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giovedì 13 settembre 2012

LE NUOVE COMUNICAZIONI PER I LAVORATORI A CHIAMATA


La "mancata coincidenza" tra "la durata del contratto" e "la durata della stessa prestazione", secondo il Commentatore è una sfasatura caratteristica dell'istituto del "lavoro a chiamata". "Ed è proprio questa sfasatura ovvero una non esatta coincidenza tra durata del contratto (che può essere a tempo indeterminato o determinato) e durata della prestazione, che costituisce la prima peculiarità di questo istituto: cioè periodi lavoro intervallati da periodi di inattività" (DELLE CAVE cit).
        Una sfasatura che, però, fin qui è abbastanza relativa, potendosi riscontrare anche ad esempio nei rapporti part time verticali.
La peculiarità del "lavoro a chiamata" sta in altro e occorre verificare la Circolare Min. Lav. 04/2005, che, in punto di orario di lavoro (semprechè tale espressione sia utilizzabile per i rapporti "a chiamata"), così dispone:
 
La lettera dell’articolo 35, comma 1, non impone alcun obbligo contrattuale in merito all’orario ed alla collocazione temporale della prestazione lavorativa. Nessuna specifica è, altresì, prevista per regolare l’alternanza dei periodi lavorati con i periodi di inattività o disponibilità.
Ciò corrisponde a una scelta ben precisa del legislatore di lasciare tale determinazione alla libera autonomia contrattale delle parti in linea con l’impostazione complessiva della disciplina del contratto di lavoro intermittente che suggerisce esclusivamente uno schema contrattuale di base, e quindi flessibile, adatto a essere modulato e adeguato a seconda delle esigenze specifiche di volta in volta individuate dalle parti contraenti. Il datore di lavoro, infatti, può decidere di stipulare un contratto di lavoro intermittente in base alla sola previsione di una effettiva necessità di personale aggiuntivo in quanto, al momento della stipulazione del contratto, non gli è dato sapere con assoluta certezza e precisione le sue reali future esigenze. Non trova dunque applicazione, neppure per analogia, la disciplina del lavoro a tempo parziale, configurando il lavoro intermittente una fattispecie lavorativa sui generis.

La sfasatura di cui sopra, a questo punto, si coglie meglio e soprattutto si coglie l'incidenza della fattispecie sull'orario di lavoro.
 Mentre, cioè, nell'ordinario rapporto di lavoro subordinato tra programmazione oraria e sua esecuzione non c'è alcuno iato, essendo i due momenti sostanzialmente istantanei, nel rapporto a chiamata:

a) Manca una vera programmazione dell'orario, che è a discrezione del Datore, sia pure con la delimitazione di "fasce orarie" (sennò la compressione della             libertà del Dipendente sarebbe totale!), assumendo il contratto un'efficacia di mera "prenotazione" della prestazione;
b) Tra "prenotazione" oraria contrattualizzata e prestazione svolta può esserci una distanza anche molto forte.

Contro possibili "prestazioni a comando" cui il Datore può costringere il lavoro a chiamata, oggi la legge Monti-Fornero si dota di uno strumento in più di tutela.
    Ai sensi del comma 03-bis dell'art. 35 D.lgs. 276/03 (come "novellato" dalla l. 92/2012), il Datore di Lavoro è obbligato a comunicare l'inizio dell'attività lavorativa alla DTL competente, prima dell'inizio della prestazione lavorativa, ovvero di un ciclo integrato di durata non superiore a 30 gg. Comunicazione da effettuarsi anche nel giorno stesso, ma sempre prima dell'inizio della prestazione, anche con riferimento cumulativo ad una pluralità di lavoratori (annullabile o modificabile anche il giorno stesso della prestazione, ma prima dell'inizio del lavoro). Con riguardo, poi, ai 30 gg. la stessa Nota chiarisce che possono essere conteggiati gli effettivi giorni di chiamata di ciascun lavoratore e non come arco di tempo massimo all'interno del quale individuare i periodi di attività dello stesso. Evidentemente, da questa affermazione consegue un lineare corollario: se la prestazione lavorativa venga a superare i 30 gg., occorrerà effettuare più di una comunicazione.
       Con riguardo alle modalità di trasmissione, la Nota Min. Lav. 09/08/2012 Prot. 11779/2012 ha consolidato le istruzioni operative per le nuove comunicazioni disposte ex. art. 35.03°comma-bis D.lgs. 276/2003, come modificato dalla legge 92/2012. Un modus operandi di cui non sono mancate comunque le critiche in sede di commento, dato che la competenza ad emanare tali disposizioni atteneva ad un Decreto Interministeriale Min.Lav./Funzione Pubblica e non al solo Ministero per di più sotto forma di note (vedi MARIANO DELLE CAVE, Lavoro Intermittente: l'attuazione dopo la riformaGuida al Lavoro, nr. 34/2012). L'intenzione del Ministero in questa sede era quella di superare il sistema di invii per mezzo di posta elettronica certificata/non certificata, via fax, SMS alla DTL, disattivando questa metodica di invio al 13/08/2012 e di introdurre secondo tempistiche graduate i seguenti sistemi di comunicazione:
 
        a) FAX dal 13/08/2012 al numero 848800131;
        b) SMS dal 17/08/2012 ad un indirizzo del Ministero del Lavoro;
        c) EMAIL dal 17/08/2012 ad un indirizzo del Ministero del Lavoro;
        d) ONLINE, dal 01/10/2012. 
 
        Disposizioni, peraltro rivedute dallo stesso Ministero, con mail del 11/09/2012, il quale, con una disposizione "transitoria" ha mantenuto le vecchie comunicazioni mail, fax e SMS alla DTL inizialmente fino al 15/09/2012. Qualcosa ci dice che l'ulteriore proroga è nell'aria dato che in Italia nulla è più definitivo ... del provvisorio!
        Ma la nuova previsione merita riflessioni di più ampio respiro.
        Si noti, la previsione delle conseguenze del non tempestivo inoltro delle disposizioni di modifica: in questi casi, infatti, restano in vigore (e come tali vincolanti la disponibilità oraria del Lavoratore) le articolazioni orarie precedentemente comunicate. Questa disposizione, oltre a confermare la "sfasatura", tipica del lavoro a chiamata, già notata dai Commentatori recenti tra durata del contratto (che può essere a tempo indeterminato o determinato) e durata della prestazione, conferisce alla comunicazione de qua una valenza "in più" rispetto alle ordinarie Comunicazioni UNILAV (da cui non a caso la Nota 09/08/12 distingue nettamente la Comunicazione de qua). Mentre quelle comunicazioni sono semplicemente "ripetitive-ricognitive" di atti/fatti giuridici già sostanzialmente costituitisi, le seconde sono "costitutive" almeno con riguardo ad un rilevantissimo effetto: la creazione di obblighi orari in capo ai Dipendenti "a chiamata". Sono parte integrante dell'effiacia negoziale-obbligatoria che è propria della cd "chiamata", dove si viene a "specificare" in concreto l'articolazione oraria del lavoratore, oggetto di una articolazione solo di massima, al momento della stipula del contratto.
        Questa circostanza ci riporta alla vera peculiarità del lavoro a chiamata, la "prenotazione" della disponibilità del lavoratore.
        Quando si parla di "lavoro a chiamata" (anche in tempi pre-Monti/Fornero) portata a distinguere "chiamata con disponibilità" e "chiamata senza disponibilità". Una distinzione, come vedremo utile, ma che, ai fini dell'inquadramento della causa del contratto (il punto di fatto non risolto nè dalla dottrina, nè dalla giurisprudenza, nè dal Ministero del lavoro), deve essere intesa nel senso di ritenere comunque costituita, con la sola stipula del contratto, una certa quale "aspettativa" del Datore alla disponibilità del Dipendente: tutelata certo in modo più forte a fronte dell'espressa garanzia della disponibilità del Lavoratore e della corresponsione di un'indennità di disponibilità, in modo meno forte difettando questi presupposti, ma certamente rilevante, se non altro come corollario di quella che a buon diritto può considerarsi una "efficacia prenotativa" del Dipendente discendente dalla stipula del lavoro a chiamata (mentre, invece, la prestazione effettiva di lavoro è rimessa ad un atto successivo, la cd "chiamata").
          Ma, a questo punto, se ci muoviamo entro questa "efficacia prenotativa", non possiamo fare a meno di verificare l'analogia molto stretta che intercorre tra "prestazione a chiamata" e "prestazione resa in regime di clausole elastiche/flessibili". Clausole che, insieme al "lavoro a chiamata" ne condividono l'eadem ratio di garanzia del Dipendente contro le prestazioni "a comando" del Datore. Ratio ravvisabile abbastanza chiaramente nella possibilità, riconosciuta dal legislatore al lavoratore a chiamata, di non rilasciare la propria "disponibilità", consentendogli (al pari del lavoratore in "clausole elastiche/flessibili") di sganciarsi da un impegno troppo gravoso. 
        Senonchè non vi è chi non veda come, anche muovendosi entro questa ricostruzione, la nuova comunicazione prevista per il lavoro intermittente a carico dei Datori di Lavoro sia eccessiva e disfunzionale. Perchè se davvero la ratio è quella di evitare frodi alle garanzie inderogabili connesse all'orario di lavoro (anche ai sensi della Circolare 04/2005), allora è evidente che tale pericolo di frode può non evidenziarsi in modo uguale in tutti i rapporti. Essenziale allora diventa verificare cosa prevedono in concreto i contratti e come essi declinano la disponibilità o meno. Viene ad esempio manifestata una disponibilità generica, senza indicare una possibile ricaduta oraria? Ecco allora che le tutele anti-fraudolente della legge 92/2012 della Monti-Fornero sono giustificate? Viene enunciata una disponibilità, ma contenuta entro un range orario massimo e minimo? Ecco, allora, che la tutela anti-frode appare meno attuale. E in caso di mancanza di disponibilità? Personalmente, io appartengo al partito di quelli che ritengono che proprio questa ipotesi sia la più anomala di tutte, perchè da essa non è estraibile alcuna indicazione oraria, nemmeno di massima: ecco allora che, in questi casi, il controllo ispettivo preventivo può essere giustificato. E poi (ipotesi di scuola): cosa ne è se il CCNL definisce in modo molto circoscritto i casi di utilizzo del lavoro a chiamata e la conformità al CCNL del lavoro a chiamata sia desumibileex actis, ossia direttamente dalle brevissima articolazione giornaliera (in ipotesi definita "non prorogabile")?
        E' chiaro che la legge Monti-Fornero, non graduando l'obbligo di comunicazione a queste diverse forme di pericolo, fa di "ogni erba un fascio", generando obblighi puramente formali, privi di qualsiasi connessione con una credibile funzione regolatoria del mercato del lavoro.
         E la cosa è tanto più eclatante solo che si consideri che per molte fattispecie di contratto a chiamata certe esigenze di controllo potrebbero essere soddisfatte linearmente integrando la Comunicazione UNILAV con l'inserimento (oggi non previsto) di "fasce di disponibilità oraria" massima, senza scomodare nuove metodiche di comunicazione!
          De jure condendo, si impone quindi una revisione della regolamentazione, che conservi l'attuale comunicazione solo per i contratti privi di disponibilità e di qualsiasi appiglio orario (che sono le fattispecie più critiche da scoraggiare), ma prevedendo semplificazioni (già nell'UNILAV) per i contratti dove la disponibilità oraria del Lavoratore appaia più circostanziata e così anche la natura saltuaria ed ... eccezionale della prestazione.
           De jure condito, vale questa avvertenza: siccome è verosimile che le comunicazioni per i lavoratori intermittenti (in analogia con le antiche comunicazioni di "lavoro flessibile" in regime dl. 724/1984) siano prodromiche di ispezioni. Contro le ispezioni, il Datore dispone di un solo rimedio: auto-assicurarsi con una contrattualistica credibile e armonica. Più questa sarà adeguatamente specifica e armonica in relazione al quadro organizzativo in cui insiste la prestazione a chiamata, più la probabilità di conseguenze negative sarà bassa; più la contrattualistica sarà generica, lasca, più la probabilità di conseguenze negative sarà alta.
            Alla fine, comunque, il Datore di Lavoro diligente e prudente nella gestione della contrattualistica di lavoro potrà sempre .. sfangarla, qualunque sia la legislazione vigente.

Dr. Giorgio Frabetti
Consulente d'Azienda in Ferrara

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