Uno degli istituti maggiormente incisi
dal DL Lavoro (DL 76/2013) riguarda le assunzioni a-causali.
Chi ci segue attentamente avrà avuto
modo di accorgersi che nei miei interventi non mi sono praticamente mai degnato
di occuparmi di questo istituto, abbastanza estraneo al mio ambiente
professionale e mai praticato. La circostanza, però, che esso di fatto
costituisca uno dei punti maggiormente incisi dal DL, mi obbliga a trattarne in
modo approfondito.
A cosa servirebbe tale
"anomala" modalità di assunzione a termine?
In primo luogo, per evitare il
computo del lavoratore a termine nella base occupazionale per l'applicazione
del regime del licenziamento (con indiretto risparmio sul costo del lavoro); in
secondo luogo, per creare occasioni di "inserimento" di lavoratori
(attingendo evidentemente al bacino dei "disagiati) sulla scia del precedente
tedesco (che però prevede tali assunzioni per un massimo di 24 mesi, doppio
rispetto all'Italia).
Il DL Lavoro ha cercato di eliminare
alcune restrizioni introdotte in materia dalla legge Monti-Fornero,
nell'intento di liberalizzare e ampliare la portata applicativa di un istituto,
sulla carta molto utile per produrre posti di lavoro. E' riuscito nell'intento
il legislatore? O meglio: il legislatore ha prodotto un complesso di regole
tecnicamente coerenti e congruenti con questo intentio politica?
Purtroppo, il primo bilancio che, in
merito, si può trarre non è dei più confortanti; vediamo perchè.
Come noto, la l. 92/2012 aveva
introdotto questa previsione con una "novella" all'art. 01 D.lgs.
368/2001: introducendo, cioè, un "comma 01-bis" al citato D.lgs.,
veniva previsto l'esonero dall'osservanza delle "causali tecniche,
organizzative, sostitutive" per i "primi rapporti a tempo
determinato" (o nelle "prime missioni" di somministrazione) per
un tempo massimo fino a 12 mesi.
Va ricordata, al riguardo, la
controversia insorta tra i commentatori circa la dizione "primo rapporto a
tempo determinato", risolta dalla Circolare 18/2012 del
Ministero del Lavoro secondo l'interpretazione più tranchantpossibile,
ossia escludendo rapporti a tempo determinato (per quanto primi) con
lavoratori già assunti a tempo indeterminato, a termine (evidentemente con
causale). Questo orientamento è stato confermato dal Ministero del Lavoro in
sede di Vademecum (Lett. Circ. 7258/2013), il quale (Vademecum)
ha provveduto a dirimere un equivoco che era insorto relativamente agli
"autonomi" (cocopro, associati in partecipazione, collaboratori a
Partita IVA), i quali possono beneficiare di questa modalità di assunzione,
dopo che l'iniziale interpretazione, molto rigida, del Ministero ex. Circ.
18/2012, ferma nel pretendere "l'assenza di precedenti
rapporti", pareva escluderli.
Il DL, però, costituisce un'occasione
mancata sotto un altro aspetto.
Da autorevoli commentatori (vedi
Commentario STERN Riforma Monti-Fornero), infatti, si era osservato:
"Sarebbe auspicabile, per non
precludere opportunità occupazionali a lavoratori che hanno avuto brevi
esperienze lavorative con un impresa, che la norma [che si riferisce al
"primo rapporto a termine", NdA] fosse interpretata, magari dal Ministero
del Lavoro sollecitato da un Interpello, nel senso che precedenti rapporti di
lavoro dalla durata complessiva non superiore alla metà del nuovo contratto a
termine a-causale non ne impedissero la stipulazione. Sarebbe in questo modo
ripreso un principio evidenziato dallo stesso Ministero del Lavoro in tema di
apprendistato con Interpello nr. 08/2007, nessuna frode o precarietà selvaggia,
ma nemmeno nessun ostacolo occupazionale ai lavoratori che hanno avuto la
sventura di aver già lavorato brevemente con l'Azienda".
Il DL non ha recepito questo illuminato
parere, lasciando sullo specifico punto sopravvivere la tranchant posizione
delVademecum che di fatto, escludendo gli intermittenti dalla
possibilità di beneficiare delle assunzioni a termine a-causali, ha sbarrato la
strada ad ogni attenuazione della norma in questo senso. Resta da sperare che
forse andrà meglio ... la prossima volta!
Il DL Lavoro provvede ad abrogare il
comma 02-bis dell'art. 04 D.lgs. 368/2001, che era stato introdotto dalla l.
92/2012 quale "novella" alla disciplina sui rapporti a termine, per
escludere la "proroga" dei rapporti a termine acausali.
Questa disposizione era
stata variamente, ma sempre aspramente criticata, perchè la rigida
formulazione dell'espressione "primo rapporto a termine" contribuiva
a restringere tale possibilità di assunzione a causale (evidentissimamente
eccezionale) solo al primo rapporto, escludendo in modo tranchant ogni
proroga. In questo modo, si deduceva:
"Dovrebbe non essere possibile
un'assunzione di 06 mesi, prorogata per altri 06".
Questa interpretazione era stata
confermata dal Vademecum.
Ora, sono cambiate le cose?
I primi commentatori ritengono che
l'operazione sopra esemplificata con le nuove norme sia possibile, tendendo a
interpretare (contrariamente alle indicazioni a suo tempo emerse nella Circ.
Min. Lav. 18/2012) il periodo massimo di 12 mesi come un termine di
"franchigia", comunque frazionabile.
A scanso dei primi e più ottimistici
commenti (vedi www.dplmodena.it), la prudenza è d'obbligo e,
allo stato attuale delle cose, non si può escludere che l'abrogazione del
divieto di improrogabilità di per sè non abbia cambiato nulla di
sostanziale in punto di proroga. E questo a causa della tecnica legislativa,
poco accorta nel cogliere che la pecularità e la novità della previsione
avrebbe richiesto ben altro coordinamento, ben altra opera di adattamento della
normativa vigente!
L'attuale testo, infatti, anche corretto
dal DL Lavoro, riferisce l'assunzione acausale nel termine massimo dei 12 mesi,
al "primo rapporto a tempo determinato", con ciò virtualmente
escludendo la "proroga", nonostante l'abrogazione
legislativa, che, nella dizione rozza ed empirica della disposizione, ben
potrebbe equivalere a "secondo rapporto". Meglio sarebbe stato che il
legislatore avesse modificato la norma disponendo: "Ipotesi di
primo rapporto a tempo determinato, comprensivo della sola proroga ai
sensi dell'art. 04...".
E del resto si ha più di un motivo per
dubitare che qualche effetto applicativo utile in merito possa derivare
dall'applicazione della disciplina della proroga ex. art. 04 D.lgs. 368/2001:
come regolarsi di fronte alla previsione che la proroga è riferita ad un
massimo di 03 anni? Ci vuol poco a ritenere questa disposizione inapplicabile
alla proroga a-causale che è possibile fino a 12 mesi! Ma anche a ritenere il
vincolo della "compatibilità" della citata norma, con le revisioni
del DL Lavoro (assunti come vincoli di ratio legis), come giustificare
il silenzio dell'attuale norma sulla proroga di ogni riferimento alle
assunzioni a-causali? Come giustificare questo silenzio, quando in altra sede
(prosecuzione oltre il termine) il legislatore era intervenuto inserendo la
specifica dell'art. 01.01-bis riferita alle assunzioni a termine
acausali? Come spera un legislatore di tal fatta di poter contrastare
l'eventuale Giudice che voglia nel silenzio (reale) della nuova normativa
dedurre la non prorogabilità dei rapporti a termine?
A mio modesto parere, più che
un'Interpello, in parte qua servirebbe una correzione del
testo di legge in sede di conversione parlamentare del DL, perchè allo
stato attuale la norma non è, per così dire, "in sicurezza" rispetto
ad interpretazioni restrittive del Giudice! E per ricordare come espressioni
legislative poco chiare possano mettere i Giudici in condizione di contrastare
anche gli orientamenti interpretativi e amministrativi più consolidati si
ricordi il precedente recentissimo del Tribunale di Torino, dove, smentendo la
Cassazione e una consuetudine interpretativa pure largamente consolidata,
il Magistrato aveva sostenuto, in nome della lettera dell'art. 10 D.lgs.
368/2001 la piena assimilazione al regime comune dei contratti a termine delle
assunzioni a termine in mobilità ex. l. 223/1991 (quando da decenni i
giuslavoristi erano fermi nel ritenere tali assunzioni un'ipotesi a sè
stante!). Senza contare che proprio questo precedente ha indotto il legislatore
a rivedere in punto di mobilità l'art. 10 cit., a mò di conferma (in forma
di interpretazione autentica) di un principio che stava per essere
destabilizzato in sede giurisprudenziale!
L'altro aspetto per cui si lascia
commentare il DL Lavoro in punto di assunzioni a termine a-causali è la
previsione (questa volta innovativa, ma tecnicamente poco pregnante) del potere
regolatorio affidato alla contrattazione collettiva. Nella precedente versione
dell'art.01.01-bis, era consentito alla contrattazione collettiva
ampliare le previsioni di assunzioni a termine a causale, in uno stretto limite
percentuale, a fronte di policy aziendali particolari (anche
se abbastanza difficilmente definibili) come "lancio di un servizio
innovativo" etc. Il DL lavoro sul punto è stato tranchant: ha
abrogato questa previsione, sostituendola con la più ampia e inequivoca:
"l'esclusione delle causali nell'assunzione a termine è consentita ... in
tutte le altre ipotesi previste dai contratti collettivi, anche
aziendali".
La disposizione sa di "delega in
bianco" e purtroppo tende anch'essa a manifestare non poche (e
gravi) lacune in punto di coordinamento: presa alla lettera, la
disposizione parrebbe ammettere le assunzioni acausali anche oltre il periodo
massimo di 12 mesi rimasto come previsione-base. In questi termini, la
possibilità di deroga appare davvero ampia e indiscriminata, e non si può
escludere possa determinare anche rilevanti problemi di incostituzionalità, se
non altro in punto di possibili censure di irragionevolezza. Come ammettere
cioè un simile indiscriminato potere di deroga quando il DL ha lasciato in
piedi quella parte dell'art. 01 (modificata dalla Monti-Fornero) che riconosce
al "rapporto a tempo indeterminato" il rango di "forma
comune" di impiego della forza-lavoro? Come conciliare (e la domanda è retorica)
un potere derogatorio indiscriminato che potrebbe de jure et de facto liberalizzare
il rapporto a termine, quando l'ordinamento riconosce ancora al "rapporto
a tempo indeterminato" il ruolo di rapporto-principe?
Deve dirsi che, su questo aspetto, il DL
Lavoro è riuscito tecnicamente a fare anche peggio della legge Monti-Fornero,
che, pure in forma macchinosa, astrusa e inapplicabile in concreto, aveva
concepito la possibilità di deroga sindacale rispetto alle assunzioni
a-causali, in modo tecnicamente più coerente e consapevole, codificando
casistiche che, pure di difficile, se non impossibile verificazione, partivano
dalla giusta consapevolezza che, una volta fissato il principio che
l'assunzione "comune" è quella "a tempo indeterminato",
l'assunzione a termine avrebbe dovuto essere di norma "causale",
riservandosi (per motivi evidenti di logica coerenza) a casistiche ed evenienze
particolarissime l'assunzione "a-causale" (di qui, lo sforzo
legislativo nella previsione di "casi" di deroga sindacale).
Il DL Letta ignora tutto questo e non si
preoccupa nemmeno di fissare un "termine esterno" per circoscrivere
le assunzioni a-causali disposte in via sindacale (es. estendendo il limite
normale di 12 mesi), permettendo così alla contrattazione collettiva di
disporre senza limiti di causale l'assunzione a termine (restando il solo
vincolo dei 36 mesi).
A questo punto, è d'oobligo una domanda:
cosa vuole il legislatore? Dove vuole andare a parare?
Vuole lavorare per superare il principio
generale della causalità delle assunzioni a termine (posizione che, ad esempio,
si sa essere caldeggiata da ambienti di Confindustria)? Allora,
avrebbe dovuto abrogare l'art. 01.01°comma come uscito dalla Monti-Fornero,
ossia cancellare il principio secondo cui l'assunzione a tempo indeterminato
costituisce "forma comune".
Ma così non è stato, e il complesso
regolatorio che residua porta con sè un grave senso di irresolutezza rispetto
ai fini ultimi, che ne compromette in concreto l'efficacia liberalizzante. Le
attuali norme non sono "messe in sicurezza" rispetto possibili
interventi (correttivi o peggio ablativi censure di incostituzionalità)
del potere giudiziario, mettendo seriamente a rischio gli intendimenti di
"liberalizzazione" e promozione dell'occupazione che pure il DL si
era ripromesso.
La sensazione è che il legislatore
continui a navigare a vista, magari sperando di trovare sponde sindacali per le
sue aspirazioni liberalizzatrici dei contratti a termine, ma senza andare oltre
un assemblaggio politico-legislativo assai confuso e nebuloso.
Ed è al riguardo molto significativo
considerare che di questa previsione di cui all'art. 01-01-bis lett.b) D.lgs.
368/2001, il DL avrebbe potuto benissimo fare a meno, potendo lo stesso effetto
derogatorio scaturire in sede sindacale-aziendale dalle "intese di
scopo" ex. art. 08 DL 138/2011 che pure investono anche la regolazione dei
rapporti a termine e che già erano in grado di disporre assunzioni "a
causali" (viceversa, impedita dalla riforma Monti-Fornero che,
concettualmente più coerente, aveva ammesso in materia intese aziendali
solo "in via delegata" con chiara volontà di "sterilizzare"
sul punto la portata potenzialmente "liberalizzante" dell'art. 08
cit.).
Ma se quest'ultima circostanza si lascia
ulteriormente apprezzare come conferma della sciatteria tecnica, essa però è
assai significativa dell'intendimento politico del legislatore: sperare che sia
il mondo sindacale a "lanciare il cuore oltre l'ostacolo", ad
arrivare ad una liberalizzazione che per il legislatore e la politica appare
veramente impari.
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
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