Quesito: Non mi è chiaro un aspetto del nuovo “contratto a termine per disoccupati” ex. art. 69bis CCNL Commercio. Anche per questo contratto a termine vale il limite generale dei 36 mesi?
Risposta: Il punto non mi risulta ancora sviscerato dalla dottrina, ma sarei a ritenere che la previsione ex. art. 69bis che fissa in 12 mesi massimi la durata del contratto vada intesa nel senso che, solo entro questa durata, è possibile l’assunzione a termine con questa speciale modalità contrattuale, oltre no. Non solo: dal tenore letterale del testo (“il contratto avrà durata di 12 mesi”), pare dedursi la conclusione che detto contratto non possa essere spezzettato, ma debba integrare un “blocco unico”. Il riferimento al termine dei 12 mesi, in altre parole, pare doversi intendere come “limite fisso”, non “mobile” (come ad esempio quando nella legge o nel CCNL si parla di “limite massimo mensile”). Anche se si confronta questa versione testuale del CCNL con le pregresse previsioni legislative dei cd “contratti a termine acausali”, si deduce che tale periodo di 12 mesi va inteso come una “sequenza contrattuale unica e rigida” (ricordiamo che i contratti acausali erano caratterizzati da una durata massima, ma erano definiti come “prorogabili”, ammettendosi quindi un’articolazione delle sequenze contrattuali: non così, invece, per il contratto ex. art. 69bis CCNL Commercio). Non solo. Le disposizioni dei commi 5-6 dell’art. 69bis CCNL riferite al “sotto-inquadramento” fissano le sequenze di progressione dell’inquadramento e di retribuzione (“prima metà”, “seconda metà” etc.) in termini che presuppongono una contrattualistica con termini e scadenze rigide. Del resto, diversamente argomentando, e cioè ammettendosi in capo al Datore il potere di definire (come vuole) la sequenza di tali contratti (con interruzioni e riprese, proroghe etc.), non si vedrebbe come sarebbero concretamente applicabile tale progressione. Come definire, ad esempio, il “primo periodo” di sequenza retributiva se il contratto, in prima battuta, ha un termine, in seconda battuta un altro? Semplicemente, tale progressione sarebbe inapplicabile! Inoltre, vale, nel caso di specie, l’analogia con i rapporti formativi (essenzialmente apprendistato), che, quando individuano un termine finale, tale termine si intende come fisso, in quanto non delimita solo un periodo di “generica disponibilità” al lavoro del Dipendente, ma delimita anche il periodo in cui il Datore deve considerarsi obbligato alla prestazione formativa. E del resto, se si prende sul serio il comma 3 dell’art. 69bis, che fa incombere un preciso obbligo formativo in capo al Datore, è logico ammettere che questo obbligo sia concepito in una sequenza unica e senza soluzione di continuità: diversamente, tale prestazione sarebbe facilmente condannata all’ineffettività e ad essere troppo facilmente disattesa a discrezione ed arbitrio del Datore di Lavoro.
Dr.GIORGIO FRABETTI
STUDIO LANDI-FERRARA
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