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mercoledì 7 novembre 2012

COME SI RETRIBUISCE IL LAVORO A DOMICILIO NEL SETTORE TESSILE


La retribuzione del lavoro a domicilio nel settore Tessile è regolata dall'art. 62 CCNL 07/05/1993, confermato successivamente.
La l. 877/1973 sul "lavoro a domicilio" equipara i lavoratori a domicilio ai lavoratori normali, agli effetti del trattamento economico e normativo; salvo che tali istituti siano manifestamente incompatibili con il lavoro a domicilio, ovvero con la speciale tempsitica ivi prevista.
Per quanto concerne le ferie, a seguito dell'entrata in vigore (29 aprile 2003) della nuova disciplina dell'orario di lavoro, il lavoratore ha diritto ad un periodo di ferie di 04 settimane all'anno e vanno godute "in natura", senza poter dar luogo ad indennità sostitutive. Nè accordi diversi, in deroga a questo fondamentale diritto (di origine costituzionale), possono essere assunti nella convenzione tra Committente e impresa "a domicilio".
L'applicabilità della nuova disciplina delle ferie al lavoro a domicilio si ricava, al contrario, dall'art. 17.05°comma D.lgs. 66/2003.
Questo significa che deve ritenersi abrogata quella parte dell'art. 62 CCNL 07/05/1993 che ammetteva  per i lavoratori a domicilio la possibilità che l'indennità del 22% potesse assorbire le ferie. Pertanto, dal 29 aprile 2003 tale indennità spetta ancora, ma non assorbe più le ferie,  che vanno comunque godute.
L'abrogazione in parte qua dell'art. 62 CCNL cit. è perfettamente ammissibile, per l'intervento (in tempo successivo) di una legge (evidentemente di rango superiore al CCNL) che oltretutto regola una materia oggetto di interesse e garanzia costituzionale. Questo meccanismo abrogativo (improntato a rigida successione di leggi nel tempo) come si vederà in seguito determina, secondo noi, l'impossibilità (salvo successivi chiarimenti) di applicare tout court al lavoro a domicilio le monetizzazioni previste per il lavoro a chiamata: parrebbe logico questo aggiustamento, ma deve dirsi che tali monetizzazione è stata disposta con una disposizione (ministeriale, in questo caso) sempre successiva al D.lgs. 66/2003. Viceversa, dopo il 2003, non risultano disposizioni emanate sull'argomento per il settore del lavoro a domicilio.
Evidentemente, una disciplina così rigida e tassativa deve adattarsi alla realtà specifica del lavoro a domicilio, dove  l'impresa a domicilio si obbliga verso il Committente di eseguire un'opera, secondo tempistiche precise, che implicano ritmi orari molto più stringenti che nel lavoro normale; evidentemente, il lavoratore a domicilio non può riposarsi ... qu
ando vuole, ma deve tener conto delle tempistiche di lavoro concordate con il Committente (che sono fonte di responsabilità contrattuale ex. art. 11 l. 877/1937).
Resta da valutare (ma l'ipotesi è più peregrina) come regolarsi nel caso in cui le tempistiche di lavoro a domicilio siano talmente frazionate, da non permettere la maturazione regolare del periodo feriale (es. lavoro frastagliato in sequenze inferiori a 15 gg.): non sarebbe incongruo a livello teorico, in questo caso, la corresponsione dell'indennità del 22% sopra citata possa "assorbire" le ferie: se non altro, per l'analogia con le disposizioni del lavoro a chiamata, che, in questo caso, ammettono la liquidazione delle ferie. Il punto, pertanto, sarà fatto oggetto di apposite richieste di chiarimenti.
Sul punto, però, dovrebbe intervenire una regolazioene espressa di CCNL. Solo un CCNL, infatti, può invertire l'attuale successione di norme che non depone verso la legittimità dell'indennità sostitutiva ferie nel lavoro a domicilio tessile e ammorbidire il disposto del D.lgs. 66/2003 (come è stato fatto per il "lavoro a chiamata", non a caso con una disposizione successiva al D.lgs. 66/2003). Ma finchè mancherà questa previsione di CCNL, l'indicazione più forte (attese anche le implicazioni costituzionali) milita per la spettanza integrale delle ferie, per lo meno in un ragguaglio orario, laddove i periodi siano saltuari, in analogia con le attuali disposizioni relative al part time (specie verticale, più affine alla realtà organizzativa del "lavoro a domicilio").
Proseguendo il Ns. discorso, deve anche dirsi che non è del tutto chiaro, se sia possibile estendere tout court al lavoro a domicilio (ovvero a prescindere dalla convenzione tra le parti ed in assenza di disposizioni specifiche di CCNL) l'istituto della riduzione d'orario.
In attesa di conseguire chiarimenti più certi, deve comunque dirsi che non pare esserci spazio per la previsione di "permessi per riduzione d'orario", ove si aderisca ad un'accezione della "riduzione d'orario" come opportunità aggiuntiva e meramente facoltativa di riposo (vedi Lett. Circ. Min. Lav. nr. 8489/2007). In effetti, se il D.lgs. 66/2003 sull'orario di lavoro concorre a delineare nel lavoro a domicilio un regime produttivo in cui le tempistiche di lavoro sono programmate in modo molto rigoroso dalle parti e, quindi, decise a priori nell' "accordo di Committenza" (in modo affine all'appalto "a misura"), coerenza esigerebbe l'esclusione della facoltà di riduzione d'orario; modalità che è evidentemente incompatibile con la stretta regolazione dei tempi del lavoro a domicilio che per altro è fonte di responsabilità contrattuale del "lavoratore a domicilio" verso il Committente.

Dr. Giorgio Frabetti
Consulente d'Azienda in Ferrara

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