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martedì 25 dicembre 2012

PRATICANTATO FORENSE, IL PASSO INDIETRO DELLA RIFORMA DELL'AVVOCATURA

NOTA:
La recente riforma forense concorre a complicare e intorbidare il quadro del tirocinio professionale, rispetto a cui viene a delinearsi una tendenza legislativa contraddittoria: mentre l'art. 11 del DL 138/2011 (dichiarato incostituzionale per violazione delle competenze riservate alle Regioni in materia di formazione professionale ex. art. 117 Cost.) aveva ristretto enormemente il tirocinio, in chiaro segno di preferenza dell'apprendistato come contrattualistica di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro come dal TU apprendistato (D.lgs. 167/2011) confermato dalla l. 92/2012, mentre nell'ultimo rinnovo 2011 degli Studi Professionali erano stati fatti notevoli passi avanti verso l'implementazione di una speciale figura di apprendistato "professionale", la riforma forense si attiene al più tradizionale conservatorismo. Qui di seguito, si riporta il primo commentario di Guida al Lavoro. Per approfondimenti e quesiti di ordine lavoristico, si rinvia alla Pagina FB dello Studio Francesco Landi di Ferrara al linkhttps://www.facebook.com/pages/Studio-Landi-cdl-Francesco/323776694349912?fref=ts


Tirocinio di 18 mesi, e sulla targa debutta la “specializzazione”


di Eugenio Sacchettini

Al testo uscito dal Senato è subentrata una zigzagante serie d'interventi normativi a partire dall'estate 2011, culminata nel Dpr 7 agosto 2012 n. 137 (Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali) il quale, diretto appunto in generale a tutti gli ordinamenti professionali, non avrebbe potuto che trovar ripercussioni sulla riforma forense in via di approvazione, in particolare quanto all'accesso. Per cui sono state fatte incisive variazioni da parte della Camera dei deputati rispetto all'articolato da tempo approvato dal Senato.

La pratica forenseVien così confermato dall'articolo 41, al pari di quanto oggi disposto per il tirocinio in tutti gli ordini professionali (si veda <<Guida al Diritto>> n. 36/2012 pag. 38) che la pratica forense ha la durata di diciotto mesi, e può svolgersi per tutto il periodo, come già d'uso, presso lo studio di un avvocato, purché con anzianità di iscrizione all'albo non inferiore a cinque anni . Essa può anche iniziare, per i primi sei mesi, durante l'ultimo anno del corso di laurea, purché in presenza di apposite convenzioni tra università e Cnf. È consentito inoltre che, per non più di un anno, la pratica venga svolta o presso l'Avvocatura dello Stato, o presso l'ufficio legale di un ente pubblico o presso un ufficio giudiziario, o infine anche col conseguimento del diploma delle "Scuole Bassanini"; comunque per almeno sei mesi essa deve venir svolta presso un avvocato o presso l'avvocatura dello Stato, venendo ammesso lo svolgimento anche presso avvocati stranieri per non più di sei mesi. Il praticante avvocato è poi tenuto anche a seguire con profitto per il periodo di diciotto mesi i corsi di formazione previsti dall'articolo 43, secondo quanto verrà regolato dal Ministro della giustizia, sentito il Cnf.

Lo ius postulandi - Non son poste preclusioni allo svolgimento della pratica contestualmente ad attività di lavoro subordinato, pubblico e privato che sia, purché con modalità ed orari idonei a consentirne l'effettivo e puntuale svolgimento e in assenza di specifiche ragioni di conflitto di interesse. Ciò non collima con quanto disposto in via generale per l'avvocato, cui è tradizionalmente preclusa ogni attività di lavoro subordinato, e la discrasia suona peculiare nell'ipotesi in cui il praticante, dopo sei mesi di tirocinio, sia ammesso all' "ius postulandi", ossia venga abilitato (purché laureato in giurisprudenza) al patrocinio, cioè ad esercitare attività professionale in sostituzione dell'avvocato presso il quale svolge la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso, anche se si tratti di affari non trattati direttamente dal medesimo, in ambito civile di fronte al tribunale e al giudice di pace: sembra quindi senza alcun limite; la norma aggiunge però che in ambito penale l'esercizio è ammesso nei procedimenti di competenza del giudice di pace, in quelli per reati contravvenzionali e in quelli che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del Dlgs 19 febbraio 1998 n. 51, rientravano nella competenza del pretore.

Rimborso spese - Negli studi legali privati al praticante avvocato è ovviamente sempre dovuto il rimborso delle spese sostenute e, decorso il primo semestre, possono essergli riconosciuti con apposito contratto un'indennità o un compenso per l'attività svolta, commisurati all'effettivo apporto professionale dato nell'esercizio delle prestazioni, tenuto pure conto dell'utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio. Gli enti pubblici e l'Avvocatura dello Stato dal canto loro riconoscono al praticante avvocato un rimborso per l'attività svolta, ove previsto dai rispettivi ordinamenti e comunque nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.

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