AVVERTENZA

AVVERTENZA:
QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI"
GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.

NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.

IL PRESENTE BLOG NON OFFRE,
NE' PUO', NE' VUOLE OFFRIRE CONSULENZA ONLINE IN ORDINE AGLI ADEMPIMENTI DI LAVORO DI IMPRESE, O LAVORATORI.

NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.




lunedì 8 settembre 2014

JOBS ACT E LIMITI QUANTITATIVI: "VERIFICA PUNTUALE" SI, "VERIFICA PUNTUALE" NO- IL MINISTERO HA DECISO- 1A PARTE

AVVERTENZA: Iniziamo oggi la pubblicazione di un commento "a puntate" della disciplina dei "limiti quantitativi" introdotta, per i contratti a termine, dal Jobs Act, che evidenzi la portata concreta, sul piano applicativo, dei chiarimenti offerti dal Ministero del Lavoro con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014.



Art. 1. Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine.

1. Considerata la perdurante crisi occupazionale e l'incertezza dell'attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle more dell'adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l'attuale articolazione delle tipologie di contratti di lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) (…) Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.»
(…)
b-septies) all'articolo 5, dopo il comma 4-sexies sono aggiunti i seguenti:
«4-septies. In caso di violazione del limite percentuale di cui all'articolo 1, comma 1, per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:
a) pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
b) pari al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.

Dopo un lungo dibattito interpretativo, finalmente è sceso in campo il Ministero del Lavoro, che con la Circolare nr. 18 del 31 luglio 2014, ha espresso il suo autorevole parere intorno alla portata applicativa del DL 34/2014 (Riforma Poletti, altrimenti detto Jobs Act).
Si coglie l’occasione di sottolineare l’opportunità di non sopravvalutare la portata di una Circolare ministeriale come questa: Circolare, che deve ritenersi certamente vincolante per il personale ispettivo che sia chiamato ad applicare le nuove sanzioni amministrative per la violazione dei “limiti quantitativi” dei contratti a termine, ma che non costituisce fonte certa “di diritto oggettivo”. L’interpretazione ministeriale, infatti, è un’interpretazione che oggettivamente non si può ignorare, in quanto investita dell’auctoritas intrinseca del Ministero del Lavoro, ma, ove i Giudici se ne discostino, è evidentemente l’interpretazione della Magistratura l’interpretazione vincolante per i consociati (salvo che il legislatore come noto, scenda egli stesso nell’agone intepretativo con una legge di interpretazione autentica). Questa premessa è d’obbligo, perché la pronuncia ministeriale, che pure ovvia a non pochi inconvenienti applicativi segnalati dalla dottrina (conteggio dei part time etc.) in un’ottica di grande comprensione e liberalità per le Aziende, (molto apprezzabile, per altro, per agevolare le Aziende in un momento di crisi come questo) a tratti forza il dato letterale ed esegetico della norma: di qui, l’invito alla prudenza per le Aziende, che potrebbero subìre interpretazioni più restrittive, particolarmente a causa della concorrenza concomitante del Giudice del Lavoro, che può certo addivenire ad interpretazioni più favorevoli per i Dipendenti.
Ma cominciamo con ordine, seguendo, nel commento della Circolare, un filo squisitamente esegetico.
E’ indispensabile prendere le mosse dall’inciso, che più di tutti, aveva suscitato dubbi e controversie:

(…) Il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione.

Di per sé è abbastanza chiara la proposizione: “il numero dei lavoratori a termine deve essere pari al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in Azienda” (sui punti interpretativi ancora aperti, diremo dopo …). Meno chiaro, e fonte di dubbi, è invece il successivo inciso: che, quando cerca di circoscrivere il numero dei dipendenti ricorre ad una poco chiara “unità di misura”: “20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione”.
Presa alla lettera, come segnalato da molti interpreti, la norma pare disponga questo: “Cari Datori di Lavoro, volete assumere personale a termine? Allora, considerate i lavoratori che avevate in forza al 1/1 dell’anno; e calcolate. La quota che risulta è la quota di assunzioni a termine che voi dovete assumere nell’anno. A prescindere dalla circostanza che poi la proporzione sia di fatto cambiata, per dimissioni, cessazioni di lavoratori a tempo indeterminato …”.
Su questa interpretazione si è assestato il Ministero del Lavoro, nell’ultima Circolare, come documenta il seguente passaggio:

Ciò premesso, a titolo esemplificativo, qualora il datore di lavoro alla data del 1° gennaio abbia in corso 10 rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potrà assumere sino a 2 lavoratori a termine, a prescindere dalla durata dei relativi contratti e ciò anche se, nel corso dell’anno, il numero dei lavoratori “stabili" sia diminuito.

Senonchè, questa conclusione presenta molti inconvenienti: se, infatti, la legge istituisce un limite percentuale, questo limite non può che essere inteso come proporzione tra lavoratori stabili e a termine. Di qui, come non rilevare l’assurdità di dedurre il “congelamento” della proporzione al 1/1 dell’anno di assunzione: così facendo, infatti, il Datore di Lavoro si trova vincolato ad una proporzione che, nei fatti, ben potrebbe essere stata superata (perché nel frattempo l’organico dei tempi indeterminati è mutato: per licenziamento etc.).
Per questi motivi, molti Autori (e Confindustria, in particolare) avevano proposto un’interpretazione “correttiva”, orientata alla sua ratio: se cioè, lo scopo conclamato della norma consiste nello stabilire un rapporto di “diretta proporzionalità” tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato, si argomenta che tale rapporto deve essere calcolato sul rapporto “effettivo” esistente al momento dell’assunzione (cd. verifica puntuale)[1]. Es. se assumo a termine il 2 gennaio con 10 lavoratori a tempo indeterminato, potrò assumere fino a 2 lavoratori a termine. Se, però, il 21 marzo, il numero dei lavoratori a tempo indeterminato è aumentato a 20, il numero dei Dipendenti a termine che potrò assumere sarà pari a 4 e così via.
Ma il Ministero ha scelto diversamente … A ns parere, il Ministero ha scelto l’interpretazione più prudente, tenendo conto dell’elevato rischio di contenzioso (e di ineffettività conseguente della norma) che sarebbe disceso dalla diversa interpretazione (orientata alla cd “verifica puntuale”).
La nuova disciplina dei “limiti quantitativi” , infatti, è opponibile in due possibili sedi: in sede di ispezioni ministeriali, ai fini, cioè, dell’applicazione delle relative sanzioni amministrative su detti “limiti” e ai fini civilistici. Il superamento dei “limiti quantitativi” determina la trasformazione ope legis dei rapporti di lavoro eccedentari in rapporti a tempo indeterminato. Come lo stesso Ministero ha sottolineato, l’interpretazione ministeriale non può determinare alcuna certezza giuridica intorno a quest’ultima evenienza, competendo solo al Giudice dire … l’ultima parola! Né, al momento, abbiamo elementi sicuri per ritenere davvero “sterilizzate” ai fini civilistici le conseguenze del mancato rispetto dei “limiti quantitativi” ex DL 34: è vero, è stato approvato un Ordine del Giorno con ambizioni interpretative su questo argomento, ma, data la specialità conclamata della disciplina, si hanno forti elementi per concordare con il dr. EUFRANIO MASSI[2] che ritiene la totale irrilevanza, ai fini civilistici, di tale Ordine del Giorno, difettandone un recepimento puntuale in sede di normativa di legge.
E’ evidente, pertanto, che, in sede giudiziale, in sede, cioè, di contenzioso Lavoratore-Azienda circa la portata degli effetti “civilistici” del superamento dei “limiti quantitativi” che possono risorgere i problemi interpretativi di tale norma, e riprendere vigore interpretazioni più restrittive e oggettivamente sfavorevoli per le Aziende: con buona pace della Circolare ministeriale …
Riteniamo, però, che, se il Ministero non ha optato, come desiderato da molti interpreti e associazioni di categoria datorili, per l’interpretazione più morbida della “verifica puntuale”, lo abbia fatto, a ragion veduta, almeno dal punto di vista esegetico (sul piano politico, si può pensarla diversamente).
I sostenitori della tesi della cd “verifica puntuale”, mentre risolvevano un problema “pratico”, ne aprivano uno (insolubile) a livello esegetico, non riuscendo, cioè, a chiarire la ragione d’essere dell’inciso “lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1/1 dell’anno cui si riferisce l’assunzione”: problema esegetico assolutamente eluso dalla Circolare Min. Lav. 18/2014. Inciso chiaro e inaggirabile, a meno di non sobbarcarsi l’onere di una interpretatio abrogans, altamente rischiosa in sede giudiziale.
“Verifica puntuale” o no, resta la cirocostanza che detto riferimento valga anche quale “riferimento negativo”: in altre parole, la norma segnala che il computo può effettuarsi solo per eventi compresi tra il 1/1 e il 31/12 dello stesso anno cui si riferisce l’assunzione, senza che abbiano alcuna rilevanza eventi verificatisi in anni precedenti e successivi, che, non possono, a questi fini, “fare media” (e questo apre rilevanti problemi per settori caratterizzati da alto turn over di appalti,  ove difetti una disciplina ad hoc di CCNL).
Con questo, però, la “scelta di campo” operata dal Ministero contro l’auspicata interpretazione favorevole alla “verifica puntuale” dei limiti quantitativi per i contratti a termine, apre una serie di dubbi irrisolti, in relazione a talune particolari casistiche, che qui di seguito si segnalano succintamente.
Che ne è ad esempio dei rapporti a tempo indeterminato, che al 1/1 dell’assunzione (e al momento “puntuale” dell’assunzione a termine) siano sospesi per aspettativa, in vista di una cessazione che è stata comunque pattuita nell’anno? Rientrano questi rapporti nei “limiti quantitativi”? Qui, la disputa è di fatto aperta: aderendo ad un’interpretazione dell’espressione “in forza al 1/1”, e sposandone l’accezione più comune nell’universo delle paghe e della gestione del personale, si dovrebbe ritenere che detto personale va certamente conteggiato nel “limite quantitativo”. Ma, se si segue il filo di un’interpretazione meno “schiacciata” sul dato letterale, più legata al dato applicativo e pratico, allora le cose possono cambiare: se cioè, con l’espressione “rapporti in forza”, si intende “rapporti materialmente attivi” (e non solo “formalmente attivi”), ecco che tale rapporto sarebbe escluso dal computo dei “limiti quantitativi”.
Nessuno, mi pare, si è ancora posto questo problema, né risulta che il Ministero abbia lasciato intendere qualcosa.
A favore, però, di questa ricostruzione, potrebbe, però, trovarsi un appiglio nella stessa interpretazione ministeriale delle disposizioni relative al calcolo delle sanzioni amministrative (calcolo tarato sui “15 giorni”) … Ma il punto, al momento, non è stato ancora sufficientemente approfondito.
Un altro aspetto, non toccato dalla Circolare. Può darsi che, al momento dell’assunzione a termine, sia passata in giudicato una sentenza che ha riconosciuto come a tempo indeterminato un rapporto stipulato a termine in passato presso l’Azienda. Questa sentenza, che incidenza riveste ai fini del calcolo del “limite quantitativo”? A essere rigorosi, si dovrebbe riconoscerne l’irrilevanza ai fini della determinazione della quota assunzionale di lavoratori a termine. Questo perché il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato spiega efficacia (nel caso specifico) per un’annualità estranea a quella di assunzione, il riconoscimento giudiziale del tempo indeterminato non implica “riassunzione” (ma solo oneri risarcitori). Il lavoratore riconosciuto giudizialmente “a tempo indeterminato”, pertanto, non può considerarsi “in forza” nell’anno di assunzione e, quindi, deve ritenersi irrilevante, ai fini del computo del “limite quantitativo” (e ai fini delle relative sanzioni amministrative).
Allo stesso modo, supponiamo nel 2015 di poter effettuare il calcolo dei lavoratori a termine su un dato “limite dimensionale”. Nel 2016, viene rilevato in sede ispettiva che uno dei lavoratori a termine assunto aveva già superato i 36 mesi, e, pertanto, doveva considerarsi a tempo indeterminato. Deve procedersi al “riconteggio” della “base occupazionale” e procedere alla verifica del rispetto della percentuale dei rapporti a termine? Veramente, pare proprio potersi escludere questa eventualità, dato che la norma cristallizza i contratti a tempo indeterminato come “base occupazionale” al 1/1 dell’anno di assunzione e non dovrebbe (per logica) considerare eventi sopravvenuti. In ogni modo, questa conclusione potrebbe essere argomentata in forza dell’art. 01 l. 689/1981 (principio di legalità), dobbiamo ritenere tipizzato l’illecito amministrativo relativo al superamento dei “limiti quantitativi” allo stato della contrattualistica a tempo indeterminato effettivamente vigente nell’ “anno in cui si riferisce l’assunzione”, quindi a rapporti correnti, non a ricostruzioni giudiziarie … a posteriori! Questa l’interpretazione che, allo stato, appare la più coerente.
Questo per dare un piccolo saggio degli aspetti interpretativi e applicativi che rimangono aperti, anche dopo la Circolare. E’ evidente che è auspicabile non un’altra Circolare, non un Interpello, ma una nuova norma, che perfezioni e corregga questa parte della norma attualmente troppo indeterminata e confusa, chiarendo se la tipologia dei “lavoratori in forza” contempli lavoratori il cui rapporto sia “vivo” sulla carta, ma sostanzialmente morto (il caso dell’aspettativa lunga, in vista del licenziamento), ovvero solo rapporti “materialmente vivi”: in questo caso, però, avendo cura di precisare i casi dei lavoratori in part time verticale, in assenza con diritto alla conservazione del posto etc.
Da ultimo, il Ministero ha chiarito che, una volta fissato in una certa quota il numero di lavoratori a termine da assumere nell’anno, in caso di cessazione per scadenza del termine, l’Azienda ne può assumere un altro:

“Va ulteriormente chiarito- chiarisce il Ministero- che “il numero complessivo dei contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro" non costituisce un limite ''fisso’’ annuale. Esso rappresenta invece una proporzione, come si è detto, tra lavoratori “stabili” e a termine, di modo che allo scadere di un contratto sarà possibile stipularne un altro sempreché si rispetti la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato pari al 20%. Del resto di tale orientamento è conferma anche la disposizione transitoria contenuta nell’art. 2 bis del D.L. n. 34/2014 che richiede, ai datori di lavoro che alla data di entrata in vigore del Decreto occupavano un numero troppo alto di lavoratori a tempo determinato, di rientrare progressivamente, entro il 31 dicembre p.v., nei limiti di legge (v. infra)”.
 
(Fine 1a parte- Continua)





[1] Su questa interpretazione, insiste anche il dr. Così il dr. EUFRANIO MASSI nell’articolo Le sanzioni sui contratti a termine: questioni risolte e problemi interpretativi, post del 29/08/2014 pubblicato in Generazione Vincente-Blog:
[2] Così il dr. EUFRANIO MASSI nell’articolo Le sanzioni sui contratti a termine: questioni risolte e problemi interpretativi, post del 29/08/2014 pubblicato in Generazione Vincente-Blog: “E’ indubbio che la volontà espressa al Senato (v. anche o.d.g. G/1464/22/11) fosse quella di considerare la sanzione amministrativa introdotta, quale sostitutiva della conversione del rapporto in applicazione dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010, ma ciò non è detto in nessun punto della legge n. 78/2014 che la introduce. Probabilmente (se questa è la “vera” intenzione del Legislatore) ci sarà bisogno di una norma di interpretazione autentica ma, al momento (e la circolare n. 18 ha completamente “sorvolato” l’argomento, non spendendo alcuna parola in un senso o nell’altro), si ritiene che l’indirizzo giurisprudenziale formatosi sul superamento della percentuale contrattuale resti pienamente in vigore (conversione del rapporto ed indennità risarcitoria compresa tra 2,5 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto)”.
 

COLF, EROGAZIONE ANTICIPATA DI 13MA E TFR, COME GESTIRLE

Quesito:
Per l'assunzione della Colf di mio suocero, con cui mi ero accordato circa la corresponsione anticipata di 13ma mensilità e TFR, ho ricevuto dal Patronato un modulo di specifica richiesta. Sono rimasto di sasso, dato che prima, quando mi seguiva uno Studio di Consulenza del Lavoro, non avevo mai ricevuto una simile modulistica e il Consulente erogava gli importi direttamente in busta paga. Qual'è la prassi corretta? Grazie.

Risposta:
Entrambi i metodi sono corretti, di per sè.
Alcuni Patronati usano far sottoscrivere alla Colf una specifica richiesta di erogazione separata. Non si ha nulla da eccepire, ma occorre partire dal presupposto che, nei rapporti con le Colf, è talmente usuale erogare ratei di 13ma e TFR mensilmente in busta paga, che possiamo dire trattarsi di essere in presenza di una "consuetudine", che genera, negli Studi di Consulenza e nei Datori di Lavoro, la legittima aspettativa di un comportamento "conforme".
E questo anche nell'ipotesi, più estrema, non infrequente nella pratica, che il contratto di assunzione nulla preveda quanto ad erogazione mensile e anticipata del TFR e della 13ma.
A questi fini, dobbiamo ricordare che la Colf, che, come la generalità dei lavoratori dipendenti, abbia ricevuto il prospetto paga e nulla contesti, determina una "presunzione di legittimità" in capo al Datore di Lavoro domestico (Cass. 30/06/2011 nr. 14411).  Nessuno oggi metterebbe in dubbio che la condotta contrattuale del Datore che perseveri (pur solo in via di prassi e non contrattuale) all'erogazione di 13ma e TFR in busta paga, sia conforme a "buona fede" contrattuale ex. art. 1375 C.C.
Nella prassi di Studio di Consulenza, è invalsa la tendenza a fare una succinta menzione di questa possibilità nel testo contrattuale, senza necessità di una sottoscrizione a parte: ciò crediamo si giustifichi alla luce del carattere molto "usuale" dell'erogazione anticipata del TFR e della 13ma in busta paga.
Certo, nulla vieta alla Colf di contestare e di chiedere un trattamento diverso: ma, a questo punto, si tratterà di una mera vicenda amministrativa, gestibile a livello di erogazione delle paghe.
Ma deve restare fermo (anche per non arrivare a picchi abnormi di "produzione di carta") la regola aurea del "chi tace, acconsente": se la Colf nulla contesta ...

giovedì 4 settembre 2014

ASSUNZIONE AGEVOLATA EX. L. 407/1990 ANCHE PER TIROCINANTI (DELLA STESSA AZIENDA)?

Quesito:
Salve, visto che il tirocinio non è classificato come lavoro dipendente, il tirocinante ammesso che abbia i requisiti, può essere assunto con la legge 407/90 dall'azienda stessa in cui ha svolto il tirocinio?Grazie.

Risposta:
Se si scorre l'art. 04 D.lgs. 181/2000, come da ultimo rivisto dalla l. 99/2013 (conv. DL 76/2013) queste sono le regole intorno allo stato di disoccupazione:

"a) conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. Tale soglia di reddito non si applica ai soggetti di cui all'articolo 8, commi 2 e 3, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468;
b) perdita dello stato di disoccupazione in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente nell'àmbito delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3;
c) perdita dello stato di disoccupazione in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della legge 24 giugno 1997, n. 196, nell'àmbito dei bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni;
d) sospensione dello stato di disoccupazione in caso di lavoro subordinato di durata fino a sei mesi".

Il tirocinio non è compreso.
Quindi, il tirocinio non pare maturare la realizzazione delle mensilità di disoccupazione utili per il godimento dell'assunzione agevolata ex. l. 407/1990 (24 mesi: art. 08.09°comma l. 407/1990). 

 Resta inteso che:

- Il rifiuto ingiustificato del tirocinio, quale misura attiva di reinserimento, comporta per il disoccupato la perdita dello stato di disoccupazione e, quindi, l'impossibilità di decorrere la maturazione dei mesi, nel caso;
- Se il tirocinio è simulato, ed è disconosciuto quale lavoro subordinato, dovrebbe non spettare l'agevolazione ai sensi dell'art. 04.12°comma l. 92/2012, nel caso in cui il tirocinio riguardi un lavoratore che è stato licenziato nei sei mesi precedenti, ovvero impiegato in violazione di un diritto di precedenza etc. In ogni caso, occorre considerare che il periodo di tirocinio interrompe i mesi di disoccupazione e questo potrebbe avere ripercussioni sull'agevolazione ex. l. 407/1990.
Spero di non aver fatto confusione. 

mercoledì 3 settembre 2014

RITENUTE SENZA CERTIFICAZIONI: COSA SUCCEDE?

Cosa succede se un Contribuente, rientrante nel campo di applicazione dell'art. 25 DPR 600/73, ossia soggetto a ritenute da parte di un Sostituto d'imposta, non dispone della certificazione fiscale che attesta la relativa trattenuta?
Come difendersi dalla pretesa erariale di pagamento?
A questo proposito, ricordiamo che l'Agenzia delle Entrate ha avuto modo di esprimersi sul tema con la Risoluzione nr. 68/2009.
Secondo l'Amministrazione Fiscale, cioè, il Contribuente può scomputare la ritenuta, anche in assenza di certificazione fiscale "canonica" (es. la certificazione delle ritenute subìte dai lavoratori autonomi), ove riesca a documentare credibilmente di essere stato effettivamente inciso da ritenuta.
Tale prova può essere data primariamente con esibizione della fattura con evidenza della ritenuta e correlativa attestazione del versamento bancario effettuato "sul netto".
Diversamente, è molto difficile esprimere una soddisfaciente prova liberatoria, anche se, a seconda dei casi, non si può escludere l'utilità di una "dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà" con la quale il Contribuente attesti di aver effettuato le ritenute: in questo caso, però, l'Amministrazione fiscale non mostra di accontentarsi di una dichiarazione "generica", ma richiede puntuali riferimenti a specifici atti di pagamento, che devono altresì essere "referenziati" nelle Scritture contabili del Sostituito (risolvendosi altrimenti la dichiarazione in un troppo agevole "salto d'imposta").
 

lunedì 1 settembre 2014

LAVORO A TERMINE E JOBS ACT: COMMENTO ALL'ART. 3 D.LGS. 368/2011



DECRETO LEGISLATIVO 6 settembre 2001, n. 368

[ 3.1 ] Divieti

1. L'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti, ovvero sia concluso ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine (1);
d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
------
(1) Ai sensi dell’art. 3-bis, D.L. 11 giugno 2002, n. 108, conv. dalla legge 31 luglio 2002, n. 172, la disposizione di cui alla presente lettera, deve intendersi nel senso che il divieto ivi previsto di procedere ad assunzioni con contratti a termine presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine, non si applica nell'ipotesi di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.

            Questo articolo è uno degli articoli del D.lgs. 368/2001, che, pur non oggetto di modifiche dirette da parte della riforma Poletti del mercato del lavoro (DL 34/2014), è quello tra i più manifestamente incisi.
            Nel sistema legislativo precedente, a tale norma, che individuava i casi di “divieto” di assunzione a termine in determinati casi, si affiancava, come norma di sanzione (e, quindi, di controllo effettivo) la disposizione di cui all’art. 01 D.lgs. 368/01, che obbligava il Datore a specificare i “motivi” organizzativi, sostitutivi etc. dell’assunzione. Questo sistema era, a tutta evidenza, particolarmente stringente: all’enunciazione “platonica” del divieto di assunzione a termine in caso di sciopero etc. faceva riscontro un sistema molto severo di controllo effettivo delle causali, a cui nessuno avrebbe potuto sfuggire.
In un sistema (solo in apparenza liberalizzato) come quello del 2001, dove la legittimità dell’assunzione a termine passava per un vaglio e della causale (generale-astratta: la fissazione del termine) e dei motivi concreti dell’assunzione, il Datore doveva per forza passare attraverso il controllo delle circostanze (motivi) produttivi etc. dell’assunzione a termine, pena la trasformazione del rapporto ope legis in rapporto “fisso”. Un controllo, per altro, reso molto stringente dalla giurisprudenza, che aveva avuto modo di precisare come il vaglio delle “causali” del contratto a termine non dovesse essere generico, limitato alla mera enunciazione, ma esaustivo, comprensivo di tutte le circostanze utili a specificare una autentica “ragione transitoria” di assunzione.
Non serve più di tanto dire come questo sistema facilitasse di molto il controllo di fattispecie più manifestamente “a rischio di abusi” come le sostituzioni di lavoratori in sciopero, per CIG etc.: l’art. 03, che enunciava il divieto di assunzione a termine di lavoratori in sciopero etc. trovava così una chiara e limpida sanzione. E ora?
Non possiamo nasconderci che il “sistema” dopo la riforma Poletti è molto cambiato.
L’eliminazione delle “causali” ha indotto un importante contraccolpo nel “sistema” complessivo della contrattualistica a termine: l’eliminazione delle “causali”, infatti, e dell’incisivo complesso di controlli che ne discendevano, ha determinato l’irrilevanza dei “motivi” (organizzativi etc.) dal contratto a termine. In queste condizioni, è sufficiente, ai fini della legittimità dell’assunzione a termine, la mera … fissazione del termine (indipendentemente dalla specificazione dei motivi)! Il salto non è di poco conto: mentre prima, non era sufficiente ai fini della legittimità (o della presunzione di legittimità) dell’assunzione a termine, la presenza di un termine finale (ma era necessaria la specificazione dei motivi), ora, ai fini della legittimità (o della presunzione di legittimità) del contratto a termine è sufficiente la mera fissazione dei termini. Detto in altre parole, se prima la mera fissazione del termine non avrebbe potuto liberare il Datore di Lavoro dall’onere di provare la legittimità dell’assunzione, oggi, la mera fissazione del termine basta a consentire al Datore l’assolvimento della prova della legittimità del termine, e a invertire sul Lavoratore la prova dell’eventuale illegittimità dell’assunzione.
E in che modo il Lavoratore potrà contestare l’assunzione a termine? Il “sistema” viene ad assomigliare terribilmente al diritto comune: vediamo di capire perché.
La posizione del Lavoratore che, dopo il Jobs Act, voglia contestare l’illegittimità dell’apposizione del termine è assimilabile, in tutto e per tutto, a quella del contraente “comune” che intenda impugnare un’apposizione di termine contrattuale (elemento accidentale del contratto) che assuma contra legem. A questi fini, si dovrà fare primariamente riferimento alle ipotesi di tutela previste dagli art. 1354 Codice Civile, ma anche ad altri istituti come la simulazione del contratto (art. 1414 Codice Civile), il contratto “in frode alla legge” (art. 1344 Codice Civile), il contratto “a causa illecita” (art. 1343 Codice Civile), il contratto stipulato con “Motivo illecito comune” (art. 1345 Codice Civile). Inutile sottolineare come queste ipotesi siano molto prossime a condotte di “sfruttamento” del lavoratore, passibili altresì di tutela penale, almeno ricorrendo gli estremi dell’estorsione ex. art. 627 Codice Penale, ravvisata dalla giurisprudenza nelle ipotesi di conclamato “abuso” del Datore di Lavoro. Se questa è semplificazione … ma lasciamo stare.
De jure condito, ciò che rileva è che la caduta dello “speciale” sistema di controllo delle causali, costringe il Lavoratore a ricorrere alle (farraginose) tutele “anti-abuso” offerte dal diritto comune. Questo non può che incidere, indebolendo sensibilmente, la forza di “storiche” normative anti-abuso come quella apprestata dall’art. 03 D.lgs. 368/01 contro l’uso di “assunzioni sostitutive” per sciopero, per CIG etc.
Veniamo ad una prima e sommaria esemplificazione.
L’ipotesi più di tutti problematica è l’ipotesi di assunzione sostitutiva di lavoratori in sciopero. In questa circostanza, ritenuta tradizionalmente “causa illecita” di assunzione a termine (e, quindi fonte di nullità del contratto), la tutela del singolo Dipendente non può che passare attraverso un “provvedimento” ex. art. 28 l. 300/70, che dimostri l’assunzione a termine posta in essere in violazione di norme sindacali; “provvedimento” di cui avvalersi, poi, per provare la nullità del contratto a termine. Precedentemente, avrebbe potuto bastare una disamina incidenter tantum sulle “ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Un po’ meno problematica la prova dell’illegittimità di assunzione a termine per sostituzione di lavoratori in CIG, senonchè la tutela del Dipendente cassintegrato qui è strettamente dipendente dall’iniziativa in sede ispettiva dell’INPS; e solo andata a buon fine questa, il Dipendente potrà procedere (di riflesso) ad invalidare l’assunzione a termine. Precedentemente, avrebbe potuto bastare una disamina incidenter tantum sulle “ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Anche la tutela del lavoratore, assunto illegittimamente a termine per contemporanea presenza di licenziamenti collettivi conosce un andamento tortuoso. Essendo tale norma corollario della garanzia in ordine al corretto uso della “consultazione sindacale” ex. l. 223/91, e venendo in evidenza l’uso della contrattualistica a termine in questa circostanza come prova della “non genuinità” della “natura collettivo-sindacale” dei licenziamenti, è giocoforza che l’illegittimità delle assunzioni a termine poste in essere in violazione rilevi di riflesso attraverso l’impugnazione della procedura di licenziamento collettivo (versomilmente una declaratoria di licenziamento illegittimo ex. art. 18 l. 300/70). Precedentemente, avrebbe potuto bastare una disamina incidenter tantum sulle “ragioni produttive” dell’assunzione ex. art. 01 per addivenire all’invalidazione del rapporto a termine. Ora no!
Di minimo rilievo è, invece, l’ipotesi di cui alla lettera d) dell’art. 03 D.lgs. 368/01, che concerne il divieto di assunzioni a termine in difetto di “valutazione dei rischi” (per questa fattispecie, dovrà farsi una valutazione a parte).
Vero è che, in questi casi, sussumibili per lo più in ipotesi di nullità rilevabili ex officio, il Dipendente potrà contare sull’iniziativa istruttoria officiosa del Giudice codificata dall’art. 421 Codice Procedura Civile, particolarmente utile per casi come questi dove viene in gioco un “riequilibrio” di tutele a favore del Lavoratore.
Ma la sensazione che si ricava da questa esegesi del D.lgs. 368/01 è una sensazione di incompiutezza e di deficienza. Ne risulta fortemente ridimensionata, pertanto, la portata dell’art. 03 D.lgs. 368/01, norma che mantiene un alto profilo descrittivo delle condotte più tipiche e odiose di “abuso” della contrattualistica a termine (e sicuramente a “causa illecita”); norma che mantiene un forte “indirizzo di tutela antiabuso” in connessione con la normativa europea sui contratti a termine (Direttiva CE 70/99), ma di cui viene ad essere fortemente indebolita la procedura di controllo e di verifica (ovvero di “sanzione”); norma che deve diventare l’occasione di una riflessione più ampia, che metta a fuoco gli squilibri e i contraccolpi di una tecnica legislativa affrettata, che taglia con l’accetta, e non con compasso e livella, come dovrebbe. Evidentemente, a poco serve gloriarsi di aver eliminato la “farragine” della causale, se poi, a valle, si è determinata una “farragine” e una complicazione di tutela molto rilevante, con conseguenze imprevedibili da non sottovalutare neanche dal Datore di Lavoro.
Semplificare va bene, specie se si creano adeguate alternative e canali di tutela anti-abuso del Dipendente. E non dimentichiamo: l’Europa ci guarda!




sabato 2 agosto 2014

FERIE D'AGOSTO 2014

Da oggi fino a Ferragosto, questo Blog sospende l'attività.
Lo Studio Francesco Landi augura ai suoi lettori buon Ferragosto 2014.