AVVERTENZA

AVVERTENZA:
QUESTO E' UN BLOG DI MERA "CURA DEI CONTENUTI"
GIUSLAVORISTICI (CONTENT CURATION) AL SERVIZIO DELLE ESCLUSIVE ESIGENZE DI AGGIORNAMENTO E APPROFONDIMENTO TEORICO DELLA COMUNITA' DI TUTTI I PROFESSIONISTI GIUSLAVORISTI, CONSULENTI, AVVOCATI ED ALTRI EX. L. 12/1979.

NEL BLOG SI TRATTANO "CASI PRATICI", ESEMPLIFICATIVI E FITTIZI, A SOLO SCOPO DI STUDIO TEORICO E APPROFONDIMENTO NORMATIVO.

IL PRESENTE BLOG NON OFFRE,
NE' PUO', NE' VUOLE OFFRIRE CONSULENZA ONLINE IN ORDINE AGLI ADEMPIMENTI DI LAVORO DI IMPRESE, O LAVORATORI.

NON COSTITUENDO LA PRESENTE PAGINA SITO DI "CONSULENZA ONLINE", GLI UTENTI, PRESA LETTURA DEI CONTENUTI CHE VI TROVERANNO, NON PRENDERANNO ALCUNA DECISIONE CONCRETA, IN ORDINE AI LORO ADEMPIMENTI DI LAVORO E PREVIDENZA, SENZA AVER PRIMA CONSULTATO UN PROFESSIONISTA ABILITATO AI SENSI DELLA LEGGE 12/1979.
I CURATORI DEL BLOG, PERTANTO, DECLINANO OGNI RESPONSABILITA' PER OGNI DIVERSO E NON CONSENTITO USO DELLA PRESENTE PAGINA.




martedì 30 luglio 2013

LIMITI PERCENTUALI ASSUNZIONI APPRENDISTI-UN CASO

Quesito:
Sono il Titolare di un Ristorante che, nel corso dei 03 anni precedenti, ha assunto 6 apprendisti (generalmente in coincidenza con periodi stagionali). Ne ho stabilizzato uno solo. Ho sentito dire che la legge Monti-Fornero limita le assunzioni di apprendisti in relazione alle percentuali di apprendisti stabilizzati. Quanti apprendisti posso assumere quest'anno? Grazie.

Risposta:
Il TU apprendistato (art. 02.03bis D.lgs. 167/2011), modificato dall'art. 01.19°comma l. 92/2012, ha introdotto speciali disposizioni concepite con lo scopo di contenere quell'eccessivo turn over di apprendisti che si verifica quando l'apprendistato è usato per finalità di ultra-flessibilizzazione del lavoro (non per trasferire professionalità, come da causa contrattuale).
Per prima cosa, occorre capire (e l'informazione non ci è data dal quesito) se l'Azienda ha più o meno di 10 Dipendenti.
Se l'Azienda ha meno di 10 Dipendenti, l'assunzione degli apprendisti non dipende da alcuna percentuale di stabilizzazione (art. 02.03ter TU app.). In questo caso, si applicano i normali limiti per le Piccole Imprese: possono, cioè, assumersi fino al 100% degli apprendisti, se l'Azienda ha dipendenti in numero inferiore a 09, ovvero fino a 03 Dip. se la Ditta ha maestranze specializzate.
Se l'Azienda ha più di 10 Dipendenti, ai normali limiti "dimensionali" appena citati si aggiunge la verifica di uno steppreliminare: quanti apprendisti ha stabilizzato l'Azienda nei tre anni precedenti (triennio mobile: Circ. Min. Lav. 18/2012)? Se ne assunti in percentuale non inferiore al 30%, allora può assumerne secondo i limiti dimensionali generali (ma dopo il 01/01/2013, la percentuale sale a 50%). Se ne ha assunti meno, potrà assumere solo un apprendista. 
Gli apprendisti assunti in violazione di tali percentuali sono trasformati automaticamente in lavoratori a tempo indeterminato. 

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

IL BAMBINO NATO MORTO E LA TUTELA DELLA LAVORATRICE MADRE

Quesito:
Ad una Lavoratrice madre, è stato impedito dal Datore di fruire del permesso per lutto ex dm 278/2000, per il figlio nato morto dalla gravidanza. E' corretto questo modo di procedere?

Risposta:
Premettiamo che fatichiamo a comprendere il motivo per cui una Lavoratrice madre, in queste condizioni, dovrebbe richiedere il permesso per lutto, quando essa è tutelata da astensione obbligatoria per l'intero periodo che è comunque garantito, anche dopo la gravidanza, ove il bimbo nasca morto. 
Dato atto di questa carenza nell'esposizione del quesito, siamo comunque ad evidenziare alcune note che crediamo utili per chiarire "in punta di diritto" i termini del problema.
Abbiamo fondati motivi per ritenere che i casi in cui il neonato nasca morto o venga a morire immediatamente dopo il parto, siano esclusi dalla tutela ex dm 278/2000, per alcuni ordini di ragioni.
Innanzitutto, il caso del "neonato nato morto" è fattispecie sicuramente estranea all'art. 01 dm 278/2000 che si riferisce ad un evento di "decesso" del congiunto, quale evidentemente non è il caso cui ci si sta riferendo. In secondo luogo, nell'ipotesi di bambino nato immediatamente dopo il parto, quindi in periodo coperto da astensione obbligatoria, lì non può aver luogo la concessione dei permessi, per il semplice motivo che il rapporto di lavoro è già sospeso in forza delle disposizioni a tutela della maternità.

Fatichiamo evidentemente a concepire forme alternative di astensione del lavoro della Lavoratrice madre, a queste condizioni.

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

lunedì 29 luglio 2013

LE 400 GIORNATE DEL LAVORO INTERMITTENTE- QUALE "ANNO SOLARE"?

Quesito:
Sono un Consulente del Lavoro che ha recentemente preso atto della riforma della contrattualistica a chiamata, che richiede, ai fini della legittimità della stessa, che la prestazione si svolga in un arco complessivo di 400 giornate di lavoro effettivo nel triennio solare. Per i contratti a chiamata in essere, come devo considerare l'anno solare, secondo Lei, ai fini di questo calcolo?

Risposta:
In assenza di pronunciamenti ministeriali non è semplice rispondere.
Visto che la previsione entra in vigore dal 28/06/13 e che la legge (art. 07.03°comma DL Lavoro) conferma espressamente che il conto delle giornate si opera per le giornate successive a quella data, si ritiene di poter aderire (almeno provvisoriamente e fino a diverse indicazioni ministeriali) ad un computo delle giornate che, quanto alla dizione "anno solare", tenga conto di un "computo mobile" che consideri i 365 gg. x 3 dalla data di stipula del contratto (nel Ns. caso dal 28/06/13 al 28/06/16) e non il periodo "fisso" 01/01-31/12.

Naturalmente, si resta a disposizione per chiarimenti e aggiornamenti.

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

IL LAVORO IN RUSSIA, COME FARE

Tratto dal Gruppo linkedin EXPAT-Previdenza e Fisco: http://www.linkedin.com/?trk=hb-0-h-logo
Per gentile concessione del Dr. Maurizio Cicciu, Consulente del lavoro. 
Visita il Profilo linkedin:  http://www.linkedin.com/profile/view?id=21294330&locale=en_US&trk=tyah 

Quesito:
Qualcuno sa darmi qualche informazione pratica riguardo le procedure per la richiesta di visti di lavoro\espatri in Russia?

Risposta (dr. Cicciu):
Per poter svolgere l’attività lavorativa in Russia, il cittadino straniero deve ottenere un permesso di lavoro o un visto di lavoro (a secondo del tempo che intende trascorre in Russia), mentre il datore di lavoro russo deve ottenere una preventiva autorizzazione per l’assunzione dei cittadini stranieri. 

I permessi di lavoro sono rilasciati in base alle quote stabilite dal governo ma alcune tipologie dei lavoratori possono essere esenti dall’applicazione delle quote. 
I passaggi da seguire sono di massima questi: 

1. Presentazione della richiesta di quota da parte della società russa 
2. Ottenimento della conferma da parte del Centro per l’Impiego riguardo alla necessità di assumere un lavoratore straniero per una data posizione; 
3. Ottenimento del permesso ad assumere un lavoratore straniero rilasciato dal Servizio Federale di Immigrazione; 
4. Ottenimento del permesso di lavoro. 

Gli steps per ottenere il visto per motivi di lavoro sono invece i seguenti: 

1. Ottenimento del tesserino di accreditamento personale per il lavoratore straniero, rilasciato dalla Camera di Registrazione statale; 
2. Ottenimento della lettera di invito dalla Camera di Registrazione statale per la successiva richiesta del visto per motivi di lavoro. Tale lettera è valida per un periodo di 90 giorni. 
3. Ottenimento del visto per motivi di lavoro (1 solo ingresso) presso il Consolato russo in Italia. 
4. All’arrivo in Russia, il visto per 1 solo ingresso viene convertito in un visto che consente ingressi multipli, valido per 1 anno. Comunicazione relativa all’impiego del cittadino straniero 

Naturalmente, queste indicazioni dovranno poi essere valutate caso per caso, in relazione alla particolarità concreta, tenendo anche conto della possibilità che la normativa possa nel tempo variare. Circostanze che Lei potrà vagliare con un professionista di fiducia.

sabato 27 luglio 2013

PROROGATA PRESENTAZIONE MOD. 770 AL 20 SETTEMBRE 2013

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-07-25/invio-modello-proroga-settembre-064546.shtml?uuid=AbGGWGHI

Vai alla Pagina FB dello Studio Francesco Landi: https://www.facebook.com/notes/studio-landi-cdl-francesco/prorogata-presentazione-mod-770-al-20-settembre-2013/550924661635113

ALTALEX- IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO ALLA LUCE DEL "PACCHETTO LAVORO"

di Maria Spataro
Tratto da Altalexhttp://www.altalex.com/index.php?idnot=63954
Su cortese segnalazione del Dr. Michele Vissani: http://www.linkedin.com/profile/view?id=95491457&authType=name&authToken=Vu8a&invAcpt=&goback=%2Emid_I243729768*4205_*1

Sommario: 1. Origini ed evoluzione legislativa dell’istituto - 2. La disciplina regolatrice vigente: il d.lgs. 14 settembre 2011 n. 167 - 3. I recentissimi interventi legislativi: la legge n. 92/2012 e il d.l. n. 76/2013
1. Origini ed evoluzione legislativa dell’istituto
 L’istituto dell’apprendistato ha origini storiche antichissime e generalmente ricondotte alla relazione tra maestro e allievo, la cui disciplina trovava una prima compiuta forma nell’ambito degli statuti delle Corporazioni medievali. In tale contesto, l’allievo imparava l’arte o il mestiere, vivendo in comunione di lavoro e di vita con il maestro, non ricevendo in cambio alcun compenso se non l’insegnamento necessario a fargli conseguire la qualificazione professionale utile per il libero svolgimento dell’arte o del  mestiere per il quale l’insegnamento veniva ripartito.

E’ evidente già in questo embrione la finalità precipua dell’istituto in commento, ossia (...)

Per leggere il post intero, vai alla Pagina FB dello Studio Francesco Landi di Ferrara: 

venerdì 26 luglio 2013

MOBBING SUL LAVORO, LA CASSAZIONE RICONOSCE LO "STRAINING"

Tratto da http://www.leggioggi.it/2013/07/15/la-cassazione-riconosce-anche-lo-straining-sentenza-3-luglio-2013-n-28603/

Commento alla sentenza del 3 luglio 2013 n. 28603 con cui la Cassazione ha riconosciuto una forma più attenuata di mobbing, lo straining, ovvero una situazione di stress forzato sul posto di lavoro

Qualora nel luogo di lavoro si verifichino situazioni relazionali o organizzative non corrette si parla di disfunzioni nei rapporti di lavoro.
Tra tali disfunzioni troviamo il cd. “mobbing”, ovvero ciò che viene comunemente definito come il terrore psicologico sul luogo di lavoro, consistente in comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui relegato da reiterate attività ostili. Queste azioni, che danno spesso luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali per la vittima, rientrano nella definizione di mobbing, qualora siano caratterizzate da un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e da una durata significativa (almeno sei mesi).
Una forma più attenuata di mobbing è il cd. “Straining” ovvero una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante.Affinché si possa parlare di straining è dunque sufficiente una singola azione stressante cui seguano effetti negativi duraturi nel tempo (come nel caso di gravissimo demansionamento o di svuotamento di mansioni). La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer).
La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 28603 del  03 luglio 2013 interviene sul tema del mobbing qualificando i comportamenti ed episodi di emarginazione come straining ossia mobbing attenuato.
Questa significativa ed interessante pronuncia della Cassazione, che ha riconosciuto ad un dipendente di banca, “messo all’angolo” fino a essere relegato a lavorare in uno «sgabuzzino, spoglio e sporco», con «mansioni dequalificanti» e «meramente esecutive e ripetitive»: comportamenti complessivamente ritenuti idonei a dequalificarne la professionalità, comportandone il passaggio da mansioni contrassegnate da una marcata autonomia decisionale a ruoli caratterizzati, per contro, da “bassa e/o nessuna autonomia”, e dunque tali da marginalizzarne, in definitiva, l’attività lavorativa, con un reale svuotamento delle mansioni da lui espletate.
I giudici di legittimità precisano che nelle grandi aziende è difficile parlare di mobbing: infatti, tale fattispecie è costruita a livello giurisprudenziale (infatti non vi è riscontro nel diritto positivo del fenomeno del mobbing) tramite il rinvio all’articolo 572 del codice penale, norma che incrimina il reato di maltrattamenti in famiglia. Ma ciò non toglie che, escluso il delitto di maltrattamenti, non possano configurarsi comunque altri reati.
Gli Ermellini hanno in maniera innovativa qualificato tali comportamenti non come “mobbing”, bensì come “straining” – ossia una sorta di mobbing attenuato.
La Corte puntualizza che, nonostante la situazione del dipendente rappresenti un fatto astrattamente riconducibile alla nozione di “mobbing”, sia pure in una sua forma di manifestazione attenuata, nel caso di specie si tratta di “straining”. Infatti secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra (rapporto supremazia-soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest’ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo (Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, dep. 26/06/2009, Rv. 244457; Sez. 6, n. 685 dei 22/09/2010, dep. 13/01/2011, Rv. 249186; Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, dep. 22/11/2011, Rv. 251368; Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012, dep. 27/04/2012, Rv. 252609).
La modulazione di tale rapporto, dunque, avuto riguardo alla ratìo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p., deve comunque essere caratterizzata dal tratto della “familiarità”, poichè è soltanto nel limitato contesto di un tale peculiare rapporto di natura para-familiare che può ipotizzarsi, ove si verifichi l’alterazione della sua funzione attraverso lo svilimento e l’umiliazione della dignità fisica e morale del soggetto passivo, il reato di maltrattamenti: si pensi, in via esemplificativa, al rapporto che lega il collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge la propria opera o a quello che può intercorrere tra il maestro d’arte e l’apprendista.
Nel caso di specie i Giudici di merito non ravvisarono la familiarità del rapporto sottolineando come l’ambito lavorativo fosse generalmente connotato dall’instaurazione di un rapporto distaccato e formale, le cui modalità di esecuzione comunque consentivano al dipendente di avvalersi di un complesso di garanzie idonee a reagire alle ingiuste offese subite, e che, per le dimensioni stesse della multinazionale ed in ragione della sua complessa articolazione strutturale, non potevano propriamente ricollegarsi al contenuto della nozione cui fa riferimento la contestata fattispecie incriminatrice.
La Corte ha ribadito quanto sancito dai Giudici di merito ovvero l’esclusione nel caso in esame, del mobbing, considerato che la posizione lavorativa del ricorrente, era inquadrata all’interno di una realtà aziendale complessa la cui articolata organizzazione – attraverso la previsione di “quadri intermedi” – non implicava certo l’instaurarsi di quella stretta ed intensa relazione diretta tra il datore di lavoro ed il dipendente, che appare in grado di determinarne una comunanza di vita assimilabile a quella caratterizzante il consorzio familiare.
Secondo l’accusa, da questi episodi era «derivata la grave lesione» del lavoratore «consistita nella causazione di un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40 giorni».
Su tale punto la Corte sulla base di una costante linea interpretativa ha rilevato come, nella materialità del delitto di cui all’art. 572 cod. pen. rientrino non soltanto percosse, minacce, ingiurie, privazioni imposte alla vittima, ma anche atti di scherno, disprezzo, umiliazione ed asservimento idonei a cagionare durevoli sofferenze fisiche e morali alla vittima. Ne consegue che deve essere il giudice di merito ad accertare se i singoli episodi vessatori rimangano assorbiti nel reato di maltrattamenti (ad esempio, lesioni non volute), oppure integrino ipotesi criminose autonomamente volute dall’agente e, pertanto, concorrenti con il delitto di cui all’art. 572 cod. pen (Sez. 6, n. 16661 dei 29/05/1990, dep. 19/12/1990, Rv. 186109).
Entro tale prospettiva, infatti, il delitto di lesioni personali volontarie non può ritenersi assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia, trattandosi di illeciti che concorrono materialmente tra loro per la diversa obiettività giuridica così da configurare un reato autonomo in concorso materiale con quello di maltrattamenti.
Per tali motivi gli Ermellini hanno, per quel che attiene al reato di lesioni personali, annullato la sentenza impugnata ai soli effetti civili, con il rinvio al giudice civile ex art. 622, seconda parte, cod. proc. Pen..


IL DL LAVORO PROROGA I CONTRATTI DI LAVORO INTERMITTENTE PER PERIODI PREDETERMINATI: IL SETTORE TURISTICO

Quesito:
Sono il Titolare di un Pubblico Esercizio che ha stipulato prima dell'entrata in vigore della Monti-Fornero, per i periodi di "punta" (estate, Natale, week end primaverili, festività) dei contratti a chiamata a tempo indeterminato per periodi predeterminati con Camerieri. Ho letto che questi contratti rimangono validi. Riesce a spiegarmi il perchè? Grazie

Risposta:
La l. 92/2012 aveva provveduto ad incidere in modo abbastanza netto alcune norme che, nel vigore della precedente versione degli artt. 33 ss. D.lgs. 276/03, regolavano l'assunzione del lavoratore con contratto cd "a chiamata": es. il requisito dei 45 anni, i periodi predeterminati etc.
A questo fine, la legge Monti-Fornero aveva previsto che i contratti non conformi alla previgente disciplina e in essere al momento dell'entrata in vigore della legge (18/07/2012) restavano in vigore "ad esaurimento" e comunque non oltre il 18/07/2013.
Il DL lavoro ha provveduto a prorogare al 31/12/2013 (termine finale massimo) questa scadenza per i contratti a chiamata stipulati (per lo più, a tempo indeterminato) per i "periodi predeterminati" nell'anno (week end, ferie estive etc.), con chiara intenzione di favorire il settore Turistico, come la Sua contrattualistica.

A quello che ci è dato sapere, i Suoi contratti possono avere vigenza fino al 31/12 pv ma non oltre (salva naturalmente nuova proroga).

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

SGRAVIO ALIQUOTA AGGIUNTIVA ASPI

Quesito:
Ho letto i Vs. post sulla contribuzione aggiuntiva ASpI in caso di lavoro a termine, ma volevo chiarimenti in merito allo sgravio contributivo in caso di trasformazione a tempo indeterminato. Grazie.

Risposta:
Complessivamente, ne consegue che l'aliquota complessiva di finanziamento dell'ASpI, in caso di assunzione di lavoratori a termine, si assesta a 3.01% (1.61%+1.40%).
Tale aliquota aggiuntiva è, però, recuperabile nel limite delle ultime 06 mensilità e decorso il periodo di prova:

a) Dai Datori di Lavoro in genere, qualora al termine il contratto venga trasformato a tempo indeterminato entro la scadenza;
b) Dai Datori di Lavoro che provvedano alla stabilizzazione del personale assunto a termine entro il mese successivo alla scadenza (si tratta di un'ipotesi non nominalmente prevista nella legge, ma "dedotta" dall'INPS per motivi pratici di "continuità contributiva").

Per i Datori di Lavoro assumono il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di 06 mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine, la restituzione avviene detraendo dalle contribuzioni relative alle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine.


In sintesi, come precisato dall'INPS, la restituzione integrale del contributo aggiuntivo (06 mesi) potrà avvenire solo in caso di trasformazione (entro la scadenza) del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, nonchè nell'ipotesi di stabilizzazione intervenuta il mese successivo a quello di scadenza del contratto a termine (vedi esempio allegato).

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts


mercoledì 24 luglio 2013

I PLANTARI PER LA SICUREZZA DEL LAVORO-UN CASO

Quesito:
In una Struttura assistenziale privata, il Medico competente per la Sicurezza del lavoro, dopo aver visitato alcune Dipendenti, ha prescritto loro l'uso di plantari a sostegno della volta plantare.
Chi deve sostenerne il costo di acquisto? L’Azienda o il Lavoratore?

Risposta:
E' stretto dovere del Datore di Lavoro provvedere ai dispositivi di protezione individuale, in quanto prescritti dal Medico competente della Struttura per la Salute e la Sicurezza del personale, anche per specifiche e singolari problematiche (come i plantari, nel caso specifico).
In questo senso, depone l'art. 18 D.lgs. 81/2008 lett. d) (da leggersi in combinato disposto con l'art. 77), il quale dispone:

"Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all'articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: ...
fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente".

Per completezza di informazione, si coglie l'occasione di precisare che, con "dispositivo di protezione individuale" (art. 74) si intende:

1. Si intende per dispositivo di protezione individuale, di seguito denominato «DPI», qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.
2. Non costituiscono DPI:
a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore;
b) le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio;
c) le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell'ordine pubblico;
d) le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto (1);
e) i materiali sportivi quando utilizzati a fini specificamente sportivi e non per attività lavorative;
f) i materiali per l'autodifesa o per la dissuasione;
g) gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi.

La violazione di tale obbligo determina lievi sanzioni amministrative.
Ma anche a prescindere dalle sanzioni, che l'acquisto dei dispositivi sia onere economico a carico del Datore è circostanza che si deduce pacificamente scorrendo anche l'art. 2087 del Codice Civile, il quale, determinando a carico del Datore di Lavoro, la piena responsabilità per la Sicurezza dei lavoratori subordinati, include senza possibilità alcuna di dubbio ed equivoco l'imputazione dei relativi oneri di spesa per la Sicurezza.

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

VOUCHER E AUTO-TRASPORTO. IL PUNTO DELLA SITUAZIONE PER L'ESTATE 2013

Quesito:
Negli anni passati, ho svolto prestazioni di Autotrasporto con i voucher per lavori stagionali. Come è cambiata la normativa quest'anno?

Risposta:
Con l'entrata in vigore della l. 92/2012 (legge Monti-Fornero), sono state introdotte alcune novità relativamente all'utilizzazione dei voucher.
Innanzitutto, anche grazie alle recenti precisazioni della Lettera Circolare Min. Lav. nr. 7528 del 22/04/2013, è stato chiarito che può essere svolta nella forma del lavoro accessorio (dopo il DL lavoro non più denominato "occasionale") ogni prestazione di qualunque tipologia (questa la prima innovazione, rispetto al passato) al di sotto degli € 5.000 netti (di fatto € 6.660 lordi, ma occorre fare attenzione alla rivalutazione!) può essere legittimamente svolta nella forma del voucher. Tradotto in concreto, questo significa che tale soglia deve essere intesa come una sorta di "franchigia", sotto la quale è di fatto inibito agli organi ispettivi la verifica della "vero" rapporto di lavoro e, in sostanza, preclusa la trasformazione a lavoro subordinato a tempo indeterminato. Sopra tale soglia, viceversa, scattano i controlli e la trasformazione forzosa del rapporto.
E' necessario precisare che il limite degli € 5.000 non opera più "per singolo Committente" (ossia "per teste"), quanto come limite onnicomprensivo reddituale per "anno solare".
E' inoltre opportuno precisare che, fermo restando il generale limite degli € 5.000 netti, la soglia muta sensibilmente, ove lo stesso voucherista abbia attivato più rapporti a titolo di voucher con varie "Imprese". In questo caso, fermo restando il limite complessivo reddituale annuo di € 5.000, il voucherista, se pluri-Committente, non può attivarevoucher dall'importo superiore a netti € 2.000 per Committente.
Eventuali voucher acquisiti l'anno precedente, e non utilizzati entro il 31/05/2013 devono considerarsi decaduti.
Questo il quadro della nuova disciplina; un quadro non del tutto sfavorevole, ma che impone comunque prudenza, a chi intenda utilizzare voucher per impieghi in attività "faticose e pericolose" come l'Autotrasporto. Data la tendenza degli Istituti di Sicurezza Sociale a interpretazioni meno "formalistiche" rispetto al Ministero, in quanto tendenzialmente più attente alla "realtà" del rapporto, dati i risvolti assicurativi, non si può escludere che la deduzione in contratto di attività di auto-trasporto possa generare problematiche e obiezioni in sede di verifica, potendo cioè l'INAIL obiettare la sotto-assicurazione dell'attività.
Anche per questo motivo, ove riteneste di continuare ad avvalervi del voucher anche per quest'anno, siamo comunque a raccomandare attenzione e prudenza.

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts

IL LAVORO A TERMINE E NUOVI PERIODI DI INTERRUZIONI

Con il DL lavoro vengono pienamente ripristinati i termini di interruzione tra un rapporto a termine e l'altro previgenti alla Monti-Fornero.
Dal 28/06/2013, cioè, i rapporti a termine, per evitare l'automatica conversione a tempo indeterminato, dovranno sottostare a periodi di interruzione pari a 10 gg. (rapporti con meno di 06 mesi) e 20 gg. (rapporti più di 06 mesi).
La riforma, però, non è esente da dubbi e oscurità tali da rendere la normativa, in difetto di istruzioni ministeriali, di difficile decifrazione e da rendere oltremodo problematico per l'operatore adottare interpretazioni coerenti e pacifiche.
Allo stato, infatti, appare quantomai problematica (quanto ad effetti pratici) la previsione della norma (art. 07.01 lett. c) num. 03 DL Lavoro) dove si dice:

"Le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali di cui al comma 04-ter [art. 05 D.lgs. 368/2001, Nota nostra]".

Presa alla lettera, parrebbe che la disciplina dei 10-20 gg. sia esclusa tout court per le attività stagionali e per le altre attività individuabili dalla contrattazione collettiva "anche aziendale", che, in ipotesi, parrebbero assumere a termine, anche con intervalli di pochi o addirittura nessun giorno.
Un simile assetto determina evidenti e conclamati problemi di giustificazione costituzionale: come giustificare, ad esempio, questa deroga con la circostanza che la continuazione tout court del rapporto a termine, salvi i periodi di "tolleranza", determina automatica trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato? Il pericolo che la norma possa cadere in giudizio avanti la Consulta è alto.
A riprova, comunque, della complessità del quadro normativo impresso dal DL Lavoro, non si può fare a meno di notare come, allo stato, non è possibile escludere un'interpretazione alternativa e meno radicale: ossia che il legislatore abbia previsto la non estensione dell'art. 07 cit. alle "attività stagionali" e delle "altre attività", per motivi di puro coordinamento formale, dato che per queste tipologie di rapporti il termine di 20-30 gg. era già stato ripristinato dalla l. 134/2012 (art. 46-bis DL Sviluppo 1). In questo senso, la modifica potrebbe essere interpretata come mero restylingformale, e l'unico assestamento di rilievo starebbe nell'abilitazione piena della contrattazione aziendale quale fonte regolatrice del rapporto. E si coglie l'occasione di notare, per inciso, che questa interpretazione (pure molto conservatrice...) potrebbe essere preferita in quanto costituzionalmente più conforme e coerente.
Tali sono le ambiguità e i caratteri problematici della norma; questa circostanza deve invitare alla prudenza imprese e operatori, prima di raccomandare di percorrere questa strada.

Per questi motivi, è opportuno che sul punto si consolidi un'interpretazione ministeriale, anche per le potenziali e non irrilevanti ricadute in termini di illegittimità costituzionale della norma ).

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts


domenica 21 luglio 2013

CRONACA DI UNA RIFORMA IMPOSSIBILE: LE ASSUNZIONI A TERMINE A-CAUSALI NEL DL LAVORO

Uno degli istituti maggiormente incisi dal DL Lavoro (DL 76/2013) riguarda le assunzioni a-causali.
Chi ci segue attentamente avrà avuto modo di accorgersi che nei miei interventi non mi sono praticamente mai degnato di occuparmi di questo istituto, abbastanza estraneo al mio ambiente professionale e mai praticato. La circostanza, però, che esso di fatto costituisca uno dei punti maggiormente incisi dal DL, mi obbliga a trattarne in modo approfondito.
A cosa servirebbe tale "anomala" modalità di assunzione a termine?
In primo luogo, per evitare il computo del lavoratore a termine nella base occupazionale per l'applicazione del regime del licenziamento (con indiretto risparmio sul costo del lavoro); in secondo luogo, per creare occasioni di "inserimento" di lavoratori (attingendo evidentemente al bacino dei "disagiati) sulla scia del precedente tedesco (che però prevede tali assunzioni per un massimo di 24 mesi, doppio rispetto all'Italia).
Il DL Lavoro ha cercato di eliminare alcune restrizioni introdotte in materia dalla legge Monti-Fornero, nell'intento di liberalizzare e ampliare la portata applicativa di un istituto, sulla carta molto utile per produrre posti di lavoro. E' riuscito nell'intento il legislatore? O meglio: il legislatore ha prodotto un complesso di regole tecnicamente coerenti e congruenti con questo intentio politica?
Purtroppo, il primo bilancio che, in merito, si può trarre non è dei più confortanti; vediamo perchè.
Come noto, la l. 92/2012 aveva introdotto questa previsione con una "novella" all'art. 01 D.lgs. 368/2001: introducendo, cioè, un "comma 01-bis" al citato D.lgs., veniva previsto l'esonero dall'osservanza delle "causali tecniche, organizzative, sostitutive" per i "primi rapporti a tempo determinato" (o nelle "prime missioni" di somministrazione) per un tempo massimo fino a 12 mesi.
Va ricordata, al riguardo, la controversia insorta tra i commentatori circa la dizione "primo rapporto a tempo determinato", risolta dalla Circolare 18/2012 del Ministero del Lavoro secondo l'interpretazione più tranchantpossibile, ossia  escludendo rapporti a tempo determinato (per quanto primi) con lavoratori già assunti a tempo indeterminato, a termine (evidentemente con causale). Questo orientamento è stato confermato dal Ministero del Lavoro in sede di Vademecum (Lett. Circ. 7258/2013), il quale (Vademecum) ha provveduto a dirimere un equivoco che era insorto relativamente agli "autonomi" (cocopro, associati in partecipazione, collaboratori a Partita IVA), i quali possono beneficiare di questa modalità di assunzione, dopo che l'iniziale interpretazione, molto rigida, del Ministero ex. Circ. 18/2012, ferma nel pretendere "l'assenza di precedenti rapporti", pareva escluderli.
Il DL, però, costituisce un'occasione mancata sotto un altro aspetto. 
Da autorevoli commentatori (vedi Commentario STERN Riforma Monti-Fornero), infatti, si era osservato:

"Sarebbe auspicabile, per non precludere opportunità occupazionali a lavoratori che hanno avuto brevi esperienze lavorative con un impresa, che la norma [che si riferisce al "primo rapporto a termine", NdA] fosse interpretata, magari dal Ministero del Lavoro sollecitato da un Interpello, nel senso che precedenti rapporti di lavoro dalla durata complessiva non superiore alla metà del nuovo contratto a termine a-causale non ne impedissero la stipulazione. Sarebbe in questo modo ripreso un principio evidenziato dallo stesso Ministero del Lavoro in tema di apprendistato con Interpello nr. 08/2007, nessuna frode o precarietà selvaggia, ma nemmeno nessun ostacolo occupazionale ai lavoratori che hanno avuto la sventura di aver già lavorato brevemente con l'Azienda".

Il DL non ha recepito questo illuminato parere, lasciando sullo specifico punto sopravvivere la tranchant posizione delVademecum che di fatto, escludendo gli intermittenti dalla possibilità di beneficiare delle assunzioni a termine a-causali, ha sbarrato la strada ad ogni attenuazione della norma in questo senso. Resta da sperare che forse andrà meglio ... la prossima volta!
Il DL Lavoro provvede ad abrogare il comma 02-bis dell'art. 04 D.lgs. 368/2001, che era stato introdotto dalla l. 92/2012 quale "novella" alla disciplina sui rapporti a termine, per escludere la "proroga" dei rapporti a termine acausali.
Questa disposizione era stata variamente, ma sempre aspramente criticata, perchè la rigida formulazione dell'espressione "primo rapporto a termine" contribuiva a restringere tale possibilità di assunzione a causale (evidentissimamente eccezionale) solo al primo rapporto, escludendo in modo tranchant ogni proroga. In questo modo, si deduceva:

"Dovrebbe non essere possibile un'assunzione di 06 mesi, prorogata per altri 06".

Questa interpretazione era stata confermata dal Vademecum.
Ora, sono cambiate le cose?
I primi commentatori ritengono che l'operazione sopra esemplificata con le nuove norme sia possibile, tendendo a interpretare (contrariamente alle indicazioni a suo tempo emerse nella Circ. Min. Lav. 18/2012) il periodo massimo di 12 mesi come un termine di "franchigia", comunque frazionabile.
A scanso dei primi e più ottimistici commenti (vedi www.dplmodena.it), la prudenza è d'obbligo e, allo stato attuale delle cose, non si può escludere che l'abrogazione del divieto di improrogabilità di per sè non abbia cambiato nulla di sostanziale in punto di proroga. E questo a causa della tecnica legislativa, poco accorta nel cogliere che la pecularità e la novità della previsione avrebbe richiesto ben altro coordinamento, ben altra opera di adattamento della normativa vigente!
L'attuale testo, infatti, anche corretto dal DL Lavoro, riferisce l'assunzione acausale nel termine massimo dei 12 mesi, al "primo rapporto a tempo determinato", con ciò virtualmente escludendo la "proroga", nonostante l'abrogazione legislativa, che, nella dizione rozza ed empirica della disposizione, ben potrebbe equivalere a "secondo rapporto". Meglio sarebbe stato che il legislatore avesse modificato la norma disponendo: "Ipotesi di primo rapporto a tempo determinato, comprensivo della sola proroga ai sensi dell'art. 04...".
E del resto si ha più di un motivo per dubitare che qualche effetto applicativo utile in merito possa derivare dall'applicazione della disciplina della proroga ex. art. 04 D.lgs. 368/2001: come regolarsi di fronte alla previsione che la proroga è riferita ad un massimo di 03 anni? Ci vuol poco a ritenere questa disposizione inapplicabile alla proroga a-causale che è possibile fino a 12 mesi! Ma anche a ritenere il vincolo della "compatibilità" della citata norma, con le revisioni del DL Lavoro (assunti come vincoli di ratio legis), come giustificare il silenzio dell'attuale norma sulla proroga di ogni riferimento alle assunzioni a-causali? Come giustificare questo silenzio, quando in altra sede (prosecuzione oltre il termine) il legislatore era intervenuto inserendo la specifica dell'art. 01.01-bis riferita alle assunzioni a termine acausali? Come spera un legislatore di tal fatta di poter contrastare l'eventuale Giudice che voglia nel silenzio (reale) della nuova normativa dedurre la non prorogabilità dei rapporti a termine?
A mio modesto parere, più che un'Interpello, in parte qua servirebbe una correzione del testo di legge in sede di conversione parlamentare del DL, perchè allo stato attuale la norma non è, per così dire, "in sicurezza" rispetto ad interpretazioni restrittive del Giudice! E per ricordare come espressioni legislative poco chiare possano mettere i Giudici in condizione di contrastare anche gli orientamenti interpretativi e amministrativi più consolidati si ricordi il precedente recentissimo del Tribunale di Torino, dove, smentendo la Cassazione e una consuetudine interpretativa pure largamente consolidata, il Magistrato aveva sostenuto, in nome della lettera dell'art. 10 D.lgs. 368/2001 la piena assimilazione al regime comune dei contratti a termine delle assunzioni a termine in mobilità ex. l. 223/1991 (quando da decenni i giuslavoristi erano fermi nel ritenere tali assunzioni un'ipotesi a sè stante!). Senza contare che proprio questo precedente ha indotto il legislatore a rivedere in punto di mobilità l'art. 10 cit., a mò di conferma (in forma di interpretazione autentica) di un principio che stava per essere destabilizzato in sede giurisprudenziale!
L'altro aspetto per cui si lascia commentare il DL Lavoro in punto di assunzioni a termine a-causali è la previsione (questa volta innovativa, ma tecnicamente poco pregnante) del potere regolatorio affidato alla contrattazione collettiva. Nella precedente versione dell'art.01.01-bis, era consentito alla contrattazione collettiva ampliare le previsioni di assunzioni a termine a causale, in uno stretto limite percentuale, a fronte di policy aziendali particolari (anche se abbastanza difficilmente definibili) come "lancio di un servizio innovativo" etc. Il DL lavoro sul punto è stato tranchant: ha abrogato questa previsione, sostituendola con la più ampia e inequivoca: "l'esclusione delle causali nell'assunzione a termine è consentita ... in tutte le altre ipotesi previste dai contratti collettivi, anche aziendali".
La disposizione sa di "delega in bianco" e purtroppo tende anch'essa a manifestare non poche (e gravi) lacune in punto di coordinamento: presa alla lettera, la disposizione parrebbe ammettere le assunzioni acausali anche oltre il periodo massimo di 12 mesi rimasto come previsione-base. In questi termini, la possibilità di deroga appare davvero ampia e indiscriminata, e non si può escludere possa determinare anche rilevanti problemi di incostituzionalità, se non altro in punto di possibili censure di irragionevolezza. Come ammettere cioè un simile indiscriminato potere di deroga quando il DL ha lasciato in piedi quella parte dell'art. 01 (modificata dalla Monti-Fornero) che riconosce al "rapporto a tempo indeterminato" il rango di "forma comune" di impiego della forza-lavoro? Come conciliare (e la domanda è retorica) un potere derogatorio indiscriminato che potrebbe de jure et de facto liberalizzare il rapporto a termine, quando l'ordinamento riconosce ancora al "rapporto a tempo indeterminato" il ruolo di rapporto-principe?
Deve dirsi che, su questo aspetto, il DL Lavoro è riuscito tecnicamente a fare anche peggio della legge Monti-Fornero, che, pure in forma macchinosa, astrusa e inapplicabile in concreto, aveva concepito la possibilità di deroga sindacale rispetto alle assunzioni a-causali, in modo tecnicamente più coerente e consapevole, codificando casistiche che, pure di difficile, se non impossibile verificazione, partivano dalla giusta consapevolezza che, una volta fissato il principio che l'assunzione "comune" è quella "a tempo indeterminato", l'assunzione a termine avrebbe dovuto essere di norma "causale", riservandosi (per motivi evidenti di logica coerenza) a casistiche ed evenienze particolarissime l'assunzione "a-causale" (di qui, lo sforzo legislativo nella previsione di "casi" di deroga sindacale).
Il DL Letta ignora tutto questo e non si preoccupa nemmeno di fissare un "termine esterno" per circoscrivere le assunzioni a-causali disposte in via sindacale (es. estendendo il limite normale di 12 mesi), permettendo così alla contrattazione collettiva di disporre senza limiti di causale l'assunzione a termine (restando il solo vincolo dei 36 mesi).
A questo punto, è d'oobligo una domanda: cosa vuole il legislatore? Dove vuole andare a parare?
Vuole lavorare per superare il principio generale della causalità delle assunzioni a termine (posizione che, ad esempio, si sa essere caldeggiata da ambienti di Confindustria)? Allora, avrebbe dovuto abrogare l'art. 01.01°comma come uscito dalla Monti-Fornero, ossia cancellare il principio secondo cui l'assunzione a tempo indeterminato costituisce "forma comune".
Ma così non è stato, e il complesso regolatorio che residua porta con sè un grave senso di irresolutezza rispetto ai fini ultimi, che ne compromette in concreto l'efficacia liberalizzante. Le attuali norme non sono "messe in sicurezza" rispetto possibili interventi (correttivi o peggio ablativi censure di incostituzionalità) del potere giudiziario, mettendo seriamente a rischio gli intendimenti di "liberalizzazione" e promozione dell'occupazione che pure il DL si era ripromesso. 
La sensazione è che il legislatore continui a navigare a vista, magari sperando di trovare sponde sindacali per le sue aspirazioni liberalizzatrici dei contratti a termine, ma senza andare oltre un assemblaggio politico-legislativo assai confuso e nebuloso.
Ed è al riguardo molto significativo considerare che di questa previsione di cui all'art. 01-01-bis lett.b) D.lgs. 368/2001, il DL avrebbe potuto benissimo fare a meno, potendo lo stesso effetto derogatorio scaturire in sede sindacale-aziendale dalle "intese di scopo" ex. art. 08 DL 138/2011 che pure investono anche la regolazione dei rapporti a termine e che già erano in grado di disporre assunzioni "a causali" (viceversa, impedita dalla riforma Monti-Fornero che, concettualmente più coerente, aveva ammesso in materia intese aziendali solo "in via delegata" con chiara volontà di "sterilizzare" sul punto la portata potenzialmente "liberalizzante" dell'art. 08 cit.).

Ma se quest'ultima circostanza si lascia ulteriormente apprezzare come conferma della sciatteria tecnica, essa però è assai significativa dell'intendimento politico del legislatore: sperare che sia il mondo sindacale a "lanciare il cuore oltre l'ostacolo", ad arrivare ad una liberalizzazione che per il legislatore e la politica appare veramente impari.

Collaboratore Studio Francesco Landi, Consulente del Lavoro, Ferrara
Vai alla Pagina FB
https://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=tshttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts