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mercoledì 23 marzo 2016

LA RIFORMA DEI CONTROLLI A DISTANZA: UNA SENTENZA UTILE*

*In questa nota, si considererà un aspetto della sentenza cd “Barbulescu contro Romania” decisa dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo il 12/1/2016, potenzialmente molto rilevante nel chiarire l’area applicativa della parziale e limitata “liberalizzazione” dei cd “controlli a distanza” del Jobs Act (art. 23 D.lgs. 151/2015), in particolare la controversa area degli “strumenti per rendere la prestazione di lavoro”.

Caso:
Tizio, Dipendente Corriere dell’Azienda di spedizioni Sbartolini Snc, comunica costantemente con l’Azienda con un Account Whatsapp dedicato tramite un cellulare aziendale, che egli rimette costantemente alla disponibilità dell’Azienda al rientro in sede. Tra le parti, tra l’altro, esisteva una scrittura semplice redatta ai fini del D.lgs. 196/2003, sottoscritta dal Dipendente, che avvertiva il Lavoratore circa i possibili controlli dell'Azienda sull’uso del cellulare. In un controllo di routine, l’Azienda accede all’account Whatsapp e si accorge di moltissimi messaggi al fratello e alla cognata. L’Azienda decide di “licenziare in tronco” Tizio per uso personale del cellulare aziendale. Tizio, però, contesta in giudizio in licenziamento, adducendo l’inutilizzabilità delle risultanze di Whatsapp da cui risultavano comunicazioni relative alla Privacy sua e di terzi, nonché informazioni sensibili sui problemi di coppia e sessuali del fratello. Denuncia, pertanto, l’Azienda per “accesso abusivo” ex. art. 615 ter del Codice Penale e chiede la declaratoria di inutilizzabilità assoluta delle conversazioni Whatsapp. Chi ha ragione?

Risposta:
In via preliminare, dobbiamo focalizzare le doglianze di Tizio: quelle di Tizio sono,infatti, le doglianze classiche di un Dipendente che intenda resistere ad un licenziamento intimatogli per accesso informatico. Contro il Datore di Lavoro, che abbia controllato la sua messaggeria sul cellulare aziendale, per prima cosa, il Lavoratore lamenterà la violazione del proprio “domicilio digitale”. Come noto, l’uso di un PC, di un cellulare genera una fitta rete di informazioni che dà luogo ad una dimensione “privata”, la cui inaccessibilità è espressamente tutelata da una vecchia legge del 1993 (l. 547/93) con speciali previsioni di reato, modellate sulla falsariga della “violazione di domicilio” ex. art. 615 Codice Penale (artt. 615 bis, ter etc.).
L’uso della parola “domicilio” qui è invocata con un’accezione “propria” che non deriva dalla normativa civile, né fiscale, ma dalla Costituzione. L’art. 14 Costituzione, ad esempio, considera il “domicilio” in senso ampio quale “spazio ideale (anche virtuale, informatico) di pertinenza della persona, al quale estendere la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene costituzionalmente protetto” (Cass. Pen., sez. VI, 14/10/1999).
E’ bene ricordare che tale norma costituzionale ha una corrispondenza diretta nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (detta anche CEDU): stiamo parlando dell’art. 8 della Convenzione che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.
Evidentemente, quando vengono in gioco SMS, mail, messaggerie personali, queste norme non possono essere ignorate, come fatto rilevare dal Garante della Privacy, in diverse occasioni (da ultimo il provvedimento 12/11/15): se Lavoratore e Datore non chiariscono i termini di uso aziendale o promiscuo aziendale/personale, e l’Azienda si trova a tollerare per lungo tempo un uso “personale” delle attrezzature aziendali, in questi casi, il Dipendente, provando una lunga consuetudine all’uso privato, può invocare una non insignificante tutela della Privacy (anche a fronte di attrezzature aziendali).
Il contributo della sentenza Barbulescu è importante, perché ricorda agli Stati che tale violazione, nel rapporto di lavoro, non può essere mai contestata al Datore di Lavoro che risulti trovarsi “in buona fede”: nel caso di specie (sia nella sentenza Barbluescu, sia nel caso qui riprodotto), il Datore, visti anche gli accordi presi col Dipendente per iscritto, confidava nell’uso eminentemente aziendale del cellulare (così era stato convenuto), non potendosi aspettare che il Dipendente faceva del cellulare e di Whatsapp un uso così privato. Nel caso di specie, poi, la tutela di un qualunque profilo di riservatezza (anche in termini di “domicilio informatico”) è esclusa dalla perentorietà con cui le parti avevano predefinito l’uso del cellulare e della messaggeria Whatsapp, in chiave strettamente aziendale: da questo punto di vista, il Dipendente, violando la consegna all’uso esclusivamente aziendale della telefonia in uso, aveva violato un chiaro ordine di servizio aziendale; una condotta che, tipicamente, legittima il licenziamento da parte del Datore di Lavoro, senza grossi problemi.
Le sentenze europee, come noto, influenzano direttamente la giurisprudenza italiana e, in particolare, la Corte Costituzionale (art. 117.1°comma Costituzione).
In questo quadro, meglio si può inquadrare una norma come l’art. 4.2°comma l. 300/70, riformata dall’art. 23 D.lgs. 151/2015, che esclude le normali procedure sindacali e amministrative in presenza di “controlli” realizzati dal Datore di Lavoro attraverso telefoni mobili, PC, ovvero “strumenti atti a rendere la prestazione lavorativa”. In effetti, alla luce della sentenza in esame, possiamo comprendere meglio la ratio di questa (contestatissima!) norma: il legislatore, nel selezionare questa categoria di strumenti dalla massa di strumenti passibili di “controllo a distanza” (che restano vietati a norma dell’art. 4.1°comma l. 300/70), e nell’escludere questi strumenti dalla più tradizionale e restrittiva procedura di autorizzazione (tramite accordo sindacale o autorizzazione DTL) ha ritenuto, in questi casi, preminente il diritto del Datore di Lavoro a confidare nell’uso di tali strumenti in chiave esclusivamente aziendale. In questo senso, trova giustificazione il minore rilievo conferito alla Privacy del Dipendente e la più ampia possibilità di utilizzazione ai fini aziendali (anche disciplinari) delle informazioni raccolte con questi strumenti. In altre parole, la tutela della Privacy del Dipendente cede davanti a questa specie di “presunzione di prevalente uso aziendale” della strumentazione telefonica, informatica e simili; anche se tali attrezzature possono dar luogo a “controlli a distanza” (ritenuto, però, recessivo).
Da questo punto di vista, le affinità tra l’art. 4.2°comma l. 300/70 e la fattispecie Barbulescu sono indubitabili: la sentenza, infatti, non imputa a violazione della Privacy il controllo del Datore su uno strumento telefonico, informatico e simile rispetto al quale il Lavoratore aveva garantito l’uso esclusivamente aziendale. Tale è la ratio del nuovo art. 4.2°comma l. 300/70.
N.B: L’uso ai fini disciplinari delle risultanze è sempre subordinato alla predisposizione di una Scrittura redatta ai sensi del D.lgs. 196/03, sottoscritta dal Dipendente. E’ questo, come si può capire, un passaggio indispensabile per le complesse problematiche relative al “trattamento dei dati personali”.

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