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lunedì 18 aprile 2016

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: I CASI IN CUI SI PUO' LICENZIARE IL DIPENDENTE-SINTESI

Il licenziamento disciplinare appartiene alla famiglia dei “licenziamenti per giusta causa” disciplinati, nelle grandi linee, dall’art. 2119 Codice Civile.
Si ha “giusta causa” di licenziamento, precisa il Codice, laddove si determina un evento (imputabile al Lavoratore) di tale gravità da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, neanche in via provvisoria.
Riassumendo, sulla scia della più che consolidata giurisprudenza di Cassazione, possiamo dire che il licenziamento disciplinare è giustificato, laddove si determina una evidente, conclamata e irrecuperabile rottura del rapporto fiduciario tra Datore di Lavoro e Dipendente; questo è il requisito che viene altrimenti nominato (nelle pubblicazioni, ma anche nelle sentenze dei Giudici) “proporzionalità” tra “Evento” e “Licenziamento”.
Qui di seguito, un rapido elenco delle condotte che, secondo i CCNL e nella prassi, sono ritenute meritevoli di licenziamento illegittimo:

a)      Abbandono ingiustificato del posto di lavoro;
b)      Assenza ingiustificata;
c)       Comunicazioni non veritiere tra Datore di Lavoro e Dipendente;
d)      Atti di insubordinazione e/o frode in costanza di malattia (correzione data del certificato medico, rifiuto di riprendere servizio cessata la malattia certificata, assenza ingiustificata alla visita di controllo etc.);
e)      Insubordinazione (es. Dipendente che si rechi al Lavoro contravvenendo al provvedimento disciplinare che abbia disposto la sospensione del lavoro);+
f)       Atti violenti verso Datore di Lavoro e Colleghi;
g)      Divulgazione non autorizzata di informazioni relative agli ambienti di lavoro, specie se contenenti informazioni non veritiere, ovvero tese a restituire un’immagine distorta del Datore di Lavoro presso il pubblico;
h)      Reati (vuoi commessi nella vita privata, vuoi commessi per causa di servizio), come spaccio di sostanze stupefacenti (anche spinelli), molestie sessuali anche se solo nei confronti di terzi, condanna per falsa testimonianza in processo civile, condanna a pene detentive per condotte gravi e incompatibili col rapporto di lavoro, appropriazione indebita di merci o oggetti di lavoro, sottrazione di un bene appartenente ad un collega, falsi documentali (N.B: A seconda del CCNL può essere necessario attendere, per la definizione del licenziamento disciplinare, la sentenza. Normalmente, però, se i fatti sono provati, il licenziamento può operare, indipendentemente dalle decisioni della Magistratura!);
i)        Rifiuto di eseguire le prestazioni di lavoro connesse alle mansioni contrattualmente affidate;
j)        Svolgimento di lavoro durante periodo di Cassa Integrazione Guadagni;
k)      Violazione dei doveri di diligenza, obbedienza, fedeltà, riservatezza.

Un tale elenco non può essere tassativo: ricordiamo, al riguardo, che l’art. 2119 Codice Civile è una norma “aperta”, che consente il licenziamento del Dipendente, in tutti i casi in cui sia comprovabile una grave e irrimediabile incompatibilità del Dipendente con l’ambiente di lavoro.
Ricordiamo che, per giustificare il licenziamento del Dipendente, non è sempre sufficiente il ricorrere dei fatti sopra descritti, dovendo il Datore motivare il licenziamento relativamente alla reale “incompatibilità” della condotta con gli ambienti di lavoro.
A questo riguardo, una non risalente sentenza (Cass. 30/1/2013 nr. 20158) ha offerto una esemplificazione utile circa il caso (tutt’altro che infrequente) di un Dipendente condannato per molestie sessuali verso terzi (non altre Dipendenti). Nella sentenza era stato giustificato il licenziamento, ritenendo che tale condotta criminosa (accertata giudizialmente e comunque notoria) evidenziasse una grave incompatibilità con il ruolo del Dipendente, chiamato a svolgere mansioni di coordinamento, in una realtà a composizione prevalentemente femminile. Ma la stessa condanna penale può non evidenziare una incompatibilità in altri casi, per altre mansioni, per il cui esercizio sia meno impegnativa e rilevante la personalità del Dipendente (es. attività di custodia, magazzino etc.).
In tutti i casi, il licenziamento, per essere efficace, deve essere “tempestivo” (ovvero non deve essere trascorso troppo tempo dalla commissione del fatto o dalla sua conoscenza da parte del Datore di Lavoro), ovvero comminato nel rispetto delle tempistiche del CCNL applicabile (in funzione della difesa del Dipendente).

venerdì 15 aprile 2016

COLF, I PRINCIPALI PERMESSI RETRIBUITI (ART. 20 CCNL)

Qui di seguito, un brevissimo elenco dei principali permessi retribuiti che il CCNL Lavoro domestico riconosce in capo ai e alle Colf.

1) PERMESSI RETRIBUITI PER VISITE MEDICHE DOCUMENTATE (art. 20.1°comma): Trattasi di permessi per visite mediche documentate da svolgersi in orari anche parzialmente coincidenti con l’orario di lavoro. Competono fino ad un massimo di 16 h per i lavoratori conviventi, fino a h 12 per lavoratori conviventi ma ad orario ridotto ex. art. 15.2°comma CCNL. Per i lavoratori non conviventi, con orario settimanale inferiore a 30 h, le 12 h di permesso retribuito saranno riproporzionate. Sul calcolo del riproporzionamento, si ritiene valida e coerente l’esemplificazione offerta dal Patronato FENAPI. Rapportato il “monte ore” completo di permessi di 12 h a 30h, ovvero al 40%, per conoscere il “monte ore” spettante in relazione al Lavoratore domestico, dovrà effettuarsi la seguente proporzione: Es. per un rapporto di lavoro di 29 h, la dote “massima” di permessi disponibile sarà h. 11.6 (29*40/100). Allo stesso risultato, però, sembra si possa pervenire con un semplice calcolo percentuale: se, infatti, consideriamo 29/30*100, e, di seguito, otteniamo il coefficiente 96.6%, se, inoltre, moltiplichiamo per tale percentuale 12 h (monte massimo di permessi su 30h) otteniamo lo stesso importo, 11.6 h. Per lo stesso motivo, potranno essere concessi ulteriori permessi che, però, non saranno retribuiti (comma 2), né su di essi potrà maturare l’eventuale indennità di vitto e alloggio (comma 6).
2) PERMESSI PER “COMPROVATA DISGRAZIA” AI FAMILIARI (art. 20.3°comma): Il CCNL non specifica cosa si intenda per “comprovata disgrazia” occorsa ai familiari, ma specifica che deve trattarsi di evento che ha colpito i “familiari conviventi”, ovvero parenti entro il 2° grado (“familiari conviventi”: dovrebbe rilevare a questo fine qualunque parente di qualsiasi linea parentale, purchè “convivente”; ma ricordiamo che la “famiglia convivente” può essere anche la cd “famiglia di fatto more uxorio” etero e uni-sessuale, purchè documentata dallo “stato di famiglia anagrafico”);
3) PERMESSI AL LAVORATORE PADRE PER NASCITA DI UN FIGLIO (art. 20.4°comma): Spettano due giornate di permesso al Lavoratore Padre per la nascita di un figlio.

Il comma 5 del medesimo articolo ricorda che al Lavoratore Domestico che ne faccia richiesta potranno, comunque, essere concessi, per giustificati motivi, permessi di breve durata non retribuiti.
In caso di permessi non retribuiti, non maturano gli ordinari istituti economici, compresi l’indennità per vitto e alloggio ove corrisposta.

mercoledì 13 aprile 2016

CONTRATTI DI PROSSIMITA' ATTENTI AI RIFLESSI DURC ...

L’art. 1.1175°comma l. 296/2006 richiede, ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi, non solo il possesso del DURC, ma anche l’osservanza “degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Ci si è chiesti quali riflessi possano spiegare a questo fine i cd “contratti di prossimità” ex. art. 8 DL 138/2011, speciali “accordi aziendali” che consentono la deroga a taluni specifici istituti inderogabili (orario di lavoro, mansioni etc.).
Il Ministero del Lavoro, nell’Interpello nr. 8/2016, ha confermato che tali specialissime “intese sindacali in deroga” sono competenti per disciplinare solo alcune specifiche materie, tassativamente definite dalla legge, senza poter mai derogare alle norme costituzionali ed europee in materia di lavoro.
In questo senso, è stato ritenuto invalido un “accordo di prossimità” che puntava a rideterminare (in deroga alle norme di legge) le retribuzioni imponibili ai fini previdenziali ex. l. 338/89 e l. 549/95.
Ai fini dell’art. 1.1175°comma l. 296/06, rilevano, pertanto, solo gli “accordi collettivi” (anche in deroga) conclusi secondo canoni di legittimità: pertanto, l’osservanza dell’illegittimo “accordo di prossimità” preclude all’Azienda il rilascio del DURC e la fruizione delle connesse agevolazioni contributive.

martedì 12 aprile 2016

APPRENDISTATO PER DIPLOMA O QUALIFICA PROFESSIONALE: QUALE ORARIO DI LAVORO?

Caso (tratto da Interpello Min. Lav. 11/2016):
Tizio è un ragazzino di 15 anni; non ha assolto all’obbligo scolastico per i 10 anni richiesti dalla legge ed è titolare di un rapporto di apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale. Posto che la disciplina dell’orario di lavoro deve seguire quella “speciale” ex. l. 977/67 (come modificata dal D.lgs. 345/99), qual è l’orario massimo di lavoro che Tizio deve legalmente effettuare?

Risposta:
La disciplina che rileva, ai fini della determinazione dell’orario di lavoro utile, è quella dell’art. 18 l. 977/67 che così stabilisce:

Art. 18. 1.
Per i bambini, liberi da obblighi scolastici, l'orario di lavoro non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 settimanali. Per gli adolescenti l'orario di lavoro non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali.

Deve, a questo riguardo, farsi notare che Tizio, pur essendo “di fatto” “adolescente”, “di diritto” (ossia ai fini della disciplina dell’orario di lavoro) deve considerarsi “bambino”, poiché non ha maturato gli anni necessari per l’assolvimento dell’obbligo scolastico.
L’art. 1.2°comma l. 977/1967 (come modificato dal D.lgs. 345/99), al riguardo, dispone:

Art. 1. 2.
Ai fini della presente legge si intende per: a) bambino: il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che è ancora soggetto all'obbligo scolastico; b) adolescente: il minore di età compresa tra i 15 e i 18 anni di età e che non è più soggetto all'obbligo scolastico.

A questi fini, il suo orario massimo di lavoro è individuato in 7h giornaliere e 35h settimanali.
Il Ministero del Lavoro, con Interpello 11/2016, ha precisato che l’applicazione di quest’ultima disciplina oraria si impone, nell'apprendistato per diploma etc., anche considerando che questa special tipologia di apprendistato costituisce essa stessa modalità di “assolvimento” dell’obbligo scolastico.
L’Interpello ha, altresì, confermato, sulla scia di una consolidata giurisprudenza (Cass. 9516/2003), che la disciplina speciale di tutela del lavoro dei minori e i suoi speciali istituti (es. orario massimo di lavoro) prevalgono sempre sulla disciplina contrattuale dell’apprendistato.

mercoledì 6 aprile 2016

LE NUOVE NORME SULL'INFORTUNIO IN ITINERE DEI CICLISTI. LE PRIME INDICAZIONI DI PRASSI DELL'INAIL

Con il post del 24/2 us., abbiamo avuto modo di illustrare i contenuti della l. 221/2015 (cd Collegato Ambientale) relativi alla revisione della disciplina dell’assicurazione INAIL per “infortuni in itinere” occorsi con l’uso di velocipede.
In quella circostanza, abbiamo evidenziato come le disposizioni di legge (es. art. 2.2°comma ultimo cpv) introducano una “presunzione di necessità” dell’uso del velocipede:

ai fini dell’infortunio in itinere, tale norma, almeno intesa nel suo significato letterale, dovrebbe escludere ogni accertamento INAIL relativamente a questo classico presupposto di assicurabilità dell’infortunio in itinere.

Presa alla lettera, cioè, la legge garantirebbe una presunzione assoluta di necessità dell’uso del velocipede, in quanto direttamente e inderogabilmente valutata dal legislatore, in considerazione della generale “positiva” ricaduta ambientale dell’uso del velocipede. Un’interpretazione recisamente respinta dall’INAIL che, nella recentissima Circolare nr. 14/2016 (25/3) precisa:

Nulla cambia .. con riferimento alla valutazione relativa al carattere necessitato del mezzo di trasporto privato.

La “necessità” del mezzo, quindi, va valutata alla stregua dei “principi generali” delle norme anti-infortunistiche INAIL sul “rischio elettivo”.

AGGIORNAMENTO 13/7/16
Al riguardo, si segnala come l’INAIL abbia interpretato l’inciso “l’uso del velocipede è sempre necessitato”, precisando come la “necessità del velocipede” non vada presunta ex lege (interpretazione da noi criticata nella mail del 22/1 h. 18,44), ma sia, al contrario, soggetta ad una “inversione dell’onere della prova” in capo all’istituto, in relazione alle alternative disponibili (percorso a piedi, mezzi pubblici). L’istituto, cioè, pare poter escludere la presunzione di “uso necessitato” del velocipede (codificata dalla legge 221/15), solo in casi di “manifesta non necessità” del velocipede (ci pare di dire quando il tragitto, talmente breve, possa essere compiuto, più efficacemente, a piedi).

Questo appare il punto più qualificante della Circolare INAIL 14/2016: per il resto, si richiamano i principi generali dell’infortunio in itinere (normalità del percorso, interruzioni etc.).
Con maggiore puntualità tecnica rispetto al testo legislativo, l’INAIL precisa che la riforma ex. l. 221/2015 incide efficacemente anche sulla valutazione di un altro requisito di assicurabilità tradizionale dell’infortunistica in itinere, il cd requisito della “normalità” del percorso.
Per l’INAIL, “percorso normale” spesso equivale a “tempo più breve”: per questi motivi, in passato, l’Istituto, pur in mezzo a molte critiche, era arrivato a riconoscere l’indennizzo dell’infortunio in itinere con velocipede, per lo più, in casi di percorrenza sulla sede stradale aperta (in esecuzione del “tragitto più breve”), non in piste ciclabili, quando il ricorso a queste “allungasse” il tragitto.
Ora, la Circolare 14/2016 assesta l’accertamento di questo requisito di assicurabilità, precisando che, per effetto della nuova legge, potrà valutarsi positivamente (ai fini della cd “normalità del tragitto”) il caso dell’infortunio occorso in pista ciclabile per accedere alla quale il Lavoratore-Ciclista abbia affrontato un percorso più lungo di quello normale, giustificato dalla concreta situazione della viabilità e dalla maggiore agilità di uso connessa al velocipede (ovviamente, ricorrendo gli altri requisiti di legge per l’assicurazione dell’infortunio in itinere).

martedì 5 aprile 2016

DIRITTI DI PRECEDENZA E ESONERO INPS EX ART.1.178°COMMA L. 208/2015

La già intricata diatriba interpretativa che ha opposto INPS e Consulenti del Lavoro nell’interpretare l’influenza restrittiva dei cd “diritti di precedenza” sulle agevolazioni nell’assunzione (prima discendenti dall’art. 4.12°comma lett. b) l. 92/2012, ora discendenti dall’art. 31.1°comma lett. b) D.lgs. 150/2015) è stata (parzialmente) risolta a beneficio delle Aziende dal Ministero del Lavoro con l’Interpello nr. 7/2016.
Risulta, cioè, chiarita, in via definitiva, il problema dell’influenza del “diritto di precedenza” (del lavoratore a termine “cessato”) sull’eventuale agevolazione cui il Datore intenda accedere (tipicamente, l’esonero INPS ex. art. 1.178°comma l. 208/2015). Recependo l’interpretazione più volte evidenziata dalla Fondazione Studi CDL, il Ministero del Lavoro, con Interpello 7/2016, ha chiarito che il diritto di precedenza del Lavoratore a termine cessato, per spiegare effetti restrittivi sul godimento in capo al Datore di Lavoro, deve risultare manifestato formalmente (e, quindi, notificato dal Lavoratore al Datore di Lavoro) nei termini previsti dal CCNL, ovvero, in difetto, entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto (ricordiamo che tale diritto riguarda, di norma, i lavoratori a termine, non stagionali, il cui termine contrattuale sia superiore a 6 mesi), ovvero entro 3 mesi (se stagionali). Nulla avendo ricevuto il Datore da parte del dipendente a termine cessato, il Datore di Lavoro (chiarisce il Ministero) può assumere chi vuole con l’agevolazione desiderata (ricorrendone, ovviamente i presupposti), senza che gli possa essere opposto in nessun senso il diritto a precedenza del Lavoratore cessato.
L’INPS ha provveduto a recepire tale parere ministeriale per l’esonero INPS con la Circolare nr. 57/2016 (vedi par. 4 num. 1).
Ricordiamo, però, che “diritti di precedenza” non sorgono solo in corrispondenza di rapporti a termine cessati, ma anche in corrispondenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, che siano sfociati in licenziamenti.
Tale, infatti, è il tenore dell’art. 15.6°comma l. 264/49 che dispone:

I lavoratori licenziati da un'azienda per riduzione di personale hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro sei mesi

Si noti che la tempistica di questo diritto è molto più incerta e “lassa” di quella prevista per i lavoratori a termine e questo induce qualche incertezza per i Datori che, avendo licenziato personale, intendessero assumere altri lavoratori, in pendenza di tale precedenza.
Presa alla lettera e, comunque, interpretata come da prassi tradizionale, i “sei mesi” di precedenza sembrano proprio decorrere dalla cessazione del rapporto.
Medio tempore, pare coerente ritenere che l’Azienda (visto anche l’art. 31.1°comma lett. b D.lgs. 150/15 che sostituisce il vecchio art. 4.12°comma l. 92/2012) non possa accedere ad alcuna agevolazione: e questo, in forza della norma che pretende, per l’accesso a qualunque assunzione agevolata, il rispetto dei cd “diritti di precedenza”.
Sul punto, comunque, ci riserviamo i necessari approfondimenti del caso; una cosa è comunque certa.
I chiarimenti ministeriali offerti dall’Interpello 7/2016 valgono, per espressa indicazione testuale del Ministero, solo “con specifico riferimento al diritto di precedenza previsto in favore dei lavoratori a tempo determinato”: evidentemente non altre ipotesi di diritto di precedenza (come per i licenziati a tempo indeterminato ex art. 15.6°comma l. 264/49).
E' necessario, quindi, osservare la necessaria prudenza, ove occorresse gestire tali pratiche di “agevolazione”.

venerdì 1 aprile 2016

DETASSAZIONE, FIRMATO IL DECRETO MINISTERIALE-FLASH

Fonte “dottrina lavoro”

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, ha sottoscritto il decreto del 25 marzo 2016 che disciplina i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione ai quali i contratti aziendali o territoriali legano la corresponsione di premi di risultato di ammontare variabile nonché i criteri di individuazione delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa. Il decreto, inoltre, regolamenta gli strumenti e le modalità attraverso cui le aziende realizzano il coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro e l’erogazione tramite voucher di beni, prestazioni e servizi di welfare aziendale (come, ad esempio, servizi di educazione e istruzione per i figli, o di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, ecc.). Il decreto sarà trasmesso a breve alla Corte dei Conti per la relativa registrazione.

Il Decreto applica i contenuti della legge di stabilità 2016, che prevede una tassazione agevolata, con imposta sostitutiva del 10%, per i premi di risultato e per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa, entro il limite di 2.000 euro lordi (che sale a 2.500 euro per le aziende che «coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro») in favore di lavoratori con redditi da lavoro dipendente fino a 50mila Euro.

I criteri di misurazione per i premi di risultato
Il decreto dispone che i contratti collettivi di lavoro devono prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, che possono consistere nell’aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, rispetto ad un periodo congruo definito dall’accordo, il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati.

La partecipazione agli utili dell’impresa
Il decreto chiarisce che per somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa si intendono gli utili distribuiti ai sensi dell’articolo 2102 del codice civile e che l’applicazione dell’imposta sostituiva del 10% si applica, sussistendo le condizioni ivi previste, anche alle somme erogate a titolo di partecipazione agli utili relativi al 2015.

Coinvolgimento paritetico dei lavoratori
Il decreto stabilisce che l’incremento del limite a 2.500 euro lordi per i premi di risultato con tassazione agevolata viene riconosciuto qualora i contratti collettivi di lavoro prevedano strumenti e modalità di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro da realizzarsi attraverso un piano che stabilisca, a titolo esemplificativo, la costituzione di gruppi di lavoro nei quali operano responsabili aziendali e lavoratori finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione, e che prevedono strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie nonché la predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti. Non costituiscono invece strumenti e modalità utili al fine dell’incremento del limite i gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione.

Deposito e monitoraggio dei contratti
L’applicazione dell’imposta sostitutiva al 10% è subordinata al deposito del contratto da effettuare entro 30 giorni dalla sottoscrizione dei contratti collettivi aziendali o territoriali, insieme con la dichiarazione di conformità del contratto alle disposizioni del decreto, redatta in conformità allo specifico modello che verrà reso disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per i premi di risultato relativi al 2015, il deposito del contratto e della dichiarazione di conformità deve avvenire entro i 30 giorni successivi all’entrata in vigore del decreto.

Le risorse La legge di stabilità prevede che le risorse necessarie sono reperite attraverso corrispondenti riduzioni del Fondo per l’occupazione, per un ammontare di 344,7 milioni per l’anno 2016, 325,8 milioni per il 2017, 320,4 milioni per il 2018, 344 milioni per il 2019, 329 milioni per l’anno 2020, 310 milioni per il 2021 e 293 milioni annui a decorrere dal 2022.