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martedì 13 novembre 2012

RISTRUTTURAZIONE DOPO CRISI AZIENDALE: L'AFFITTO DI AZIENDA E RIFLESSI SUL PERSONALE DIPENDENTE

Quesito:
Sono l'Amministratore di una Cooperativa con più di 15 Dipendenti in crisi. Ho deciso la via dell'affitto di Azienda per ristrutturare i debiti.
Come devo regolarmi, secondo le vigenti disposizioni di legge?

Risposta:

Ai fini della fattispecie citata nel quesito, e ai fini dei complessivi effetti gestionali del rapporto di lavoro con il Personale Dipendente, è essenziale precisare che l'affitto d'Azienda rientra nella complessiva ipotesi di "trasferimento d'Azienda" ai fini lavoristici ex. art. 2112 del Codice Civile, di cui, in questa sede, si provvederà a delineare brevi tratti.
Teniamo, comunque, a precisare che trattiamo, in questo caso, della fattispecie ex. art. 2112 del Codice Civile nella sua ipotesi-base, rinviando a dopo l’illustrazione della diversa e speciale ipotesi ex. art. 47 l. 428/1990.
Innanzitutto, con l'affitto d'Azienda (fattispecie ascrivibile al "trasferimento" di cui sopra), i rapporti di lavoro subordinato proseguono con il Cessionario senza soluzione di continuità.
A questo fine, la norma specifica che "il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano" e con ciò aprendo l'orizzonte a svariate considerazioni collegate.
Per avere un’idea dei principali aspetti gestionali della vicenda e delle ricadute operative sui rapporti di lavoro dipendente, occorre dire quanto segue.
Innanzitutto, la legge configura un tipico caso di "novazione soggettiva" delle obbligazioni del rapporto di lavoro subordinato sul versante del Datore di Lavoro subentrante, rimanendo viceversa immutata la posizione del Lavoratore. Sul versante del Lavoratore subordinato, poi, detta sostituzione avviene in via automatica: ai fini del perfezionamento del trasferimento, occorre certamente l'accordo tra Imprenditore Cedente e Imprenditore Cessionario, ma non il consenso dei lavoratori ceduti.
A favore di questi ultimi e a maggiore garanzia dei loro trattamenti economici, si precisa che il rapporto di lavoro, al momento del trasferimento e in assenza di diverse "intese", deve restare disciplinato dal CCNL applicabile alla precedente Azienda, salvo che il Datore opzioni un'altra regolamentazione collettiva, evidentemente compatibile. E' essenziale precisare che il diverso "accordo collettivo" non può che essere opzionato tra gli accordi dello stesso livello: evidentemente, non è riconosciuto al Datore di Lavoro passare da una regolamentazione di livello nazionale, ad una regionale o aziendale. Nè a questa conseguenza si può giungere in deroga alla normativa vigente con intese aziendali cd "di prossimità" disciplinate dall'art. 08 DL 138/2011 e disposte dai Sindacati maggiormente rappresentativi in Azienda (come avremo modo di precisare successivamente, siamo a sconsigliare caldamente tale procedura in quanto per eventuali deroghe "sindacali" è utilizzabile l'art. 47 l. 428/1990).
In caso di mutamento della regolamentazione collettiva del lavoro nei tre mesi successivi dalla modifica, al  Dipendente "ceduto" è riconosciuta la facoltà di dimissioni per "giusta causa" ex. art. 2119 del Codice Civile. A parte la circostanza che, nulla di specifico o diverso essendo stato disposto dalla l. 92/2012, a queste dimissioni si applica la procedura di convalida, una simile singolare presa di posizione legislativa è evidentemente concepita per garantire al Dipendente dimissionario il trattamento di dimissioni, configurando in fatto le dimissioni "per giusta causa",evento comunque riconducibile a "disoccupazione involontaria" ai fini del trattamento DS (fino al 31/12/2012) e ASPI (dal 01/01/2013).
Sulle singole voci di trattamento retributivo e sui trattamenti normativi, nelle more del passaggio dall'una all'altra Azienda, la legge dispone l'intangibilità dei diritti acquisiti dal Lavoratore e consolidatisi nel suo patrimonio al momento del trasferimento: sotto questo profilo, quindi, il Lavoratore potrà considerare ad esempio i trattamenti normativi derivanti da "scatti di anzianità" e gli eventuali aumenti economici disposti, che si devono ritenere "resistenti" ad eventuali mutamenti nella disciplina collettiva, quantunque con qualche sfasatura nel "netto" e nel "lordo". Per quanto riguarda le "retribuzioni lorde", e per il caso di eventuali nuove pattuizioni collettive che dispongano importi retributivi lordi inferiori rispetto a quelli in essere al Lavoratore Dipendente, si conservano i precedenti maggiori importi a titolo diad personam: è opportuno che, in questi casi, l'Imprenditore cessionario si affretti a dichiarare tale ad personam conferito "ad imputazione di futuri incrementi contrattuali e assorbibile in vista di questi". Per quanto riguarda, le retribuzioni "nette" a Ns. avviso non ci sono argomenti per ritenerle "intangibili" (vedi Ns. post sugli "accordi del netto" dell'aprile scorso: http://costidellavoro.blogspot.it/2012/04/quando-azienda-e-dipendente-si.html), essendo queste frutto di accordi individuali e intuitu personae assunte tra Dipendente e Imprenditore cedente. Ma anche in questo caso, è indispensabile che l'Imprenditore contesti tempestivamente tali voci retributive maggiorate, operando altrimenti (per "acquiescenza" ed inerzia) i trattamenti economici consolidatisi ad personam.
A questi fini, comunque, restano in capo al Dipendente "ceduto" le quote di TFR maturato nella precedente gestione, così come tutte le voci retributive già maturate e consolidate nella vigenza del precedente rapporto.
Da ultimo, si precisa che Cedente e Cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti in essere in capo al Lavoratore al tempo del trasferimento, salvo che lo stesso Lavoratore disponga con conciliazione ex. art. 410-411 Cpc la liberazione del Cedente. Trattasi di solidarietà "speciale" non estensibile a ritenute fiscali e previdenziali come nelle recenti disposizioni di riforma (anche se sotto questo versante occorre comunque mantenere la dovuta attenzione).
Questa disciplina del rapporto di lavoro subordinato può essere comunque derogata in melius a favore dell'Azienda, facendo applicazione dell'art. 47 l. 428/1990.
In particolare, dato lo stato di conclamata crisi aziendale della Cooperativa (passibile di CIGS, a Ns. informazione),dato che la stessa occupa (almeno secondo le informazioni in Ns. possesso) più di 15 Dipendenti, è possibile gestire il trasferimento di personale "in deroga" ai vincoli e ai limiti dell'art. 2112 del Codice Civile, a condizione che intervenga negoziazione e accordo sindacale con le Rappresentanze Aziendali ex. art. 19 l. 300/1970 (le firmatarie dell'accordo collettivo).
A questo fine, va comunque precisato, per maggiore chiarezza e correntezza gestionale, che non servono disposizioni sindacali "in deroga" per operazioni di razionalizzazione dell'impiego e della disciplina oraria del personale dipendente, quali ad esempio il passaggio ad un'articolazione multiperiodale dell'orario (attraverso un uso calibrato dei permessi). In questo senso, sia chiaro, non esiste un "diritto acquisito" del Lavoratore alla retribuzione per ... lavoro straordinario!
Restiamo a disposizione per altri, eventualmente più dettagliati aggiornamenti alla pagina FB https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912

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