PREMESSA: Dopo la rutilante accoglienza riservata dalle famiglie milanesi a Papa Benedetto XVI, il Pontefice, all'udienza generale di mercoledì 06 giugno scorso ha rievocato con affetto la giornata, ma ha anche colto l'occasione per ribadire con fermezza e accoratezza quello che ben può ritenersi un proprio "cavallo di battaglia": "Qui vorrei ricordare quanto ho ribadito a difesa del tempo
della famiglia, minacciato da una sorta di «prepotenza» degli impegni
lavorativi: la domenica è il giorno del Signore e dell’uomo, un giorno in cui
tutti devono poter essere liberi, liberi per la famiglia e liberi per Dio.
Difendendo la domenica, difendiamo la libertà dell’uomo!".
La domanda del lavoratore cristiano di conciliare lavoro e festa religiosa (e famiglia) interpella anche il "lavorista". Al riguardo, cade decisamente a proposito l’articolo della Dr.ssa
COGLIEVINO, (Università Cattolica di Milano), Feste religiose e società multiculturali pubblicato nel terzo trimestre 2008 nella Rivista Italiana di Diritto del Lavoro che tali affrontava con estrema sensibilità, ma anche con estrema competenza tecnico-giuridica.
Per il suo carattere esemplare e per l'importanza intrinseca dell'argomento, questa trattazione verrà fatta oggetto di un commento (o riassunto) ragionato e molto analitico.
L’articolo pone una domanda: al fedele cittadino italiano (cattolico, ma non solo) è riconosciuto dalla Costituzione e dalle norme UE il “diritto alla festività”? Diritto che (se riconosciuto) comporterebbe:
01)
L’astensione dal lavoro?
02)
Limitazioni nella facoltà dell’imprenditore-Datore
di Lavoro di esigere il lavoro dal lavoratore “in festività”?
03)
E correlato: esiste una facoltà indiscriminata
degli esercizi commerciali di tenere aperto nelle giornate festive? (Il
pensiero va alla sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 01 dicembre
2009 che ha cassato l’indiscriminata facoltà di apertura degli esercizi
commerciali nelle domeniche di avvento).
N.B.: L’Autrice fa notare che tale “diritto alle festività”
è cosa ben diversa dal “diritto al riposo settimanale” (pure cadente in
domenica) riconosciuto ai lavoratori, perché:
a)
Il “diritto alla festività” implica una facoltà di
astensione dal lavoro etc. motivata dalla religione e dall’esigenza di vivere
la fede o in famiglia o in ambito associativo; è una rivendicazione che non
riguarda solo il diritto del lavoro, ma anche il diritto ecclesiastico. Trattasi,
cioè, di una forma di riposo non
agnostico sul piano religioso!
b)
Il “diritto al riposo settimanale” presuppone una
facoltà di astensione dal lavoro etc., motivata dal semplice bisogno di
recupero delle energie psico-fisiche logorate da una settimana di lavoro
continuativo e si esaurisce unicamente sul diritto del lavoro: è una forma di riposo agnostico sul piano religioso!
ESSENZIALE, SUL PUNTO, IL PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO DELL’11
FEBBRAIO 1998:
Secondo il Consiglio di Stato, il “diritto alla festività” (con
conseguente astensione dal lavoro) non può essere rivendicato (né
individualmente, né collettivamente) facendo riferimento all’art. 19, che
riconosce la libertà religiosa.
N.B.: Al riguardo, deve anche dirsi, per la parte cattolica,
il “diritto al riposo settimanale” non è nemmeno riconosciuto come “riposo
domenicale” dal famoso art. 36 Cost., che si limita a riconoscere ai lavoratori
il diritto a “riposi con cadenza settimanale (06 gg. Lavoro/01 g.
festa), senza individuare la “domenica” (a ciò provvede l’art. 09 D.lgs.
66/2003 che fa coincidere il “riposo settimanale” con la domenica, almeno in
via normale).
In questi termini, il diritto
italiano è, almeno apparentemente, lontano “anni luce” dal sistema americano,
dove il Datore di Lavoro è obbligato a predisporre aggiustamenti organizzativi
per consentire ai lavoratori di esercitare il proprio culto (Titolo VII del Civili Right Act del 1964).
Secondo il Consiglio di Stato,
occorre una norma pattizia ex. artt. 07 o 08 Cost. per riconoscere una
“festività” come diritto soggettivo perfetto del Lavoratore.
Norma pattizia che consiste nel
Concordato Stato-Chiesta ex. art. 07 Cost. per i cattolici (recentemente,
Accordi di Villa Madama, 18 febbraio 1984), oppure nelle intese ex. art. 08
Cost. per le confessioni non cattoliche.
Qui di seguito, si traccerà un quadro delle principali norme
pattizie, avendo speciale riguardo al Concordato Stato-Chiesa del 1984 e
all’intesa Stato-Comunità Ebraiche del 30 dicembre 1988.
a)
CONCORDATO
STATO-CHIESA CATTOLICA:
La materia delle festività è
regolata a parte rispetto al corpo degli Accordi di Villa Madama, in quella
sorta di “codicillo” che è il DPR 792/1985, che sigla l’intesa Stato-Chiesa
sulle festività religiose cattoliche, riconosciute valide anche agli effetti
civili (disposizione che, allora, reintrodusse,
a livello nazionale, la festività dell’Epifania e, a livello del Comune
di Roma, la festività dei SS. Pietro e Paolo, abrogate agli effetti civili
dalla l. 54/1977).
Molto discussa è l’efficacia
giuridica da attribuirsi all’inciso che riconosce tra le festività agli effetti
civili “tutte le domeniche”. Ci si è chiesti, in particolare, se tale
disposizione valga a costituire a favore dei fedeli cattolici il diritto pieno
di opporsi alle richieste di lavoro domenicale, pur laddove la legge non lo
vieta. La dr.ssa COGLIEVINA esclude che la norma concordataria possa
interpretarsi ed applicarsi in questo senso, perché il Concordato non avrebbe
la competenza a modificare il diritto del lavoro italiano, di pretta competenza
dell’ordinamento interno.
In linea di massima, però, le disposizioni interne sull’orario di
lavoro e sul riposo settimanali e le disposizioni che regolano, ai fini
dell’orario di lavoro e della retribuzione, le festività religiose, sono
allineati con le tradizioni cattoliche.
Queste le linee principali di
disciplina:
I)
La domenica è giorno normale di riposo, salvo
deroghe previste dalla legge e disciplinate dal CCNL;
II)
Il lavoratore ha diritto ad una specifica
compensazione economica a titolo risarcitorio, se lavora in domenica (vedi
Corte Costituzionale nr. 16/1987);
III)
Nei casi più gravi, il lavoratore può rifiutare la
prestazione di lavoro a titolo di autotutela ex. art. 1460 del Codice Civile;
IV)
Laddove la scadenza di un termine per il compimento
di un atto giuridico venga in scadenza in giorno di domenica (o in festivo), è
prevista la proroga automatica nel primo giorno lavorativo utile (art. 2963 del
Codice Civile);
V)
La l. 260/1949 regola gli effetti civili delle
festività religiose, prevedendo, oltre all’astensione dal lavoro, anche la
conservazione della retribuzione per il giorno festivo: per i lavoratori non
retribuiti in misura fissa e continuativa (gli “Operai ad ore”) è previsto il
pagamento della festività cadente in domenica nell’importo corrispondente alla
retribuzione giornaliera.
B) INTESA STATO ITALIANO/COMUNITA’ EBRAICHE:
L’intesa Stato-Comunità Ebraiche,
stipulata ai sensi dell’art. 08 Cost. in data 30/12/1988, è stata trasformata
in legge dello Stato con la l. 101/1989, la quale ha regolato con dettaglio l’interferenza
delle festività ebraiche con lo svolgimento di rapporti di lavoro, di prove
concorsuali, di obblighi scolastici.
In particolare, gli ebrei
possono:
I)
Godere del riposo in giorno diverso dalla domenica,
per motivi religiosi, previo preavviso del Datore di Lavoro e con obbligo di
recuperare le ore perdute, in quadro di flessibilità organizzativa;
II)
Giustificazione automatica degli alunni ebrei della
scuola dell’obbligo, in caso di festività ebraica;
III)
Obbligo di Enti Pubblici di considerare le festività
ebraiche nella decisione delle date di indizione di concorsi pubblici.
I giorni di festività ebraica,
però, non rilevano per la proroga automatica della scadenza per il compimento
di atti giuridici ex. art. 2963 del Codice
Civile; per queste, si fa valere il calendario comune, gregoriano!
N.B.: Sulla “flessibilità organizzativa” presupposta nella
gestione dei riposi dei fedeli ebrei, vale la pena di ricordare che la Pretura
Monza, Sez. Desio, Ordinanza 20/03/1992 (conforme Pretura Bologna, Ordinanza 07/03/1996)
ha escluso che il Datore possa negare il riposo al fedele ebreo sulla base
della constatazione della semplice difficoltà a riorganizzare i turni.
Viceversa, la Pretura di Bologna citata, ha riconosciuto al Datore di lavoro la
possibilità di distribuire i giorni di riposo e di recupero, secondo un
criterio di “possibilità concreta per l’Azienda di adattare l’utilizzazione dei
dipendenti e le loro prestazioni alle diverse e mutevoli esigenze del servizio
svolto”. Questo breve “codicillo” tornerà utile per impostare la riflessione
sulla distribuzione del lavoro domenicale nei Centri Commerciali per i
lavoratori cattolici (riflessioni mie, non dell’Autrice).
Ora, gran parte delle intese
siglate dallo Stato con le confessioni religiose ex. art. 08 Cost. seguono il
“canovaccio” di cui sopra per la gestione dei rapporti di lavoro.
LE FESTIVITA’ DELLE CONFESSIONI SENZA INTESE
La mancata previsione di
“festività” da parte di “Intese”, se, ai sensi del Consiglio di Stato, esclude
il riconoscimento delle “festività” come “diritti soggettivi perfetti”, non
determina, però, preclusioni all’autonomia privata (individuale e sindacale) di
regolare alcuni aspetti correlati.
Il problema si è soprattutto
posto per i musulmani.
Ad esempio, l’accordo sindacale
territoriale della Provincia di Ragusa del settore agricoltura e florovivaisti
all’art. 08 ha previsto la facoltà delle Aziende di regolare come meglio
credono i periodi di osservanza del Ramadam e delle altre festività della
“religione araba”.
DEL TUTTO APERTA E’ LA QUESTIONE ISLAMICA:
Tra lo Stato e le Confessioni
Islamiche non è stato raggiunto in sede politica un accordo per un’intesa. Al
riguardo, la Dr.ssa COGLIEVINA segnala che la questione del “riposo sabbatico”
è una problematica tipicamente ebraico-cristiano, che di per sé non riguarda il
mondo musulmano. Nel mondo musulmano, il venerdì è solo giorno nel quale cade
l’obbligo della preghiera comunitaria (che per di più è serale). Pertanto, per
rispettare la facoltà degli Islamici di esercitare il culto, senza
condizionamenti lavorativi sarebbe sufficiente accordare alcune ore di permesso
nelle ore del venerdì (così nell’ Accordo Stato Spagnolo-Confessioni Islamiche).
L’Autrice fa presente che la rivendicazione da parte dei Musulmani del “giorno
di riposo” ha solo una valenza politica, di riconoscimento della propria
identità culturale e diversità dall’Occidente: aspetti, quindi, che è arduo e
temerario affrontare in sede di contrattazione collettiva!
MOLTO DIFFUSA, COMUNQUE, E’ LA TENDENZA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
A RICONOSCERE LA PIU’ AMPIA TUTELA DELLE FESTIVITA’ RELIGIOSE, IN REGIME DI
PIENO E APERTO PLURALISMO CONFESSIONALE.
Alcuni esempi:
A) CCNL Dirigenti e Quadri di Direzione dei
Centri di Elaborazione Dati (Art. 63) : “Ai lavoratori che, con congruo
anticipo, comunichino per iscritto la richiesta di ferie per partecipare a
festività religiose, (…), le Aziende cercheranno, nei limiti delle esigenze di
funzionalità interna e di rispetto delle richieste complessive, di accordare
una via preferenziale”;
B)
DPR 20
gennaio 2006 nr. 107, di recepimento dell’accordo sindacale del personale della
carriera diplomatica in servizio in Italia (art. 04): E’ attribuito un
diritto di fruire un giorno di riposo diverso dalla domenica, ai funzionari
appartenenti alle “confessioni religiose riconosciute dallo Stato” (anche senza
intesa), ovvero alal religione islamica ed ebraica.
LA DR. SSA COGLIEVINO CRITICA QUESTA SUPPLENZA SINDACALE:
Alla fine, il godimento di un
diritto fondamentale come quello del “riposo per culto” che implica esercizio
della liberà religiosa, viene fatto dipendere:
1)
Dal potere contrattuale delle confessioni religiose;
2)
Dal peso economico che i gruppi etnici di lavoratori
riescono a spuntare (come noto, per le “imprese etniche” la religione costituisce
fattore di identità essenziale!).
RIASSUNTO:
Per la regolazione delle
interferenze tra lavoro ed esercizio del culto, si ravvisa una netta
discrepanza tra disciplina concordataria, destinata ai fedeli cattolici e
disciplina convenzionale ex. art. 08 Cost., per fedeli “a cattolici”. Per i
fedeli cattolici, la disciplina di riposi, festività è molto blanda, ma non
sono previsti (come per Ebrei …) specifiche disposizioni in materia di
permessi, festività organizzative etc. proprio per la (superficiale e
sorpassata) visione che dette attività si svolgano in domenica, e, quindi, in
un ambito in cui si da per scontata, stanti le tradizioni cattoliche italiane,
l’assenza di lavoro. Viceversa, le citate forme di flessibilità sono state
pensate per Ebrei etc. perché per tradizione svolgono il “riposo religioso” in
giorno diverso di domenica e, quindi, ne è parsa più attuale una tutela anche
sul versante lavoristico. Tale assetto non tiene conto di due cose: anzitutto,
che ormai la tradizionale coincidenza tra riposo lavorativo e riposo religioso
(in domenica) non è più scontata nell’attuale fase di secolarizzazione; in
secondo luogo, non tiene conto che le forme di conflitto (potenziale) tra
lavoro e religione si sono moltiplicate con l’evoluzione della Chiesa negli
ultimi 50 anni, che hanno visto fiorire svariate forme associative, nonché
figure ministeriali laicali (Diaconato, Accolitato) non riconducibili alla
classica figura del Presbitero che si dedica 24 ore su 24 al culto, senza
essere occupato in altra attività lavorativa.
OCCORRE UN’ARMONIZZAZIONE/INTEGRAZIONE TRA NORMATIVA ECCLESIASTICA E
DIRITTO DEL LAVORO ONDE EVITARE STORTURE NEL GODIMENTO DI UN DIRITTO
FONDAMENTALE DELLA PERSONA UMANA COME LA LIBERTA’ DI CULTO NELLE POSTAZIONI DI
LAVORO.
Obiettivo strategico minimo
individuare una dote di diritti uniformi al fedele lavoratore (Cattolico e
non), il quale può essere ottenuto:
1)
Tramite una giurisprudenza, che, fino ad apposito
intervento del legislatore, aderisca ad una lettura dell’art. 19 Cost., meno
rigida dell’interpretazione del Consiglio di Stato con il Parere citato
all’inizio e adotti, come diritto uniforme, il criterio di flessibilità oraria
delle intese con Ebrei, Avventisti etc. sulla scia delle disposizioni sindacali
sopra riportate (che, per altro, trova l’analogo nei cd “permessi per
volontariato” ex. l. 266/1991) e ne riconosca l’estensione anche ai Cattolici,
ove oggi manchi;
2)
Tramite una legge organica sulla libertà religiosa,
che, superando l’angusta legge del 1929 sui cd. “culti acattolici”, riconosca
una tutela minima per riposi e permessi per lavoratori che aderiscano a
confessioni che, pur non avendo stipulato intese con lo Stato, siano comunque
state riconosciute dallo Stato e registrate negli appositi registri prefettizi
(ma sull’Islam occorre attenzione a parte!).
VALUTAZIONI PERSONALI SULLA QUESTIONE CATTOLICI-LAVORO DOMENICALE:
Quelle di seguito riportate
costituiscono mie brevi e informali riflessioni personali sulla possibile
tecnica di tutela adottabile per i cattolici che valutino non compatibile il
lavoro domenicale nei negozi (es. Centri Commerciali) con le esigenze di vita
religiosa.
Umilmente e senza pretese di
completezza, mi parrebbe che la cornice regolativa per risolvere la questione possa
ritrovarsi nell’articolo della Dr.ssa COGLIEVINA.
In generale, sarebbe bene che
nelle trattative sindacali aziendali (e nazionali) cominci a pesare, nei piani
ferie, permessi etc. la rilevanza del fattore religioso (es. come nel CCNL
Dirigenti-Quadri CED) che riconoscono “corsie preferenziali” alle “ragioni
religiose”: es. per lavoratori che documentino di essere impegnati come
educatori o partecipanti a “campi scuola
estivi” con i ragazzi etc.
Per quanto riguarda il “lavoro
domenicale”, potrebbero esserci difficoltà in più, dal momento che è la
normativa sul Commercio (ma già l’art. 07 l. 370/1934) a riconoscere
direttamente le “speciali esigenze” del Commercio domenicale (anticamente
rappresentate dal lavoro nei campi infrasettimanale). Né è chiaro se e come
potrebbe conoscersi in Italia una giurisprudenza costituzionale comparabile a
quella recente tedesca che ha escluso alle autorità amministrative di disporre
l’indiscriminata apertura domenicale dei negozi, per tener conto delle
tradizioni religiose dei Consumatori (il tema di disputa era il periodo
dell’Avvento).
Evidentemente, la tutela
giuridica che si può impostare in questo caso, è subordinata all’emersione di
un conflitto aperto e documentato tra lavoro e esercizio del culto, in chiave
di vera “discriminazione” per motivi di culto, nei termini disegnati dalla
Direttiva UE 78/2000. Potrebbe, ad esempio, essere il caso di un Diacono
Permanente che è chiamato dal Vescovo a tenere incontri di formazione
domenicale che si trovi pregiudicato nell’adempimento della sua missione dalla
consegna aziendale di lavoro la domenica.
Stante la normativa comunitaria
vigente, quindi, potrebbe parlarsi di tutela effettiva principalmente, laddove
la consegna di lavoro impedisse l’esercizio del culto, o delle funzioni
magisteriali della Chiesa ed interferisse più sensibilmente con aspetti legati
alla regolazione “concordataria” ed ecclesiastica dei rapporti giuridici.
Ai fini di questo dispositivo di
tutela, però, si deve dare atto che la prova della “discriminazione a sfondo
religioso” può essere più facilmente realizzabile per Ministri di culto o
affini, che siano lavoratori dipendenti ed effettivamente impediti e
pregiudicati dalle loro mansioni e siano contemporaneamente e stabilmente
legati con vincoli di mandato a confessioni religiose: qui effettivamente può
verificarsi un “conflitto di obbligazioni” e lealtà giuridicamente rilevante.
Più difficile parlare di “discriminazione a sfondo religioso”, ovvero di
“conflitto di lealtà” nel caso del laico di Parrocchia o di
Associazione/Movimento, ove tale impegno sia espressione di impegno meramente
“spontaneo” e volontario!
Per evitare vuoti di tutela in
questo senso, e nel difetto di una normativa nazionale (convenzionale o
legislativa) che regoli i “conflitti di lealtà/coscienza” del Lavoratore/Fedele,
si può valutare l’introduzione, in sede sindacale (meglio nazionale) di norme
che estendono i consueti permessi di volontariato a quest’ultima tipologia di
personale ex. l. 266/1991, equiparando il “laico” di Azione Cattolica e simili
al cittadino che svolga attività di volontariato.
Non è mia intenzione dilungarmi ulteriormente in casistiche
e sottigliezze. Credo comunque che la Chiesa, tramite gli Uffici Pastorali del
Lavoro nelle singole Diocesi, possa e debba portare avanti queste esigenze di
tutela, operando la dovuta sensibilizzazione sui Sindacati, sulla Giurisdizione
e sul Legislatore, affinchè sia data tutela sempre più effettiva ai “diritti
della fede”.
Dr. Giorgio Frabetti, Consulente d'Azienda in Ferrara
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