In un post della scorsa settimana, in merito alla nuova disciplina del “contratto a tutele crescenti”, Vi abbiamo segnalato un caso problematico: non era del tutto chiaro, cioè, se le disposizioni del dlgs 28/2015 siano applicabili o meno al lavoro domestico. Il dubbio sorge in relazione al fatto che l’art. 1, nel definire il “Campo di applicazione” del dlgs non contempla (come l’art. 4 l. 108/90) l’espressa esclusione dei domestici. A margine, occorre dire che, in sede di primi commenti, la stragrande maggioranza dei pubblicisti concorda per l'esclusione delle tutele crescenti al lavoro domestico, dando per assodata una tendenza in materia di disciplina dei licenziamenti che, a partire dalla l. 604/66, ha confinato il lavoro domestico all’area della “libera recedibilità” ex. art. 2118 Codice Civile (in punto di licenziamento), in considerazione anche della particolare realtà del lavoro familiare. Ma questo ancora non basta. Non basta, cioè, presupporre la specialità delle norme sul licenziamento individuale nel rapporto domestico: per disporre di un chiaro orientamento applicativo, occorre provare che una regolazione speciale effettivamente esiste. Ora, nel silenzio del dlgs 23/2015, e in difetto di disposizioni espresse sull’applicabilità del dlgs al “lavoro domestico”, siamo convinti che ci sia almeno una "prova indiretta" (testuale) che tale "regola speciale" per il licenziamento dei domestici esista e operi. Sto parlando dell'art. 9 dlgs 23, che, per la definizione dei limiti dimensionali utili per l'applicazione delle norme sul licenziamento, rinvia all'art.18.8-9 comma: basta poco ad accorgersi che tale norma si riferisce a realtà organizzative non sovrapponibili al lavoro domestico. In questo senso, il rinvio del dlgs 23 all'art. 18.8-9 comma presuppone la vigenza e l'operatività dell'art. 4 l.108/90, norma che un tempo relegava all'area della "libera recedibilita'" il lavoro domestico: una norma che, pertanto, deve considerarsi a tutti gli effetti vigente.
Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA
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