Quesito:
Mi sovviene un dubbio.
Il lavoratore assunto a termine con i benefici della mobilità, cui è applicabile per legge l'aliquota INPS del 10% per gli apprendisti, sono esonerati dalle contribuzioni INAIL e dai conseguenti oneri dichiarativi?
Grazie per l'attenzione.
Risposta:
Lo sgravio INAIL per gli apprendisti non si applica ai Lavoratori in mobilità.
Così è disposto espressamente, in via di interpretazione autentica, dall'art. 68.06°comma l. 388/2000 con una disposizione di "interpretazione autentica" dell'art. 08 l. 223/1991.
Il punto è pacificamente consolidato in giurisprudenza: vedi Corte Cost. 291/2003 e Cass. 14316/2007.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro-Ferrara
Pagina FB https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912
Lavoro, lavoro, quanto mi costi! Punto di condivisione (piccolo "salotto") aperto alla comunità dei Giuslavoristi e Professionisti ex. l. 12/1979 in relazione ai problemi di contrattualistica e di legislazione del lavoro subordinato e autonomo. La presente pagina non costituisce consulenza professionale. A Cura del Dr. Giorgio Frabetti, Professionista ex l. 4/2013 (Collaboratore Studio CDL Landi, Ferrara).
AVVERTENZA
AVVERTENZA:
QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI" GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.
NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.
IL PRESENTE BLOG NON OFFRE,
NE' PUO', NE' VUOLE OFFRIRE CONSULENZA ONLINE IN ORDINE AGLI ADEMPIMENTI DI LAVORO DI IMPRESE, O LAVORATORI.
NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.
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giovedì 31 gennaio 2013
LAVORO NERO E INFORTUNI NEL "RAITING" DI LEGALITA' DELL'AZIENDA
AVVERTENZA: Pubblichiamo dal Blog http://andreaferrarini.blogspot.it/2013/01/rating-di-legalita-obbligatorio-il.html un brano di grande interesse per Aziende, Professionisti e Lavoratori.
POLITICHE DEL LAVORO E RESPONSABILITA' SOCIALE DELLE IMPRESE
POLITICHE DEL LAVORO E RESPONSABILITA' SOCIALE DELLE IMPRESE
C'è il rischio che il rating diventi un requisito minimo per l’accesso al
credito gravando le imprese di nuovi oneri burocratici
L'Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance) ha pubblicato sul suo
sito web una nota nella quale illustra i contenuti del regolamento
dell'Antitrust in materia di rating di legalità ed evidenzia anche i rischi e
le opportunità del nuovo strumento finalizzato a promuovere l'etica e la
legalità nelle attività economiche.
Con la delibera n. 24075 del 14 novembre 2012 (pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 294 del 18 dicembre 2012), l'Antitrust ha varato il regolamento
che stabilisce criteri e modalità di attribuzione del rating di legalità, in
attuazione dell’articolo 5-ter del DL 1/2012 e s.m.i. che ha introdotto
nell’ordinamento un sistema di premialità per le imprese che rispettano la
legalità e adeguano la propria organizzazione in tale direzione.
Nelle intenzioni del legislatore, tale rating, attribuito su richiesta di
ciascuna impresa interessata, oltre ad avere effetti positivi dal punto di
vista reputazionale, verrà preso in considerazione in sede di accesso al
credito bancario e di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche
amministrazioni.
Sarà un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze e del Ministro
dello Sviluppo Economico a stabilire come tali finalità verranno perseguite.
Il rating potrà essere richiesto dalle imprese operative in Italia che
abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio
chiuso l’anno precedente alla richiesta e che siano iscritte al registro delle
imprese da almeno due anni.
Pubblicato il formulario e le istruzioni
Le aziende interessate dovranno presentare una domanda, per via telematica,
utilizzando il formulario pubblicato sul sito dell’Antitrust
(http://www.agcm.it/rating-di-legalita.html) che dovrà essere inoltrato per via
telematica, seguendo le istruzioni per l'inoltro della domanda.
Da una stelletta a un massimo di tre stellette
Il rating avrà un range tra un minimo di una “stelletta” a un massimo di
tre “stellette”, attribuito dall’Autorità sulla base di determinati requisiti
che verranno comunicati dalle imprese e verificati tramite controlli incrociati
con i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni interessate.
Le valutazioni dell'Ance
Fin da subito, l'Ance ha espresso alcune perplessità in merito alle
modalità con le quali il rating di legalità interverrà in sede di accesso al
credito bancario e di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche
amministrazioni. Il rischio, secondo i costruttori edili, è che il rating
diventi un requisito minimo per l’accesso al credito, finendo per
rappresentare, in tal modo, l’ennesimo adempimento obbligatorio e perdendo,
così, il carattere premiale che lo dovrebbe caratterizzare secondo le
intenzioni iniziali del legislatore.
Secondo l'Ance la formulazione attuale del rating di legalità è
eccessivamente generica e incompleta e rischia, quindi, di trasformarsi in
un’ulteriore inutile procedura burocratica, che non sarà in grado di garantire
alcun contrasto alla criminalità e che finirà per imporre altri oneri e
adempimenti alle imprese, già sfinite dalla crisi.
Per quanto riguarda i requisiti, all’art.2, comma 2, lettera f)
l'Associazione ritiene opportuno che il requisito necessario ai fini
dell’attribuzione del rating di legalità per cui l’impresa non deve aver subito
provvedimenti definitivi per mancato rispetto delle norme a tutela della salute
e della sicurezza nei luoghi di lavoro si applichi solo in caso di gravi e
reiterate violazioni, come definite allegato I del Testo Unico sulla Sicurezza
(D.Lgs 81/2008).
L'Ance inoltre esprime contrarietà rispetto alla possibilità di prevedere
il rilascio del rating di legalità alle imprese confiscate e reinserite
nell’attività produttiva, evidenziando il rischio che ciò possa determinare
un’alterazione del mercato proprio a vantaggio di quelle imprese che hanno
operato e proliferato grazie a comportamenti illeciti propri della criminalità
organizzata.
Sarebbe opportuno, invece, che il punteggio aggiuntivo ai fini del rating
di legalità venisse attribuito solo nel caso in cui la gestione fosse affidata
a un soggetto imprenditoriale privato, scelto mediante un confronto
concorrenziale pubblico.
Per quanto attiene al punto a) degli ulteriori requisiti, di cui all’art.
3, così come viene previsto un punteggio aggiuntivo ai fini del rating per le
imprese che rispettano i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal
Ministero dell’Interno e da Confindustria, è necessario garantire un’analoga
premialità alle imprese associate all’Ance in virtù dell’accordo sottoscritto
con Confindustria il 19 ottobre 2011.
Infine, poiché molti dei requisiti aggiuntivi (come l’iscrizione alle white
list o l’adesione a codici etici di autoregolamentazione) non coprono tutte le
attività economiche interessate al rating, è necessario secondo l'Ance
specificare che queste condizioni possano essere considerate solo laddove siano
operative e che, in caso contrario, l’impresa potrà comunque beneficiare di un
eventuale massimo punteggio.
Fonte: http://www.casaeclima.com/
Scritto da Andrea Ferrarini (Consulente Modelli Organizzativi ex d.lgs 231/2001)
cell. 3472728727 - andreaferrarini@inwind.it
PREAVVISO DURANTE IL LICENZIAMENTO E VOLONTA' DI NON LAVORARLO TUTTO
Quesito:
Un'azienda ha licenziato il proprio lavoratore, indicando sulla lettera
di licenziamento un periodo di preavviso inferiore a quello previsto dal CCNL: 60
gg invece di 90 gg. Il lavoratore “manda avanti” il sindacato il quale, invece,
pretende che questi 30 gg gli vengano riconosciuti, perchè altrimenti il centro
per l'impiego non gli riconosce la disoccupazione. Mi pare strana e incongrua questa
richiesta: se c'è un accordo - anche tacito - tra le parti a non lavorare il
preavviso, non capisco quale possa essere il problema! Cosa ne pensate?
Risposta:
Il lavoratore dice "se non godo del preavviso, non vado in
disoccupazione". Ora, io mi chiedo: il Lavoratore ha l'anzianità
sufficiente per andare in disoccupazione (oggi DS?)?
Questo rileva.
Anche perché
dalla soluzione del problema “disoccupazione” può derivare un alleggerimento
consistente in capo al Datore dei costi della possibile vertenza (che con l’ASPI
una parte del risarcimento sarebbe trasferito, sia pure virtualmente, in capo
all’INPS, Ente Assicuratore!).
Essenziale, allora, diventa capire se l'evento di interruzione del
rapporto è caduto prima o dopo il 1/1/2013, data di entrata in vigore
dell'ASpI.
Se versiamo in periodo ante-ASpi, allora, rinvio al Msg INPS 19273/2012
e al commento di PIANETA LAVORO E TRIBUTI (http://www.teleconsul.it/pianetalavoro/primo-piano.aspx?id=246591) e del Consiglio Nazionale dei Consulenti del
Lavoro (http://www.consulentidellavoro.it/browse.php?mod=article&opt=view&id=11914). Il msg INPS, in recepimento di Cass.
29237/2011, ha precisato che la decorrenza dell’indennità di disoccupazione e
dell’indennità di mobilità, subirà il differimento, ex art. 73 r.d.l. 4 ottobre
1935 n. 1827 (siamo prima dell'ASpI!), all’ottavo giorno successivo alla data
finale del periodo corrispondente all’indennità di mancato preavviso
ragguagliata a giornate solo nei casi in cui detta indennità sia stata
effettivamente corrisposta dal datore di lavoro (Cass. n. 3836/2012). Nei casi,
invece, in cui essa non sia stata corrisposta anche a seguito di rinuncia, la
decorrenza delle predette indennità farà riferimento ai normali meccanismi
legati alla data di cessazione del rapporto di lavoro e di presentazione della
domanda di prestazione.
La rinuncia può essere tacita ... Si pone allora un problema di prova,
su cui in questa sede non posso entrare nel merito.
E dopo l'ASPI?
Ora, la Circolare INPS 142/2012 http://www.inps.it/bussola/visualizzadoc.aspx?svirtualurl=%2Fcircolari%2Fcircolare%20numero%20142%20del%2018-12-2012.htm), ai fini dell'ASpI, pare segnare una
"Marcia indietro". La Monti-Fornero differisce alla conclusione del
"periodo di preavviso" (non si parla di "pagamento
dell'indennità") il periodo di decorrenza per presentare la domanda di
trattamento.
Sul punto, dovranno uscire chiarimenti.
Una cosa pare sicura: la Monti-Fornero non ha innovato nulla
sull'indennità di mancato preavviso e dintorni; pertanto, resta ferma
l'indicazione giurisprudenziale e INPS che ne aveva riconosciuto la
disponibilità e la rinunci abilità del preavviso, anche tacita.
Resta evidentemente lo stesso problema di prova…
Piccolo CAVEAT: il tema della “rinunciabilità” del preavviso, sostenuta dall’INPS, lascia a mio giudizio impregiudicata la
possibile controversia sull’attrazione di questa “rinuncia” tra gli atti impugabili
dal Lavoratore ex. art. 2113 del Codice Civile alla cessazione del rapporto. A
mio modesto avviso, però, l’INPS non ha “detto la sua” su questa complessa
questione giurisprudenziale. L’indicazione INPS va letta come indicazione di “razionalità
economica” data agli stretti fini dell’ “indennizzabilità” della disoccupazione.
Ed è evidente che tale indicazione va tenuta presente da un Lavoratore
dipendente che voglia valutare “in buona fede” la convenienza di aprire o meno
una vertenza successiva al licenziamento.
Spero di non aver fatto confusione.
Dr. Giorgio Frabetti-Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara
PARAMETRI FORENSI, LA BOCCIATURA DEL CONSIGLIO DI STATO
AVVERTENZA: Data l'attualità dell'argomento, si coglie l'occasione di riepilogare lo "stato dell'arte" intorno alla controversa questione dei "parametri forensi" oggetto dei provvedimenti di "liberalizzazione" ex DL 01/2012, oggetto di un complesso "tira e molla" tra Ministero della Giustizia e Consiglio di Stato. Questo uno stralcio del commento di ANDREA BULGARELLI (Altalex) all'ultima versione del dm che recepisce le osservazioni del Consiglio di Stato.
(...)
(...)
Lo
schema di regolamentino modificativo si compone di tre articoli e due allegati:
l’art. 1 contiene le modifiche al D.M.
n. 140/2012; l’art. 2 richiama gli allegati che modificano le
tabelle A e B relative agli avvocati, del citato decreto; l’art. 3 prevede una
clausola sulla sua entrata in vigore.
La
proposta modifica delle spese forfetarie (generali)
La
prima modifica proposta col decretino riguarda l'art. 1, comma 2, del D.M.
140/2012 in
materia di spese, attraverso la previsione che al compenso sia aggiunto un
importo per quelle c.d. “spese forfettarie” che il professionista
“inevitabilmente sopporta ma che, per la natura delle stesse, non può
documentare o comunque provare precisamente (secondo la relazione, si tratta,
tipicamente, delle spese relative alla gestione complessiva dello studio
professionale)”.
Si
tratta delle vecchie spese generali ex artt. 14 tabella A, 8 tabella B, 12
tabella C dell’abrogata tariffa (D.M.
127/2004).
Per
tale voce sarebbe stato previsto dal Ministero un incremento del compenso
liquidato, in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento.
Da
notare che la modifica riguarderebbe tutte le professioni, come risulta anche
dalla sua collocazione sistematica, e non solo l’avvocatura.
Secondo
il Consiglio di Stato la modifica proposta cozzerebbe col concetto di compenso
omnicomprensivo previsto dall’art. 9, comma 4 penultimo periodo, del D.L.
1/2012 in base al quale la misura del compenso deve essere:
“pattuita
indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di
spese, oneri e contributi”.
Il
Consiglio di Stato, benché rimasto sul punto inascoltato dal Ministero, aveva
già suggerito, nell’ambito della sua funzione consultiva, di modificare il
comma 2 dell’art. 1 del D.M.
140/12nel senso che il compenso è unitario e omnicomprensivo e
comprende anche le spese, ferma restando la possibilità di indicarle in modo
distinto come componente del compenso stesso.
Tenuto
conto dell’indicato principio di onnicomprensività del compenso anche nel nuovo
parere sul decretino viene mantenuto fermo tale punto di vista.
Non
viene, infatti, ritenuto coerente con la richiamata norma primaria:
“introdurre
il rimborso delle spese forfettarie, che si aggiungono a quelle documentate,
considerato anche che le spese relative alla gestione complessiva dello studio
professionale, richiamate dall’Amministrazione nella relazione, devono
ritenersi già incluse nel compenso e prese in considerazione ai fini della
liquidazione dello stesso”.
Vieppiù
in quanto la segnalata criticità si aggraverebbe:
“con
la proposta modifica, introducendo un livello di spese forfettarie in misura
peraltro rilevante (di regola, tra il 10 e il 20 % del corrispettivo)”.
La
proposta modifica del compenso per l’attività stragiudiziale
Per
l'attività stragiudiziale degli avvocati il decretino prevedrebbe due
modifiche.
La
prima stabilisce che il compenso possa essere quantificato in una percentuale
calcolata tra il 5 e il 20% del valore dell'affare, mentre ora, come noto, il D.M.
140/2012 stabilisce
all’art. 3, commi 1 e 2, che si debba genericamente tener conto:
“del
valore e della natura dell'affare, del numero e dell'importanza delle questioni
trattate, del pregio dell'opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche
non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione
e delle ore complessive impiegate per la prestazione, valutate anche secondo il
valore di mercato attribuito alle stesse”.
Secondo
il Ministero la modifica proposta consentirebbe di evitare il ricorso al
criterio del compenso orario, che non sarebbe risultato ancorabile (che gran
scoperta! bastava rifletterci prima) a un parametro di riferimento
sufficientemente certo in sede di vaglio giudiziale.
A
tale proposta il Consiglio di Stato pur condividendo la ratio della modifica, oppone l’esigenza di
non prevedere un minimo per il compenso, ma solo una misura massima, rilevando
tuttavia come quella proposta appaia elevata.
La
seconda modifica, che interesserebbe l'attività stragiudiziale, riguarda la
mediazione di cui al decreto legislativo 28/2010 (proprio ora che quella
obbligatoria è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza 272/2012!).
Grazie
al decreto correttivo il compenso potrebbe infatti essere aumentato fino ad un
terzo in favore dell'avvocato che assista una parte nel relativo procedimento.
A
prescindere dall’esito dunque, mentre ora il comma 3 dell’art. 3 si limita a
prevedere che:
“Quando
l'affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40
per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile a norma dei commi che
precedono”.
e la
maggiorazione è dunque attualmente ancorata al “successo” del tentativo di
mediazione.
Secondo
il Ministero la modifica proposta avrebbe la finalità di incentivare in modo
significativo il ricorso assistito alla procedura di mediazione e, quindi, in
un'ottica deflattiva, di ridurre l'instaurazione di procedimenti davanti
all'organo giurisdizionale.
Il
Consiglio di Stato nel suo parere obietta giustamente che sarebbe allora
preferibile non far conseguire l’aumento del compenso solo in ragione
dell’assistenza nel procedimento di mediazione, ma di farlo derivare dall’esito
positivo del procedimento e dal contenuto dell’attività svolta dall’avvocato al
fine di favorirlo (specie, se si vuole incentivare la finalità deflativa
dell’istituto). Ciò al fine di premiare non l’assistenza ad una qualsiasi
attività di mediazione, ma l’ausilio ad una mediazione coronata da buon esito,
o comunque svolta dal professionista con proposte idonee a favorire il buon
esito.
Il
Consiglio suggerisce poi addirittura una sorte di penalizzazione per l’avvocato
(sotto forma di diminuzione del compenso) in caso di assistenza nel
procedimento di mediazione non rispondente a tali principi, anche ad es. con
riguardo alla mancata accettazione di proposte, poi risultate coerenti con
l’esito del giudizio.
La
proposta introduzione della fase di studio per la fase esecutiva
Il
Consiglio esprime parere negativo in ordine all’introduzione, nel settore
civile, della voce “studio” per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare
con valori corrispondenti al 35-50 per cento degli importi previsti nel D.M.
140/12.
Viene
infatti sostenuto che siccome la fase esecutiva deve essere vista come un
completamento per la realizzazione del bene della vita perseguito nel settore
civile, amministrativo (comprensivo del contenzioso contabile) e tributario, e
quale segmento terminale nel penale non vi sarebbe alcuna ragione per inserire
all’interno di tale (unica) fase una voce “studio” che finirebbe per costituire
una duplicazione della fase di studio già prevista con dignità autonoma.
È
noto infatti che tra le varie fasi dell'attività giudiziale civile,
amministrativa e tributaria previste dall’art. 4 del D.M.
140/2012, prima di quelle d’introduzione del procedimento,
istruttoria, decisoria ed esecutiva, vi sia quella di studio della
controversia.
Le
proposte di modifica dei compensi per decreti ingiuntivi e precetti
Il
Consiglio di Stato boccia l’incremento (in misura oscillante tra il 30% e il
50%, in modo logicamente regressivo) – proposto dal Ministero onde riferire
anche a tali attività la componente di “studio” – dei valori “parametrici”
previsti per il procedimento di ingiunzione e per il precetto.
Sostiene
infatti, senza troppo motivare, che non vi siano le dedotte ragioni per
aumentare i parametri numerici dei compensi per l’ingiunzione monitoria e per
il precetto.
E
dire che quanto ai precetti fin da subito era apparsa evidente l’assoluta
inadeguatezza e iniquità degli importi previsti unita alla difficoltà di
valorizzare in precetto alcune attività (richiesta copia titolo esecutivo,
ritiro detto, ecc…) il cui compenso era stato dal contestato D.M. incluso solo
nella (eventuale) fase esecutiva…
Le
proposte di modifica condivise per l’attività giudiziale civile
Il
Consiglio di Stato ha invece espresso parere favorevole ad alcune delle
proposte di modifiche del decreto parametri.
La
prima è quella avente ad oggetto la previsione di un aumento fino al triplo (in
sostituzione dell’attuale doppio) del compenso spettante all'avvocato che
difenda più persone con la medesima posizione processuale al fine di evitare
l'incentivazione dell’instaurazione di più giudizi aventi identici petita e causae
petendi per conseguire un
maggior compenso sommando la liquidazione prevista per ciascun procedimento.
La
seconda consiste nella “restaurazione” della differenza (difficilmente
comprensibile) tra la difesa in ambito civile e quella ambito penale introdotta
dal DPR n. 115/2002 (dove i compensi per la difesa nel procedimento civile dei
soggetti sopra citati sono ridotti alla metà) in un'asserita ottica di
“recupero della funzione sociale dello Stato, che si fa carico per intero di
delicate difese di soggetti con insufficienti mezzi economici”.
In
pratica viene approvata la proposta soppressione della possibile riduzione a
metà del compenso (prevista dall'articolo 9 del D.M.
n. 140/2012 -
cause per l'indennizzo da irragionevole durata del processo e patrocinio a
spese dello Stato) spettante all'avvocato che presti la sua assistenza nel
procedimento penale in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello
Stato nonché a soggetti a questi equiparati dal DPR n. 115/2002.
La
terza proposta di modifica viene approvata benchè se ne suggerisca una
modifica. Il nuovo comma 6 bis dell’art. 4 del D.M. disciplina la così detta
“soccombenza qualificata” che prevede un significativo aumento del compenso
liquidato a carico della parte soccombente quando le difese della parte
vittoriosa siano risultate manifestamente fondate con lo scopo, non solo di
scoraggiare pretestuose resistenze processuali, ma di premiare anche l'abilità
tecnica dell'avvocato che sia riuscito a far emergere che la prestazione del
suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese
avversarie.
Secondo
il Consiglio di Stato tale previsione dovrà trovare applicazione in tutti i
giudizi e non appare opportuno limitarla (come proposto dal Ministero) solo a
quelli non contumaciali.
La
quarta proposta concerne la soppressione del comma 9, dell’art. 1, del D.M.
n. 140/2012, che richiamava l'applicazione dei criteri generali
di cui all'art. 4, commi da 2 a 5, per la determinazione del compenso nelle
controversie il cui valore supera euro 1.500.000 e l’introduzione di due
ulteriori scaglioni: uno da euro 1.500.001 a euro 5.000.000, l'altro oltre euro
5.000.000.
Il
Consiglio di Stato, pur concordando che la modifica rende più obiettivi i
parametri di liquidazione dei compensi nelle controversie il cui valore supera
euro 1.500.000, suggerisce di contenere nel quantum i parametri per i due nuovi scaglioni
in ragione “delle esigenze di contenere la misura dei parametri di
liquidazione”, già segnalate nel precedente parere allo schema del D.M.
140/2012, e poste in relazione alla crisi finanziaria in atto nel Paese.
In
pratica gli avvocati dovrebbero essere chiamati a far la loro parte di
sacrifici in nome della crisi… si sconosce, tuttavia, il fondamento giuridico e
comunque logico di una tale valutazione.
Le
proposte di modifica condivise per l’attività giudiziale penale
Anche
per l’attività giudiziale penale il Consiglio di Stato approva alcune proposte
di modifica.
La
prima ad essere valutata positivamente è quella che consiste nella soppressione
della possibilità di riduzione alla metà del compenso dell'avvocato che assista
d'ufficio nei giudizi penali un minorenne (art. 12 comma 5 D.M. 140/12). Si ritiene
infatti che ciò consenta di evitare che la difesa di soggetti deboli sia
considerata di minore dignità, determini un minor impegno e non le sia
attribuito quel riconoscimento che le è invece dovuto per la delicatezza
dell’incarico.
La
seconda è quella avente ad oggetto l’aggiunta alle altre di una nuova fase:
quella dell’investigazione.
E
ciò in quanto tale nuova autonoma fase valorizzerebbe:
“un’attività
particolarmente impegnativa e delicata, come quella investigativa appunto, che
è stata introdotta al fine di porre su un piano paritario accusa e difesa nel
giudizio penale”.
Osservazioni
finali
Gli
articoli 13, comma 6 e 1, comma 3 della L. 31 dicembre 2012, n. 247 (nuova
disciplina dell’ordinamento della professione forense) prevedono che entro due
anni dalla sua entrata in vigore (ed in seguito a cadenza biennale), con
decreto del Ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale
forense, dovranno essere approvati per gli avvocati dei nuovi parametri per la
determinazione dei loro compensi.
L'odioso
decreto parametri (fortunatamente) a prescindere dall’esito che avrà il
decretino correttivo in commento è quindi destinato ad essere superato da un
nuovo regolamento dei compensi professionali caratterizzato da un diverso
procedimento d’adozione (consultazione del CNF).
I
compensi degli avvocati torneranno, tra l’altro, ad essere regolamentati con un
decreto ad hoc a differenza di quanto oggi previsto
col vituperato D.M.
140/12 che è norma
“condivisa” con altri professionisti liberali.
A
tal fine prevede il comma 7 della nuova legge professionale forense che tra gli
specifici criteri che devono guidare la formulazione dei nuovi parametri vi
siano la trasparenza, l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei
compensi dovuti per le prestazioni professionali.
In
attesa che il nostro CNF si faccia promotore dell’approvazione dei nuovi
parametri per la determinazione del compenso degli avvocati ci auguriamo che ci
si ricordi di aggiungere a tali criteri anche quello dell’adeguatezza della
determinanda retribuzione all’importanza dell’incarico e al decoro della
professione (art. 2233 c.c.).
Non
paiono affatto valori superati, vieppiù in un’ottica di effettiva tutela del
valore costituzionale del ruolo svolto dall’avvocatura (artt. 2, 3, 24-28, 111
Cost.) che non può e non deve più tollerare attacchi basati su infondate
esigenze di liberalizzazione e rilancio dell’economia che paiono costituire
meri e vuoti alibi per introdurre norme penalizzanti per un’intera categoria a
vantaggio dei soliti noti...che peraltro non ne hanno affatto bisogno.
(Altalex,
23 gennaio 2013. Nota di Andrea Bulgarelli, vai al link: http://www.altalex.com/index.php?idnot=61231&goback=%2Egmr_2526148)
ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO EX. ART. 445-BIS CPC: LA MANCATA INDICAZIONE DEL VALORE PROVOCA L'INAMMISSIBILITA' DEL RICORSO
AVVERTENZA: Pubblichiamo volentieri un contributo dell'Avv. Michele Iapicca (Cosenza), relativo ad uno dei diversi problemi applicativi del nuovo procedimento ex. art. 445-bis CPC ("accertamento tecnico preventivo") in materia di trattamenti di invalidità.
Per come noto,
il Decreto Legge del 6/7/11 n. 98, convertito con modificazioni con la L.
111/11, all’art. 38 comma I lettera b) n. 1 stabilisce:
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
“Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
“Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Pare proprio che questa modifica, sia stata presa ‘alla lettera’ (dura
lex, sed lex) dai Magistrati di quasi tutte le sezioni Lavoro-Previdenza ed
Assistenza che, per i ricorsi privi del detto requisito, depositati dal 7/7/11
in poi, sono concordi nell’applicare (D’UFFICIO) la sanzione della
INAMMISSIBILITA’ del ricorso, sanzione che rischia di produrre effetti
preclusivi per i diritti del cittadino ricorrente (es. decadenza).
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini dell’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini dell’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
In attesa che qualcuno sollevi la rilevanza costituzionale della
ingiusta preclusione, ovvero che il legislatore intervenga a sostegno del
cittadino, tutti noi ‘operatori del diritto’ siamo pregati di osservare
scrupolosamente le linee guida che ci vengono indicate.
Per come noto,
il Decreto Legge del 6/7/11 n. 98, convertito con modificazioni con la L.
111/11, all’art. 38 comma I lettera b) n. 1 stabilisce:
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
“Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 445 è inserito il seguente:
“Art. 445-bis (Accertamento tecnico preventivo obbligatorio).
Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile., presso il Tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
Le sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma precedente sono inappellabili.”
Più importante è, però, la SUBDOLA modifica introdotta sempre dalla stessa Legge, medesimo articolo, al comma I, lettera b) n. 2 che all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunge il seguente periodo: «A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso,formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Pare proprio che questa modifica, sia stata presa ‘alla lettera’ (dura
lex, sed lex) dai Magistrati di quasi tutte le sezioni Lavoro-Previdenza ed
Assistenza che, per i ricorsi privi del detto requisito, depositati dal 7/7/11
in poi, sono concordi nell’applicare (D’UFFICIO) la sanzione della
INAMMISSIBILITA’ del ricorso, sanzione che rischia di produrre effetti
preclusivi per i diritti del cittadino ricorrente (es. decadenza).
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini dell’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
Alcuni Tribunali, al fine di evitare questi effetti preclusivi, per tempo, hanno pubblicato linee guida da seguire ‘alla lettera’.
Un esempio è il Tribunale di Rieti http://www.tribunale.rieti.giustizia.it/articoli.php?id_articolo=154 che, proprio nell’intento di ridurre il più possibile le incertezze applicative del nuovo procedimento, almeno nella fase iniziale, suggerisce il contenuto minimo che il ricorso ex art. 445 bis cpc deve contenere:
a) a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 414 n. 3 e dell’art. 164, quarto comma, c.p.c., l’indicazione specifica della prestazione assistenziale richiesta;
b) a pena di inammissibilità, l’indicazione delle fasi del pregresso procedimento amministrativo, compresa la provvidenza inizialmente richiesta e l’esito del procedimento;
c) la dichiarazione sostitutiva relativa al requisito reddituale, ai fini dell’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza (art. 152 disp. att. c.p.c.);
d) a pena di inammissibilità – ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ultimo periodo, introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. b), n. 2), d. l. 5 luglio 2011, n. 98, convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111 – la dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio.
In attesa che qualcuno sollevi la rilevanza costituzionale della
ingiusta preclusione, ovvero che il legislatore intervenga a sostegno del
cittadino, tutti noi ‘operatori del diritto’ siamo pregati di osservare
scrupolosamente le linee guida che ci vengono indicate.
martedì 29 gennaio 2013
IL "LAVORO ACCESSORIO" NELLE COOPERATIVE SOCIALI
Caso:
Sono un'Impiegata di un'Associazione di Categoria che seguo una Cooperativa Sociale ONLUS di tipo A, che gestisce varie attività (anche di ristorazione etc.).
Il Presidente della Cooperativa mi ha chiesto di attivare un voucher per instaurare un rapporto di lavoro accessorio con un soggetto "problematico", per adibirlo a mansioni di Cameriere nella Pizzeria gestita dalla Cooperativa.
Mi chiedo se in questo caso la Cooperativa non possa considerarsi, ai fini dei limiti dei voucher "Impresa" e, quindi, tenuta a rispettare il vincolo degli € 2.000.
Cosa sa dirmi al riguardo?
Risposta:
Il caso da Lei esaminato è stato del tutto ignorato dalla recente Circolare Min. Lav. 04/2013.
A mio modesto giudizio, non è possibile stabilire, normativa attuale alla mano, che le Cooperative Sociali siano "in assoluto" qualificabili come Imprese o no, in relazione alla disciplina del lavoro accessorio.
L'impressione è che la parola "Impresa" nel corpo della Monti-Fornero sia una "nozione propria", dettata da una specifica intentio anti-elusiva della normativa lavoristica e non sovrapponibile con le consuete categorie commercialistiche e fiscali consuete.
Se si scorrono, infatti, sia la Circolare 18/2012, sia la Circolare 04/2013 del Ministero del Lavoro, l'elemento qualificante dell'espressione "Impresa" nella Monti-Fornero è assunto nella "proiezione dell'attività economica al mercato": proiezione che, di per sè, parrebbe ritagliata sia nel caso in cui l'attività economica sia organizzata e preordinata a produrre lucro oggettivo e soggettivo, sia solo lucro oggettivo, come nel caso della Cooperativa Sociale, che svolga ad esempio attività di ristorazione, come nel Suo caso.
A questa conclusione, a mio avviso (la più prudente, anche se dovranno intervenire chiarimenti da parte del Ministero), si arriva considerando la finalità specificamente "anti-elusiva" del nuovo limite degli € 2.000 dettato per le Imprese che, in relazione ai nuovi limiti orari-giornalieri dei voucher, vanno concepiti nei termini di ancorare l'uso dei voucher a "valori-ora-lavorata" davvero marginali. Limiti che postulano un regime di maggior rigore per l'uso dei voucher nelle Imprese, in conformità alle finalità conclamatamente antielusive della normativa, riprese dalla stessa Circolare (che richiama la necessità che il voucher non si presti ad operazione di "destrutturazione" dei processi produttivi e della forza lavoro).
Al momento, questa è l'interpretazione più prudente.
Attendiamo chiarimenti dal Ministero.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara, Consulenza del Lavoro
Pagina FB:
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts
Sono un'Impiegata di un'Associazione di Categoria che seguo una Cooperativa Sociale ONLUS di tipo A, che gestisce varie attività (anche di ristorazione etc.).
Il Presidente della Cooperativa mi ha chiesto di attivare un voucher per instaurare un rapporto di lavoro accessorio con un soggetto "problematico", per adibirlo a mansioni di Cameriere nella Pizzeria gestita dalla Cooperativa.
Mi chiedo se in questo caso la Cooperativa non possa considerarsi, ai fini dei limiti dei voucher "Impresa" e, quindi, tenuta a rispettare il vincolo degli € 2.000.
Cosa sa dirmi al riguardo?
Risposta:
Il caso da Lei esaminato è stato del tutto ignorato dalla recente Circolare Min. Lav. 04/2013.
A mio modesto giudizio, non è possibile stabilire, normativa attuale alla mano, che le Cooperative Sociali siano "in assoluto" qualificabili come Imprese o no, in relazione alla disciplina del lavoro accessorio.
L'impressione è che la parola "Impresa" nel corpo della Monti-Fornero sia una "nozione propria", dettata da una specifica intentio anti-elusiva della normativa lavoristica e non sovrapponibile con le consuete categorie commercialistiche e fiscali consuete.
Se si scorrono, infatti, sia la Circolare 18/2012, sia la Circolare 04/2013 del Ministero del Lavoro, l'elemento qualificante dell'espressione "Impresa" nella Monti-Fornero è assunto nella "proiezione dell'attività economica al mercato": proiezione che, di per sè, parrebbe ritagliata sia nel caso in cui l'attività economica sia organizzata e preordinata a produrre lucro oggettivo e soggettivo, sia solo lucro oggettivo, come nel caso della Cooperativa Sociale, che svolga ad esempio attività di ristorazione, come nel Suo caso.
A questa conclusione, a mio avviso (la più prudente, anche se dovranno intervenire chiarimenti da parte del Ministero), si arriva considerando la finalità specificamente "anti-elusiva" del nuovo limite degli € 2.000 dettato per le Imprese che, in relazione ai nuovi limiti orari-giornalieri dei voucher, vanno concepiti nei termini di ancorare l'uso dei voucher a "valori-ora-lavorata" davvero marginali. Limiti che postulano un regime di maggior rigore per l'uso dei voucher nelle Imprese, in conformità alle finalità conclamatamente antielusive della normativa, riprese dalla stessa Circolare (che richiama la necessità che il voucher non si presti ad operazione di "destrutturazione" dei processi produttivi e della forza lavoro).
Al momento, questa è l'interpretazione più prudente.
Attendiamo chiarimenti dal Ministero.
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara, Consulenza del Lavoro
Pagina FB:
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts
LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO: IL VOUCHER LAVORATO PRIMA DEL 18/07/2012
Quesito:
Sono un Consulente del Lavoro, cui sopravviene un dubbio.
In data 01/03/2012, ho acquistato "voucher" per una Badante per € 2.000. Adesso me la Committente me ne chiede un altro per impiegare la stessa lavoratrice come "accessoria".
Secondo le nuove regole, che fissano nell' "anno solare" il periodo di computo dei nuovi limiti economici per "lavoro accessorio" ex. art. 70 ss. D.lgs. 276/2003, dovrei conteggiare il limite nel periodo 01/03/2012-01/03/2013?
Risposta:
Il quesito da Lei posto attiene ad un'ipotesi controversa, per la quale ho chiesto personalmente specifici chiarimenti.
Per il momento, il conteggio da Lei ipotizzato parrebbe il più ortodosso, considerando la lettera della legge, che parla di "anno solare" e considerando il periodo transitorio di utilizzo di voucher, come disciplinato dall'art. 01.33°comma l. 92/2012, che riferisce l'applicazione (residuale) della "normativa previgente" solo ai voucher già acquistati al 18/07/2012 e non considera il caso da Lei citato.
Caso, per il quale l'indicazione della legge è l' "anno solare", capace di coinvolgere nel conteggio anche periodi precedenti la Monti-Fornero.
Ma sul punto, La terrò aggiornato in relazione ai chiarimenti che sto assumendo nelle sedi competenti.
Buona giornata
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Pagina FB:
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts
Sono un Consulente del Lavoro, cui sopravviene un dubbio.
In data 01/03/2012, ho acquistato "voucher" per una Badante per € 2.000. Adesso me la Committente me ne chiede un altro per impiegare la stessa lavoratrice come "accessoria".
Secondo le nuove regole, che fissano nell' "anno solare" il periodo di computo dei nuovi limiti economici per "lavoro accessorio" ex. art. 70 ss. D.lgs. 276/2003, dovrei conteggiare il limite nel periodo 01/03/2012-01/03/2013?
Risposta:
Il quesito da Lei posto attiene ad un'ipotesi controversa, per la quale ho chiesto personalmente specifici chiarimenti.
Per il momento, il conteggio da Lei ipotizzato parrebbe il più ortodosso, considerando la lettera della legge, che parla di "anno solare" e considerando il periodo transitorio di utilizzo di voucher, come disciplinato dall'art. 01.33°comma l. 92/2012, che riferisce l'applicazione (residuale) della "normativa previgente" solo ai voucher già acquistati al 18/07/2012 e non considera il caso da Lei citato.
Caso, per il quale l'indicazione della legge è l' "anno solare", capace di coinvolgere nel conteggio anche periodi precedenti la Monti-Fornero.
Ma sul punto, La terrò aggiornato in relazione ai chiarimenti che sto assumendo nelle sedi competenti.
Buona giornata
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Pagina FB:
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts
LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO: COME SI CONTEGGIA
Quesito:
Buon giorno.
Ho attivato al 01/08/2012 un voucher di € 2.000 per prestare assistenza ad un'anziana. Adesso, ho ricevuto una seconda proposta per prestare lo stesso servizio con la stessa forma del "lavoro accessorio" per altri € 2.000? Sono in regola con le nuove disposizioni sul "lavoro accessorio"?
Risposta:
La l. 92/2012 (Monti-Fornero) ha previsto un nuovo limite economico di € 5.000 (rivalutato ISTAT, lordo, senza ritenute fiscali) riferito all'anno solare.
Stando alla Circolare 04/2013 del Ministero del Lavoro, l'espressione "anno solare" starebbe ad indicare un "termine mobile" riferito non alla cadenza gennaio-febbraio ma alla cadenza mese-mese.
Nel Suo caso, l'anno solare comprende il periodo 01/08/2012-31/07/2013.
Pertanto, entro questo periodo, Lei dovrà restare nei limiti economici complessivi (tra vari Committenti) di € 5.000 (e € 2.000 per Committente, fino a concorrenza degli € 5.000).
Buona giornata
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara
Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts
Buon giorno.
Ho attivato al 01/08/2012 un voucher di € 2.000 per prestare assistenza ad un'anziana. Adesso, ho ricevuto una seconda proposta per prestare lo stesso servizio con la stessa forma del "lavoro accessorio" per altri € 2.000? Sono in regola con le nuove disposizioni sul "lavoro accessorio"?
Risposta:
La l. 92/2012 (Monti-Fornero) ha previsto un nuovo limite economico di € 5.000 (rivalutato ISTAT, lordo, senza ritenute fiscali) riferito all'anno solare.
Stando alla Circolare 04/2013 del Ministero del Lavoro, l'espressione "anno solare" starebbe ad indicare un "termine mobile" riferito non alla cadenza gennaio-febbraio ma alla cadenza mese-mese.
Nel Suo caso, l'anno solare comprende il periodo 01/08/2012-31/07/2013.
Pertanto, entro questo periodo, Lei dovrà restare nei limiti economici complessivi (tra vari Committenti) di € 5.000 (e € 2.000 per Committente, fino a concorrenza degli € 5.000).
Buona giornata
Dr. Giorgio Frabetti, Ferrara
Collaboratore Studio Francesco Landi, Ferrara
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venerdì 25 gennaio 2013
IL LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO E LA "MANLEVA" DEL COMMITTENTE
La legge 92/2012 ha previsto stringenti regole e oneri burocratici in capo ai Committenti (Aziende, Professionisti, Privati) che intendessero assumere personale con il contratto di lavoro accessorio.
Nuovi limiti economici, ossia € 5.000 "lordi" nell'anno solare complessivamente tra tutti i Committenti e un non ancora ben precisato limite di € 2.000 (a concorrenza degli € 5.000) per gli "Imprenditori Commerciali" e i "Professionisti".
La Circolare 04/2013 raccomanda ai Committenti di gestire queste evenienze (evidentemente fuori dalla loro portata) con "dichiarazioni di manleva", ossia dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà con le quali il "lavoratore accessorio" si impegni a dichiarare la sua conformità alle nuove regole e conseguentemente a "manlevare" il Committente.
Una disposizione che comunque suscita dubbi e perplessità, in considerazione del fatto che, manleva o non manleva, il Committente corre comunque il rischio di vedersi trasformato il voucherista in lavoratore Dipendente.
Qui di seguito si raccomanda di accompagnare la Dichiarazione di manleva del Voucherista, con un altro atto: una Dichiarazione con la quale il Committente esige dal Voucherista (e conseguentemente lo impegna) ad informarsi sulla normativa e a garantire la massima conformità; e contemporaneamente, si assevera la chiara esclusione delle Parti alla conclusione di un lavoro subordinato.
Non è moltissimo, perchè, come sappiamo, ci sono mansioni (tipo Cameriere etc.) dove comunque il voucherista è a altro rischio di trasformazione.
Ma è comunque una traccia utile e trasparente di lavoro, che si ritiene di sottoporre all'attenzione (e alle eventuali critiche) della Comunità Web.
ATTO 1: DICHIARAZIONE COMMITTENTE
ATTO 2: IL VOUCHERISTA "MANLEVA" IL COMMITTENTE
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?ref=ts&fref=ts
Nuovi limiti economici, ossia € 5.000 "lordi" nell'anno solare complessivamente tra tutti i Committenti e un non ancora ben precisato limite di € 2.000 (a concorrenza degli € 5.000) per gli "Imprenditori Commerciali" e i "Professionisti".
La Circolare 04/2013 raccomanda ai Committenti di gestire queste evenienze (evidentemente fuori dalla loro portata) con "dichiarazioni di manleva", ossia dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà con le quali il "lavoratore accessorio" si impegni a dichiarare la sua conformità alle nuove regole e conseguentemente a "manlevare" il Committente.
Una disposizione che comunque suscita dubbi e perplessità, in considerazione del fatto che, manleva o non manleva, il Committente corre comunque il rischio di vedersi trasformato il voucherista in lavoratore Dipendente.
Qui di seguito si raccomanda di accompagnare la Dichiarazione di manleva del Voucherista, con un altro atto: una Dichiarazione con la quale il Committente esige dal Voucherista (e conseguentemente lo impegna) ad informarsi sulla normativa e a garantire la massima conformità; e contemporaneamente, si assevera la chiara esclusione delle Parti alla conclusione di un lavoro subordinato.
Non è moltissimo, perchè, come sappiamo, ci sono mansioni (tipo Cameriere etc.) dove comunque il voucherista è a altro rischio di trasformazione.
Ma è comunque una traccia utile e trasparente di lavoro, che si ritiene di sottoporre all'attenzione (e alle eventuali critiche) della Comunità Web.
ATTO 1: DICHIARAZIONE COMMITTENTE
COMMITTENTE
DATA
VOUCHERISTA
RACCOMANDATA A MANO
OGGETTO: Informativa lavoro
occasionale accessorio
La
presente accompagna breve nota per invitare la SV, in procinto di attivare con
lo Scrivente un “lavoro occasionale accessorio” nella forma del voucher ex. artt. 70 ss. D.lgs.
276/2003, come modificati dalla legge 92/2012, a chiarire la propria personale
posizione, in rapporto ai nuovi limiti legali di attivazione del suddetto
rapporto.
Come
Lei ben sa, a far data dal 18/07/2012,
sono mutati i limiti economici e di Committenza ai fini dell’ attivazione dell’
istituto: il suddetto “lavoro occasionale accessorio”, infatti, in forza delle
nuove disposizione, può essere prestato fino al limite massimo di lordi € 5.000 (cinquemila/00), con
rivalutazione annuale ISTAT, in riferimento all’anno solare (periodo mobile:
es. 01/08/2012-31/07/2013) e alla totalità dei Suoi Committenti. Ovvero, i
medesimi compensi non dovranno essere superiori a lordi € 2.000 (duemila/00), con rivalutazione ISTAT, se la SV ha
attivato rapporti di lavoro accessorio con Imprenditori Commerciali o
Professionisti.
Viste
cioè le pesanti sanzioni previste dalla Circolare 04/2013 in caso di
trasgressione, che possono comportare a carico del Committente la costituzione
di un rapporto di lavoro subordinato, che comunque non era intenzione delle
parti accendere, dato il carattere pacificamente saltuario e sporadico del
rapporto, la SV è invitata ad asseverare, tramite apposita dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà, il rispetto dei suddetti requisiti e a
“manlevare” il Committente, in caso di errore o di dichiarazioni false.
Dalla
SV ci attendiamo, pertanto, massima informazione e consapevolezza delle nuove
regole; date le pesanti conseguenze sanzionatorie, siamo, infatti, costretti a
porre massimo affidamento nella Sua diligenza e capacità di informazione.
Si
invita la SV a sottoscrivere la presente in segno di ricevuta e conoscenza e a
sottoscrivere il modulo di dichiarazione sostitutiva di notorietà che si
allega, invitandola a prestare la massima attenzione ad ogni contenuto ivi
esposto.
Cordiali
saluti.
COMMITTENTE
VOUCHERISTA
Per ricevuta e
conoscenza
_______________________
ATTO 2: IL VOUCHERISTA "MANLEVA" IL COMMITTENTE
DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA ATTO DI
NOTORIETA’
Ai sensi dell’art. 47. comma 3 DPR 445/2000
Io Sottoscritto Sig. ____________
nato in _______ il _________ C. Fisc. _____________, residente a _________ in Via
_____ nr __;
In
qualità di Lavoratore Occasionale Accessorio del Sig. ________________ come da DNA INAIL etc. (ESTREMI)
Viste,
previa informativa del Committente, le nuove disposizioni sul “lavoro
occasionale accessorio” di cui alla l. 92/2012, come implementate dalla
Circolare del Ministero del Lavoro nr. 04/2013;
Consapevole
dei nuovi limiti economici lordi e di utilizzabilità dei voucher per “Lavoro occasionale accessorio”;
Avendo
ritenuto utile e opportuno documentare i necessari requisiti nella forma della
dichiarazione sostitutiva di notorietà ai sensi dell’art. 47 DPR 445/2000, onde
manlevare il Committente da conseguenze ispettive e sanzionatorie varie;
Consapevole
delle conseguenze amministrative e penalistiche, in caso di dichiarazione
mendace;
DICHIARO
QUANTO SEGUE
·
Di non essere
incorso nell’annualità _____ SPECIFICARE “ANNO SOLARE” (es. 01/08/2012-
31/07/2013) nei limiti economici lordo e di Committenza previsti
dalla legge, conformemente a informativa ricevuta dal Committente;
·
Di manlevare il
Committente da qualsivoglia conseguenza sanzionatoria e ispettiva, in caso di
errata asseverazione.
Ferrara,
lì, __________
Firma
______________
Ai sensi dell’art. 38
D.P.R. n. 445 del 28/12/2000 la dichiarazione è sottoscritta dall’interessato e
inviata al destinatario unitamente a copia fotostatica di un documento di
identità del sottoscrittore, a titolo di autentica, ai sensi delle vigenti
disposizioni di legge.
Informativa
ai sensi del d.lgs. 196/2003:
I
dati sopra riportati sono prescritti dalle disposizioni vigenti ai fini del
procedimento per il quale sono richiesti e verranno utilizzati esclusivamente
per tale scopo.
Francesco Landi,
Consulente del Lavoro, Ferrara
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