebbe che la
disciplina dei 10-20 gg. sia esclusa tout court per le
attività stagionali e per le altre attività individuabili dalla contrattazione
collettiva "anche aziendale", che, in ipotesi, parrebbero assumere a
termine, anche con intervalli di pochi o addirittura nessun giorno.
Un simile assetto determina evidenti e
conclamati problemi di giustificazione costituzionale: come giustificare, ad
esempio, questa deroga con la circostanza che la continuazione tout court del
rapporto a termine, salvi i periodi di "tolleranza", determina
automatica trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo
indeterminato? Il pericolo che la norma possa cadere in giudizio avanti la
Consulta è alto.
A riprova, comunque, della
complessità del quadro normativo impresso dal DL Lavoro, non si può fare a meno
di notare come, allo stato, non è possibile escludere un'interpretazione
alternativa e meno radicale: ossia che il legislatore abbia previsto la non
estensione dell'art. 07 cit. alle "attività stagionali" e delle
"altre attività", per motivi di puro coordinamento formale, dato che
per queste tipologie di rapporti il termine di 20-30 gg. era già stato
ripristinato dalla l. 134/2012 (art. 46-bis DL Sviluppo 1). In questo senso, la
modifica potrebbe essere interpretata come mero restylingformale, e
l'unico assestamento di rilievo starebbe nell'abilitazione piena della
contrattazione aziendale quale fonte regolatrice del rapporto. E si coglie
l'occasione di notare, per inciso, che questa interpretazione (pure molto
conservatrice...) potrebbe essere preferita in quanto costituzionalmente più
conforme e coerente.
Tali sono le ambiguità e i caratteri
problematici della norma; questa circostanza deve invitare alla prudenza
imprese e operatori, prima di raccomandare di percorrere questa strada.
Per questi motivi, è opportuno che sul
punto si consolidi un'interpretazione ministeriale, anche per le potenziali e
non irrilevanti ricadute in termini di illegittimità costituzionale della norma
).
Dr. Giorgio Frabetti, Profilo Linkedin: http://www.linkedin.com/profile/view?id=209819076&goback=%2Enmp_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1_*1&trk=tab_pro
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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