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giovedì 11 ottobre 2012

CALL CENTER, COLLABORAZIONI OUT BOUND SENZA PROGETTO E IN PARTITA IVA-QUELLO CHE LA FONDAZIONE STUDI CDL NON DICE


La Fondazione Studi CDL teme le "collaborazioni autonome" senza progetto!
E nonostante esse siano state ammesse pacificamente nelle prestazioni out-bound di call center dall'art. 24-bis l. 134/2012.
Nella sua ultima Circolare a ciò dedicata, i Consulenti del Lavoro mettono tutto il loro impegno e la loro dottrina ad avvitarsi su loro stessi in una confutazione alle prime opinioni emerse subito all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 24-bis l. 134/2012 (vedi per Il Sole 24 Ore, FALASCA), secondo i quali in parte qua il DL Sviluppo avrebbe codificato, per le collaborazioni in outbund dei call center, un'ipotesi di "collaborazione autonoma senza progetto", in tutto simile al "lavoro autonomo" ex. art. 2222 del Codice Civile (evidentemente in Partita IVA!).
Niente "collaborazioni senza progetto" nell'outbound?
Tale conclusione, secondo la Fondazione, alidilà di facili apparenze, non può avere supporto letterale e logico, perchè nella prosecuzione del testo la legge dice "le collaborazioni a progetto nel settore outbound devono essere fissate per corrispettivi non inferiori etc.". In altre parole: perchè escludere il "progetto" per questa tipologia di collaborazioni, quando lo stesso testo di legge definisce "a progetto" siffatte collaborazioni? Parrebbe un assurdo!
La Fondazione, poi, provvede a compendiare tale posizione sulla base di due argomenti di carattere sistematico.
Innanzitutto, i CDL opinano che l'esclusione dal "progetto" determinerebbe un abbassamento di tutele del Collaboratore; in secondo luogo, la qualificazione tout court di lavoro autonomo non potrebbe essere dedotta da una mera disposizione legislativa, per patente incostituzionalità (deducibile ex. Corte Cost. 121/94).
Esamineremo a fondo tali obiezioni successivamente, mettendone in evidenza lacune e contraddizioni (che a ns. parere sorgono da un'errata valutazione dell'art. 24-bis l. 134/2012, poco attenta al DL Sviluppo).
Tesi suggestive, ma della cui fragilità (logica e operativa) ci si avvede subito, solo che si provveda a contestualizzarne la portata operativa.
Verifichiamo, cioè, cosa cambia secondo la Fondazione a seguito di queste disposizione? Come si dovranno scrivere i contratti per le collaborazioni outbound?
La Fondazione opina in questo senso:
 
"Per il contratto di collaborazione a progetto svolto con le modalità in out bound, il legislatore ha introdotto una diversa determinazione economica: in particolare, l'art. 24-bis della l. 134/2012 stabilisce che il lavoro a progetto 'è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento"
"Il legislatore ha espressamente ammesso il lavoro a progetto nel rispetto di alcuni parametri economici ...."
"La norma, dunque, deve essere interpretata nel senso che il progetto, in questo settore, può essere genuino, anche in presenza di 'attività esecutive e ripetitive', in deroga a quanto contenuto nell'art. 61.01°comma D.lgs. 276/2003 e introdotto dalla legge 92/2012. Al contrario, trovano piena applicazione le altre tutele previste per questa tipologia di contratto".
"Pertanto, non è richiesta una valutazione temporale o professionale della prestazione, come nel caso della generalità dei lavoratori a progetto, ma è necessario che la contrattazione collettiva stabilisca in modo puntuale come deve essere determinato il compenso per questa prestazione, che, sostanzialmente, assume sempre le stesse modalità di esecuzione ..., indipendentemente dal Committente o dalla Campagna Economica da svolgere. A questo riguardo, può farsi riferimento a contrattazione collettiva nazionale di riferimento già esistente, oppure  a nuovi parametri che la stessa contrattazione dovesse introdurre in futuro".
 
Ci permettiamo di rilevare come l'interpretazione della Fondazione sia decisamente "minimale" e poco appagante.
Se intenzione del legislatore era davvero quella di esonerare le attività in out bound dal novero di quelle "meramente esecutive e ripetitive", ebbene questo chiarimento sarebbe stato decisamente inutile, essendo sul punto già intervenuta la Circolare Min. Lav. 17/2006 e la Circ. 04/2008. Certo, non si può escludere che la finalità di lobbyngcome conclamata in questo art. 24-bis abbia fatto strame degli intedimenti di delegificazione un tempo conclamati nei convegni e nei manuali giuridici. Ma ai fini interpretativi non può essere sottaciuto che non può essere appagante nè conclusivo ritenere una norma di legge ... sovrabbondante. Possibile che non abbia altra funzione, altro significato?
E del resto, per lo stesso ordine di ragioni, appare poco persuasivo ritenere che il legislatore si sia scomodato per proclamarci che una certa attività è "tipicamente/socialmente autonoma" al solo scopo di legittimare le cocopro. Per questo, sarebbe stata sufficiente una Circolare ministeriale, addirittura nessuna, atteso che il carattere "autonomo" di tale professionalità era già stato apprezzato dalla Circolare 17/2006! In effetti, anche prima dell'entrata in vigore della l. 134/2012 e della l. 92/2012, non avrebbe potuto residuare alcun dubbio sulla legittimità di una cocopro in out bound; nè tantomeno possono residuare dubbi ora, anche per le limitate modifiche sul punto intervenute con la riforma Monti-Fornero (che ha largamente consolidato a livello legislativo indicazioni emerse come prassi).
Di qui, ipotizzare come mostra di fare la Fondazione Studi, che la disposizione esaurisca la propria efficacia solo sulle cocopro delle prestazioni outbound di call center, è oltremodo riduttivo.
E difatti, a leggerla bene, la legge non si limita a dire "le prestazioni di call center in outbound si presumono legittime" (dizione superflua attesi i precedenti ministeriali), ma dice altro. Nella confusa formulazione che la accompagna, l'art. 24-bis dice qualcosa in più, arricchendo il quadro della "presunzione di autonomia dell'outbound"  (già ampiamente suffragato a livello ministeriale) inserendo un requisito di ordine economico, inerente il compenso che deve corrispondere a certi parametri stabiliti dalla contrattazione collettiva.
L'utilità di questo requisito ai fini della legittimità delle cocopro è molto dubbio: anche scorrendo i "ceselli" introdotti dalla l. 92/2012, non ci sono seri motivi per ritenere mutata la tipologia di accertamento rispetto al passato. Non può allora sfuggire il parallelismo di questa disposizione con il requisito dettato per le Partite IVA, che si presumono "genuine" se sviluppano un "volume di compensi" pari a € 18.669.
Ecco allora che un inquadramento più appagante dell'art.24-bis l. 134/2012 si può ricavare in un altro senso, ipotizzando che la disposizione (certo, mal scritta) abbia inteso rimodulare la fattispecie di outbound rispetto alle complessive restrizioni introdotte dalla l. 92/2012 al "lavoro autonomo", sia riferendole alla cocopro, ma anche alle Partite IVA, alle Associazioni in partecipazione.
Come dubitare ad esempio che una prestazione con queste caratteristiche di "genuina" autonomia, possa essere invocata per superare il test di "genuinità" della collaborazione autonoma in Partita IVA? Come dubitare del carattere autonomo di una prestazione cosìffatta nell'ambito di un contratto di associazione in partecipazione?
Ha un bel dire la Fondazione Studi che un simile articolo di legge non ha qualificato ex lege il rapporto di out boundcome autonomo tout court ... ma certo ci è andato molto vicino! Certamente, la disposizione conferma una presunzione di "genuina" autonomia nella prestazione outbound di call center (unica conclusione ammissibile per il vincolo discendente da C.Cost. 121/1994 nella qualificazione dei rapporti) da rendere la prestazione spendibile (in piena legittimità) in altre contrattualistiche autonome (associazione in partecipazione, contratto d'opera ex. art. 2222Codice Civile), non solo nella cocopro. Perchè (e la cosa è da chiarire alla luce dei poco chiari passaggi della Circolare della Fondazione Studi CDL) se è vero che la qualificazione come contratto d'opera, associazione in partecipazione  etc. non può discendere da una rigida qualificazione di legge, deve essere anche vero a contrariis che l'art. 24-bis non potrebbe imporre una forzosa qualificazione di cocopro delle prestazioni di call center in out bound!
In questo senso, l'opinione assunta dai primi commentatori dell'art. 24-bis l. 134/2012 come legittimante "collaborazioni senza progetto" deve ritenersi certamente fondata.
A questo riguardo, credo non possano sorgere particolari questioni: salvo la semplice e lineare conclusione che tale disposizione troverebbe così una propria specificità applicativa, come disposizione volta a favorire una risoluzione del contenzioso a favore dell'autonomia. In questo senso, la legge parrebbe operare come "scudo" a difesa dello status di lavoro autonomo del lavoratore, che verrebbe comunque garantito pur in presenza di 
collaborazioni ... prive di progetto (si intende (a Partita IVA, Associazione in Partecipazione etc.), ma rientranti nei requisiti economici ivi fissati. In questo senso, si coglie subito il "taglio" dell'art. 24-bis cit. che tende ad assimilare tale cocopro ad Agenti, Rappresentanti di Commercio, prestazioni tout court autonome, rispetto a cui non è mai stata richiesta l'allegazione del "progetto", come colto dai primi Commentatori, con buona pace della Fondazione Studi CDL. Ma in questo caso, urge precisare che, mentre per queste collaborazioni, il progetto sarebbe puramente "facoltativo", per quelle prive di tali requisiti economici, ritornano pienamente in vigore i requisiti ex. art. 61 D.lgs. 276/03, come modificati dalla legge 92/2012. 
A questo punto, cade l'ultima riserva opposta in questo senso dalla Fondazione Studi CDL: ammettere una collaborazione "senza progetto" significa diminuire le tutele del prestatore di call center in out bound.
Una simile interpretazione (lo abbiamo accennato nel precedente post) svaluta fortemente la ratio sistematica di norme come l'art. 24-bis l. 134/2012. Muovendosi in linea con le disposizioni sugli accertamenti delle "finte Partite IVA" (che non possono essere attivati d'ufficio se presentano certi requisiti reddituali), il DL Sviluppo ha inteso correggere a livello sistematico gli eccessi di certe posizioni, un pò estreme, emerse sia in dottrina e in giurisprudenza (vedi LUCIANI, Lavoro a progetto, indisponibilità del tipo contrattuale e rimodulazione delle tuteleRivista Italiana di Diritto del Lavoro, 02/2010), relative alla "presunzione di sotto-protezione" del Lavoratore a causa delle problematiche di costituzionalità che questa metodica (parzialmente accolta nel "contratto a progetto" fin dal 2003, poi rifluita nella l. 92/2012 nelle disposizioni contro le "finte" Partite IVA). Con una norma sempicistica (ma non troppo), il legislatore ha fissato una soglia economica oltre la quale non si può presumere il "bisogno" del Lavoratore (€ 18.669 per la Partita IVA, le tariffe di CCNL per le prestazioni in outbound).
Tali disposizioni, assolutamente innovative e di discreta controtendenza, devono intendersi conseguenzialmente come condizioni che legittimano abbassamenti di tutele! In effetti, tali soglie economiche, nel rivelare un'indice di maggiore competitività del lavoratore, di ridotta vulnerabilità sul versante previdenziale etc. codificano a livello legislativo un'indicazione sociale di "minore avversione del rischio" che, legittimando il ricorso al lavoro autonomo, legittimano l'abbassamento di tutele (che per altro oggi sono state ampliate parzialmente anche per gli autonomi in Gestione Separata INPS). 
In questi termini, per le prestazioni in putbound che rientrino nei requisiti economici ex. art. 24-bis l. 134/2012 non si può invocare l'argomento della riduzione delle tutele!

Dr. Giorgio Frabetti,
Consulente d'Azienda in Ferrara

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