Spesso capita che, a seguito di un licenziamento sfociato in una vertenza
sindacale, la susseguente conciliazione si risolva in un accordo tale per cui il
Dipendente si impegana a "rinunciare" alle proprie pretese dietro
pagamento di un'indennità.
Come noto, le conciliazioni obbligano alla massima attenzione per i
riflessi fiscali e previdenziali delle somme ivi dedotte, spesso oggetto di
controversie a loro volta (con il Fisco e l’INPS) per la scarsa chiarezza delle
formulazioni negoziali.
Ai fini fiscali, la somma deve qualificarsi come voce di "lucro
cessante" e, quindi, quale componente reddituale tassabile. Lo esige
quella giurisprudenza di Cassazione consolidata e pacifica (Cass. 12798/2002)
che, quale "regola di interpretazione" degli atti di conciliazione,
ai fini fiscali presume la valenza "reddituale" di tutte le somme
comunque riconosciute in dipendenza del licenziamento: in questi termini,
secondo la giurisprudenza, deve ritenersi immanente una stima della perdita di chanche del Lavoratore.
Stante le disposizioni speciali in materia di imponibilità previdenziale,
la somma non determina imponibilità ai fini INPS.
La rideterminazione lorda dell'indennità, quindi, deve tener conto della
sola aliquota IRPEF di tassazione applicabile.
Quanto ai riflessi sull'indennità di disoccupazione, deve precisarsi che
tale "rinuncia" non determina la perdita del diritto
della Lavoratrice di conseguire l'indennità di disoccupazione.
Di base, la perdita si determina se Datore e Dipendente addivengono
ad una "risoluzione consensuale" del rapporto di lavoro. Tale
fattispecie non può comunque ritenersi integrata nella conciliazione in esame:
senza indugiare eccessivamente in bizantine questioni di diritto, la
risoluzione consensuale è un atto dove il Lavoratore partecipa attivamente al
disegno datorile di cessazione del rapporto di lavoro; ma tale non è la
situazione de qua, dove il Lavoratore
semplicemente si limita a soprassedere formalmente da ogni controversia dietro
il pagamento di un'indennità, conciliativa, determinata secondo equità ex. art.
1226 del Codice Civile.
L'irrilevanza non solo ai fini dell'imponibilità INPS, ma ai fini del trattamento di disoccupazione, si deduce proprio dalla natura della stessa indennità determinata con criteri necessariamente forfettari ex. art. 1226 del Codice Civile, allo scopo di "stimare" una "perdita futura" dotata di larghi margini di indefinibilità numerico/matematica, da cui non è possibile estrapolare alcuna informazione di rilevanza contributiva. A queste condizioni, infatti, è manifestamente impossibile ricostruire informazioni quali: minimale mensile, settimanale, giornaliero etc.
Comunque, la conciliazione non
incide sull'an dell'indennità di
disoccupazione, ma sul quantum. L'indennità può/deve
essere quantificata tenendo in considerazione la prevista percezione
dell'indennità di disoccupazione: ma sempre in via ... equitativa!
Dr. Giorgio Frabetti, Consulente Aziendale in Ferrara
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