AVVERTENZA: Iniziamo oggi la pubblicazione di un commento "a puntate" della disciplina dei "limiti quantitativi" introdotta, per i contratti a termine, dal Jobs Act, che evidenzi la portata concreta, sul piano applicativo, dei chiarimenti offerti dal Ministero del Lavoro con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014.
Art. 1. Semplificazione delle
disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine.
1.
Considerata la perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale
quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle more dell'adozione
di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la
previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione
crescente e salva l'attuale articolazione delle tipologie di contratti di
lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, al decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) (…) Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma 7, il numero
complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di
lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per
cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio
dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque
dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo
determinato.»
(…)
b-septies)
all'articolo 5, dopo il comma 4-sexies sono aggiunti i seguenti:
«4-septies. In caso
di violazione del limite percentuale di cui all'articolo 1, comma 1, per
ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:
a) pari al 20 per
cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a
quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori
assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
b) pari al 50 per
cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a
quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori
assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.
Dopo un lungo
dibattito interpretativo, finalmente è sceso in campo il Ministero del Lavoro,
che con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014, ha espresso il suo autorevole
parere intorno alla portata applicativa del DL 34/2014 (Riforma Poletti,
altrimenti detto Jobs Act).
Si coglie
l’occasione di sottolineare l’opportunità di non sopravvalutare la portata di
una Circolare ministeriale come questa: Circolare, che deve ritenersi
certamente vincolante per il personale ispettivo che sia chiamato ad applicare
le nuove sanzioni amministrative per la violazione dei “limiti quantitativi”
dei contratti a termine, ma che non costituisce fonte certa “di diritto
oggettivo”. L’interpretazione ministeriale, infatti, è un’interpretazione che
oggettivamente non si può ignorare, in quanto investita dell’auctoritas intrinseca del Ministero del
Lavoro, ma, ove i Giudici se ne discostino, è evidentemente l’interpretazione
della Magistratura l’interpretazione vincolante per i consociati (salvo che il
legislatore come noto, scenda egli stesso nell’agone intepretativo con una
legge di interpretazione autentica). Questa premessa è d’obbligo, perché la
pronuncia ministeriale, che pure ovvia a non pochi inconvenienti applicativi
segnalati dalla dottrina (conteggio dei part
time etc.) in un’ottica di grande comprensione e liberalità per le Aziende,
(molto apprezzabile, per altro, per agevolare le Aziende in un momento di crisi
come questo) a tratti forza il dato letterale ed esegetico della norma: di qui,
l’invito alla prudenza per le Aziende, che potrebbero subìre interpretazioni
più restrittive, particolarmente a causa della concorrenza concomitante del
Giudice del Lavoro, che può certo addivenire ad interpretazioni più favorevoli
per i Dipendenti.
Ma cominciamo
con ordine, seguendo, nel commento della Circolare, un filo squisitamente
esegetico.
E’
indispensabile prendere le mosse dall’inciso, che più di tutti, aveva suscitato
dubbi e controversie:
(…) Il numero complessivo di contratti a tempo
determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente
articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei
lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione.
Di per sé
è abbastanza chiara la proposizione: “il numero dei lavoratori a termine deve
essere pari al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in Azienda” (sui punti
interpretativi ancora aperti, diremo dopo …). Meno chiaro, e fonte di dubbi, è
invece il successivo inciso: che, quando cerca di circoscrivere il numero dei
dipendenti ricorre ad una poco chiara “unità di misura”: “20% del numero dei
lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di
assunzione”.
Presa alla
lettera, come segnalato da molti interpreti, la norma pare disponga questo: “Cari
Datori di Lavoro, volete assumere personale a termine? Allora, considerate i
lavoratori che avevate in forza al 1/1 dell’anno; e calcolate. La quota che
risulta è la quota di assunzioni a termine che voi dovete assumere nell’anno. A
prescindere dalla circostanza che poi la proporzione sia di fatto cambiata, per
dimissioni, cessazioni di lavoratori a tempo indeterminato …”.
Su questa
interpretazione si è assestato il Ministero del Lavoro, nell’ultima Circolare,
come documenta il seguente passaggio:
Ciò
premesso, a titolo esemplificativo, qualora il datore di lavoro alla data del
1° gennaio abbia in corso 10 rapporti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, potrà assumere sino a 2 lavoratori a termine, a prescindere
dalla durata dei relativi contratti e ciò anche se, nel corso dell’anno, il
numero dei lavoratori “stabili" sia diminuito.
Senonchè, questa
conclusione presenta molti inconvenienti: se, infatti, la legge istituisce un
limite percentuale, questo limite non può che essere inteso come proporzione
tra lavoratori stabili e a termine. Di qui, come non rilevare l’assurdità di
dedurre il “congelamento” della proporzione al 1/1 dell’anno di assunzione:
così facendo, infatti, il Datore di Lavoro si trova vincolato ad una
proporzione che, nei fatti, ben potrebbe essere stata superata (perché nel
frattempo l’organico dei tempi indeterminati è mutato: per licenziamento etc.).
Per questi
motivi, molti Autori (e Confindustria,
in particolare) avevano proposto un’interpretazione “correttiva”, orientata alla
sua ratio: se cioè, lo scopo
conclamato della norma consiste nello stabilire un rapporto di “diretta
proporzionalità” tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato,
si argomenta che tale rapporto deve essere calcolato sul rapporto “effettivo”
esistente al momento dell’assunzione (cd. verifica
puntuale).
Es. se assumo a termine il 2 gennaio con 10 lavoratori a tempo indeterminato,
potrò assumere fino a 2 lavoratori a termine. Se, però, il 21 marzo, il numero
dei lavoratori a tempo indeterminato è aumentato a 20, il numero dei Dipendenti
a termine che potrò assumere sarà pari a 4 e così via.
Ma il
Ministero ha scelto diversamente … A ns parere, il Ministero ha scelto l’interpretazione
più prudente, tenendo conto dell’elevato rischio di contenzioso (e di
ineffettività conseguente della norma) che sarebbe disceso dalla diversa
interpretazione (orientata alla cd “verifica puntuale”).
La nuova
disciplina dei “limiti quantitativi” , infatti, è opponibile in due possibili
sedi: in sede di ispezioni ministeriali, ai fini, cioè, dell’applicazione delle
relative sanzioni amministrative su detti “limiti” e ai fini civilistici. Il
superamento dei “limiti quantitativi” determina la trasformazione ope legis dei rapporti di lavoro
eccedentari in rapporti a tempo indeterminato. Come lo stesso Ministero ha
sottolineato, l’interpretazione ministeriale non può determinare alcuna
certezza giuridica intorno a quest’ultima evenienza, competendo solo al Giudice
dire … l’ultima parola! Né, al momento, abbiamo elementi sicuri per ritenere
davvero “sterilizzate” ai fini civilistici le conseguenze del mancato rispetto
dei “limiti quantitativi” ex DL 34: è vero, è stato approvato un Ordine del
Giorno con ambizioni interpretative su questo argomento, ma, data la specialità
conclamata della disciplina, si hanno forti elementi per concordare con il dr. EUFRANIO
MASSI che
ritiene la totale irrilevanza, ai fini civilistici, di tale Ordine del Giorno,
difettandone un recepimento puntuale in sede di normativa di legge.
E’
evidente, pertanto, che, in sede giudiziale, in sede, cioè, di contenzioso
Lavoratore-Azienda circa la portata degli effetti “civilistici” del superamento
dei “limiti quantitativi” che possono risorgere i problemi interpretativi di
tale norma, e riprendere vigore interpretazioni più restrittive e
oggettivamente sfavorevoli per le Aziende: con buona pace della Circolare
ministeriale …
Riteniamo,
però, che, se il Ministero non ha optato, come desiderato da molti interpreti e
associazioni di categoria datorili, per l’interpretazione più morbida della “verifica
puntuale”, lo abbia fatto, a ragion veduta, almeno dal punto di vista esegetico
(sul piano politico, si può pensarla diversamente).
I sostenitori
della tesi della cd “verifica puntuale”, mentre risolvevano un problema “pratico”,
ne aprivano uno (insolubile) a livello esegetico, non riuscendo, cioè, a
chiarire la ragione d’essere dell’inciso “lavoratori a tempo indeterminato in
forza al 1/1 dell’anno cui si riferisce l’assunzione”: problema esegetico
assolutamente eluso dalla Circolare Min. Lav. 18/2014. Inciso chiaro e inaggirabile,
a meno di non sobbarcarsi l’onere di una interpretatio
abrogans, altamente rischiosa in sede giudiziale.
“Verifica
puntuale” o no, resta la cirocostanza che detto riferimento valga anche quale
“riferimento negativo”: in altre parole, la norma segnala che il computo può
effettuarsi solo per eventi compresi tra il 1/1 e il 31/12 dello stesso anno
cui si riferisce l’assunzione, senza che abbiano alcuna rilevanza eventi
verificatisi in anni precedenti e successivi, che, non possono, a questi fini,
“fare media” (e questo apre rilevanti problemi per settori caratterizzati da
alto turn over di appalti, ove difetti una disciplina ad hoc di CCNL).
Con questo,
però, la “scelta di campo” operata dal Ministero contro l’auspicata
interpretazione favorevole alla “verifica puntuale” dei limiti quantitativi per
i contratti a termine, apre una serie di dubbi irrisolti, in relazione a talune
particolari casistiche, che qui di seguito si segnalano succintamente.
Che ne è ad
esempio dei rapporti a tempo indeterminato, che al 1/1 dell’assunzione (e al
momento “puntuale” dell’assunzione a termine) siano sospesi per aspettativa, in
vista di una cessazione che è stata comunque pattuita nell’anno? Rientrano
questi rapporti nei “limiti quantitativi”? Qui, la disputa è di fatto aperta:
aderendo ad un’interpretazione dell’espressione “in forza al 1/1”, e sposandone
l’accezione più comune nell’universo delle paghe e della gestione del
personale, si dovrebbe ritenere che detto personale va certamente conteggiato
nel “limite quantitativo”. Ma, se si segue il filo di un’interpretazione meno
“schiacciata” sul dato letterale, più legata al dato applicativo e pratico,
allora le cose possono cambiare: se cioè, con l’espressione “rapporti in
forza”, si intende “rapporti materialmente attivi” (e non solo “formalmente
attivi”), ecco che tale rapporto sarebbe escluso dal computo dei “limiti
quantitativi”.
Nessuno, mi
pare, si è ancora posto questo problema, né risulta che il Ministero abbia
lasciato intendere qualcosa.
A favore, però,
di questa ricostruzione, potrebbe, però, trovarsi un appiglio nella stessa interpretazione
ministeriale delle disposizioni relative al calcolo delle sanzioni
amministrative (calcolo tarato sui “15 giorni”) … Ma il punto, al momento, non
è stato ancora sufficientemente approfondito.
Un altro
aspetto, non toccato dalla Circolare. Può darsi che, al momento dell’assunzione
a termine, sia passata in giudicato una sentenza che ha riconosciuto come a
tempo indeterminato un rapporto stipulato a termine in passato presso l’Azienda.
Questa sentenza, che incidenza riveste ai fini del calcolo del “limite
quantitativo”? A essere rigorosi, si dovrebbe riconoscerne l’irrilevanza ai
fini della determinazione della quota assunzionale di lavoratori a termine.
Questo perché il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato spiega
efficacia (nel caso specifico) per un’annualità estranea a quella di
assunzione, il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato non implica
“riassunzione” (ma solo oneri risarcitori). Il lavoratore riconosciuto
giudizialmente “a tempo indeterminato”, pertanto, non può considerarsi “in
forza” nell’anno di assunzione e, quindi, deve ritenersi irrilevante, ai fini
del computo del “limite quantitativo” (e ai fini delle relative sanzioni
amministrative).
Allo stesso
modo, supponiamo nel 2015 di poter effettuare il calcolo dei lavoratori a
termine su un dato “limite dimensionale”. Nel 2016, viene rilevato in sede
ispettiva che uno dei lavoratori a termine assunto aveva già superato i 36
mesi, e, pertanto, doveva considerarsi a tempo indeterminato. Deve procedersi
al “riconteggio” della “base occupazionale” e procedere alla verifica del
rispetto della percentuale dei rapporti a termine? Veramente, pare proprio
potersi escludere questa eventualità, dato che la norma cristallizza i
contratti a tempo indeterminato come “base occupazionale” al 1/1 dell’anno di
assunzione e non dovrebbe (per logica) considerare eventi sopravvenuti. In ogni
modo, questa conclusione potrebbe essere argomentata in forza dell’art. 01 l.
689/1981 (principio di legalità), dobbiamo ritenere tipizzato l’illecito amministrativo
relativo al superamento dei “limiti quantitativi” allo stato della
contrattualistica a tempo indeterminato effettivamente vigente nell’ “anno in
cui si riferisce l’assunzione”, quindi a rapporti correnti, non a ricostruzioni
giudiziarie … a posteriori! Questa l’interpretazione
che, allo stato, appare la più coerente.
Questo per dare
un piccolo saggio degli aspetti interpretativi e applicativi che rimangono
aperti, anche dopo la Circolare. E’ evidente che è auspicabile non un’altra
Circolare, non un Interpello, ma una nuova norma, che perfezioni e corregga
questa parte della norma attualmente troppo indeterminata e confusa, chiarendo
se la tipologia dei “lavoratori in forza” contempli lavoratori il cui rapporto
sia “vivo” sulla carta, ma sostanzialmente morto (il caso dell’aspettativa
lunga, in vista del licenziamento), ovvero solo rapporti “materialmente vivi”:
in questo caso, però, avendo cura di precisare i casi dei lavoratori in part time verticale, in assenza con
diritto alla conservazione del posto etc.
Da
ultimo, il Ministero ha chiarito che, una volta fissato in una certa quota il
numero di lavoratori a termine da assumere nell’anno, in caso di cessazione per
scadenza del termine, l’Azienda ne può assumere un altro:
“Va
ulteriormente chiarito- chiarisce il Ministero- che “il numero complessivo dei contratti a tempo determinato stipulati da
ciascun datore di lavoro" non costituisce un limite ''fisso’’
annuale. Esso rappresenta invece una proporzione, come si è detto, tra
lavoratori “stabili” e a termine, di modo che allo scadere di un contratto sarà
possibile stipularne un altro sempreché si rispetti la percentuale massima di
lavoratori a tempo determinato pari al 20%. Del resto di tale orientamento è
conferma anche la disposizione transitoria contenuta nell’art. 2 bis del D.L.
n. 34/2014 che richiede, ai datori di lavoro che alla data di entrata in vigore
del Decreto occupavano un numero troppo alto di lavoratori a tempo determinato,
di rientrare progressivamente, entro il 31 dicembre p.v., nei limiti di legge
(v. infra)”.
(Fine 1a parte- Continua)