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lunedì 15 aprile 2013

IL LAVORO FAMILIARE, QUANDO SI PUO' RICORRERE CONTRO L'INPS


Quesito:
In qualità di Consulente del Lavoro, sto assistendo un Medico, che ha assunto formalmente dal 2007 in avanti il proprio figlio quale Lavoratore subordinato con la mansione di Impiegato Amministrativo-Addetto alla Segreteria. Da qualche mese, il Medico si sta separando dalla moglie, la quale, per ripicca, ha denunciato all'INPS il carattere subordinato del rapporto del figlio, pretendendo la restituzione di prestazioni indebite. Il Cliente mi ha chiesto di fare ricorso al Comitato Regionale ex. art. 17 D.lgs. 124/2004. Sul punto, avrei trovato utili spunti nell'articolo di SANTORO Guida al Lavoro 11/2013 (Qualificazione del rapporto e rilevanza della volontà delle parti) che obbligherebbero, nel caso di specie, l'Ente Previdenziale a confermare il lavoro subordinato, attesa la prevalenza che deve essere riconosciuta in sede di ispezione, alle dichiarazioni contrattuali adottate dalle Parti.
 
Risposta:
Il punto, a Ns. parere, da valorizzare ai fini di un ricorso è il rilievo della "vetustà" della normativa INPS (Circolare 179/1989) che presiede l'accertamento/qualificazione dei rapporti familiari.
In questo caso, nel disegno della citata Circolare del 1989, si prefigura un quadro in cui l'INPS sarebbe obbligata a disconoscere i rapporti di lavoro subordinato costituiti alle Dipendenze di Imprese Individuali-Società di Persone-Studi Professionali tra Datore di Lavoro e: Coniugi, Parenti entro il 02° grado, Affini entro il 02°. Nel disegno originario della Circolare INPS, il disconoscimento opera immediatamente, a prescindere da accessi ispettivi, salvo prova contraria del Datore di Lavoro.
Un simile assetto, però, è da ritenersi virtualmente abrogato dopo la sentenza nr. 115/1994, con la quale la Consulta ha chiaramente dichiarato non conforme agli artt. 24-35-36-111 Cost. qualunque normativa che stabilisca, in punto di qualificazione/accertamento dei rapporti, qualunque automatismo, specie se tali automatismi dovessero risolversi in una diminuzione di tutele del lavoro subordinato (ritenuto dalla Consulta il "rapporto principe").
E' evidente che il nomen juris-lavoro subordinato, ove adottato ufficialmente dalle parti, pur familiari nel loro rapporto, non può ritenersi disconoscibile con facilità, dopo un simile pronunciamento della Consulta.
Sulla base di questi principi, la Circolare INPS 179/1989 deve ritenersi, a Ns. modesto giudizio, superarata, almeno nella parte in cui, permettendo all'INPS di disconoscere a priori il rapporto (con modalità di accertamento semi-automatico), determina un grave sbilanciamento di tutele a scapito del lavoratore subordinato, certamente inammissibile (secondo i sopravvenuti orientamenti della Consulta), ove le parti del rapporto, pur familiari conviventi, abbiano provveduto a consolidare la loro collaborazione nella forma del lavoro subordinato.
A margine, però, e per completezza, è doveroso precisare che l'INPS può sempre disconoscere il lavoro subordinato, ove ne sia dimostrata la conclamata "abusività": è questo il caso della simulazione del rapporto. Ove, ad esempio, emergesse in modo conclamato o sufficientemente motivato la "simulazione" del rapporto (es. se dovesse risultare la sistematica presenza del Dipendente-Figlio negli orari contrattuali in occupazioni o location incompatibili con la presenza in Ambulatorio), lì il rapporto sarebbe evidentemente disconoscibile: non solo, in questo caso, la posizione del Datore di Lavoro si lascerebbe apprezzare sotto il profilo della "truffa" aggravata ex. art. 640bis Codice Penale, in quanto perpetrata ai danni dell'Istituto Previdenziale.

3 commenti:

  1. Leggo con vivo interesse. A tal proposito vorrei chiedere: la nostra giurisprudenza è altrettanto critica anche verso eventuali automatismi operanti in peius? La ringrazio per l'attenzione.

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  2. Se per "automatismi in pejus" intendi disconoscimenti da lavoro subordinato ad altro tipo di lavoro, per esempio autonomo-familiari, Ti rinvio a "Guida al Lavoro nr.11/2013" che commenta Cass. sez. lav. 07/02/2013 nr. 2931. La sentenza appartiene al filone che riconosce la preminente rilevanza del "nomen juris", ossia dell'auto-qualificazione del rapporto che le Parti abbiano dato in via contrattuale. Certo, una diversa qualificazione "effettuale", anche verso il "lavoro autonomo" resta possibile sulla carta. Ad esempio, nel caso trattato dalla sentenza, era stato messo in rilievo che l'enorme potere sulla cassa, la delega praticamente in bianco per la stipula dei contratti del familiare convivente, ne facevano un "dominus" assoluto, una condizione di per sè poco conciliabile con il lavoro subordinato. Quindi, su questa base un "disconoscimento" resta possibile: la Corte ha codificato il criterio della necessità che una diversa qualificazione contrattuale debba sempre conseguire ad un'effettiva istruttoria, e non corrispondere mai a meccanismi automatici. Nel "lavoro familiare" ciò è oltremodo complicato dalla ben nota "presunzione di gratuità" che caratterizza il rapporto (vedi Cass. 17992/2010 e Cass. 5632/2006) e che esige una specifica motivazione della subordinazione. Di massima, però, la presenza di un rapporto formalizzato nel senso del lavoro dipendente riduce molto i margini di contestazione. Saluti.

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  3. Fugato ogni dubbio. Grazie mille!

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